6
ricorrendo alla metafora della guerra. Di seguito si illustra il lungo processo, articolato in fasi, da
cui il mobbing prende vita. Da qui si passa ai diversi tipi di attacchi, ripetuti, da parte dei colleghi
(superiori, parigrado, sottoposti) o dei datori di lavoro. Vengono indicate le molteplici forme che
può assumere; le conseguenze che determina: problemi psico-fisici nella vittima, calo di
produttività e maggiori costi per l’azienda.
Nel terzo capitolo, si raffronta la tematica, inquietante e pericolosa, con la cultura. Cultura che
viene distinta in cultura sociale e cultura dell’organizzazione. Si cerca di provare come la
persecuzione psicologica, alterando le due accezioni culturali, ha modificato, contaminato il “valore
lavoro”. Infine, in virtù delle degenerazioni che il lavoro ha subito, si offre lo spunto per una tutela
in sede penale, civile, assistenziale e previdenziale. E’ doveroso puntualizzare che al momento la
materia non è ancora disciplinata da una normativa di legge, specifica, per cui ci si avvale di mezzi
e procedure già consolidate nel nostro ordinamento. Tuttavia, negli ultimi anni, l'evoluzione della
dottrina giuridica e della giurisprudenza, in tema di valutazione del danno alla persona, con il
decisivo apporto della medicina legale, ha reso necessario il rinnovamento dei mezzi e delle
procedure di stima di esso. Parametro basilare e prioritario è oggi considerato il danno biologico e
cioè la lesione dell'integrità psico-fisica che determini una menomazione medicalmente rilevabile
del preesistente modo di essere della persona. Al riguardo si segnala che è l'INAIL ha accelerato i
tempi per la definizione della nuova normativa relativa al "danno biologico", in riferimento al
recente D.L. n. 38 del 23.2.2000. L’Istituto è soggetto a continue sollecitazioni per un esame del
mobbing, per un rinnovamento dei mezzi e delle procedure di stima di esso.
Da qui è nata la curiosità, oggetto del quarto capitolo, di scoprire il modo attraverso cui, allo stato
attuale, l’INAIL sta raffrontando il problema mobbing. Dalla ricerca svolta emerge che essa non fa
specifico riferimento ad esso ma utilizza il termine di costrittività organizzativa, considerando,
eventualmente, non il primo ma la seconda una malattia professionale, non tabellata. Questa
scoperta ha suscitato il desiderio di conoscere il perché di questa posizione, che sembra essere
fortemente distante dalla realtà “comunicata”, e di come L’Istituto opera nel caso in cui un
7
lavoratore, che presume di essere mobbizzato, si rivolge ad esso per avere tutela ed assistenza. Una
volta ottenuti dall’INAIL i dati in questione, al fine di sviluppare riflessioni ci siamo avvalsi
dell’apporto della consulenza di alcuni esperti: un Direttore del Personale, per analizzare la
fenomenologia dal lato dell’organizzazione, e di una Psichiatra, per cercare di capire la posizione
della persona.
Questa tesi è nata con la voglia di sviluppare utili riflessioni comuni sul mobbing. So bene che si
tratta di un evidentemente lavoro di sintesi storicizzato e stratificato nel tempo, in continua
evoluzione e condotto per lo più a livello internazionale, ma spero di cuore, nel mio piccolo, di
riuscire a trasmettervi qualcosa.
8
Capitolo 1
Il fenomeno mobbing alla luce dell’evoluzione della teoria e della
progettazione organizzativa
L’attuale sistema produttivo, sommato al modello culturale dominante, rappresenta un terreno
ideale in cui le violenze psicologiche, in ambito lavorativo, tendono a svilupparsi.
Negli ultimi venti-trenta anni il mondo della produzione ha subito profondi cambiamenti. Si guarda
in modo diverso al capitale; si cercano maggiori profitti; è radicalmente mutato il modo di produrre;
è cambiata l’idea stessa di lavoro; si è modificata l’organizzazione del lavoro.
