6
Lo slogan fair trade not aid si è dimostrato vincente. Quello che
poteva apparire come un gesto di buona volontà, o di
testimonianza, si è trasformato in un’organizzazione moderna
dotata di grande flessibilità e capacità d’innovazione.
E’ dunque interessante capire le dinamiche di questo straordinario
fenomeno sociale per indagare sulle potenzialità del fair trade e
di tutti quei movimenti (come la finanza etica, la cooperazione
popolare, ecc.) che sulla base di una forte spinta etica stanno
producendo “fatti” economici sempre più rilevanti. Infatti il
commercio equo e solidale non è solo importazione e vendita di
prodotti socialmente puliti ma anche sperimentare criteri
commerciali che traducono in pratica l’allargamento dei diritti
umani alla sfera economica e sociale delle persone e delle
comunità, la messa in discussione dell’insostenibilità dei consumi
dell’Occidente, la redistribuzione delle risorse su scala
internazionale come obiettivo concreto di prevenzione dei
conflitti.
7
Nella presente tesi partendo dalla definizione del dualismo
territoriale tra Nord e Sud del mondo
2
, accentuato o per altri versi
2
Articolo del 2003, Nord e Sud, tratto dal sito http://wai.scuolaer.it. Nord e Sud del mondo
è un'espressione di grande efficacia geopolitica, coniata con successo dal dirigente politico
tedesco Willy Brandt, proprio per dare rilevanza geopolitica alla contrapposizione tra i Paesi
avanzati e le aree meno progredite.
La globalizzazione dell'economia sembra presentare grandi opportunità di crescita e di
sviluppo economico. Nonostante ciò permangono profondi squilibri economico-sociali su
scala planetaria; il divario tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri si è notevolmente
ampliato, quintuplicandosi nell'arco di un trentennio. Attualmente, un miliardo di persone
sopravvive con un dollaro al giorno, due miliardi non hanno accesso all'acqua potabile e tre
milioni di bambini muoiono ogni anno di malnutrizione. L'Africa a sud del Sahara, in
particolare, appare come un continente sinistrato, dove si trova la maggior parte dei Paesi
più poveri del pianeta e dove sono esplosi alcuni tra i conflitti più sanguinosi (Liberia,
Somalia, Angola, Ruanda).
Per un gran numero di persone dei Paesi meno avanzati la qualità della vita è a livelli
bassissimi: beni di sostentamento insufficienti, carenze abitative, accesso all'educazione,
alla salute e ad altri servizi sociali inadeguati o inesistenti.
Queste situazioni sono in massima parte da ricondurre al basso livello dei redditi. Gli introiti
insufficienti sono il risultato di una produttività al di sotto della media, a sua volta derivata
da diversi fattori (cattiva salute, scarsa nutrizione, tecnologie arretrate, ecc.), ma anche di
politiche del mercato del lavoro che mirano a tener basso il costo della manodopera.
Capacità inadeguate, scarso talento manageriale o una bassa preparazione dei lavoratori
possono, insieme all'importazione di moderne tecniche di produzione dai Paesi più avanzati,
ridurre l'impiego di forza di lavoro locale. I bassi redditi non permettono il risparmio né gli
investimenti, e questo è un ulteriore fattore che limita lo sviluppo di nuove opportunità
lavorative.
La disuguaglianza economico-sociale che divide i Paesi della Terra si ripropone anche
all'interno dei singoli Stati.
Nei Paesi poveri le aree rurali sono le più svantaggiate: la loro situazione critica dipende da
vari fattori, quali la forte crescita demografica, le variabili climatiche, la mondializzazione
dell'economia che ha distrutto i sistemi agrari tradizionali. Gli esclusi delle zone rurali
percepiscono meno della metà del reddito pro capite degli abitanti delle zone urbane,
accedono con difficoltà ai servizi pubblici (in Etiopia l'87% della popolazione è rurale, ma
riceve solo l'11% dell'acqua potabile non inquinata; in India solo il 55% dei ragazzi fra i 5 e
i 14 anni che vivono in campagna frequenta la scuola contro il 74% dei cittadini) e si
vedono via via costretti all'inurbamento o all'emigrazione dall'impossibilità di trarre dalla
terra il necessario per vivere. Le campagne povere sono sempre più in mano alle donne, agli
anziani, ai bambini, affidate alle capacità di aiuto delle organizzazioni non governative.
Le aree urbane, nonostante siano favorite quasi ovunque, subiscono una crescente pressione
demografica e generano anch'esse emarginazione. Nelle città gli esclusi dallo sviluppo
vivono nelle baraccopoli delle immense periferie, intrattenendo con la metropoli rapporti
multiformi e sopravvivendo grazie alle attività dell'economia informale.
