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INTRODUZIONE
La scelta di trattare un tema difficile e complesso come quello della doppia diagnosi
nasce da un’iniziale curiosità verso quest’ambito e le sue sfaccettature, interesse che mi
ha portata a svolgere il tirocinio dell’ultimo anno presso la Comunità “Crescere
Insieme” di Pavia, che ospita pazienti con comorbilità psichiatrica.
Inoltre la compresenza di disturbi mentali e di varie forme di abuso e di dipendenza
appare sempre più evidente e diffusa nell’osservazione clinica, aumentando così la
considerazione e, di conseguenza, le ricerche verso questa patologia.
Partendo dalla vasta area di problematiche che questa patologia racchiude, mi sono
focalizzata sull’associazione tra tossicodipendenza e disturbi di personalità, percepiti
correlati al punto di rendere difficile la diagnosi e la distinzione del disturbo primario da
quello secondario. Tra tutte le patologie psichiatriche che si possono riscontrare in
comorbilità con l’abuso di sostanze, ho scelto i disturbi di personalità poiché questi
determinano un’esasperazione di un tratto della personalità, sono in grado di cambiare
la persona e il suo rapporto con la realtà esterna. Inoltre, i disturbi di personalità si
manifestano con sintomi che spesso sono simili, se non addirittura uguali, a quelli che si
presentano in caso di sola tossicodipendenza, rendendo la diagnosi e la differenziazione
dei due disturbi molto difficile.
Oltre a quello di capire a fondo le sfumature della doppia diagnosi e come questa si
manifesta in concomitanza con i disturbi di personalità, un altro scopo del mio lavoro è
capire il ruolo che assume l’educatore professionale quando opera con questa
particolare utenza e le competenze che deve avere per potersi relazionare con essa al
fine di mettere in atto interventi educativi efficaci.
La prima parte del lavoro è interamente dedicata a una generale spiegazione sulla
doppia diagnosi e su ciò che comporta nell’utente. Partendo dalla definizione e
dall’epidemiologia, ho analizzato le ipotesi di classificazione e di spiegazione del
fenomeno, dando particolare importanza alle problematiche ancora esistenti e, in
particolare, a quella riguardante la primarietà diagnostica. Mi sono poi soffermata
sull’abuso di sostanze, sulle teorie proposte dai vari autori e sulla presenza, in alcuni
4
individui, di determinate vulnerabilità, biologiche, sociali o affettive, che possono
spingere il soggetto all’assunzione di sostanze.
Nella seconda parte, dopo aver trattato genericamente i disturbi di personalità e le
ipotesi fatte per spiegarli, mi sono occupata della comorbilità tra questi disturbi e
l’assunzione di sostanze, di quale sia la prevalenza esistente, degli studi fatti a tal
proposito e di quanto sia difficile, in questi casi, distinguere i due disturbi. Mi sono
focalizzata su quattro disturbi di personalità, borderline, antisociale, narcisistico,
istrionico, poiché sono quelli maggiormente riscontrati in concomitanza con
l’assunzione di sostanze e che si presentano con sintomi molto analoghi a quelli
dell’abuso.
Nell’ultima parte, infine, partendo da una visione generica dei trattamenti e, in
particolare, del trattamento integrato, ho riportato quello che è l’intervento attuato nella
Comunità “Crescere Insieme”. Dopo aver rivisto la mia esperienza da tirocinante
all’interno di questa struttura, le mie difficoltà, ma anche le conoscenze e i traguardi
raggiunti, mi sono concentrata sull’educatore, sul ruolo che ricopre e sulle fondamentali
competenze, in primis quella relazionale, che deve possedere per lavorare e operare con
questa tipologia di utenza.
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1. LA DOPPIA DIAGNOSI
1.1. Definizione e nascita
Negli ultimi anni, molti operatori dei dipartimenti di salute mentale hanno osservato la
diffusione di quadri clinici caratterizzati da disturbi psichiatrici, più o meno evidenti,
associati all’utilizzo di sostanze psicotrope con modalità di utilizzo confuso, non
associato ad un definito stile d’assunzione. Tali pazienti presentano sia caratteristiche
proprie dei classici tossicodipendenti, come oppositività, aggressività e tendenza
manipolatoria, sia sintomi psicopatologici propri del disturbo mentale, che si associano
alla condotta di abuso.
