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POLITICA, ISTITUZIONI E MEDIA
1.1 Influenza dei media sulla società
L‟esigenza di studiare la cultura di massa, o l‟industria culturale che
dir si voglia, si diffonde tra gli studiosi dalle metà degli anni
Cinquanta fino agli anni Sessanta. Ricorrendo all‟approccio di altre
discipline come la storia sociale, la storia letteraria e la semiotica,
l‟oggetto di studio «cultura» si arricchisce di molteplici sfaccettature,
«essa non è una pratica, né semplicemente la descrizione della somma
delle abitudini e dei costumi di una società. Essa passa attraverso
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tutte le pratiche sociali ed é il risultato dello loro interrelazioni.
Entrando ancor più nel merito della definizione di cultura e della sua
produzione, Fiske (1989) la definisce come «un processo continuo di
produzione di significati sociali e frutto della nostra esperienza
sociale; tali significati producono necessariamente una identità
sociale riguardo alle persone coinvolte. Attribuire senso a qualsiasi
cosa implica attribuire senso alla persona che é l’agente del
processo; l’attribuzione di senso dissolve le differenze tra soggetto e
oggetto e li mette in relazione […]. La produzione di cultura é un
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processo sociale».
A partire da un concetto di cultura in cui «rientrano sia i significati e i
valori che sorgono e si diffondono nelle classi e gruppi sociali, sia le
pratiche effettivamente realizzate attraverso cui valori e significati
sono espressi e nelle quali sono contenuti», si dipana un‟analisi che
muove dalla produzione del testo fino al momento del consumo. Il
continuo riferimento alla realtà sociale nella quale vivono i soggetti
che producono e consumano cultura, unitamente a un approccio più
propriamente comunicativo, rendono i cultural studies uno dei più
interessanti approcci teorici allo studio del sistema dei media.
Secondo Stuart Hall (1982) il sistema mediale assolve principalmente
a tre funzioni ideologiche: a) offerta e costruzione selettiva della
conoscenza sociale; b) visibilità di una apparente pluralità delle
situazioni della vita sociale; c) organizzazione e direzione di tutto ciò
1
S. Hall, Culture, the media and the ideological effect, in J. Curran (a cura di ),
Culture, Media, Language, London, Hutchinson, pp. 197- 208, 1977
2
J. Fiske, Television Culture, London, Methuen, 1987
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che essi tengono insieme. In breve, i media vengono visti come in
grado di provvedere al mantenimento dell‟ordine sociale egemonico.
La conseguenza di tale ruolo comporta l‟identificazione di un codice
egemonico e di una sorta di «lettura preferita» che sostiene le
condizioni sociali esistenti.
Il codice egemonico è tale perché riproduce l‟intero universo dei
significati che una società esprime, perché non necessita di nessuna
legittimazione, perché, in breve, rappresenta il punto di vista
dominante, ciò che è naturale e scontato per tutti.
Mcquail attribuisce a questo approccio il merito di aver richiamato
l‟attenzione sulla questione dell‟ideologia presente nei testi mediali e,
soprattutto, sul modo in cui questa viene letta dal pubblico.
L‟ideologia emessa non equivale a quella ricevuta. Anche se possono
esserci delle letture «privilegiate» proposte dall‟alto, queste possono
essere trattate con sufficienza e sottoposte a un‟analisi oggettiva o
vissute come «propaganda» e, perciò, avversate o ribaltate.
Il processo comunicativo non si limita più a trasmettere informazione,
ma diventa un processo in cui l‟operazione di trasformazione del
messaggio stesso è l‟unica che consente l‟attribuzione di significato. E
se per caso il destinatario non conosce, per qualsiasi ragione, i codici
utilizzati, si produce una «codifica aberrante» o, come la definiva
Hall, una comunicazione sistematicamente distorta.
Al centro del processo comunicativo non vi è un singolo messaggio
ma il testo. Ciò che viene veicolato dai media è un insieme di testi.
Nell‟attribuire significato al testo, il destinatario non fa riferimento a
codici riconoscibili, ma a insiemi di pratiche testuali depositate.
Facendo ricorso ancora una volta alla nostra esperienza di
telespettatori, ad esempio, non ci accingiamo a consumare un prodotto
mediale facendo riferimento ai singoli codici con i quali è stato
costruito; ci accingiamo piuttosto ad attingere a quelle pratiche testuali
che si sono sedimentate con l‟esperienza e che ci consentono di
attribuire un significato a quanto ci viene proposto.
