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CAPITOLO 1: Introduzione
1.1 Caratteristiche chimico-fisiche dei PFC.
I composti organici perfluorati (PFC) sono molecole con catena carboniosa completamente
fluorurata, in cui tutti gli atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di fluoro [1; 2; 3; 4]. Sono
prodotti sinteticamente dalla fluorizzazione elettrochimica, oppure dalla successiva degradazione o
dal metabolismo di altri prodotti chimici fluoroderivati. La catena carboniosa può essere di
differente lunghezza (C4; C8; C9; C12, etc.) lineare o ramificata. Il fluoro è l'elemento più
elettronegativo e ciò spiega il suo elevato potenziale di ionizzazione e la sua bassa polarità che sono
responsabili del cosiddetto "effetto fluoro" [5], ossia dell’insieme di proprietà chimiche, fisiche e
biologiche che caratterizzano i PFC rispetto ai loro analoghi idrogenati. I forti effetti elettronici,
induttivo negativo e di risonanza positivo, determinano il fatto che il legame carbonio-fluoro sia il
più forte tra i legami covalenti con un'energia di dissociazione di ~ 480 kJ mol
-1
. Comprendono un
ampio e complesso gruppo di sostanze come gli acidi carbossilici, i sulfonati, i sulfonamidi ed altri.
La presenza di numerosi atomi di fluoro conferiscono ai PFC alcune particolari proprietà fisico-
chimiche:
- il legame carbonio-fluoro con la sua alta energia di legame rende questi composti stabili e
inerti sia chimicamente che termicamente;
- il loro basso punto di ebollizione e di debole tensione superficiale, uniti ai coefficienti di
frizione particolarmente bassi, ad elevate viscosità ed a stabilità ai processi ossidativi [6; 7],
fanno sì che i PFC siano sostanze chimiche molto resistenti al calore e difficilmente solubili
nell’acqua e nel grasso;
- la loro scarsa affinità nei confronti di altri composti organici ed inorganici, polari ed apolari
[8];
- sono resistenti ai raggi UV, all’idrolisi, all’attacco di acidi o basi e di qualsiasi agente
ossidante o riducente [9; 10];
L'effetto sinergico di queste proprietà ha consentito di esercitare un più elevato grado di
controllo sulle lavorazioni su scala nanometrica e sui processi di compartimentazione, auto-
organizzazione e auto-assemblaggio dei sistemi perfluorati [11], in cui catene più ricche di atomi di
fluoro rendono maggiormente inattaccabili i composti ottenuti. I residui usati nelle formulazioni
perfluorate commerciali a volte sono identificati dal numero di atomi di carbonio che contengono e,
in generale, più è lunga la catena di atomi di carbonio più gli acidi perfluoroalchilici (PFAA) sono
persistenti nell’organismo [12; 13; 14]. Per esempio, il perfluorosulfonato di butano (PFBS), che ha
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4 carbonio, è eliminato in media in poco più di un mese negli esseri umani. I due composti più noti
e più studiati in letteratura, il perfluorottano solfato (PFOS; C
8
F
17
SO
3
) e l’acido perfluorottanico
(PFOA), conosciuto anche come ―C
8
‖ per i suoi otto atomi di carbonio [15] (Figura 1), sono
eliminati in un periodo che va da 3.8 a 5.4 anni. Fa eccezione il perfluorosulfonato di esano
(PFHxS), con 6 carbonio, è eliminato in circa 8.5 anni [16; 17]. Studi più recenti (2006) hanno
evidenziato che il PFOS ha un’emivita di circa 9 anni [18].
Figura 1: Struttura del PFOS (a) e del PFOA (b)
I PFC sono i solidi a più bassa tensione superficiale conosciuti e questa proprietà, assieme alla
stabilità chimica e termica, li rende particolarmente utili in campi strategici di applicazione
industriale, garantendo alle ditte produttrici una vasta gamma di articoli e preparati ad alto profitto
economico.
