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soprattutto portatori di emarginazione e di patologie in diverse fasce d’età, e per
interventi a valenza terapeutica risocializzante e riabilitativa. L’espressione
artistica vale come terapia per favorire in bambini, adulti, anziani l’espressione di
sensazioni ed emozioni. Sappiamo da Freud che il nostro inconscio non pensa
secondo criteri logici, ma la sua attività è simbolica e presenta molteplici
significati al di fuori del tempo e dello spazio, esprimendosi per mezzo di
immagini complesse che si sottraggono alla formulazione diretta e precisa del
linguaggio. Ogni forma artistica, sia visiva, grafica, musicale o verbale è in primo
luogo un’idea sensibile alle immagini nate dall’esperienza intensamente vissuta e
scaturita da una complicità intima con la natura, l’ambiente ed il corpo umano. Si
coglie come il rapporto tra l’immaginario e la vita affettiva assuma sempre
maggior significato ed importanza; è noto come in questi ultimi decenni le scienze
umane abbiano manifestato un interesse particolare per lo sforzo creativo dello
psichismo sia a livello conscio che inconscio. Non importa ovviamente che ne
risulti un’opera d’arte. In rilievo sono l’espressione emotiva, la comunicazione ed
il piacere che se ne ricava. Le nozioni di gioia e di piacere sono presenti nell’atto
espressivo e rappresentano elementi vitali di grande importanza. La creatività
spesso si attiva da uno stato di paura, di angoscia, di timore perché penetra in un
ambito sconosciuto. Scrittura, musica, pittura, scultura racchiudono le nozioni di
tempo, spazio e movimento, consentendo un altro linguaggio del corpo, diverso
dal sintomo e dalla parola. L’armonia pervade le varie istanze dell’uomo, fra il
razionale e l’emotivo, fra la carica pulsionale e la ragione pensante, armonia fra
l’uomo e il suo ambiente. Il linguaggio dell’immaginazione, della pittura, della
musica è senza dubbio espressione intima dell’inconscio. Liberare la propria
creatività significa svegliare in sé delle forze psichiche e morali insospettabili.
L’artista tende a reagire emotivamente, ma, all’ascolto delle sue emozioni, si
impegnerà ad esteriorizzarle in forma di idee. I nostri antenati già attribuivano
all’armonia e al ritmo il potere educativo e autoformativo della creatività. Per
mantenere un buono stato di salute mentale e fisica sembra indispensabile
utilizzare ogni giorno un po’ del nostro intuito, della nostra immaginazione e della
personale capacità creatrice. Il ritmo è l’espressione del nostro essere e la
creatività stabilisce il legame con l’infinito. I sevizi che erogano prestazione di
tipo sociale, assistenziale e sanitario dovrebbero tenere conto delle loro
potenzialità in termini di creatività per produrre quei processi di cambiamento al
loro interno che rappresentano l’espressione di quella vitalità necessaria a rendere
efficace la loro risposta. I processi creativi sono una fonte di benessere e di salute
per ogni singolo individuo e per l’insieme di persone, attraverso un’attivazione dei
propri processi di conoscenza e di creatività. Dall’elaborazione creativa scaturisce
il prodotto artistico che determina un processo di cambiamento in ogni persona
che immagina, che scrive, che suona, che danza. Le polimorfe sfaccettature
creative consentono al soggetto di evidenziare il proprio presente esperienziale,
riflettendo nella propria vita quel ritmo del rituale catartico implicito nelle fasi
della creazione: dalla creatività, alla creazione…
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LA PRESENZA DIALOGICA
Il linguaggio delle esperienze condivise
Il lavoro dell’educatore si esplica essenzialmente in un vissuto e in un vivere