Tuttavia, «ciò che sappiamo della nostra società, ed in generale del
mondo in cui viviamo, lo sappiamo dai mass media». Con queste
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parole, il sociologo tedesco Luhmann indaga in merito alle
caratteristiche della realtà costruita dai media, ponendosi accanto a
numerosi altri studiosi che si sono dedicati alla problematica della
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N. Luhmann, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, 2001
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costruzione della realtà da parte degli individui. I massmediologi sono
arrivati ben ultimi – dopo i filosofi, gli antropologi, gli psicologi e i
sociologi – risultando fortemente debitori verso altre tradizioni di
letteratura consolidate. Secondo Bentivegna, senza entrare nel merito
dell‟analisi dei singoli debiti, va sottolineato come il punto di partenza
dell‟approccio possa essere l‟affermazione secondo la quale gli
uomini agiscono in conseguenza di ciò che ritengono reale. E ciò che
loro ritengono reale non è detto che sia tale: sulla parete della caverna
di Platone molteplici ombre si rincorrono, pallidi riflessi di una realtà
la cui conoscenza diretta avrebbe turbato l‟uomo, non pronto a
confrontarsi con essa.
Il focus è sull‟impatto che le rappresentazioni offerte dai media hanno
nella costruzione soggettiva della realtà sociale. In questo ambito, i
mass media giocano un ruolo rilevante non solo nel fornire
informazioni su specifici eventi ma, soprattutto, nell‟offrire i
riferimenti contestuali all‟interno dei quali (e mediante i quali)
collocare e dar senso agli eventi stessi (teoria dell‟agenda setting,
teoria della spirale del silenzio, teoria degli scarti di conoscenza, teoria
della coltivazione e teoria della dipendenza). In tutti i casi citati, i
media consentono agli individui di accrescere il loro grado di
conoscenza e informazione ovvero di cogliere le correnti di pensiero e
gli atteggiamenti dominanti in un certo momento storico. Consentono,
altresì, la realizzazione di molti processi di socializzazione che nel
passato venivano garantiti da altri soggetti.
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L‟ipotesi dell‟agenda setting non sostiene che i media cercano di
persuadere. […] I media, descrivendo e precisando la realtà esterna
presentano al pubblico una lista di ciò intorno a cui avere un‟opinione
e discutere. L‟assunto fondamentale dell‟agenda setting è che la
comprensione che la gente ha di gran parte della realtà sociale è
mutuata dai media. Gli individui, quindi, sono esposti all‟influenza dei
media per ciò che riguarda l‟individuazione dei temi, non già per
quello che attiene alla valutazione e soluzione degli stessi.
Da questo punto di vista, il passaggio dalla persuasione all‟influenza
da parte dei media può essere considerato ormai del tutto avvenuto.
In conclusione, si può sostenere che il pubblico accoglie o rifiuta i
temi presenti nell‟agenda dei media coerentemente con quegli
interessi e predisposizioni che governano la stessa esposizione ai
media. In un momento di incertezza e in presenza di temi meritevoli di
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M. McCombs, D. Shaw, The Agenda setting function of the press, 1972, in «Public
Opinion Quaterly», 36, pp. 176- 187
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attenzione, gli individui avvertiranno un «bisogno di orientamento»
che li porterà a esporsi ai media e, quindi, presumibilmente, a
prendere in considerazione l‟agenda proposta.
1.2 Media e politica
L‟analisi del rapporto che intercorre tra l‟agenda dei media e l‟agenda
politica induce necessariamente a prestare attenzione a questioni
relative alla formazione dell‟opinione pubblica e all‟impatto che
questa ultima ha sul policy making, nonché al rapporto che si instaura
con i cittadini.
Infatti, sia che i media indirizzino l‟attenzione verso un tema piuttosto
che un altro, sia che consentano la visibilità delle posizioni
dell‟opinione pubblica, essi presuppongono un rapporto con i cittadini.
Contemporaneamente, viene ipotizzato un rapporto con il sistema
politico, assunto ora come fonte, ora come destinatario. Quali che
siano le condizioni che determinano l‟azione dei media, rimane
inalterata la funzione di raccordo da essi svolta nei confronti del
sistema politico e di cittadini, al punto da essere considerati da Cohen
«uno dei congegni che mettono in contatto parti diverse del sistema
politico, capaci di agire in risposta agli stimoli politici più o meno
diffusi».