Il termine doppia diagnosi è stato proposto dai due psichiatri statunitensi De Leon e
Solomon per indicare la coesistenza di un grave disturbo mentale e di un altro disturbo
minore. Successivamente Solomon la definì come “la comorbilità di patologie
psichiatriche in soggetti affetti da dipendenze patologiche di entità medio-grave e
viceversa”
1
.
E’ possibile definirla ulteriormente con la definizione degli autori Vella e Aragona,
secondo cui “si definisce doppia diagnosi quando nel paziente coesistono entità cliniche
distinte”
2
.
Con “doppia diagnosi”, infatti, si intende una situazione morbosa in cui c’è
concomitanza tra una condizione tossicomanica e un altro disturbo psichiatrico che
coesistono nello stesso momento o comunque insorgono dopo poco tempo l’uno
dall’altro e si influenzano, creando quadri clinici anche molto complessi.
Il termine presenta un’ambiguità di fondo dovuta alla complessità diagnostica dei
soggetti che presentano comorbilità, in quanto nella maggior parte dei casi non vi sono
due diagnosi separate, ma condizioni che si influenzano reciprocamente in cui la
dipendenza da sostanze sembra essere il sintomo di una psicopatologia definita.
1
SOLOMON, “Doppia diagnosi vol.2”, 1996.
2
VELLA, ARAGONA, “La comorbilità psichiatrica”, 2000.
6
Negli anni ’70-’80 la sostanza era riempita di significati, di ideali, di aspettative, di
movimenti di contestazione e di rinnovamento socioculturale, di lotta e di
rivendicazione nei confronti del sistema. Gli hippy esaltavano le proprietà del Lsd nel
“favorire la socializzazione, l’aggregazione, la sperimentazione di nuovi stati di
coscienza che favorissero le espressioni liberatorie della psiche e del corpo, utilizzando
la dimensione gruppale”
3
. Ciò mette la comunità di fronte a un nuovo fenomeno: la
tossicodipendenza.
Di conseguenza, mentre si arriva all’edificazione di comunità da parte di religiosi o
privati per il recupero di questi soggetti, lo stato emette leggi restrittive e punitive e,
solo in seguito, si interessa ad una possibile cura.. Inoltre, in seguito ai cambiamenti
socioculturali relativi alle concezioni del comportamento deviante, nel 1975 la legge
685
4
sancì il distacco del campo della tossicodipendenza da quello della psichiatria.
Pertanto parlare di comorbilità psichiatrica non avrebbe avuto senso poiché la
tossicomania era considerata una sindrome psichiatrica di sua competenza.
I Centri di Salute Mentale diventano i servizi principali a cui si rivolgono i
tossicodipendenti e, negli anni ’90, nascono i Servizi per le Tossicodipendenze (SerT),
per la riabilitazione e la cura di questi utenti. In questi anni, a causa dell’introduzione
delle “nuove droghe”, cioè delle droghe sintetiche, le strutture cercano di far fronte alle
nuove difficoltà e al senso di impotenza confrontandosi tra loro. Emerge così la
presenza di una matrice psichiatrica tra i tossicodipendenti: tra i soggetti in cura presso i
servizi per le dipendenze sono spesso diagnosticati nevrosi, psicosi e disturbi di
personalità.
La separazione tra tossicodipendenza e psichiatria viene percepita sempre più inefficace
e iniziano ad apparire le prime attendibili ricerche sulla concomitanza di disturbo
psichiatrico e abuso di sostanze.
Si delinea così il paradigma della doppia diagnosi, i cui fattori vengono classificati in tre
aree: la clinica, il sistema dei servizi e la società.
Clinica, in quanto si riscontrato un aumento dei casi di ricovero di pazienti con un
esordio psicotico in concomitanza con l’assunzione di droghe, che agivano da fattore
precipitante nei giovani a rischio. Ciò ha portato le équipe professionali a ritenere che
3
RAVENNA, “Psicologia delle tossicodipendenze”, 1997.
4
Legge 685, “Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope”, 1975.
7
“dietro a ogni tossicomane o alcolista ci sono complesse storie di malessere, personale e
contestuale, strutturate o meno in forme psicopatologiche, codificabili o meno dalla
nosologia ufficiale”
5
.