insieme al ragazzo che permettono alla stessa presenza dell’educatore di
trasformarsi in un evento specifico di esperienza (anche nell’accezione di
esperimento e pericolo) dell’altro. La figura, il modo di mettersi in gioco, di agire,
di comunicare dell’educatore costituiscono sempre elementi e fattori di
formazione e di educazione, perché la sua figura influisce comunque sul processo
di cambiamento formativo, per questo è necessario che l’educatore, rivivendo
nella sua relazione con il ragazzo un ambito di formazione, controlli la sua
influenza personale ed emotivo-affettiva perché essa si trasformi in un segno di
esperienza dell’altro orientato a scopi formativi e rieducativi. Le competenze
valutative e di monitoraggio del proprio ruolo di fronte al ragazzo costituiscono
modalità salienti delle capacità professionali dell’educatore, ossia abilità
entropatiche, nella conoscenza delle tecniche riguardanti la creazione di
esperienze e vissuti significativi, tramite versatilità nella gestione dei gruppi,
competenza di organizzazione del contesto quotidiano e riappropriazione
pedagogica dell’avventura. Nella prospettiva di creazione di una relazione
incentivante, l’educatore dovrà proporsi come punto di riferimento stabile e
coerente nella vita quotidiana del giovane. Molti ragazzi mostrano il desiderio
della presenza di un adulto, di una persona, di un educatore che sappia e voglia
prestare loro ascolto, un ascolto diretto, motivante e attivo che consideri le loro
preoccupazioni, le ansie, le difficoltà, le loro diversità. La disponibilità
dell’educatore si traduce in un complesso di atteggiamenti amichevoli in cui la
predisposizione al sorriso, alla tranquillità, alla distensione psichica, si coniuga
con la capacità di ascolto attivo con abilità exotopiche, osservazioni ecologiche,
dialogicità polifoniche e polivalenti in un pluriverso di aspetti differenti.
L’atteggiamento pedagogico di disponibilità deve prevedere dei limiti oltre cui
l’incoraggiamento e la comprensione rischiano di trasformarsi in una
legittimazione non solo del comportamento del ragazzo, ma anche del modo di
intendere il mondo e la realtà da cui hanno origine i suoi atteggiamenti. Occorre
velare il proprio agito educativo con un alone di professionalità che consenta di
indirizzare la disponibilità in un ambito di equilibrio tra simpatia e coinvolgimento
empatico, nel limite pedagogico. La distanza pedagogica si costruisce nel
momento in cui l’educatore investe se stesso del principio di realtà. Rappresentare
per il giovane un’autentica “esperienza dell’altro” significa permettergli di
sperimentare la disponibilità dell’altro ad accoglierlo e a comprenderlo, ponendolo
di fronte alla realtà che la diversità nell’alterità è un vincolo da accettare e
riconoscere. Presentandosi quale punto di riferimento autorevole, l’educatore si
mostra garante di una stabilità di regole e norme che significano l’agire verso
obiettivi, scopi, traguardi importanti per il ragazzo e vicendevolmente accettati e
condivisi. Un ‘educatore autorevole evita totalmente la scontatezza della regola, la
vacua autorità. Se l’opinione altrui, la visione del mondo e la forma del pensiero
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dell’altro non diventano mera costrizione del vissuto e dell’agito personali, ma
una linea di confine che oscilla in un’innovativa e maggiore potenzialità di
pensiero e di azione, quando codesto limen è impersonificato da un “altro” che è
anche sostegno, punto di riferimento stabile, allora risulta verosimile che la
concezione del ragazzo sugli altri e sul mondo inizi a modificarsi, a cambiare.
Il linguaggio dell’autorevolezza.