Tutte queste trasformazioni, interne al mondo della produzione, si combinano con quelle della
società, dove si è imposto un sistema di valori centrato sull’apparenza, sull’individualismo e sulla
competizione. Elementi questi che si trovano quasi sempre tra i fattori scatenanti le azioni di
mobbing.
Ora, però, prima di guardare da vicino a questo fenomeno emergente, riteniamo interessante
tracciare un breve itinerario di alcune teorie organizzative ed utilizzarle come spunto di riflessione
di quello che è l’oggetto del nostro studio.
1.1. Le teorie organizzative classiche
1.1.1. La teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro: Taylor
Il primo contributo teorico classico, a cui fare riferimento, è “l’organizzazione scientifica del
lavoro”, termine indicante quel movimento di idee e di applicazione che trova il suo padre fondatore
in Frederick Winslow Taylor
1
e che ha segnato profondamente la teoria e la prassi organizzativa.
Nella sua essenza, l’organizzazione scientifica del lavoro nasce da una combinazione di elementi
che già esistono nel passato i quali, come lo stesso Taylor afferma, richiedono una completa
rivoluzione mentale da parte di dipendenti e di dirigenti verso il loro lavoro, fra colleghi nei
1
G. COSTA, R.C. NACAMULLI “ Manuale d’Organizzazione Aziendale” vol. 1- Le teorie organizzative, 1997,
UTET, Torino.
9
rapporti reciproci. Occorre puntare ad un uso sistematico della scienza per affrontare tutti i
problemi, sostituendo al controllo dell’uomo il controllo dei fatti ed eliminando alla radice i motivi
di contrasto e di conflitto.
Le componenti di questa rivoluzione mentale sono:
- cessare di preoccuparsi della divisione del surplus e concentrarsi invece sul suo aumento, e quindi
sull’attività produttiva da cui esso deriva, “finché esso diventa così grande che non sarà più
necessario litigare sul come debba essere diviso”
2
, scoprendo e realizzando la coincidenza di
interessi fra direzione e lavoratori;
- sostituire i tempi e i metodi di lavoro, le opinioni, le conoscenze individuali con la conoscenza
scientifica.
Presupposto e conseguenza di questa rivoluzione mentale è l’eliminazione di tutte le cause che
impediscono una elevata produttività del lavoro e delle macchine.
Perché si possa avere questa trasformazione dell’organizzazione in scienza, è doveroso che vengano
rispettati alcuni principi, i quali descrivono le nuove responsabilità della direzione e che quindi non
vanno confusi con i meccanismi rappresentanti invece la dimensione più tecnica o operativa
dell’organizzazione scientifica del lavoro.
Secondo Taylor,in primo luogo, è doveroso effettuare uno studio scientifico del lavoro così da
individuare: metodi di lavoro, tipo di attrezzature impiegate e modalità di utilizzo. In questo modo il
lavoro viene studiato nelle sue operazioni e scomposto nei suoi movimenti elementari. Si calcola il
tempo necessario per lo svolgimento di ciascuno movimento elementare; si sceglie il procedimento
più rapido per compiere ogni singola operazione, così da eliminare i movimenti errati, lenti o inutili.
Si individuano le attrezzature idonee per ciascuna operazione.
Inoltre la scienza può servire per individuare “le cause che esercitano influenza sugli individui” e
trasformarle in legge.
2
F. W. Taylor “ Priciples of Scientific Management”, 1911 pag. 256-257.
10
La direzione, continua Taylor, ha il compito di selezionare i lavoratori in base ad un esperimento,
che consiste nello studio del carattere, della natura e del rendimento di ogni lavoratore per rendersi
conto dei suoi limiti ma soprattutto delle sue possibilità di sviluppo. Questa pratica è, quindi, utile
per stabilire il tipo di lavoro da assegnare ad ogni singolo individuo. Successivamente, si deve
“allenare, aiutare e istruire sistematicamente il lavoratore, dandogli quelle occasioni di
miglioramento che lo renderanno capace di compiere un tipo di lavoro più avanzato, più
interessante e più redditizio, per cui le sue doti naturali lo rendono adatto”.
