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contemporaneo, ossia il cognitivismo, che per gran parte del secolo scorso ha
concentrato la propria attenzione sui processi razionali di funzionamento della
mente: ragionamento, percezione e memoria.
Negli anni novanta la situazione ha cominciato a cambiare e le emozioni sono salite
alla ribalta della discussione scientifica. Attraverso la stessa porta per la quale sono
passate le emozioni è passato anche il corpo, nuovo campo privilegiato di ricerca per
la comprensione dell’uomo, ma soprattutto sono passati due concetti fondamentali: i
valori e l’identità. L’identità è oggi considerata come quell’insieme di valori
personale e irripetibile che contraddistingue la persona nel suo relazionarsi al mondo.
I valori sono dei nodi attraverso i quali l’individuo giudica ciò che lo circonda e lo
tocca, sono il battistrada della razionalità.
Da ciò discende l’importanza della formazione all’esercizio del valore, come
possibilità di strutturazione del sé, in ogni ambito della vita. Se attraverso
l’emozione, che un sentire il valore delle cose, si guarda il mondo, allora è bene che
questa lente sia limpida e cristallina, e guai laddove distorca la visione o la renda
parziale. Forse in questo risiede un recupero dell’etica pura che, a mio avviso,
sembra l’urgenza di questi tempi.
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Ergonomia socio-organizzativa, nuovo lavoro ed emozione.
L’ergonomia socio-organizzativa è una scienza nascente che si occupa di come
creare strutture sociali e organizzazioni a misura d’uomo. Una tale missione si
riscopre ancora di più nel clima di grandi trasformazioni della sfera lavorativa
occorso negli ultimi decenni. Il lavoro sta assumendo dei nuovi caratteri, infatti, è
sempre meno legato allo sforzo fisico e si dematerializza perché consiste nello
scambio e nell’applicazione di informazioni, simboli e saperi. Cambiano di
conseguenza le competenze richieste: i lavoratori devono saper innovare, sapersi
relazionare, saper creare, saper vendere e addirittura sapersi vendere. Tali
competenze vengono sviluppate attraverso la capacità di coniugare le conoscenze
teoriche apprese attraverso un lungo periodo di formazione con le potenzialità offerte
dall’impiego delle nuove tecnologie.
Le nuove occupazioni necessitano di un forte investimento emotivo ed intellettuale in
un percorso formativo di lungo periodo che a sua volta socializza un soggetto ai suoi
ruoli futuri. Diviene quindi inevitabile una forte identificazione con il proprio lavoro,
ossia con le attività che nella sostanza vengono svolte e quindi con le conoscenze che
animano tali attività. Nel nuovo lavoro entra in gioco l’emozione ed il valore e le
organizzazioni non possono non tenerne conto se vogliono sopravvivere.
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I Capitolo
LE ORGANIZZAZIONI COME SOFISTICATO E
MULTIFORME LUOGO DI CREAZIONE E
NEGOZIAZIONE DEL SIGNIFICATO E DELLE
IDENTITÀ.
Weick e Morgan. La creazione e la negoziazione di senso nelle varie
forme organizzative.
Lo studio delle correlazioni tra le variabili organizzative utilizzate nella nostra
ricerca e l’emergere dei diversi fenomeni affettivi così come descritti da Roberta De
Monticelli, si inserisce in una prospettiva teorica sulla natura ed il funzionamento
dell’organizzazione, estremamente funzionale al nostro obiettivo. Parlare
dell’organizzazione facendo riferimento all’uomo ed alla sua esperienza affettiva, e
determinando la profonda influenza che questa esercita sulla formazione dell’identità
del singolo e, di conseguenza, sull’identità organizzativa, significa non poter adottare
a priori una definizione dottrinale del fenomeno organizzativo, né tanto meno
sposarne una visione o corrente teorica sopra le altre.