L’educatore può dimostrare la sua autorevolezza e disponibilità con il discorso del
linguaggio delle cose concrete, una comunicazione del proprio modo di essere
“altro” che transita attraverso le azioni, lo svolgersi degli eventi e delle esperienze
condivise. E’ indispensabile che l’educatore metta in scena la sua disponibilità
attraverso il comportamento, i gesti, le azioni, le parole, i vissuti nella concretezza
della vita quotidiana. Gli oggetti mediatori della relazione sono le parole e le
intenzioni che si svolgono per mezzo degli eventi che concretamente si
esperiscono e si vivono insieme, nelle circostanze vissute in comune. Individuare
gli oggetti mediatori della relazione significa liberare la comunicazione dagli
ostacoli dell’incontro attraverso il dialogo, il confronto, la comunicazione
exotopica che prevedono una confidenza ancora da costruire. Qualunque sia il
livello di consapevolezza dell’educatore, il suo modo di agire si trasforma per il
ragazzo in un modello di relazione con gli altri e con le cose. Il valore principale
non consiste nel sostituire ad una visione del mondo distorta l’interpretazione
della realtà di cui l’educatore è promotore, ma di comunicare al ragazzo l’idea che
il mondo, se stessi e gli altri possono in realtà risultare diversi da come egli li ha
percepiti fino a quel momento. Questa possibilità può essere testimoniata
dall’educatore col mostrarsi egli stesso disponibile a modificare la propria visione
del mondo. Testimoniare la continua interpretabilità del mondo e le possibilità
inscritte nella negoziazione intersoggettiva dei significati attribuiti alle cose, sono
tecniche pedagogiche che insieme alla dilatazione del campo di esperienze,
sollecitano il giovane a mettere in discussione il suo modello di interpretazione
della realtà.
EDUCARE ALL'INTERCULTURA
La scuola microcosmo di differenze
La scuola contemporanea diventa sempre più un luogo di incontro di bambini e
ragazzi che provengono da origini, storie di vita e di esperienze, culture, realtà
sociali e paesi diversi, differenti e dissimili dalla realtà tradizionale dei Paesi
d’accoglienza. I dati del Ministero dell’Istruzione rivelano che sono presenti nelle
scuole dello Stato più di 140000 stranieri che aumentano di numero ogni anno,
creando vari problemi di inserimento nell’ambito del tessuto sociale d’accoglienza
e varie e notevoli difficoltà di integrazione culturale, di lingua, usi e costumi.
Sempre più la scuola si confronta con esigenze di conoscenza di altri mondi e di
altre infanzie di tipo “diverso”, di matrice “altra” caratterizzati da differenze
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implicite ed esplicite, quindi più o meno evidenti e, a volte, più o meno facili da
tollerare, accettare, condividere, mettere in comunicazione e i bambini italiani si
trovano a crescere con coetanei che arrivano da altri Paesi, da altre Nazioni, da
realtà territoriali “altre”, ossia dissimili o che nascono in Italia, ma hanno
tradizioni, religioni, lingua, usi e costumi differenti. Il ritmo di crescita degli
alunni stranieri è intorno al 18% a livello nazionale. Invece in Milano e Provincia
il livello di crescita è ancora più elevato. I bambini che apportano nell'incontro
con la terra d'accoglienza altre culture o altre esperienze della loro storia di vita,
non sono solo quelli stranieri. Per esempio vi sono bambini di nazionalità italiana
che però hanno un ricordo importante e imprescindibile di storia di vita
riguardante l’”altrove”, ossia la realtà territoriale da cui provengono, anche per
nascita, origine e radici culturali.
Poi abbiamo bambini italiani di nazionalità, ma figli di coppie miste, quindi con
riferimenti ad altre religioni, lingue e culture. Dentro il microcosmo di una classe
scolastica brulica la differenza delle realtà umane ed etniche, appunto differenti e
dissimili dal mondo e dalla cultura occidentali, le quali comportano notevoli
ricchezze nel confronto nell’interscambio, in quanto sussistono e coesistono un
insieme di storie di bambini e ragazzi stranieri fortemente legati appunto
emotivamente per loro esperienze di vita e memorie all’”altrove”. Le tendenze
sono quelle di un aumento di tali presenze.
Cosa può fare un progetto di scuola per tutti, che tenga conto di ciascuna realtà?