Considerando la numerosa varietà di derivati, il termine PFC è stato collettivamente sostituito da
sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), che sta ad indicare quel gruppo di composti fluorurati ed
importanti sottogruppi quali surfattanti organici (per)fluorurati e i polimeri organici fluorurati, fra i
quali il PFOS ed il PFOA [19].
Le peculiari proprietà dei composti perfluorati hanno favorito l’impiego in un grande varietà di
prodotti di uso quotidiano. Il motivo dell’ampio utilizzo dei composti perfluorati risiede nel fatto
che sono resistenti all’idrolisi, alla fotolisi, alla biodegradazione e non vengono metabolizzati dagli
organismi viventi; i polimeri possono degradarsi dando luogo a PFC di peso molecolare inferiore,
come ad esempio il PFOS. Tale composto non viene degradato chimicamente e gli organismi non
riescono a metabolizzarlo; può essere degradato mediante incenerimento ad alte temperature [20].
La presenza in un polimero di gruppi funzionali fluorurati può conferire ulteriori ed utili
proprietà come la resistenza alla corrosione e ai solventi organici, resistenza alla combustione,
idrorepellenza, biocompatibilità e basso coefficiente di frizione nel caso di superfici rivestite con
film sottili e ultra-sottili [21]. La rigidità molecolare in combinazione con le forti repulsioni
elettrostatiche molecolari dei PFC fanno si che la fase liquida presenti cavità che possono trattenere
elevate quantità di gas disciolti nel fluido perfluorato [22]. Tale caratteristica trova rilevanti
applicazioni nel campo dei fluidi per l'ossigenazione tissutale [23] (in cui l'elevata solubilità dei gas
a) b)
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respiratori è di cruciale importanza) e degli agenti di contrasto per la risonanza magnetica nucleare
[24]. Tali peculiari proprietà rendono i PFC materiali particolarmente impiegati per applicazioni
superficiali, quali il rivestimento di superfici micro- e nano-strutturate con strati sottili ed omogenei,
le proprietà molecolari dei PFC si traducono in proprietà di superficie del materiale rivestito: bassa
tensione superficiale, inerzia all'attacco chimico e biologico, idro- ed oleo-repellenza [25]. Inoltre,
la scarsa affinità che i PFC presentano per ogni altro composto riduce i fenomeni di capillarità che
generalmente influiscono negativamente sulle proprietà di scorrimento superficiale.
Sono usati come emulsionanti e surfattanti in prodotti per la pulizia di tappeti, pelle, tappezzeria,
come componenti inerti nei pesticidi, nei contenitori per cibo come ad esempio quelli dei ―fast
food‖ o delle pizze da asporto, come antiaderenti in padelle (ad esempio il Teflon contiene, insieme
al PTFE (Nota 1) [26], il PFOA), nella produzione di altre superfici antiaderenti, traspiranti ed
idrorepellenti. Ad esempio, una lamina di Gore-Tex è composta da politetrafluoroetilene PTFE
espanso termo-meccanicamente che contiene circa 1,4 miliardi di microscopici pori per centimetro
quadrato. I tessuti Gore-Tex (Figura 2) vengono creati da membrane a doppio componente
termosaldate e la parte in PTFE espanso è formata da pori che sono circa 20.000 volte più piccoli di
una goccia d'acqua, ma 700 volte più grandi di una molecola di vapore acqueo: l'acqua in forma
liquida non può penetrare all'interno della membrana ma il sudore, ossia vapore acqueo, può
facilmente evaporare rendendo il tessuto impermeabile al 100%, ma traspirante [27].