Il nostro meta-discorso sull’individuo e sul suo agire e interagire nell’organizzazione,
necessità di una teoria laica del fenomeno organizzativo, la quale ci consenta di
affrontare la tematica in tutta la sua lunghezza, ma di lasciare poi aperti i risultati alla
dinamica dell’interazione che, in definitiva, sostanziano e animano l’organizzazione
nei suoi risvolti operativi quotidiani.
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Un bisogno di colposa vaghezza che si sente, tanto più quando si affronta l’aspetto
della sfera affettiva che, per definizione, non si lascia pronosticare nella risoluzione
del suo farsi e non permette definizioni aprioristiche ed analisi certe (anche se nel
corso della trattazione attenueremo profondamente questa tesi). Fatto sta che andare
a toccare i territori della personalità ci mette di fronte al problema, o alla fortuna, di
non poter oggettivare ciò che è soggettivo.
Una teoria del genere determina un doppio effetto, da un lato lo spaesamento dovuto
all’impossibilità di poter dire una volta e per sempre che cosa sia l’organizzazione
(compito che in ogni caso non spetterebbe a questo lavoro), dall’altro un appiglio,
cioè una chiave di lettura del fenomeno che sia valida per un’analisi adeguata. Mi
pare inoltre che una visione del genere rispecchi e ricalchi anche i due elementi
chiave dell’organizzazione contemporanea:
- Non esiste più (o forse non è mai esistita) l’”organizzazione”, stiamo parlando
nella realtà di un fenomeno altamente complesso, che cambia a seconda di come
e da dove lo guardiamo: le esigenze del business di riferimento,
l’approvvigionamento delle risorse, ma soprattutto la creatività e l’intelletto
umano in fase di start up o di ristrutturazione, possono dar luogo a generi
organizzativi diversi, che si formano più rapidamente di quanto si riescano a
spiegare.
- In questo fermento di evoluzioni e brevi illuminazioni una chiave euristica va
comunque trovata, non tanto per la smania di dover in ogni caso definire
l’organizzazione, ma quanto per l’esigenza (quanto meno di questo scritto) di
comprendere cosa avviene nel manifestarsi del fenomeno e quale ruolo gioca
l’individuo portatore delle proprie specifiche caratteristiche.
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Una teoria che rapprenda e soddisfi entrambe le esigenze, operando sì un adeguato
distanziamento dal fenomeno ma spiegandone i confini di formazione senza creare
alcun nucleo teorico plumbeo e invariabile, può essere quella che fa riferimento
all’opera di Gareth Morgan, ben ripresa nel suo libro seminale Images - Le metafore
dell’organizzazione.
Per studiare l’organizzazione, Morgan non propone una definizione ed un punto di
vista, ma uno strumento, antico quanto il pensiero umano: la metafora. Leggere
l’organizzazione attraverso le lenti che l’osservatore sceglie di volta in volta, porta ad
accorgersi che l’organizzazione, anche la stessa organizzazione, può essere molte
cose. Accostandosi all’opera di Morgan si può avere quindi l’effetto straniante che
deriva dal prendere coscienza dell’impossibilità di una definizione di organizzazione
“come da manuale”, o meglio, che ogni manuale, secondo la disciplina per la quale è
stato scritto, ha la propria definizione di organizzazione. Un aziendalista dirà che
l’organizzazione è una struttura economica, un sociologo dirà che è un insieme di
agenti con uno scopo condiviso e la consapevolezza di condividerlo. Ed è qui che
abbiamo anche la chiave euristica, senza la quale ci limiteremmo a dire che
l’organizzazione è tutto e che quindi ogni definizione dell’organizzazione debba
essere accettata, il ché corrisponderebbe semplicemente ad una rinuncia a definire,
quindi a comprendere, data l’intima connessione tra linguaggio e significato.
Images, scritto da Morgan nel 1988 ed aggiornato in una nuova edizione nel 1997,
entrambe tradotte in Italia da Massimo Balducci, rappresenta una rassegna completa
ed approfondita dei vari contributi che, da più discipline, hanno offerto una chiave
d’accesso alla comprensione dell’organizzazione, nonché una vera e propria proposta
metodologica.
