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INTRODUZIONE
Credo che il modo migliore per capire a fondo la traduzione e tutte le teorie che
sono state formulate e scritte a riguardo risieda nella pratica, osservando delle
traduzioni. Questo è l’intento e la motivazione che mi hanno portato a voler
analizzare tre delle diverse traduzioni che sono state scritte del romanzo Uno studio
in rosso, e anche la curiosità di vedere quanto da uno stesso testo potessero scaturire
versioni differenti tra loro. Dopo essermi dedicata per tre anni alla traduzione di tipi
di testo diversi tra loro, dai più settoriali ai più letterari, ho voluto osservare e
analizzare da vicino cosa volesse dire tradurre un testo famoso e importante come il
primo romanzo di Conan Doyle su Sherlock Holmes.
Ho scelto questa opera in quanto amante del genere giallo e in particolare del
personaggio di Sherlock e della sua mentalità. È considerato forse il detective più
famoso del mondo, che grazie alla semplice osservazione e alle straordinarie
conoscenze che possiede, riesce a intuire il colpevole del delitto con una semplicità
sconvolgente, soprattutto per gli altri detective che senza di lui non risolverebbero
nemmeno un crimine. Sebbene questo primo romanzo non rappresenti uno dei casi
più avvincenti del canone holmesiano, è importante perché ci viene presentato per la
prima volta quest’uomo incredibile e sicuramente un po’ fuori dalle righe.
Con questo lavoro cercherò di mostrare le innumerevoli scelte che si trova
davanti un traduttore quando trasforma un testo nato in una cultura in un altro
prodotto, fruibile a persone di un’altra cultura, i quali il più delle volte non
conoscono la prima. È oltremodo difficile riuscire a ricreare lo stesso effetto che
trasmette un romanzo in una determinata lingua a un determinato gruppo di persone,
dato che oltre a cambiare la lingua, cambia la cultura associata ad essa. Non si tratta
infatti di trovare l’equivalente italiano per ogni parola inglese presente nel libro, ma
di far capire e provare ciò che il lettore inglese ha capito e provato quando ha letto
l’originale. Oltre a questo aspetto, c’è da considerare il fatto che il romanzo in
questione è nato attorno alla fine dell’Ottocento e che quindi c’è un distacco
temporale rispetto alle edizioni prese in considerazione, che sono del 1949, del 1979
e del 2009. Inoltre mi incuriosiva anche osservare quanto potesse essere cambiato
l’italiano nell’arco di 70 anni e quali espressioni in uso nel Novecento fossero ormai
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in disuso al giorno d’oggi. Perciò, questo elaborato non vuole sentenziare il
traduttore peggiore o quello migliore, sia perché non ho l’esperienza adeguata a fare
ciò, e sia perché non è il mio intento principale. Come già detto prima, ognuno di
questi tre autori ha operato delle scelte in base anche alla sua sensibilità, e queste
scelte possono essere più o meno condivise e comprese. Il mio lavoro si propone
quindi di analizzare queste scelte comparandole tra di loro e cercare di capire il
motivo che risiede dietro ognuna di loro, tenendo in considerazione anche il tempo
storico in cui queste traduzioni sono state scritte.
L’analisi delle tre traduzioni è avvenuta basandomi principalmente sulle abilità
acquisite durante questi tre anni di studio e anche in seguito alla lettura di libri che
trattavano l’argomento da diversi punti di vista. Gli strumenti utilizzati
principalmente sono stati dizionari bilingui e monolingui ed enciclopedie nonché
forum in lingua e in italiano su internet.
La mia analisi riguarda la prima parte del romanzo, divisa in 7 capitoli, e gli
ultimi due della seconda parte. Nel primo capitolo introduco l’autore, il personaggio
e la trama del romanzo. Dal secondo capitolo inizia l’analisi a livello puramente
linguistico delle traduzioni, dapprima comparando l’originale inglese con le versioni
in italiano e poi confrontando queste ultime tra di loro. Il terzo capitolo si focalizza
invece sugli aspetti meno linguistici della traduzione, come per esempio i riferimenti
ad altri testi presenti nel romanzo, e il contesto in cui l’originale è stato creato e come
questi elementi sono stati trasportati nella lingua e nella cultura italiane. Infine,
l’ultimo capitolo tratta la componente più grafica dell’originale e delle traduzioni,
come l'uso delle note a piè di pagina.