Il divario più accentuato è in generale tra parte ricca e parte povera della popolazione di un
Paese. Alcuni economisti dell'ONU - particolarmente all'interno del Programma delle
8
alleviato dal processo di globalizzazione e internazionalizzazione
delle imprese in atto, viene definito e studiato il CEeS nello
scenario della nuova economia globalizzata (Primo Capitolo); si
passa poi ad inquadrare il CEeS nell’ambito delle teorie
economiche del commercio internazionale (Secondo Capitolo); si
analizza infine lo stato dell’arte del CEeS in Europa e i possibili
scenari futuri (Terzo Capitolo). Alcune riflessioni conclusive
chiudono il lavoro.
Nazioni Unite per lo Sviluppo - sostengono che diminuire drasticamente le disuguaglianze
sia uno dei primi obiettivi da porsi in ogni processo di sviluppo, poiché esiste una
correlazione positiva tra crescita economica e uguaglianza di reddito.
La popolazione infantile è quella che più soffre degli effetti del sottosviluppo.
Il tasso di mortalità infantile (entro 1 anno di età) nei Paesi meno avanzati supera ancora i
110 decessi per 1000 nati vivi, mentre ogni anno 13 milioni di bambini muoiono prima del
quinto compleanno (oltre 170 per mille); quasi 200 milioni di bambini sono minacciati di
denutrizione e più di 300 milioni, in età scolare, non accedono all'istruzione per il costo o la
lontananza del servizio, oppure perché devono lavorare, nei campi o nelle città (raccoglitori
nelle discariche urbane, lustrascarpe, venditori di giornali e altro ancora); la terribile
diffusione dell'AIDS, inoltre, incide sui bambini sia direttamente, aumentandone la
mortalità, sia indirettamente privandoli dei genitori e dunque peggiorando condizioni
economiche già precarie.
Da qualche anno emerge in tutta la sua gravità il problema dei bambini di strada, cioè dei
minori che, persi i genitori o abbandonata la famiglia, vivono per le strade delle metropoli
dei Paesi poveri o in via di sviluppo, segnalando con la loro presenza l'ampiezza del degrado
dei grandi centri urbani. E' stato stimato che il maggior numero di bambini di strada si trovi
in India (100000 per città a Nuova Delhi, Bombay e Calcutta), mentre decine di migliaia di
casi si registrano in altre nazioni asiatiche (per esempio, se ne contano circa 75000 a
Manila), in Africa (25000 a Nairobi), in America latina (Rio de Janeiro e San Paolo).
9
CAPITOLO 1
IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE NELLO
SCENARIO DELLA GLOBALIZZAZIONE
Introduzione
La società post-industriale determinata dalla scienza e dalla
tecnologia sta vivendo un processo di globalizzazione che
rivoluziona il rapporto dell’uomo con lo spazio e con il tempo. La
tecnologia è il mezzo privilegiato (e in molti casi il motore) di un
processo di evoluzione rapida delle società che appare con i tratti
della inarrestabilità e che spesso non risparmia territori, stili di
vita, valori, e perfino linguaggi. Un processo che spesso minaccia
tradizioni millenarie in cui valori, teorie e pratiche si sono
sviluppate e consolidate nel tempo. L’alta velocità impressa ai
processi di cambiamento, assomiglia ad una forza centrifuga che
allontana dal centro separando i singoli componenti dall’insieme,
rendendoli più uguali, più perfetti, ma certamente “più soli”.
Questo processo di separazione e “perfezionamento” non può non
riguardare anche l’universo mentale umano dove teoria e pratica
faticano a costruire figure coincidenti. Può accadere così che i
mezzi si trasformino in fini e, ad esempio, l’economia invece che
al servizio dell’uomo si presenti come la sola regola capace di
10
definire i comportamenti da adottare; oppure che anziché essere
la tecnologia al servizio dell’uomo, la terra e tutta la biosfera
diventino il luogo della proliferazione della tecnica con l’uomo al
servizio di quest’ultima.
La conseguenza antropologica è che l’individuo delle società
sviluppate e tecnologiche, si percepisce come unico soggetto
attivo e privilegiato, artefice e detentore del Progresso,
considerando “sfortunato” chi vive la condizione di mancato
sviluppo tecnologico nelle società tradizionali; e quindi oggetto di
pena e/o di solidarietà caritatevole. Si instaura così una relazione
asimmetrica soggetto - oggetto che si manifesta quasi sempre in
una presunta superiorità culturale e molto spesso anche nei
termini dello sfruttamento economico da parte delle società
“sviluppate” e dotate della tecnologia. La dignità, i valori, le
specificità culturali e finanche i territori che il mondo post-
industriale tecnologizzato avvicina, rischiano così
l’annullamento, nella arrogante convinzione che le società
tradizionali appartengano ad un passato già interamente percorso
e come tale superato dalla storia.