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L’ipotesi di partenza di Images è molto semplice:
“tutte le teorie organizzative e manageriali sono fondate su concezioni o metafore implicite
che ci conducono a percepire, comprendere e gestire le organizzazioni in modi caratteristici
e, pertanto parziali”
1
.
Lungi dal costituire un semplice marchingegno di abbellimento, la metafora, secondo
la visione di Morgan, implica un modo di pensare e di concepire che condiziona alla
base la nostra comprensione del mondo. Attraverso la metafora tentiamo di
comprendere un elemento della nostra esperienza riferendoci ai termini di un altro
elemento, in tal modo la metafora “procede attraverso affermazioni, implicite o
esplicite, relative al fatto che A è uguale a B”
2
. Sale in cattedra lo sguardo
dell’osservatore, che essendo però sguardo del singolo è pertanto parziale e fornisce
la spiegazione di una fetta piccolissima del fenomeno. Il punto di svolta è dunque la
multi-disciplinarietà dell’approccio che ha come obiettivo quello di arrivare a
spiegazioni del fenomeno quanto più plausibili ed accettabili, ma soprattutto utili.
Adottare tale metodo di studio che mette al centro lo sguardo e la visione
dell’osservatore, non imparziali, tanto più se determinati da strutture causali di natura
affettiva, ci introduce alla seconda base teorica della mia tesi: le teorie di Karl Weick
sul sensemaking. Per Weick, che si colloca nel solco della buona tradizione
fenomenologica, il senso della realtà in sé non è accessibile nella sua cristallina
integrità ma viene costruito dall’individuo nel corso dell’interazione a seconda del
materiale fornito dalla memoria e dal contesto, ma soprattutto, punto per noi cruciale,
in misura dell’investimento della persona nella costruzione e negoziazione del senso.
1
G. Morgan, Images of organization, Sage Publications Inc., Thousand Oaks, Cal., USA, 1997 (ed.
It., M. Calducci, Images Images - Le Metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, 2002) p. 22
2
Ibidem p. 22
12
Il pensiero di Weick ben si incastra nella concezione morganiana
dell’organizzazione, laddove i risultati della costruzione e della negoziazione del
senso, ed in ultima l’emergere continuo e transeunte dell’identità organizzativa, non
sono prevedibili e sono sempre modificabili in fieri. Un’analisi del pensiero di Weick
sarà effettuata in modo più approfondito nella seconda parte di questo capitolo.
Passiamo ora alla descrizione delle varie lenti metaforiche attraverso le quali si può
guardare, secondo Morgan, il fenomeno organizzativo. Tale ricognizione ci
permetterà di ripassare in modo rapido, ma sorprendentemente lineare e puntuale, la
storia della teoria organizzativa, dispiegando altresì lo stato dell’arte in materia. Ma
quello che più ci interessa e che riprenderemo ampiamente alla fine della descrizione
delle metafore Morganiane, è la relazione tra l’organizzazione e l’individuo, in
relazione particolarmente all’identità che quest’ultimo, nella comunicazione con
altri, attribuisce all’organizzazione.
13
1.1 Gareth Morgan: l’organizzazione multiforme
Prima di procedere ad una descrizione delle varie metafore dell’organizzazione
messe a punto dall’autore, è necessario mettere in guardia il lettore nei confronti di
un rischio che l’uso della metafora comporta, come ravvisato dallo stesso Morgan,
essa cioè conforma la nostra comprensione in una maniera ben precisa, ma parziale.
Se si adotta lo strumento della metafora, bisogna accettare l’idea che qualunque sia la
lente che si voglia utilizzare per osservare il fenomeno organizzativo, questa fornirà
sempre una comprensione parziale, contraddistinta da un’intrinseca incompletezza,
potenzialmente falsante e fuorviante. Ogni metafora è in sé stessa un paradosso, in
quanto, pur concedendo la possibilità di comprendere la realtà, contemporaneamente
la distorce.