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CAPITOLO 1
CONAN DOYLE E IL PRIMO ROMANZO
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1.1 Conan Doyle
Sir Arthur Conan Doyle nacque a Edimburgo, in Scozia, il 22 maggio 1859.
Ricevette un’educazione cattolica presso lo Stonyhurst Jesuit College ma non appena
iniziò gli studi di medicina all’Università di Edimburgo si dichiarò agnostico. Prima
di completare il dottorato nel 1885, partì come medico di bordo in viaggo sulle coste
dell’Africa occidentale. Rimasto senza lavoro, si trasferì a Plymouth e aprì uno
studio medico insieme a un suo compagno di studi, ma la collaborazione durò appena
due mesi. Decise così di trasferirsi nel Southsea, sobborgo di Portsmouth, e
continuare l’occupazione medica per conto suo. Dato lo scarso successo dello studio
medico, iniziò a dar vita alle prime avventure del detective più famoso del mondo,
Sherlock Holmes. Il primo romanzo venne pubblicato nel 1887 sul The Strand
Magazine e si intitolava ‘Uno studio in rosso’. Il successo di questo romanzo non fu
immediato:
“L’editore Arrowsmith, successivamente chiamato in causa, respinse senza neppure leggerlo
il romanzo al mittente, che malinconicamente, ma non rassegnatamente, commentò il fatto in
una lettera alla madre: “La letteratura è un’ostrica difficile da aprire...”
1
Sarà con il secondo romanzo ‘Il segno dei quattro’ (1890) che l’autore
acquisirà fama in tutto il mondo. Nel 1892 venne pubblicata la prima raccolta di
racconti ‘Le avventure di Sherlock Holmes’, dapprima pubblicati sullo Strand
Magazine, tra i quali vanno ricordati ‘Uno scandalo in Boemia’, ‘Un caso di identità’
e ‘La lega dai capelli rossi’. Tuttavia, Conan Doyle già dopo il primo romanzo
cominciò a perdere interesse nei confronti del detective, dato che scrivere storie
sempre più avvincenti e convincenti per il grande pubblico lo privava del tempo per
dedicarsi ad altri generi letterari e a “cose tanto più importanti”
2
. Con la raccolta ‘Le
memorie di Sherlock Holmes’, pubblicata nel 1894, toglie la vita al suo personaggio
più celebre, facendolo cadere giù dalla cascata di Reichenbach in Svizzera insieme al
suo antagonista il professor Moriarty. La morte di Sherlock Holmes provocò
1
O. del Buono per introduzione a A. Conan Doyle, Uno studio in rosso, trad. it. M. P. Janin, Collana
BUR, Milano, Rizzoli, 1979, p. 12
2
Ivi, p. 14
15
indignazione in tutto il mondo e centinaia di lettere cominciarono ad arrivare a casa
dell’autore pregandolo di resuscitare il mitico personaggio. In questi anni Conan
Doyle si dedicò alla scrittura di commedie, romanzi storici e al genere del
soprannaturale, senza però mai avere un riscontro pienamente positivo. Alla fine,
cedette alle pressanti richieste e scrisse nel 1897 una commedia chiamata ‘Sherlock
Holmes’, e nel 1902 pubblicò il romanzo ‘Il mastino dei Baskerville’, presentandolo
però come avventura precedente alla morte. Dovranno passare ancora degli anni
prima che l’autore deciderà di resuscitare veramente Sherlock, con una nuova
raccolta di racconti intitolata ‘Il ritorno di Sherlock Holmes’. Oltre a scrivere nuovi
romanzi e racconti, si dedicò a diverse e molteplici attività in questa parte della sua
vita: dal diventare un investigatore a favore di cause di persone ingiustamente
sospettate all’essere un sostenitore per la riforma delle leggi sul divorzio e per la
distribuzione di armature ai soldati, fino a interessarsi allo spiritismo, in seguito alla
morte di suo figlio Kingsley. Venne inoltre insignito del titolo di baronetto in quanto
difese la condotta del governo britannico nella Seconda Guerra Boera. Le ultime
opere sul detective sono ‘L’ultimo saluto di Sherlock Holmes’ (1917), ‘La valle della
paura’ (1915) e ‘Il taccuino di Sherlock Holmes’ (1927). Il 7 luglio del 1930, l’autore
venne colto da un attacco cardiaco improvviso che lo portò alla morte, all’età di 71
anni.