Occorrono nuovi materiali, attrezzature per non trovarsi sguarniti e deprivati di
potenzialità attuative e di metodologie perché anche per noi docenti ed operatori
socioculturali le trasformazioni interculturali sollecitano ad un cambiamento
professionale, quasi una migrazione verso l’”altro” e verso l’”altrove”. Occorre
accoglienza incentrata nella relazione tra adulti e bambini, molteplici meccanismi
di interrelazione nell'ambito di un' ampia gamma di interazioni di comprensione e
costruzione di un tessuto di scambio esperienziale all'interno della scuola nei
confronti della famiglia che viene da lontano. E’ importante la comunicazione per
cui le scuole devono prevedere materiali scolastici formativi, didattici ed educativi
nella lingua d'origine e dare messaggi anche di routine nell’idioma originario delle
famiglie d’appartenenza. Un altro elemento importante per l’accoglienza è la
normativa per cui per l’assegnazione della classe bisogna tener conto del criterio
dell’età del ragazzo. Il nuovo alunno viene messo nella classe corrispondente
all’età. Si può decidere di retrocederlo perché poco scolarizzato o perché arriva in
un periodo dell’anno scolastico avanzato, ma solo tramite una delibera del
Collegio dei docenti. Quindi la retrocessione non deve essere automatica o per
decisione del capo d’Istituto. Sono state prodotte per le scuole delle schede
d’osservazione degli alunni stranieri di tipo non verbale e graduate, quindi inerenti
l’area riguardante il settore logico-matematico, la memoria, le funzioni cognitive
di base, lo schema corporeo e le capacità di tipo grafico. Quando la scuola
accoglie un alunno straniero in corso d’anno, una commissione per l’accoglienza,
che ogni istituto dovrebbe costituire, ha il compito di osservare le capacità e le
competenze del ragazzo.
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Una scuola per un adeguato progetto d’accoglienza deve munirsi di materiale di
comunicazione scuola-famiglia nella lingua d’origine; deve affrontare la
conoscenza della normativa sull’inserimento in modo tale da evitare spiacevoli
insuccessi dovuti al ritardo scolastico; deve munirsi di griglie di valutazione
inerenti il funzionamento della scuola nei paesi d’origine, e schede a carattere
cognitivo di tipo non verbale.
Occorre che tutte le scuole adottino i materiali utili all’accoglienza. L’insegnante
può trovare nelle classi bambini stranieri che non condividono la lingua orale,
quindi non si ha all’interno del gruppo classe, una lingua comune di partenza.
L'insegnante in queste condizioni deve aiutare i ragazzi stranieri e insegnare
l’Italiano per comunicare ogni giorno, nel qui ed ora, nell'hic et nunc, quella che si
chiama la lingua contestualizzata, ossia l’idioma che si ascolta e si vive sempre,
nel quotidiano, riferito agli oggetti, alle cose o alla propria esperienza personale.
Nello stesso tempo il bambino straniero deve usare l’Italiano non solo per
comunicare, ma anche per studiare. Il primo ostacolo è superabile in un tempo
minimo che dipende dall’età del soggetto e dalla lingua d’origine, se è più vicina
foneticamente all’italiano, e dipende anche dalle interrelazioni con il mondo
esterno che accelerano l’assimilazione cognitiva della lingua parlata nella nazione
d'accoglienza. L’ostacolo più grande è l’apprendimento della lingua per studiare
che prevede tempi molto lunghi, in cui è difficile comprendere e assimilare
l'idioma e produrre a livello linguistico dei contenuti. Occorrono quindi testi
semplificati, materiale di studio che agevoli la comprensione e non un curriculo di
serie “b”, ma un insieme di tecniche e percorsi didattici di esemplificazioni, ossia
esplicativi di grammatica e contenuti, facilitando l'acquisizione dei fondamenti
linguistici.
Cosa si intende per Pedagogia interculturale?