In termini più generali, l‟influenza esercitata dal sistema politico
sull‟agenda dei media può essere valutata, oltre che in relazione alla
capacità di offrire notizie, anche in merito alla definizione del terreno
di discussione di un tema, alla definizione delle alternative possibili
della discussione, alla capacità di evitare l‟attenzione dei media. Il
tentativo di sottrarre allo sguardo dei media eventi e problemi rimane
una delle espressioni più compiute dell‟esercizio del potere da parte
del sistema politico nei confronti del sistema dei media e di tutti i
cittadini. La funzione di linkage che può essere svolta dal sistema dei
media può realizzarsi
a) nell‟indirizzare l‟attenzione dei cittadini verso alcuni temi,
contribuendo a stabilire, in questo modo, gli input di base del sistema
politico;
b) nel consentire la comunicazione «interna» al sistema politico;
c) nell‟assumere il ruolo di fornitore e interprete delle vicende
pubbliche.
Dedicare spazio e attenzione a determinate problematiche nel corso di
una campagna elettorale, ad esempio, può significare offrire elementi
conoscitivi tali da consentire una rilettura dei programmi e delle
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proposte delle forze politiche in una direzione che potrebbe risultare
poco gradita a queste ultime. I media garantiscono anche la
comunicazione interna al sistema politico: un sistema sempre più
propenso a ricorrere a modalità comunicative di apparente facilità di
gestione. Riguardo, infine, alla funzione di offerta di notizie relative
alle vicende pubbliche, si è di fronte a una caratterizzazione dei media
come «canali» capaci di garantire il flusso informativo necessario per
il funzionamento nel suo complesso.
L‟influenza esercitata dall‟agenda dei media sull‟agenda politica si
esercita, in definitiva, a livelli diversi e chiama in causa, da un lato, la
figura del giornalista e dei modelli di giornalismo praticati, dall‟altro,
il progressivo ricorso da parte del sistema politico alle modalità del
sistema dei media. Quale che sia l‟intreccio tra i due elementi, la
capacità di cogliere umori, tensioni, problemi che provengono dalla
società e di dar loro voce, assolvendo in tal modo alla tipica funzione
di gatekeeper, rimane il tratto distintivo dei soggetti chiamati a
interagire con l‟agenda politica.
Secondo il paradigma considerato, la visione della società è
essenzialmente normativa. Essa presume un certo tipo di società
giusta, democratica, liberale e pluralista ma non considera le
contraddizioni interne in una simile visione. Il modello in questione ha
ispirato la ricerca sulle funzioni di socializzazione, informazione e
formazione delle opinioni svolte dai media e postula il controllo dei
media da parte di monopoli che li utilizzano come uno strumento
efficace per organizzare le masse sotto forma di spettatori,
consumatori, elettori, ecc.
I media, infatti, dipendono dalla società e, soprattutto, dal potere
politico ed economico. L‟approccio socio-centrico, pertanto, considera
i media come un riflesso delle forze politiche ed economiche.
L‟enorme influenza e suggestione dei media si «organizza» attraverso
un‟industria nazionale capace di raggiungere la maggioranza della
popolazione; un certo grado di controllo monopolistico o autoritario al
vertice o al centro, un pubblico affezionato ai media e sensibile al loro
fascino.
Il ruolo giocato dai media nei processi di costruzione della realtà da
parte degli individui si arricchisce di una ulteriore sfumatura con la
teoria della spirale del silenzio. La risonanza che tale teoria ha
ottenuto, secondo Wolf (1992) è dovuta al fatto che ha segnato, nella
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storia della ricerca mediologica, l‟inizio della reazione al predominio
del paradigma degli effetti limitati.
Si tratta di una teoria abbastanza complessa che può essere presentata
con le parole di Mcquail:
Il concetto di «spirale del silenzio» deriva da una più ampia teoria dell’opinione
pubblica elaborata e verificata nel corso degli anni da Noelle-Neumann. Tale teoria
riguarda l’interazione fra quattro elementi: mezzi di comunicazione di massa,
comunicazione interpersonale e rapporti sociali, manifestazioni individuali di
opinioni, percezioni che gli individui hanno dei «climi di opinione» nel proprio
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ambiente sociale.
La società minaccia i comportamenti individuali devianti con
l‟isolamento e gli individui avvertono costantemente la paura
dell‟isolamento. Tale paura porta gli individui a tentare di valutare in
continuazione il clima di opinione. Il risultato di detta valutazione
influisce sul comportamento degli individui in pubblico, in particolare
limitando la piena libertà di esprimere opinioni.
Tutti questi elementi considerati possono essere ritenuti responsabili
della formazione, difesa e mutamento dell‟opinione pubblica.