1.2 Sherlock Holmes
Descrivere il personaggio a cui ha dato vita Conan Doyle non è semplice. Al di
là dell’aspetto fisico, minuziosamente descritto dal Dr Watson nel secondo capitolo
del primo romanzo ‘Uno studio in rosso’, è quello psicologico e corpontamentale a
destare maggiore curiosità. Infatti, l’investigatore privato riesce a risolvere tutti i
casi, anche quelli più complicati all’apparenza, grazie a un modo di pensare
scientifico che parte dall’osservare i fatti e fare delle ipotesi. Per capire il suo modus
operandi dobbiamo rifarci alla teoria di Charles S. Peirce sui diversi modi di
ragionare dell’uomo. Parliamo di deduzione, induzione e abduzione. Il primo si basa
sulla considerazione che partendo dalle premesse e dalle regole generali si possono
determinare i risultati che sono sempre sicuri. Il secondo invece parte dalle premesse
e dai risultati studiando i quali si possono stabilire delle regole generali che però non
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sono sicure completamente. L’ultimo si focalizza sulle regole generali e sui risultati
per ricostruire le premesse che stanno alla base. Nonostante si tenda a caratterizzare
Holmes come il detective della deduzione, sarebbe meglio parlare di abduzione in
questo caso. Infatti l’investigatore inglese fa delle ipotesi che sono altamente
probabili ma non certe completamente. Si basa su una scrupolosa osservazione dei
fatti e in base alle sue profonde conoscenze in diversi campi riesce a dedurre e
selezionare l’ipotesi più probabile, non l’ipotesi sicura. Mentre la deduzione è un
ragionamento che porta a trarre le conoscenze già contenute nelle premesse,
l’abduzione trae le conclusioni da un ragionamento credibile ma questo non le rende
necessariamente vere. Inoltre l’abduzione è un processo creativo e per questo è
essenziale anche un pizzico di immaginazione per riuscire a ragionare correttamente.
Il personaggio di Sherlock Holmes non è solamente frutto della creatività di
Conan Doyle. Infatti l’autore ha preso spunto da un dottore che fu uno dei suoi
maestri alla facoltà di medicina a Edimburgo, il dottor Joseph Bell. Anche lui
insegnava agli studenti come fosse possibile dedurre la personalità e la causa della
morte dei pazienti dall’osservazione scientifica dei dettagli che sembravano meno
importanti.
“Saper individuare e valutare con esattezza e intelligenza le minime differenze è il fattore
veramente essenziale in ogni diagnosi medica di successo. Occhi e orecchi per vedere e
ascoltare, memoria per ricordare subito e per richiamare alla mente al momento opportuno le
impressioni sensoriali, un’immaginazione capace di imbastire un’ironia o di rimettere insieme
gli anelli di una catena spezzata o di districare un filo impigliato: questi gli strumenti di lavoro
di un diagnostico di successo…”
3
Il successo del personaggio di Sherlock Holmes si deve non soltanto al
divertimento che provoca nei lettori di ieri e di oggi, ma anche alle conseguenze che
ebbe sul metodo investigativo dell’epoca. Infatti, alla fine dell’800, risolvere un caso
era questione di fortuna e di saper cogliere in flagrante il colpevole. Invece, con
l’avvento di Sherlock, si realizza una vera e propria rivoluzione dei metodi
investigativi, nei quali osservare la scena del crimine e raccogliere prove portavano a
3
Ivi, p. 7
17
ipotizzare i fatti antecedenti e di conseguenza i sospettati principali. Bisogna anche
dire che a quel tempo, il progresso scientifico ebbe una svolta, nel senso che acquisì
una certezza e una validità avute mai prima d’ora. Divenne una disciplina basata su
esperimenti empirici, e medici e biologi dimostrarono come il mondo procedesse
secondo regole e leggi scientifiche rigide
4
.