Infine Tayor ritiene che vi sia una divisione del lavoro fra direzione e lavoratori. Questa divisione è
da vedere sotto due diversi punti di vista:
1. divisione del lavoro, come scomposizione a fini di studio di un processo lavorativo nei suoi
elementi costitutivi;
2. divisione del lavoro come assegnazione dei vari elementi a lavoratori differenti.
Per il teorico riveste un ruolo di grande importanza la prima accezione, perfettamente in sintonia
con la sua idea di rivoluzione mentale. Da essa scaturisce la separazione fra progettazione e
controllo attribuiti alla direzione, da un lato, ed esecuzione, attribuita ai lavoratori, dall’altro. Il tutto
fondato su un’intima e cordiale collaborazione. Taylor ci tiene a sottolineare l’importanza di questa
collaborazione fra direzione e lavoratori, e nel farlo finisce con il ridurre l’importanza della scienza
come base su cui fondare il consenso, arrivando quasi ad invertire la proposizione: non è la scienza
che crea il consenso, ma è il consenso che definisce la scienza. Egli arriva ad affermare ciò in
quanto riconosce che le ristende maggiori alla collaborazione provengono soprattutto dalla
direzione. E per saldare il piano delle idee con quello delle applicazioni, elabora delle garanzie a
tutela della parte più debole (il lavoratore) da applicare quando la parte più forte (la direzione) non
aderisce alla rivoluzione mentale.
Se si guarda attentamente al mondo produttivo odierno, tutto questo ci appare superato. La
separazione fra direzione e manodopera non esiste più, così come la parcellizzazione del lavoro in
base alle capacità del singolo. Il tutto grazie al diffondersi di processi più flessibili capaci di
11
adattarsi ai cambiamenti improvvisi dell’ambiente esterno. A questo si aggiunge una forte
personalizzazione dei processi produttivi, per fornire prodotti personalizzati, sulla base delle nuove
esigenze dei consumatori. Ancora è aumentata la produzioni di servizi rispetto a quella delle merci e
si e avuta una costante crescita del lavoro intellettuale.
Tutto ciò ha inciso sui tempi e sui rapporti di lavoro. Il lavoro tende sempre più spesso ad invadere
la sfera privata del lavoratore, sia per ragioni emotive sia per lo sviluppo della tecnologia (si pensi
al telelavoro che consente di lavorare in casa). Le competenze richieste non sono più tecniche-
organizzative. Nella valutazione della professionalità determinante è l’adattamento agli obiettivi
aziendali. Inoltre tendono a scomparire chiarezza e stabilità di struttura entro cui ricoprire la propria
mansione. Per i profili medio-bassi scaturiscono pesanti condizionamenti psicologici; per i profili
più alti perdita di status.
Ulteriore condizione è l’esposizione a criteri arbitrari di valutazione della propria produttività;
criteri che sono poi all’origine di demansionamento, di emarginazione o di violenza psicologica.
Non vi sembra che tutto questo sia un principio di mobbing?
C’è ancora da cogliere un altro aspetto del pensiero tayloriano: il ruolo del sindacato. Taylor ritiene
che esso abbia grandi meriti storici. Infatti, con il suo operato, ha consentito un miglioramento delle
condizioni di lavoro ma anche una grave responsabilità: è necessario quando non viene applicata
l’organizzazione scientifica del lavoro, ma diventa superfluo con la sua adozione.
Purtroppo non cela sentiamo di condividere pienamente questa idea. I sindacati, dalla loro nascita,
si sono impegnati nella difesa della dignità della persona prima e del lavoratore dopo. Da sempre
cercano di garantire delle tutele rispetto a dei capi e a delle organizzazioni non sempre perfetti. E
proprio questa loro tenacia ha fatto si che si raggiungessero molti successi ed oggi li colloca in una
posizione fondamentale per l’elaborazione di strategie di difesa contro il fenomeno delle violenze
psicologiche in ambito lavorativo.
del quale tutti gli operai di un gruppo sperimentale accettarono di lavorare con i nuovi metodi.