La necessità di ritrovare un equilibrio tra Nord e Sud, tra “Paesi
sviluppati e non”, richiede soluzioni e modelli capaci almeno di
“rallentare” la velocità impressa al sistema dal progresso
tecnologico e di lasciar “contaminare”, in senso positivo, gli
11
elementi dell’insieme come, ad esempio, la teoria economica
“perfetta” con le esigenze della vita pratica e spirituale dell’Uomo
sulla Terra.
Uno dei luoghi di questa “contaminazione” è sicuramente il
commercio equo e solidale, un laboratorio della reciprocità che
sta ripensando il rapporto tra “Nord sviluppato” e “Sud povero”
partendo proprio dai rapporti commerciali tra soggetti economici
diversi, di diversa cultura e tradizione, aventi minore o maggiore
sviluppo tecnologico, ma pari dignità umana.
1.1 La definizione e la storia del commercio equo e solidale
Per comprendere il commercio equo e solidale, evitando di
confonderlo con ideologie o forme di solidarietà assistenzialista, è
necessario svilupparne una chiave di lettura partendo dal
significato che assumono le definizioni di “equo” e “solidale”
con riferimento al commercio. In Italia è stata definita, dalla
Associazione Assemblea Generale Italiana del CEeS (AGICES)
3
,
una “Carta dei criteri del CEeS” (cfr. appendice 1).
Equità delle relazioni
Il termine equo implica innanzitutto una revisione della relazione
tra attori commerciali tra i Paesi del Nord e quelli del Sud,
instaurando un rapporto paritario tra produttori, lavoratori del
3
www.agices.org.
12
Sud, e importatori del Nord, privilegiando il confronto e il
dialogo e le forme democratiche interne. Una democrazia che
rimetta in gioco il sistema economico rendendo attive anche le
parti più deboli, conferendo loro una partecipazione ai processi
decisionali che riguardano i progetti di sviluppo, le scelte di
prezzo e di mercato e l’investimento degli utili ricavati dalle
vendite. Un rapporto paritario presuppone una conoscenza
approfondita della realtà e della cultura con cui si interagisce e si
fonda sul principio del rispetto della dignità dell’uomo in
relazione al territorio in cui vive.
Equità del prezzo
Con il concetto di equo si definiscono inoltre il pagamento dei
salari che devono permettere una vita dignitosa a produttori e
lavoratori (nel contesto locale) e il prezzo pagato per il prodotto,
che deve garantire la copertura dei costi di produzione e un giusto
guadagno.
Solidarietà dell’importatore
La solidarietà si manifesta nel CEeS non come fine a se stessa,
ma come atteggiamento di sostegno da parte dell’importatore e
del consumatore del Nord. L’importatore si impegna infatti a
mantenere rapporti commerciali preferenziali con gruppi di
produttori più svantaggiati, attraverso relazioni a lungo termine,
13
investendo nelle infrastrutture e concedendo loro dei pre-
finanziamenti o forme di microcredito.
Solidarietà del consumatore
Il consumatore diventa solidale nel momento in cui preferisce un
consumo critico pagando talvolta dei prezzi superiori a quelli del
mercato convenzionale con la consapevolezza di spendere il
proprio denaro “investendo” in un sistema di sviluppo alternativo.
Ma come nasce il commercio equo e solidale?
In Europa, alla fine degli anni ’50, la crescita economica aveva
portato un certo miglioramento delle condizioni di vita; accanto
all’aumento del benessere e all’introduzione di nuove tecnologie,
l’opinione pubblica iniziò a percepire i problemi di quei paesi che
sembravano essere così lontani: la fame e la povertà.
Cominciarono così a svilupparsi diverse campagne di aiuti
umanitari a sostegno delle popolazioni più svantaggiate. Una
delle prime campagne di commercio “alternativo” fu sostenuta
dalla fondazione Stichting S.O.S. Wereldhandel, fondata nel 1959
da alcuni membri del partito cattolico olandese, che nel 1967
sarebbe diventata la Fair Trade Organisatie.
Nel 1964 a Ginevra, all’inizio della Conferenza delle Nazioni
Unite sul Commercio e lo Sviluppo, venne lanciato lo slogan
“Traid not aid” (slogan ribadito anche nel secondo summit del
1968), che riassumeva una nuova strategia di sviluppo per far