Conan Doyle riuscì a caratterizzare il suo personaggio principale dotandolo di
capacità e intelligenza logiche eccezionali, ma forse non si rese conto della
rivoluzione che un semplice investigatore fittizio avrebbe provocato nel mondo reale.
Come affermò un esperto, il dottor Edmond Locard, capo del laboratorio scientifico
della polizia di Lione, nello studio Poliziotti di romanzo e di laboratorio: “Sostengo
che un esperto di polizia o un magistrato inquirente, non si accorgerebbe di sprecare
il proprio tempo se leggesse questi romanzi...”
5
Oltre allo spirito di osservazione straordinario di Sherlock Holmes, anche la
sua scrupolosa attenzione ai dettagli più particolari lo porta ad indovinare sempre il
colpevole del reato. Infatti, Sherlock è stimolato dai casi più anomali e che
presentano caratteristiche bizzarre. Questo perché, come afferma più volte e in varie
occasioni “Spesso, il delitto più banale è il più incomprensibile proprio perché non
presenta aspetti insoliti o particolari, da cui si possano trarre delle deduzioni.”
6
Che
sia una parola scritta in tedesco col sangue sulla scena del crimine, o un’associazione
formata da persone dai capelli rossi, Sherlock riesce sempre a scovare il motivo che
soggiace dietro alle prerogative più atipiche, e di conseguenza il colpevole.
Un fatto interessante di questo personaggio è dato dal fatto che come già ho
accennato prima, annoiò dopo solo un romanzo il suo creatore, il quale non capiva
perché tanta gente lo trovasse così avvincente. In un secondo tentativo di vendetta,
visto che il primo dell’omicidio non aveva funzionato, Doyle decise di fare
l’investigatore lui stesso e umiliarlo. Oltre a capire come nella vita reale fosse ben
diverso risolvere un caso rispetto a un romanzo, questa esperienza fu utile in quanto
lo portò a “riconciliarsi con il personaggio, riconoscendosi in qualcosa di costui o
4
G. Cheshire, Life & Times, in The Memoirs of Sherlock Holmes, Harper Collins, Londra, 2016, p. vii
(I ed. 1894)
5
del Buono per introduzione a A. Conan Doyle, Uno studio in rosso, cit. p. 8
6
A. Conan Doyle, A study in scarlet, 1887
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riconoscendo costui in qualcosa di sé.”
7
Probabilmente non sapremo mai se l’autore
si sia alla fine identificato completamente nella sua creatura e abbia smesso di
detestarla, ciò che sappiamo è che è riuscito a creare un personaggio che ancora oggi,
dopo più di un secolo, è letto e amato in tutto il mondo e rivive con nuovi film e
adattamenti ispirati a lui.
1.3 Uno studio in rosso
Questo primo romanzo è diviso in due parti. La prima parte inizia con
l’incontro tra il dottor Watson e Sherlock Holmes, i quali si accordano per vivere
insieme in un appartamento situato al celebre 221B di Baker Street. Cominciano così
a conoscersi anche se Watson non riesce nell’immediato a capire l’occupazione
dell’uomo che vive con lui analizzando le sue profonde conoscenze e mancanze
intellettuali. Sarà infatti Sherlock stesso a riferirglielo, dicendogli di essere un
“investigatore-consulente” che grazie alle sue abilità e intuizioni riesce ad aiutare i
detective della polizia e quelli privati quando non riescono a risolvere un caso.