12
1.1.2. La teoria della direzione amministrativa: Fayol
Con questo termine viene individuata una seconda importante componente della teoria classica
dell’organizzazione che trova nello studio delle funzioni manageriali e nella elaborazione di principi
per il loro svolgimento i suoi contenuti essenziali. Sul piano degli autori, il riferimento va innanzi
tutto a Fayol, individuato come l’iniziatore di questa teoria, il quale cerca di individuare quelle che
sono le funzioni della direzione amministrativa nonché i principi su cui queste si fondano
3
.
Il primo passo del suo raggiramento è la distinzione fra gestione e direzione. Gestire significa
conseguire l’efficacia (il raggiungimento dei fini) e l’efficienza (l’impiego delle risorse)
occupandosi non solo delle funzione tecniche, commerciali, finanziarie, di sicurezza e di contabilità,
ma anche della funzione direzionale.
Questa funzione è chiaramente distinguibile dalle altre funzioni e i suoi elementi costitutivi
consistono in: prevedere, organizzare, comandare, coordinare, controllare. La funzione direzionale
presenta due caratteristiche essenziali:
è universale, nel senso che nella gestione di tutti i tipi di azienda è indispensabile prevedere,
organizzare, comandare, coordinare e controllare; di conseguenza, anche la teoria direzionale o
organizzativa è unica;
è diffusa, nel senso che non può essere attribuzione esclusiva del solo vertice, ma che interessa
invece, sia pure in misura diversa, tutti i dipendenti.
Chi esercita la funzionale deve possedere una specifica capacità intesa come combinazione
particolare di qualità e di conoscenze, il cui contenuto si modifica in relazione ad alcune
circostanze, in particolare il livello e la dimensione dell’impresa.
Il pensiero di Fayol sembra perfetto: chi dirige deve possedere qualità e conoscenze. Ma cosa
succede se un dirigente utilizza in modo scorretto queste sue caratteristiche? Cosa succede se la
3
G. COSTA, R.C. NACAMULLI “ Manuale d’Organizzazione Aziendale” vol. 1- Le teorie organizzative, 1997,
UTET, Torino.
13
gestione e quindi il prevedere, l’organizzare, il comandare, il coordinare e il controllare non
vengono svolte per il conseguimento di fini aziendali positivi ma si rivelano essere degli abusi di
potere? Si creano sicuramente ritorsioni, discriminazioni. Chi esercita la funzione direzionale non fa
altro che mettere in atto piccole e grandi vessazioni con lo scopo di eliminare una persona ritenuta
scomoda, realizzando un clima padronale, imperniato sulla sottomissione del dipendente. Si viene a
delineare un mobbing di tipo verticale, dall’alto verso il basso.
1.2. La teoria dell’azione organizzativa
1.2.1. La teoria burocratica: Weber
Sebbene trattasi di una componente della teoria classica, preferiamo isolarla per coglierne
l’incisività in materia di potere-autorità. Questa teoria ha come riferimento centrale Weber e il
modello burocratico, da lui elaborato
4
.
Uno degli aspetti più importanti di questo ulteriore contributo e la distinzione fra potere e autorità,
un tema molto importante per quanto riguarda le forme di influenza o di determinazione del
comportamento di altri.
Secondo Weber, il potere è “qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di
fronte a un’opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità”, mentre
l’autorità consiste nella “possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un
determinato gruppo di uomini”. Pertanto, ciò che differenzia il potere dall’autorità è la
legittimazione, e quindi il riconoscimento del diritto di comandare e del dovere di obbedire.
Trasliamo questi concetti all’oggetto del nostro studio. Chi pratica mobbing non esercita forse un
potere? O forse un’autorità? Sicuramente il mobber esercita un potere quando attua la propria
pratica vessatoria a prescindere se con il proprio comportamento susciterà accettazione negli altri
colleghi ed, eventualmente, comportamenti imitativi da parte di questi. Nel caso in cui non solo
pratica questa forma di violenza ma la impone ad altri, allora esercita autorità. In particolare obbliga
4
G. BONAZZI “ Storia del pensiero organizzativo”, 1995, Franco Angelici, Milano.
14
altri colleghi ad essere dei side-mobber, cioè degli aiutanti nel distruggere la vittima. Occorre far
notare che, in alcuni casi, questi soggetti non hanno la forza di opporsi a questa autorità negativa:
temono di divenire a loro volta vittima.