Per quel che riguarda il sistema dei servizi, sono state rilevate al loro interno alte
percentuali di fallimenti e ricadute, riconducibili a problematiche esclusivamente
psichiatriche, che hanno portato alla formazione di una popolazione “storica” per
gravità, cronicità, multi problematicità in ambito esistenziale e sociale, che hanno
richiesto un rimodernamento dei trattamenti tradizionali. La messa in discussione di
questi ultimi ha determinato l’apertura ai trattamenti psichiatrici, l’accettazione di
ricorrere a interventi psicofarmacologici e a ricoveri psichiatrici, arrivando, quindi, a
diagnosi psichiatriche.
“La doppia diagnosi nasce così come crisi del buon intervento standard: sono i
fallimenti ripetuti e le crisi impreviste in utenti inguaribili e gravosi ad aver indicato
l’insufficienza dei trattamenti di routine. L’emergenza prima epidemiologica, poi
clinica, ha aperto la possibilità di superare steccati burocratici, organizzativi e
professionali”
6
.
Infine a livello sociale, in quanto la chiusura dei manicomi
7
ha causato l’entrata nelle
comunità territoriali di pazienti gravi e cronici, che qui sono entrati in contatto con la
sostanza come terapia per i loro sintomi psichiatrici, contribuendo allo sviluppo delle
dipendenze. A ciò si aggiunge l’idea, ormai diffusa, secondo cui la sostanza possa
mutare gli stati psichici.
Si deduce che il fenomeno “doppia diagnosi” sia scaturito negli ultimi anni in seguito al
superamento dello scisma socioculturale tra soma e psiche, che ha condizionato gli
interventi terapeutici fino agli anni ’80, ma soprattutto in reazione alla crescente
consapevolezza dell’innaturale divisione esistente tra le problematiche psichiatriche e
quelle delle tossicodipendenze. Attualmente, infatti, si propone di superare tale
divisione, favorendo, in quest’ambito, un approccio integrato tra i servizi per la
5
RIGLIANO, “Doppia diagnosi. Tra tossicodipendenza e psicopatologia”, 2004.
6
Ibidem.
7
LEGGE 180, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, 1978.
8
tossicodipendenza e quelli per la salute mentale, una forte collaborazione tra questi
servizi, i servizi territoriali e i reparti ospedalieri.
1.2. Primarietà diagnostica e altre problematiche
Nonostante i propositi e i tentativi messi in atto nell’ambito della comorbilità, questa è
tutt’oggi al centro di numerose questioni e problematiche. Negli ultimi anni, la
complessità e la varietà d’intrecci tra condotte d’abuso e patologia psichiatrica hanno
suscitato forte interesse sia per la diffusione del fenomeno sia per le esigenze che si
riscontrano di fronte al problema.
Infatti, il termine doppia diagnosi rimanda all’ampio capitolo delle correlazioni tra gli
effetti sostanze d’abuso e i sintomi psichiatrici, ma soprattutto al dibattito sull’eziologia
dei disturbi da uso di sostanze. Secondo alcuni clinici “la dipendenza da sostanze è
dovuta a una sofferenza dell’individuo o del nucleo, e l’assunzione rappresenta un
tentativo regolatorio o di autocura”
8
. Altri ricercatori, sostenendo l’ipotesi
“neurochimica”, affermano che alla base dell’assunzione di sostanze nella genesi della
doppia diagnosi ci siano alterazioni neurologiche. Infine, altri clinici, affermano
“l’indipendenza eziologica e fisiopatologica delle due condizioni morbose”
9
. Oggi vi è
un atteggiamento condiviso nel prescindere dalle speculazioni eziopatogeniche,
nell’obiettivo di assumere una visione d’insieme della complessità di tali pazienti.
A causa della tradizionale separazione fra il trattamento dei disturbi mentali e quello
della dipendenza da sostanze, per i pazienti in doppia diagnosi non vi sono strutture
idonee al trattamento. Il concetto doppia diagnosi segnala l’esistenza di un problema a
livello istituzionale nel campo sanitario e sociale, relativo alla corretta interazione tra i
servizi che, in maniera separata, affrontano i disagi e le problematiche della sofferenza
tossicomanica e mentale. Si rilevano problemi organizzativi e di competenza rispetto
alla cura, con il drammatico ed infruttuoso “rimpallo” di responsabilità tra servizi ed
8
CANCRINI, “Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani”, 1982.
9
CLERICI, “Doppia diagnosi: realtà o artefatto nosografico”, 2000.