Le proprietà di superficie pressoché uniche dei PFC, sopra riassunte, hanno determinato un
intenso sviluppo dell'utilizzo di film fluorurati sottili allo scopo di controllare le proprietà di
superficie in materiali innovativi ad elevate prestazioni. Grazie alle caratteristiche descritte, i
composti perfluorati sono stati riconosciuti elementi chiave nell'ambito delle scienze dei materiali
tecnologicamente avanzati. Alcune rilevanti recenti applicazioni comprendono i rivestimenti a bassa
energia superficiale [28], la sensoristica [29], le applicazioni biomediche [23], le tinture [30], i
lubrificanti [31], le membrane [32], i polimeri [33] e altri materiali. Altre applicazioni comprendono
pellicole fotografiche, shampoo e dentifrici, chiusure lampo, schiume antincendio; come ritardanti
di fiamma e ignifughi sono addizionati a moquette, stoffe per sedie o divani, pavimenti acrilici ed a
qualsiasi superficie che sia usata come rivestimento di locali pubblici [26; 34; 35].
Figura 2: Ingrandimento del Goretex.
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Il trasferimento in ambito tecnologico delle proprietà chimico-fisiche dei PFC ha consentito la
fabbricazione di prodotti che hanno rivoluzionato il campo dei materiali avanzati [36], ad esempio
nel campo dei cristalli liquidi [37; 38], nell'elettronica molecolare [39], tensioattivi [40] ed altri. Dal
punto di vista economico, inoltre, i PFC hanno altissimi margini di ricavo con un mercato globale
che cresce al tasso del 9% annuo, fattore che ha catturato l’attenzione delle industrie produttrici e
dei ricercatori verso lo studio delle possibilità di ulteriori modifiche della chimica dei PFC e
derivati e delle applicazioni tecnologiche successive. Gli aspetti chiave della chimica dei PFC sono,
però, ancora irrisolti e tutto ciò rallenta l’ulteriore sviluppo nell'utilizzo dei PFC in maniera
indiscriminata come negli anni passati. Ricerche sono state fatte nel passato ed ancor più nel
presente sugli effetti nocivi che questi composti provocano sulla salute umana, animale e
sull’ambiente.
La riduzione della tensione superficiale dovuta all’uso di PFC dipende sia dalla percentuale di
superficie ricoperta dai segmenti fluorurati, che dalla morfologia caratterizzante la superficie,
ovvero dal grado di ordine dello strato superficiale [41]. Una superficie costituita da gruppi CF
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(i.e. PTFE [26]) ha una più alta energia superficiale rispetto a quella costituita di solo gruppi
trifluorometilici. Di recente i ricercatori hanno rivolto la loro attenzione verso il tipo di superficie
caratterizzata da gruppi trifluorometilici particolarmente coesi, classificata come una superficie ad
energia superficiale estremamente bassa [42], ma con un profilo rugoso sulla superficie solida, in
quanto le sperimentazioni hanno suggerito che questo possa essere l’optimum al fine di ottenere
superfici superidrofobiche che imitano l'effetto della superficie del loto [43]. Le foglie del loto,
infatti, nonostante il loro habitat acquitrinoso, sono sempre asciutte: l'acqua non viene trattenuta ma
scivola via in tante goccioline che si formano a causa dell'alta tensione superficiale presente sulla
foglia, portando via con sé la fanghiglia e i piccoli insetti che lì trovano rifugio e questo è possibile
perché le foglie del loto sono rivestite da cristalli di una cera idrofobica di dimensioni
nanometriche. In questa scala, le superfici ruvide risultano più idrofobiche di quelle lisce, perché
l'area di contatto reale tra la goccia d'acqua e la superficie d'appoggio è del 3% maggiore o minore
di quella apparente, per cui il peso della goccia la fa scivolare via. La ruvidità della foglia è
utilissima anche per l'effetto autopulente, perché le gocce rotolano, mentre su una superficie liscia
le gocce slitterebbero, rendendo meno efficace l'asporto dello sporco (Figura 3). E’ questo
cosiddetto ―effetto loto‖ che attraverso la nanotecnologia si sta cercando di riprodurre nelle vernici,
nei tessuti e nelle altre superfici utilizzando i PFC. Essi si sono dimostrati estremamente adatti per
la loro grande varietà di composti [44; 45; 46; 47; 48].