Nel processo di valutazione e affermazione dell‟opinione pubblica i
mezzi di comunicazione di massa giocano un ruolo rilevante, poiché
consentono quell‟operazione di monitoraggio che costantemente
occupa gli individui. Il ruolo predominante attribuito ai media deriva
dall‟affermazione del mezzo televisivo.
Nell‟ambito della teoria suddetta si dà per scontato che gli individui
osservino il mondo circostante, percepiscano cosa pensa la
maggioranza delle persone, individuino tendenze ed elaborino
previsioni, in base alle quali mettere in atto comportamenti: che
posseggano, in breve, una «competenza quasi statistica» che non
richiede apprendimento e conoscenza di regole ma semplice
osservazione e consumo dei media.
La paura dell‟isolamento, molla centrale della teoria della spirale del
silenzio, è alla base di una intensa attività, consapevole o meno, che
deve poter mettere il soggetto nella condizione di evitare l‟imbarazzo
e l‟isolamento.
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D. Mcquail, S. Windhal, Communication models, London, Longman, 1993
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L‟arena dei media è l‟unica vera arena dove possono apparire
posizioni maggioritarie, presentate in termini ancor più enfatici, che
offrono sostegno e argomentazioni ai sostenitori di quella posizione.
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Noelle-Neumannn individua il mezzo televisivo come lo strumento
più adatto a far emergere le posizioni e a farle immediatamente
comprendere ai telespettatori. Piuttosto che rifiutare la spirale del
silenzio, la «maggioranza silenziosa» mostra con quale forza i mass
media possono essere visti in grado di influenzare il processo
dell‟opinione pubblica. Il tono della copertura mediale è essenziale per
valutare il clima di opinione e gli stessi media consentono alle persone
di esprimersi offrendo loro parole e argomenti per articolare il punto
di vista da loro condiviso. Risulta quindi di tutta evidenza il ruolo
centrale svolto dai media nel processo di formazione delle opinioni.
Essi selezionano gli eventi di cui trattare attraverso una narrazione
costituita da opinioni proprio dell‟attore mediale, i cui compiti sono la
vigilanza e l‟arbitraggio (spesso dichiaratamente – e legittimamente –
di parte).
A loro modo anche i media derivano originariamente dai bisogni dei
gruppi di interesse e la loro disponibilità interessa i decisori e i gruppi
di pressione che non di rado puntano a possederli o a condizionarli.
L‟agenda dei media e la gamma dei toni usati costituiscono l‟ambiente
audiovisivo della formazione delle opinioni. La particolarità di questo
attore è che si definisce sia nella propria autonomia di giocatore sia
nel suo fornire «territorio» ai conflitti e agli incontri tra gli altri attori.
Le istanze politiche istituzionali, le organizzazioni partitiche, i
movimenti e i gruppi organizzati compongono un potere associativo
che interessa una parte cospicua della vita collettiva, quella che
riguarda le negoziazioni e i conflitti per espandere la discrezionalità di
ciascuno soggetto (dal controverso rapporto tra potere esecutivo e
potere giudiziario a quello tra esecutivo e parlamentare a quello tra
partiti e movimenti pacifisti). Tuttavia sul piano dell‟azione sociale e
politica questi soggetti unificati dallo sguardo sociologico si
scompongono e si differenziano; le istituzioni si comportano
diversamente dai partiti e questi condividono solo una parte dei frame
dei movimenti e degli altri gruppi di pressione. La metafora del
decisore non interessa tutti questi soggetti, ma solo quelli che
dispongono della prerogativa di prendere direttamente e
legittimamente decisioni che ricadono sulla società. In questo senso
maggioranza e opposizione parlamentare costituiscono uno stesso
insieme, perché possono concorrere, in sede legislativa, a dare vita o
6
E. Noelle-Neumann, The spiral of silence. Public opionion. Our social skin,
University of Chicago Press, 1986
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meno a provvedimenti che modificano la realtà (seppure in una
porzione che può essere anche assai ridotta). In ultima analisi, i
decisori sono responsabili della modificazione della norme e la
produzione o l‟abolizione di leggi segnala possibili nuovi scenari. Si
tratta di scenari provvisori, perché la vita politica vive nella
negoziazione continua.
I movimenti e le altre organizzazioni non formalizzate (o
tendenzialmente informali) appartenenti alla categoria dei gruppi di
pressione possono prendere decisioni che riguardano la propria
condotta e influire così nella vita collettiva (come nel caso di una
grande manifestazione di piazza che fa emergere in tutta la sua vitalità
una certa issue o tematica), ma non produrre direttamente decisioni
collettive.