La parola “multiculturale” si utilizza in modo descrittivo per far presente la
coesistenza di diverse etnie in un unico territorio. “Multiculturale” è un termine
tipico di quei progetti del mondo anglofono dove nelle comunità vivono gruppi di
minoranze etniche, le une accanto alle altre, con modalità relazionali attive,
produttive, di interscambio e sviluppo, ma senza un’accentuata condotta basata
sull'interazione, ossia senza una volontà interrelazionale di matrice
assimilazionista. La scuola multiculturale rischia la frammentazione e
l’isolamento tra gruppi. Con l’accezione “interculturale” secondo il modello
pedagogico europeo di Francia, Germania e Italia si dice che i gruppi e le
minoranze composte da singoli individui non devono vivere nelle loro “piccole
patrie”, ma risulta necessaria la convivenza in un territorio comune, attraverso
interscambi di cultura. E’differente anche il disegno di tipo politico rispetto agli
spazi delle minoranze. Per esempio la Francia non riconosce i gruppi come
soggetti, ma gli individui e le persone, perché le comunità chiuse possono
disgregare la convivenza democratica, mentre secondo il modello inglese si
attribuisce identità ad ogni minoranza, a discapito, però, del confronto e
dell’interrelazione multiculturale.
Quindi coesistono due modalità politiche di concezione dello straniero.
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Si possono sostenere le comunità come gruppi autoorganizzantisi e d’altra parte
sussiste un progetto pedagogico di intercultura che accoglie e valorizza gli
elementi di differenza culturale agevolando l’interscambio e il confronto proficuo.
LE TEORIZZAZIONI IDENTITARIE
Le psicologie dell’Io
Elaborato di ricerca tratto da una parte del saggio di D. Demetrio, Educazione degli adulti
Le teorie dell’identità adulta concernono il campo della psicologia dell’Io, in
quanto principio organizzativo della psiche, responsabile della sperimentazione
della realtà, mediando esigenze divergenti in conflitto tra loro. La tesi che si vuole
dimostrare è che si rivela possibile rappresentare l’Io, l’ego come se non fosse un
risultato mediato dall’ambiente fisico, storico, umano.
Psicoanalisi ed età adulta
Il metodo psicanalitico è fondamentalmente un metodo storico-clinico che servendosi
dell’esperienza del soggetto, quale oggetto d’indagine, mira a cogliere i principi che regolano il
funzionamento psichico tramite la regressione e la ricostruzione storica della sua esperienza.
Secondo Freud le nevrosi sono causa di blocchi evolutivi e vanno indagate all’interno del
mondo inconscio dell’adulto. Tali blocchi nevrotici intralciano il cammino verso l’età adulta
guidata dal principio di realtà, che agisce sull’individuo sano e lo rende immune dai
comportamenti infantili solo reattivi alle pulsioni del piacere.
L’inconscio è il luogo del rimosso, la regione dell’infanzia e dei desideri
insoddisfatti, mentre il conscio è il luogo del razionale e dell’adultità. L’intrinseco
dualismo infanzia/adultità presenta i conflitti di queste dimensioni che
costituiscono il nucleo centrale della teoria psicanalitica di Freud. Secondo Freud
il bambino è paradossalmente il “padre adulto”, infatti l’infanzia è regolatrice
della vita psichica adulta e solo il riconciliarsi con essa può portare alla
guarigione. Le persone che si rivolgono alla psicanalisi sono adulti apparenti, non
padroni di sé e turbati da fantasmi infantili. Freud dimostra che il mondo infantile
nella psiche dell’adulto è il nucleo nevrotico di una tendenza alla regressione.
L’adulto è colui che accetta il dispiacere inflittogli dalle perdite e riesce a
trasferire il proprio interesse su diversi oggetti. Freud sostiene che l’adulto è un
soggetto padrone di una genialità, capace di amare, provare piacere senza colpa e
in grado di lavorare, rendendosi socialmente utile. Tale formula duale sintetizza
l’essenza di salute psichica della maturità dell’Io, della “buona adultità”. La
psicanalisi ci consegna la visione del corso della vita legata al mondo infantile.