Nella sua corposa trattazione Morgan propone 9 metafore:
- La metafora della macchina
- La metafora dell’organismo
- La metafora del cervello
- La metafora del sistema culturale
- La metafora del sistema politico
- La metafora della prigione psichica
- La metafora del flusso e del divenire
- La metafora dello strumento di potere
Andiamo ora ad analizzare le metafore nello specifico una per una.
Le organizzazioni come macchine. Nel corso del novecento abbiamo affinato la
capacità di usare il concetto di macchina come metafore per rappresentare noi stessi e
la nostra società, modellando il mondo in base ai principi meccanicistici. Un dato del
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genere è particolarmente evidente nel mondo delle moderne organizzazioni dove, in
seguito alla monumentale opera di Max Weber, le organizzazioni progettate e gestite
come se fossero macchine vengono generalmente definite burocrazie Al giorno
d’oggi la maggior parte delle organizzazioni sono più o meno burocratizzate, tanto
che, come scrive Morgan, “il meccanicismo culturale è venuto influenzando il nostro
modo di concepire la fenomenologia organizzativa”
3
.
Quando parliamo di organizzazione, abbiamo in mente una serie stabile di relazioni
ordinate tra componenti date in modo da costituire un insieme ben definito. Queste
relazioni meccaniche rappresentano, nelle nostre aspettative routinarie, efficienza,
affidabilità e prevedibilità, quattro elementi ben riscontrabili nelle strette dinamiche e
tempistiche della vita lavorativa.
Il problema di fondo è che, mentre in alcune circostanze specifiche (che lo stesso
Morgan non omette di descrivere con puntualità) una funzionalità di tipo
meccanicistico può essere la condizione ineludibile dell’efficienza, in tante altre può
avere più di una conseguenza negativa.
Come testimoniato dalla radice greca del termine organon, che significa
“strumento”, “mezzo”, le organizzazioni non si sviluppano mai come fini in sé, ma
sono degli strumenti creati per raggiungere obiettivi. Tale carattere di strumentalità è
presente già nelle prime organizzazioni formali di cui si ha conoscenza, ma è solo
con lo sviluppo impetuoso della rivoluzione industriale che si riscontra una tendenza
crescente alla burocratizzazione ed alla routinizzazione delle forme organizzative.
Questa tendenza progressiva è stata racchiusa in un’esauriente teoria
dell’organizzazione solo nel ventesimo secolo, quando l’opera di Max Weber ha
delineato una prima definizione completa della burocrazia intesa come forma
3
Ibidem p. 33
15
organizzativa caratterizzata da precisione, rapidità, chiarezza, regolarità, affidabilità
ed efficienza.
Un’altra serie di contributi significativi è rappresentata dalle opere di alcuni teorici
organizzativi e dirigenti aziendali del Nord America i quali posero le basi di quella
che è oggi conosciuta come la “Teoria dell’organizzazione classica” o scientific
management. Al contrario di Weber, questi autori erano convinti sostenitori della
burocrazia e dedicarono tutte le loro energie all’identificazione di principi e metodi
specifici la cui applicazione permettesse la realizzazione di questo tipo di
organizzazione. È alle idee dei rappresentanti di questo indirizzo che dobbiamo il
fatto che tanti principi organizzativi di natura meccanicistica sono diventati di uso
quotidiano.
Tuttavia è con lo scientific management, corrente metodologica più che teorica, il cui
antesignano è l’ingegnere americano Federico Taylor, che si assesta un vero e
proprio corpus teorico-prasseologico dell’organizzazione funzionante secondo
principi meccanistici quali:
- Far slittare tutta la responsabilità relativa all’organizzazione del lavoro dal
lavoratore al dirigente.
- Utilizzare metodi scientifici per individuare il modo più efficiente di svolgere la
mansione.
- Selezionare la persona più adatta per espletare la mansione così progettata.
- Addestrare l’operatore a fare il lavoro in maniera efficiente.
- Tenere sotto controllo la produttività dell’operatore per assicurarsi che siano
rispettate le procedure lavorative predeterminate e che siano ottenuti risultati
adeguati.