Occorre inoltre precisare che per esercitare questo potere o questa autorità non è necessario
occupare una posizione di vertice. Ciò che fa la differenza è la legittimazione, che caratterizza
l’autorità.
La legittimazione si fonda su basi diverse e quindi si hanno tipi diversi di autorità, individuati da
Weber: l’autorità carismatica, l’autorità tradizionale e l’autorità legale
5
.
Chi pratica mobbing, esercita, con molta probabilità un’autorità carismatica.
Secondo il nostro autore dei tre tipi di autorità la più importante è quella legale, il cui esercizio su
una molteplicità di persone richiede un’organizzazione o meglio amministrativo che prende il nome
di burocrazia. Afferma Weber:“il tipo più puro di autorità legale è quello che si avvale di un
apparato amministrativo burocratico”.
La burocrazia deve presentare le seguenti caratteristiche:
- divisione del lavoro disciplinata mediante regole e ricorso a persone dotate della qualificazione
richiesta;
- gerarchia degli uffici, cioè la creazione di un sistema rigidamente regolato di sovra e di
subordinazione, che definisce gli ambiti di controllo e di dipendenza come pure il percorso che
debbono seguire le comunicazioni;
- sistema di regole generali che, applicate alle situazioni specifiche, governano le decisioni e le
azioni, garantendo quindi uniformità, continuità, stabilità nelle attività;
- impersonalità nelle relazioni esterne ed interne, che evita l’interferenza dei sentimenti nello
svolgimento razionale dei doveri d’ufficio;
5
L’autorità carismatica si caratterizza per carattere sacro o per forza eroica o per valore esemplare di una persona.
L’autorità tradizionale si fonda sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide da sempre, e nella
legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire un’autorità. L’autorità legale poggia credenza nella legalità degli
ordinamenti statuiti e del diritto di comandare di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base ad essi.
15
- lavoro inteso come professione e carriera, basato rispettivamente sul possesso della qualificazione
richiesta e sulle prestazioni o sull’anzianità.
Queste caratteristiche spiegano la superiorità della burocrazia rispetto agli altri tipi di apparati
amministrativi. In effetti, contrariamente agli altri modelli, la burocrazia rappresenta il modo più
razionale di esercizio dell’autorità, dove per razionalità si intende l’ adattamento dei mezzi ai fini e,
quindi, efficienza.
Anche in questo caso non c’è nulla da obiettare: il modello di Weber è perfetto. Ma una riflessione
è doverosa. Oggi giorno burocrazia e pubblica amministrazione sono sinonimi: per i cittadini non
sussiste alcuna differenza. Per questa ragione la seconda si dovrebbe ispirare, interamente, a quanto
sopra detto per poter funzionare correttamente e soddisfare le esigenze, i bisogni dei cittadini-utenti.
In realtà tutto ciò sembra essere un’utopia per tutta una serie di disfunzioni interne all’ apparato
amministrativo a cui, da qualche tempo, si è aggiunto il mobbing. La principale causa di crescita del
fenomeno
6
consiste nella poco meditata introduzione di logiche privatistiche nell’organizzazione e
nell’operato dell’Amministrazione così come disposta dal decreto legislativo n. 29/1993 e dalle
successive modifiche fino all’attuale decreto legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165. A titolo di
esempio si ricordano, nel settore sanitario, le conflittualità tra personale medico e paramedico e tra
struttura apicale sanitaria e dirigenza generale ed in quello delle autonomie locali, le vessazioni nei
confronti dei segretari comunali, situazioni entrambe favorite da norme che conferiscono poteri
discrezionali contraddistinti dalla più ampia discrezionalità quali l’articolo 19 decreto legislativo n.