Watson gradualmente capisce di trovarsi davanti a uno di quei geni alla Dupin di
Edgar Allan Poe, sebbene Holmes dica chiaramente che lo consideri un mediocre e
un borioso.
È in questo primo libro che viene delineato maggiormente l’ingegno del
detective inglese, grazie anche all’espediente del dottor Watson come narratore che
comprende il carattere e la personalità di Holmes al nostro stesso tempo. Grazie a
Watson infatti, decifriamo i suoi bizzarri comportamenti e i passaggi mentali che
sottostanno ai suoi ragionamenti precisi e accurati. Possiamo dire che nonostante
questo romanzo non sia uno dei più celebri del canone holmesiano, sia quello dove è
presente una descrizione quasi completa del protagonista.
Dopo che Watson viene a conoscenza dell’occupazione del coinquilino, si
entra nel vivo del caso e del delitto commesso. Arriva a casa una lettera da Tobias
Gregson, uno dei detective di polizia che si affida a Sherlock per i casi più complessi.
Lui e Greg Lestrade, suo rivale, sono considerati da Sherlock tra i più competenti
7
del Buono per introduzione a A. Conan Doyle, Uno studio in rosso, cit. p. 20
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detective, sebbene molto spesso vengano scherniti dallo stesso per la loro mancanza
di spirito d’osservazione. In questa lettera viene descritta la scena del delitto e viene
richiesta la consulenza del detective. Nonostante all’inizio decida di non andare,
grazie all’insistenza del dottore, entrambi saliranno su una carrozza diretti verso la
scena del crimine, a Lauriston Gardens. È qui che Watson ha la possibilità di vedere
come si comporta Sherlock per scovare gli indizi, e subito si rende conto che i suoi
metodi sicuramente sono poco convenzionali. Infatti, appena arriva non corre a
vedere la stanza della casa dove risiede il corpo della vittima, ma passa del tempo a
osservare il giardino e la strada antistante. In seguito, entra nella stanza del delitto e
inizia a perlustrare dapprima il cadavere, del signor Enoch Drebber, e poi ogni
centimetro della camera. Ispeziona ogni cosa minuziosamente con la sua lente
d’ingrandimento e un metro, misurando distanze tra elementi invisibili agli occhi di
Watson e dei detective lì presenti. Tra le particolarità del caso rientrano un anello
nuziale da donna che cade sul pavimento mentre il cadavere viene sollevato e portato
all’obitorio, del sangue sul pavimento non appartenente alla vittima che infatti non ha
segni di ferite, e la scritta RACHE sul muro prodotta con del sangue.
Già da questa prima indagine Sherlock è in grado di ipotizzare con una certa
sicurezza l’omicida, che secondo lui è un uomo di un metro e ottanta, prestante e che
fuma un certo tipo di sigaro, e ciò che ha ucciso la vittima, cioè veleno. Inoltre
identifica l’iscrizione sul muro con la parola tedesca che significa vendetta.
Subito dopo aver lasciato la casa dell’omicidio, i due si avviano verso il luogo
dove troveranno l’agente John Rance, il primo ad aver trovato il corpo senza vita.
Arrivati lì, iniziano ad indagare chiedendo all’agente di fornire loro la descrizione
dettagliata dei fatti che hanno portato al rinvenimento del cadavere. Sebbene il
detective abbia una conoscenza tale da anticipare l’agente nella sua descrizione,
quasi come fosse stato lì presente, quest’incontro porta a una prima verifica della sua
ipotesi. Infatti l’agente ammette che dopo aver visto il corpo ed esser tornato sulla
via per chiedere aiuto, aveva visto vicino alla casa un uomo ubriaco corrispondente
alla descrizione fisica dell’omicida fatta da Holmes. Secondo quest’ultimo, l’uomo
avrebbe rischiato di essere scoperto e tornato alla scena del crimine perché resosi
conto di aver perso l’anello nuziale trovato sotto il cadavere. Sarà questo dettaglio a
suggerire a Holmes la mossa successiva. Capisce infatti che questo anello riveste una