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Nell’applicazione di questi principi, Taylor promosse l’impiego dello studio dei
“tempi e metodi”, inteso come mezzo per analizzare e standardizzare le attività
lavorative, un approccio che prevedeva che ogni azione, anche la più semplice e
ripetitiva, venisse osservata nel dettaglio e venisse misurata con la massima
precisione allo scopo di trovare la modalità realizzativa più efficiente.
L’impatto delle idee di Taylor sui singoli luoghi lavorativi è stato epocale, così come
gli alti costi umani pagati per ottenere gli aumenti di produttività, pertanto tali teorie
si sono attratte le critiche di numerosi studiosi. Il principio di separare la
pianificazione e la progettazione del lavoro dalla sua esecuzione viene, infatti,
considerato come l’elemento più pervasivo e pericoloso della metodologia taylorista
laddove comporta una scissione del lavoratore nella sua mano e nel suo cervello
4
.
I principi dello scientific management hanno condizionato e tuttora condizionano la
nostra visione dell’organizzazione nonché il modo in cui ne valutiamo l’operare
concreto. D’altro canto, ci ricorda Morgan:
buona parte della nostra educazione e della nostra formazione risulta spesso orientata a
renderci adattabili e a farci sentire a nostro agio nel posto assegnatoci, di modo che
l’organizzazione possa funzionare in maniera razionale ed efficiente
5
.
Basta, però analizzare con attenzione quanto oggi avviene nell’area della teoria e
della prassi organizzative per rendersi conto di quanto fossero inesatte le aspettative
che i primi rappresentanti dello scientific management nutrivano nei confronti di
questa metodologia, laddove credevano di avere a disposizione la soluzione
definitiva ai problemi manageriali. Tali principi sono, infatti, alla base di gran parte
4
Significativa a riguardo è una frase che Taylor ripeteva ai suoi lavoratori nella catena di montaggio:
“Voi non dovete pensare, nell’azienda ci sono altre persone pagate per farlo”
5
G. Morgan, op. cit., p. 49
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delle difficoltà delle organizzazioni moderne, e ciò dipende proprio dalla parzialità di
visione della metafora meccanicistica. L’immagine meccanicistica tende, infatti, a
sottovalutare gli aspetti umani dell’organizzazione e la complessità dei compiti che le
organizzazioni sono chiamate a svolgere, mentre, come vedremo più avanti, è
proprio la naturale fragilità e imprevedibilità dei progetti “pensati dalla mente”, che
contribuisce fortemente a creare i nuclei di significato che circolano
nell’organizzazione e ne determinano attività e performance.
Secondo Morgan le potenzialità ed i limiti della metafora meccanicistica
dell’organizzazione sono speculari ai limiti ed alle potenzialità che l’organizzazione
meccanicistica trova nella realtà concreta. In particolare gli approcci organizzativi di
tipo meccanicistico funzionano solo alla presenza di alcune condizioni:
- Quando si è in presenza di un compito molto chiaro;
- Quando l’ambiente è sufficientemente stabile da garantire che i risultati prodotti
siano appropriati;
- Quando si vuole produrre esattamente lo stesso prodotto più volte;
- Quando la precisione gioca un ruolo fondamentale;
- Quando le “componenti umane” della macchina sono docili e rispettano i compiti
loro assegnati.
Dall’altro lato Morgan elenca i limiti insiti nella concezione meccanicistica
dell’organizzazione, i quali stanno proprio nella difficoltà che le organizzazioni
meccanicistiche incontrano nell’affrontare ambienti mutevoli. Una burocrazia
reagisce in modo bloccato agli imprevisti ed ai mutamenti disperdendo il senso della
realtà ed arroccandosi sulle proprie norme.
Quando sussiste una forte meccanizzazione le possibili condizioni ambientali sono
presunte come se fossero già tutte note, così come i comportamenti da mettere in
pratica nel caso si verifichino. Di conseguenza l’individuo è sollevato dal tentativo di
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dare un senso a quanto accade, in quanto questo senso è già scritto nei manuali e nei
mansionari, salvo poi scontrarsi con la complessità imprevedibile della realtà.