165/2001 in materia di incarico di una funzione dirigenziale a persona esterna all’Amministrazione
da parte dell’organo politico e l’articolo 26 decreto legislativo n. 165/2001 in tema di nomina di
primari di reparto effettuate dai Dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale.
6
Da: “Filodiritto Emergenza mobbing- Le coordinate del problema-”, a cura di A. Gasparri.
16
1.2.2. La teoria dell’autorità
Il pensiero di Weber, relativamente alla distinzione fra potere ed autorità, ci introduce un altro
importante teorico: Chester Barnard che con il suo pensiero rappresenta un’altra importante tappa
nell’elaborazione del pensiero manageriale, fondato su una concezione cooperativa del sistema
organizzativo, regolato da principi morali
7
.
La rottura con l’individualismo utilitaristico è implicita nell’inizio dell’argomentazione dell’autore.
L’uomo è un essere caratterizzato dal fatto di porsi degli scopi per trasformare l’ambiente in cui
vive; ma al contempo sperimenta l’esistenza di limiti, di diversa natura: fisici, biologici, mentali,
conoscitivi, sociali. Il metodo più efficace per superarli è di passare da uno sforzo isolato (l’uomo
estraneo ai propri simili) alla collaborazione fra più persone
8
. Ma nel momento in cui si inizia a
cooperare per il conseguimento di fini comuni, gli uomini entrano in una realtà sociale
qualitativamente diversa da quella definita dal loro agire isolato. Essi entrano nella realtà delle
organizzazioni informali
9
.
Barnard segue una linea di ragionamento astratta, ma al contempo abbastanza efficace. In modo
abbastanza semplice cerca di far capire che c’è cooperazione nel momento in cui il fine comune
coincide con quello personale. Non sempre però il fine organizzativo è riconducibile alla somma dei
moventi individuali. Nel momento in cui il fine comune viene perseguito tramite l’organizzazione,
esso diventa il fine dell’organizzazione che, secondo l’autore, non necessariamente deve avere
significato per l’individuo, in quanto “... ciò che ha significato per lui è la relazione fra lui e
l’organizzazione...”
10
.
Dalla distinzione tra fini organizzativi e moventi individuali consegue che non ci si può limitare a
perseguire solo i fini impersonali dell’organizzazione, ma vanno tenuti presenti anche i moventi dei
singoli membri. Il problema sta nel riuscire a mobilitare consensualmente un insieme di individui
7
G. BONAZZI “ Storia del pensiero organizzativo”, 1995, Franco Angelici, Milano.
8
Viene superata la concezione darwinista, secondo cui la società è un’arena in cui gli individui, isolati, lottano fra loro
per garantirsi la sopravvivenza.
9
C. Barnard: “La funzione del dirigente”, 1938.
10
Cfr. opera citata alla nota 8.
17
per un fine che non è loro, e di offrire al contempo a tali individui incentivi sufficienti a soddisfare
la loro motivazione personale a partecipare. Inoltre va precisato che la distinzione fra fini
organizzativi e moventi individuali passa non solo nel rapporto singolo-organizzazione, ma anche
all’interno degli individui. La distinzione comporta che ogni partecipante ad un’organizzazione può
essere dotato di una duplice personalità: una personalità organizzativa ed una personalità
individuale. Quest’ultima è rilevante per analizzare i moventi del soggetto nel delicato e spesso
cangiante equilibrio tra il suo contributo all’organizzazione ed i benefici che ne ricava.
Dalla distinzione tra fini organizzativi e moventi individuali derivano due dimensioni fondamentali
dell’azione organizzativa: efficacia ed efficienza
11
. Esse denotano due dimensioni del sistema
cooperativo, che non sempre sono correlate. Vi possono essere organizzazioni efficaci ma non
efficienti, e viceversa. Nel primo caso l’organizzazione raggiunge i propri obiettivi ma non soddisfa
gli individui che partecipano; nel secondo caso l’organizzazione soddisfa gli individui ma a
discapito del fine per il quale è nata. Le diverse combinazioni dimostrano che una soluzione
ottimale è difficile: la situazione più comune è quella in cui il perseguimento di efficienza ed
efficacia da luogo a tensioni e dilemmi.