Freud sostiene che la presenza del mondo infantile nell’adulto è un fattore
involutivo e frenante per un equilibrato sviluppo psicosessuale, manifestazione di
genialità piena. La narrazione e l’attività onirica sono strumenti tramite cui
esplorare, nella vita psichica dell’adulto, le tracce di puerilità che l’intervento
terapeutico deve riportare sotto il controllo dell’Io.
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Accezioni postfreudiane
Erikson rivaluta le tappe della vita e dell’adattamento dell’Io all’interno di una
concezione stadiale epigenetica, distante dalla bipolarità bimbo/adulto. Il puer può
vivere nell’adulto non come elemento frenante e repressore, ma come simbolo
delle possibilità date all’adulto di vivere molteplici pubertà nel corso della vita.
Jung dimostra e sostiene una grande fecondità nella dimensione infantile rispetto
alla demonizzazione freudiana del puer. Nell’adulto le dimensioni del puer che è
inquieto e ha voglia di conoscere e di giocare coesistono e si fronteggiano con la
dimensione del senex stabile e monolitico. L’adultità è sede di tale conflitto eterno
e la sua equilibrazione è sintomo di maturità e indicatore del processo di
individuazione. L’età adulta si mostra tale tramite il cambiamento, processo volto
a spazzare via i contrari (puer e senex) e raggiungere uno stato di coscienza più
elevato. Jung parla di processo di individuazione della mezza età perché lo
sviluppo non ha termine in un momento preciso.
Erikson sostiene che l’adulto è colui che agisce non in diretta conseguenza della
soddisfazione degli impulsi primari, ma sa prefiggersi scopi che prescindono dai
bisogni pulsionali. In base alla teoria psicosociale, l’età adulta è una fase evolutiva
e conflittuale specifica e non una tappa conclusiva di ogni possibile sviluppo,
determinandosi nell’interrelazione con eventi inerenti la socializzazione. Erikson
individua diversi stadi del ciclo vitale, come la giovinezza che è ricerca di intimità
fisica e mentale con altri individui. Tra i 18 ei 35 anni si insiste sul rapporto basato
sul reciproco interesse (fiducia), ma anche sull’azione interdipendente
(autonomia). Tutto questo si verifica nel contesto dell’attrazione sessuale.
L’età adulta compresa tra i 40 e 60 anni è caratterizzata da generatività, capacità di
creare individui, idee, prodotti nuovi. Il soggetto allarga la cerchia delle relazioni
intime ed esprime un inconsueto interesse per le nuove generazioni. Elemento
caratterizzante di questi anni è la cura, ossia la virtù della responsabilità. Quando
cura e generatività non si realizzano subentra un senso di stagnazione e
frustrazione. L’età senile prevede la necessità di generatività ed è sostenuta dal
coinvolgimento generale verso l’umanità. Questo stadio comporta una valutazione
globale della propria vita, raggiungendo equilibrio e integrità se, volgendo lo
sguardo al passato, si prova appagamento, ossia la fase della saggezza. L’esistenza
di un individuo dipende da alcuni processi complementari.
Il soma è il processo biologico di organizzazione dei sistemi del corpo. La psiche
è il processo psichico che organizza l’esperienza individuale. L’ethos è il processo
di natura comunitaria entro cui si organizza l’interdipendenza tra individui.
La teoria del cambiamento.
Il cambiamento è sentito come la necessità di superamento della stagnazione di un
precedente stadio. Erikson accanto alla dimensione freudiana dell’amore e del
lavoro colloca la componente ludica, ossia l’aspetto dell’Io che qualifica l’adulto
sano. La dimensione ludica rende più trasgressive e innovative le categorie
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dell’adultità e introduce nella normalità desiderio di imprevisto e trasgressione,
utile allo sviluppo dell’identità psichica.
LE IDENTITA’ DELLA VITA
Dentro le dimensioni del non finito
Adultità e cambiamento
Elaborato di ricerca del saggio di D. Demetrio, Educazione degli adulti.