In generale la difficoltà maggiore che incontrano le organizzazioni concepite come
macchine sta proprio nell’adattarsi ai mutamenti che avvengono nell’ambiente
esterno, data la loro scarsa flessibilità e capacità di mettere in opera processi creativi.
D’altronde le macchine sono generalmente delle entità monofunzionali progettate per
realizzare obiettivi determinati, con risorse determinate, il loro utilizzo in attività
diverse presuppone la procedura della modifica e della riprogettazione per i nuovi
scopi. Detto ciò è facile capire come, in un ambiente mutevole, che richiede sempre
azioni e reazioni di tipo diverso, le organizzazioni meccanicistiche, soprattutto di
grandi dimensioni, incorrano in evidenti difficoltà. Esse cadono facilmente nella
trappola del processo di segmentazione, laddove la dipartimentalizzazione attivata
dalle articolazioni meccanicistiche tra i diversi livelli gerarchici, le diverse funzioni, i
diversi ruoli e tra le diverse persone tende a creare delle barriere e dei blocchi
insuperabili nel grembo stesso della struttura.
In ultima, l’organizzazione meccanicistica, basandosi sull’assunto che il controllo
debba essere esercitato dall’esterno sulle varie parti dell’organizzazione piuttosto che
essere insito nelle parti stesse, spinge verso una passività ed una dipendenza del
lavoratore che possono perfino portare a giustificare errori deliberati sulla base del
fatto che si sta obbedendo a degli ordini. Buona parte dell’apatia, della trascuratezza
e dell’assenza di amor proprio che molto spesso si incontrano oggigiorno sul posto di
lavoro non sono casuali: tutto ciò è favorito dall’approccio meccanicistico, il quale
scoraggia le iniziative e incoraggia a obbedire agli ordini e a rimanere al proprio
posto piuttosto che a identificarsi e a tentare di migliorare ciò che si sta facendo.
Tutto ciò non deve farci dimenticare che il problema che più è stato discusso
riguardo alla visione meccanicistica dell’organizzazione è quello relativo alle
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conseguenze umane dell’adozione di simili modelli. L’approccio meccanicistico
tende a limitare, piuttosto che a favorire, lo sviluppo delle capacità umane,
modellando gli esseri umani in modo da renderli adatti ai requisiti propri
dell’organizzazione piuttosto che a costruire l’organizzazione attorno alle
potenzialità degli individui.
Le organizzazioni come organismi. La seconda metafora che ci propone Morgan è
quella che vede le organizzazioni come organismi, “sistemi viventi” collocati in un
più vasto ambiente dal quale dipendono per tutta una serie di bisogni.
L’avvicinamento degli studiosi alle concezioni biologiche, come fonte di ispirazione
per gli studi organizzativi, deriva proprio dalle difficoltà insite nell’approccio
meccanicistico sopra descritte.
La metafora organicistica ha permesso agli studiosi di identificare e mettere a fuoco
diversi nodi concettuali della problematica organizzativa:
- La concezione delle organizzazioni come “sistemi aperti” e la comprensione dei
processi di adeguamento dell’organizzazione all’ambiente.
- La concezione delle organizzazioni in termini di cicli vitali.
- La scoperta della rilevanza di fattori cruciali per il benessere e lo sviluppo delle
organizzazioni.
- L’individuazione dell’esistenza di diversi tipi di organizzazioni nonché le
relazioni esistenti tra i vari tipi di organizzazione ed i loro rispettivi ambienti.
Concepire le organizzazioni come organismi ha inoltre portato a concentrare
l’attenzione su problematiche di enorme rilevanza quali la sopravvivenza
dell’organizzazione, i rapporti organizzazione-ambiente e l’efficacia organizzativa,
mettendo in secondo piano temi prima più sentiti come gli obiettivi, le strutture e
l’efficienza.