Altro aspetto importante della teoria della autorità è quello che Barnard chiama l’economia del
rapporto tra contributi ed incentivi. Un uomo decide di contribuire con i suoi sforzi ad
un’organizzazione, se dal confronto tra i vantaggi positivi e gli svantaggi scaturiscono delle
soddisfazioni
12
. Naturalmente il punto di equilibrio tra costi e beneficio dipende da vari fattori,
anche se l’autore fa notare che l’economia degli incentivi ha un dominio di applicazione molto più
esteso della semplice sfera economica.
Gli incentivi offerti da un sistema cooperativo possono essere distinti in materiali e non materiali. I
primi sono, innanzi tutto, quelli monetari, ma anche condizioni fisiche generali, benefici di
11
Con efficacia si intende la misura in cui l’organizzazione raggiunge i propri obiettivi: avere un fine e realizzarlo è un
requisito indispensabile perché l’organizzazione esista e si mantenga in vita:
Con efficienza si intende la misura in cui si soddisfano le motivazioni individuali, facendo parte di un sistema
cooperativo.
12
Cfr. opera citata alla nota 8 pag. 130- 136.
18
posizione, sicurezza del posto di lavoro. I secondi comprendono gratificazioni morali, stima,
prestigio, familiarità di metodi e di atteggiamenti all’interno del sistema cooperativo. Barnard, dal
canto suo, enfatizza quest’ultimi collegandosi ad alcuni motivi delle Relazioni Umane. Ma il
contesto teorico in cui colloca questi incentivi è assai più ampio, poiché non si riferisce solo alla
gradevolezza psicologica dei rapporti ma anche all’importanza delle gratificazioni fondate sulla
dimensione morale dell’agire cooperativo.
La teoria dell’autorità si rivolge a qualsiasi individuo che instaura con un sistema cooperativo un
rapporto di transizione tra i contributi dati e gli incentivi ricevuti. Tutto ciò risponde all’esigenza di
pervenire ad un modello teorico unificante, che valga per qualsiasi tipo di organizzazione.
Essa trae origine dall’assunto liberistico di soggetti che decidono in base a calcoli razionali sulla
propria utilità. L’uomo di Barnard calcola, giudica, confronta, ma oggetto dei suoi giudizi non sono
fredde convenienze utilitaristiche bensì il significato complessivo che egli ricava dalla
cooperazione, ed i benefici materiali sono solo una piccola componente di tale significato.
Questa antropologia offre una facile arma per affrontare l’obiezione che un sistema cooperativo ha
bisogno, per sopravvivere ed espandersi, di una quantità di risorse il cui valore economico sia
superiore alla somma degli incentivi distribuiti.
Ma l’impostazione non materialistica fornisce al nostro autore la possibilità di evitare questa
obiezione. Il sistema cooperativo dà ai suoi membri degli incentivi non solo economici, e quindi i
membri trovano in questo surplus non materiale la “convenienza” a continuare la loro
collaborazione. Barnard però non esclude che in alcuni casi le transizioni tra membri e sistema
cooperativo siano di natura economica.
Fondazione cooperativistica dell’organizzazione e ricerca d’equilibrio tra contributi ed incentivi
definiscono l’orizzonte entro cui L’autore affronta il problema dell’autorità.
Il fondamento cooperativo dell’autorità si esprime in due caratteristiche formali. La prima è che la
fonte dell’autorità non risiede nella forza di imposizione di colui che dirige ma nel fatto di essere
accettata da parte dei sottoposti. Con questa osservazione si intende sottolineare non la forza, bensì
19
il limite dell’autorità: essa corre sempre il rischio di essere trasgredita. Di fronte a questo rischio, il
ricorso alla coercizione non è mai strumento efficace per ottenere il consenso. L’autorità è tanto più
efficace quanto più riesce ad ottenere il consenso offrendo incentivi positivi e dotati di valore
morale
13
.