Possono però esercitare pressione nei confronti del decisore,
sconsigliando di prendere decisioni non desiderate a meno di non
affrontare i disagi di nuove proteste e di sanzioni sociali di vario
genere.
I gruppi di pressione intesi genericamente si attestano invece su
un‟insorgenza che può essere rapidissima, nascere ad esempio su base
di rivendicazione professionale/settoriale e sparire quando l‟obiettivo
è stato raggiunto.
Sia i decisori (governi eletti democraticamente, a tutti i livelli, deputati
del governo e dell‟opposizione, partiti di governo, produttori dei
mezzi di produzioni) che le minoranze attive (elettorato ovvero
audience) producono comunicazione, ma non necessariamente notizie.
Sono i media a produrle, selezionando tra migliaia di fatti quelli che
costituiscono un robusto valore-notizia, cioè quelle che
presumibilmente attireranno l‟attenzione degli individui. I media
parlano soprattutto per il pubblico e vivono direttamente o
indirettamente grazie al pubblico. La comunicazione di provenienza
mediale sulla politica avviene per questioni di «pubblico interesse» e
la persistenza delle political issues nelle letture e negli ascolti
collettivi si spiega facilmente con i nessi e le ricadute che queste
tematiche provocano nella vita collettiva. La penetrazione del decisore
nell‟ambito delle moltitudini avviene dunque attraverso la
rappresentazione dei media, ma le moltitudini esprimono attraverso
atteggiamenti selezionati e promossi dai gruppi di pressione il proprio
contributo alla costruzione delle leadership. Un tratto interessante, a
parere di chi scrive, da segnalare in questo contesto è il «fenomeno del
berlusconismo». L‟aspetto saliente è che la provenienza
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imprenditoriale di un personaggio stabilmente collocato tra i decisori
nazionali deriva prevalentemente dai media generalisti. Due le
conseguenze: in primo luogo, il trasferimento delle competenze
mediatiche nella stessa organizzazione di un gruppo di pressione
specializzato (il partito Forza Italia), che ne adotta le logiche e i
linguaggi. In secondo luogo il controverso rapporto del premier
Berlusconi e del presidente di Forza Italia Berlusconi (quando era
all‟opposizione di Governo) con le Testate appartenenti al proprio
gruppo economico (dinamica che non appare sostanzialmente
modificata anche quando Berlusconi ha accelerato la fusione di Forza
Italia e Alleanza Nazionale attraverso la creazione del Popolo della
Libertà). In sostanza, il fenomeno del berlusconismo ha portato a
deflagrazione una relazione impropria tra media e politica che, nella
tradizione italiana successiva alla caduta del fascismo, aveva già
prodotto vaste zone di ambiguità all‟interno del perimetro
dell‟informazione di stato, prospettando all‟analisi storica e
sociologica i nodi della lottizzazione e della autonomia relativa dei
media dai decisori.
Sul piano degli scenari sociologi plausibili l‟attore mediatico più ricco
di relazioni è proprio quello mediale; ciò ne fa però anche l‟attore più
fragile e sensibile ai condizionamenti e all‟influenza ambientale,
spesso corresponsabile di politiche e interpretazioni degli eventi che,
pur non volute da chi i media li tiene in piedi, cioè le moltitudini,
vengono fatte giocare al tavolo dei decisori e dei gruppi di pressione.
Nel corso degli ultimi decenni, in tutto l‟Occidente, il ruolo dei partiti
si è trasformato, registrando la difficoltà di rappresentare gli interessi
generali e spostando perciò una quantità di sollecitazioni sociali,
culturali e professionali dai partiti ai gruppi di interesse di altra natura.
Se il «partito» non è più quel territorio che in forma esclusiva porta a
sintesi le richieste generali della società (o almeno di quella parte che
si esprime elettoralmente a favore del partito), ne risulta un‟aumentata
autorevolezza dei gruppi di pressione extrapartitici, riconosciuta dal
decisore attraverso specifiche azioni relazionali e di monitoraggio.
La relazione tra decisori e media consente ai primi di comunicare
costantemente con il vasto mondo delle moltitudini. La rappresentanza
offerta dai media è di rilevanza eccezionale per il decisore,
considerato che – nella veste di pubblico mediatico – le moltitudini
confrontano quotidianamente le proprie inclinazioni e i propri punti di
vista con quelli offerti dai media, secondo il modello della agenda
setting.
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