Gli argomenti di cui tratta la ricerca sono la definizione di età adulta e le
possibilità ad essa connesse di continuare a formarsi, nella transizione del
cambiamento evolutivo esistenziale. Tali questioni sono state affrontate negli
ultimi decenni da Erikson e Van Der Berg in relazione alla nozione di
cambiamento. Assumendo il presupposto epistemologico cioè il modello
conoscitivo per cui se non c’è cambiamento non sussiste educazione, il soggetto
deve partecipare a questa esperienza e in età adulta lo sviluppo non è terminato, in
quanto tale processo non ha fine, a patto che il soggetto si riconosca incompiuto e
non finito. La pedagogia rivolta al mondo degli adulti fa capire tali concetti. Le
pedagogie raggiungono il loro intento quando fanno capire al soggetto la sua
dimensione desideriale, la voglia di imparare e perfezionarsi nello sviluppo, nella
metabletica, in quanto scienza del cambiamento adulto.
Le rappresentazioni dell’identità adulta
Se la vita è il “grande laboratorio” della formazione perché è il teatro
dell’esperienza, le opportunità predisposte ad hoc perché l’individuo impari a
leggere, scrivere e stare con i suoi simili, sono appunto “piccoli laboratori”.
L’esperienza del cambiamento presenta sempre una valenza formativa. L’idea di
formazione, dar forma, è impiegabile anche quando ci si decostruisce e non solo
quando si aggiunge. Infatti invecchiare è esperienza formativa anche se
presuppone una perdita. L’apprendere e l’imparare non sono mai fenomeni
additivi o cumulativi: per entrare nel nuovo occorre ristrutturare il vecchio. Le
cause che sfasano i tempi dell’invecchiamento e che variano le percezioni
individuali della propria età sono l’istruzione, la povertà, l’occupazione e
l’alimentazione. L’età è un costrutto personale, instabile, sempre rivedibile, dal
momento che è l’individuo che fissa i parametri di un’età psicologica di cui
decreta gli arresti o le transizioni, in auto-attribuzioni che ciascuno si assegna
facendosi scrittore di un proprio copione di vita la cui trama sarà tracciata dagli
incontri avuti. L’interpretazione psico-sociologica ribadisce il fatto che sono le
interazioni col mondo ad oggettivizzare la nostra vita, rendendola reale ed
oggettiva.
Le rappresentazioni identificative delle fasi della vita umana possono sintetizzarsi
nell’arco, dove tutto si conclude e per sempre; il ciclo in cui tutto può
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ricominciare; il corso per cui tutto è irregolare ed indeterminato. L’individuo è
sempre producente la propria biografia nella mediazione e interazione con altri.
La psicologia dell’arco vitale
Nella psicologia della metafora esistenziale, la vita umana è continua
trasformazione, dove lo sviluppo autogenetico dura tutta la vita.
L’evoluzione esistenziale può essere continua o discontinua, per cui un
comportamento può derivare dal precedente, oppure cumulativa o innovativa, per
cui i comportamenti precedenti sono mantenuti in quelli successivi. Lo sviluppo
autogenetico può variare in base a condizioni storico-culturali, in quanto gli
individui si sviluppano, crescono, evolvono in un mondo che cambia. Le
trasformazioni nel soggetto si dividono in diverse categorie. Le influenze per età
che rappresentano i determinanti fattori biologici, ambientali e i processi
maturativi del comportamento. Le influenze storiche come guerre, epidemie e
carestie costituiscono fattori di arresti dello sviluppo. Le influenze non normative
sono imprevedibili, come vincite, morti, incidenti.
Da Adamo ed Eva, creati con l’argilla già adulti, alla Dea Atena, che nasce già
adulta dal cranio di Zeus, l’adultità è interpretata come misura di tutte le cose.