La seconda caratteristica sta nel fatto che l’autorità non consiste nell’occupare una posizione
gerarchica superiore, ma nel fatto che i sottoposti riconoscano un carattere di “ordine” a particolari
tipi di comunicazioni che provengono da quelle posizioni. Affinché l’autorità sia accettata, i
detentori di posizioni di responsabilità devono preoccuparsi che i loro comandi siano conformi ad
alcuni codici di efficacia e di correttezza procedurale.
Altra condizione fondamentale per la circolazione e l’accettazione degli ordini è il buon
funzionamento del sistema delle comunicazioni. In particolare: l’ordine deve essere capito; il
contenuto dell’ordine non deve apparire in contrasto con i fini generali e conosciuti
dell’organizzazione; il contenuto deve essere compatibile con gli interessi legittimi delle persone a
cui l’ordine è diretto; gli individui, a cui è diretto l’ordine, devono essere in grado di eseguirlo.
Definite le condizioni formali per l’esistenza dell’autorità, Barnard si chiede quale sia l’oggetto su
cui essa si esercita. La risposta viene trovata nella distinzione tra fini dell’organizzazione e moventi
dell’individuo. Si è visto in precedenza che per quanto intensi possano essere i moventi
dell’individuo a cooperare, questi non si identificano mai con i fini dell’organizzazione. Di
conseguenza la pretesa di ottenere dagli individui l’identificazione completa con l’organizzazione è
irrealistica ed inconsistente.
L’esercizio dell’autorità deve porsi invece un traguardo praticabile: gestire il rapporto tra contributi
ed incentivi in modo tale che i sottoposti allarghino la sfera della propria disponibilità ad obbedire
ai comandi che servono agli scopi dell’organizzazione
14
. Con questo principio Barnard elimina
l’equivoco di impostare il rapporto individui-organizzazione, all’insegna di un irraggiungibile
13
Barnard non nega l’esistenza della faccia sporca del potere; piuttosto la considera un’espressione debole e non
legittima dell’autorità. Il suo interesse è rivolto alla fondazione legittimante dei sistemi cooperativi.
14
Cfr. opera citata ala nota 8 pagg. 153-154.
20
ideale di “misticismo aziendale”, di fusione tra fini organizzativi e moventi individuali. Su questo
punto Barnard si discosta in modo sostanziale dalle Relazioni Umane. Mentre questa scuola
affermava che la creazione di un clima sociale, gradevole all’interno dell’azienda, ha lo scopo di
ottenere l’adesione dei dipendenti, senza porsi il problema che questa adesione non è in grado di
superare la distinzione fini organizzativi e moventi individuali; Barnard elabora una teoria più
complessa: l’agire cooperativo si fonda sul primato degli incentivi morali, ma tale primato non
permette di sussumere i moventi individuali ai fini, esso si limita ad essere la base per sostenere che
l’autorità deve operare pragmaticamente in modo da estendere l’area dei comandi che i membri
sono disposti ad eseguire.
Se estendere la disponibilità ad eseguire degli ordini definisce in linea generale l’oggetto su cui si
esercita l’autorità, vediamo quali sono le specifiche funzioni in cui si manifesta l’attività
dirigenziale. La prima è quella di assicurare un efficiente sistema di comunicazioni; la seconda è
quella di garantire l’acquisizione regolare e costante delle risorse necessarie per il funzionamento
dell’organizzazione; la terza è quella di determinare i fini dell’organizzazione.
La visione del fine come processo diffuso che coinvolge tutto il sistema cooperativo si collega in
Barnard all’enfasi data più agli aspetti comunicativi che non a quelli decisori della funzione
dirigente. Un buon dirigente è quello che garantisce l’equilibrio attraverso atti discreti e poco
visibili piuttosto che quello che decide con atti di imperio.
1.2.3. Il potere: fonti e tecniche d’esercizio
L’esposizione della teoria di C. Barnard, è utile per fare delle riflessioni sull’autorità che
nell’ambito organizzativio può assumere la veste di potere
15
, il quale può avere una natura verticale
o orizzontale.
15
R. L. DAFT “Organizzazione aziendale”, 2001, Apogeo.