Gesù, Maometto, San Francesco, Buddha sono profeti illuminati che iniziano
l’opera di redenzione e di diffusione della parola salvifica in età adulta. La crisi, il
conflitto, la frattura, rappresentano implicazioni del processo metaforico perché
non esiste una forma di rinascita al nuovo che sia indolore. Le rinascite non sono
manifestazioni regressive, in quanto colui che cambia non torna indietro, ma torna
a crescere. Il cambiamento implicito nella rinascita e nelle fasi stadiali
dell’evoluzione nello sviluppo e nella crescita esistenziali è sinonimo di saper
affrontare le avversità, nelle metamorfosi dove si rivela la rielaborazione delle
identità, in cui il passato, altro da sé, ma non rinnegato, si trasforma.
L’adulto/individuo non è in grado di rappresentarsi da solo, ma ha bisogno della
mediazione dei suoi simili per assegnarsi un’identità, in cui il nemico e l’amico
sono indispensabili per la personale e soggettiva identificazione. L’identità si
manifesta quando il soggetto è in grado di comunicare tramite il linguaggio e altre
forme comunicative, l’esistenza di un proprio IO, entità senza possibile copia.
TRA LE FORME DEL PENSIERO…
Dell’azione emotiva sul comportamento.
Il pensiero.
Con questo termine lo psicologo indica la realtà che comprende i processi mentali
non definibili logici, razionali e creativi, pur essendo prodotti dall’attività psichica
dell’uomo. Esistono forme di pensiero in cui sono imperfetti gli strumenti logici
quali il pensiero infantile con strumenti logici non sviluppati, il pensiero primitivo
sviluppatosi in altri contesti socio-culturali, il pensiero quotidiano.
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La formazione dei concetti.
La realtà ambientale è costituita da quantità di oggetti ed eventi percettivi. Se
l’uomo utilizzasse tutta la capacità di registrare sarebbe schiacciato dalla
complessità dell’ambiente. L’uomo supera queste difficoltà con un’attività di
categorizzazione, esemplificando l’universo dell’esperienza e considerando alcuni
oggetti come non unici, ma appartenenti a categorie.
Il pensiero produttivo.
Si ha un processo produttivo quando siamo in situazione problematica che non ha
possibilità di immediata soluzione, con schemi di comportamento acquisiti in
precedenza. Le attività di ragionamento creano nuova conoscenza. Kohler
esperimenta dimostrando che è un problema tutto ciò che non può essere risolto
con comportamenti istintivi. Ad esempio gli studi sugli scimpanzé che per
prendere cibo sono costretti all’uso del bastone. L’animale non si trova in una
situazione nuova in senso assoluto, ma si tratta dell’uso di un diverso contesto di
oggetto o di metodi. Dunker sperimenta due modi o strategie per risolvere il
problema, ossia procedere dal di sotto per cui il soggetto analizza elementi a sua
disposizione chiedendosi “questo può servirmi?”. E’ un risultato più affidato al
caso. Nel procedere dal di sopra il soggetto si pone alla ricerca dell’oggetto per
mezzo del quale risolvere il problema con un metodo più intelligente. Wertheimer
sostiene che chi è meno legato ad abitudini e conoscenze preconcette, chi non si
limita a imitare pedissequamente, chi procede con atteggiamento analitico è più
facilitato nella soluzione del problema. Occorre osservare la situazione con mente
aperta, cercando in quale modo la situazione e il problema sono in relazione.
Pensiero quotidiano.
Lo psicologo Barlet sostiene sia un tipo di pensiero che entra in azione nelle
situazioni problematiche della vita di ogni giorno. Le persone senza compiere
sforzo per essere logiche, trascurando lacunose informazioni, prendono
ugualmente posizione per arrivare alla soluzione. Gli aspetti del pensiero
quotidiano consistono nella generalizzazione, accettazione di convenzioni sociali
precostituite, nel punto senza ritorno il soggetto che tratta l’argomento raggiunge
lo stadio da cui è più facile proseguire che tornare in dietro e nell’emotività,
quando i risultati del pensiero quotidiano sono ostacolati si giunge a erompere in
emozioni diverse dal pensiero logico.
Pensiero prevenuto.
Presenta due elementi costitutivi: la credenza preconcetta e l’oggetto a cui si
applica. La credenza è la durevole organizzazione di percezioni e conoscenze