12
Magrini, autore di finanza & high tech, sostiene che “con ogni probabilità, fra altri due
anni non avrà più senso parlare di Internet companies, perché tutte le imprese industriali
o di servizi gireranno intorno alla Rete : per rendersene conto basta dare una occhiata
all’inserto del sole 24ore economia e finanza, dove traboccano gli annunci di società
convertite alla religione digitale
2
”. Ciò perché l’uso estensivo della Rete nei processi
aziendali diverrà cosa normale e usuale., così come lo fu nei primi del secolo
l’elettricità e poi il telefono. Groove, presidente di Intel, sostiene che “questo settore
assomiglia oggi all’anatra che pare perfettamente calma in superficie ma sott’acqua
nuota alecramente. Sotto la linea di galleggiamento è in corso una enorme
riorganizzazione del business
3
”. Matthew Symonds sostiene che “in pochi anni Internet
rovescerà come un calzino il modo di fare business. Siate preparati o sparite
4
”. Jack
Welch, Ceo di Ge da 19 anni, ed eletto da “Fortune” come il Ceo migliore del
millennio, nel gennaio 1999 ha pronunciato una frase che è già entrata negli annali del
business americano : “Internet è la priorità aziendale numero uno, due, tre e quattro”.
Pertanto ha lanciato una sfida : cambiare tutto in nome di Internet con una
“conversione” digitale a 360° sul fronte sia dell’organizzazione sia dell’offerta ai
clienti
5
.
Il commercio elettronico è importante perché per la prima volta le imprese stanno
considerando la rete Internet come una fonte di business e non più semplicemente come
un canale di comunicazione alternativo.
Questo lavoro si propone l’ambizione di affrontare il tema con profondo realismo senza
sottovalutare una realtà in sicura crescita, ma al tempo stesso senza scadere nel troppo
facile entusiasmo che circonda tutto ciò che è legato ad Internet.
Nel capitolo 1 abbiamo cercato di come Internet rappresenti una nuova fase economica,
come viene sottolineato da economisti del calibro di Paul Krugman e Dornbusch.
Abbiamo evidenziato come l’uso di questa tecnologia ha portato, soprattutto negli Usa
dove l’utilizzo è stato più pervasivo, allo sviluppo degli anni ’90 accompagnata da un
contenimento dell’inflazione e ad un aumento della produttività risultato della
rivoluzione tecnologica. Un segnale di questo cambiamento deriva dal fatto che sta
1
Turani G. [a] [29-03-2000]
2
Magrini M. [d] [20-01-2000]
3
Valsania M. [a] [24-04-1999]
4
Moz L. [24-01-2000]
5
La Posta L. [d] [03-12-99]
13
sempre più cambiando il modo di fare ricchezza sempre più legata alla conoscenza
legata ai computer.
Ancora una volta una innovazione tecnologica gioca un ruolo importante sullo sviluppo
economico ed abbiamo cercato di fare una riflessione su dove ci sta portando questo
cambiamento che è stato definito da più parti epocale ed ineluttabile, poiché non è
possibile fermare ed opporsi ad ogni evoluzione tecnologica e quindi il web e le reti
sono l’equivalente dell’uso del ferro rispetto al bronzo nella fabbricazione delle armi
antiche, che non le conosce o le adotta è destinato a soccombere. Queste affermazioni
sono state supportate da dati statistici. Ciò che emerge da questa prima parte è che
Internet sta diventando una delle leve competitive più importanti con una tendenza al
suo impiego irreversibile e che interessa ogni aspetto della vita aziendale.
Dopo queste considerazioni economiche, abbiamo tracciato una breve storia della
nascita di internet che nasce, come la stragrande maggioranza delle invenzioni di questo
secolo, come strumento militare ma che si sviluppa soprattutto in ambito universitario.
Con l’invenzione del World wide web, la rete da strumento di scambio di idee e
documenti sul piano pubblico diviene mezzo pubblico e si assiste ad una straordinaria
diffusione dello strumento, soprattutto se si compara con altri mezzi di comunicazione.
L’uomo moderno ha capito che in questo media risiedono grandi potenzialità
comunicative ed informative e lo ha premiato dandogli una fiducia che nessun altro
mezzo ha ottenuto e sta diventando sempre più una commodity tanto che chi utilizza
Internet non è più un grado di rinunciarvi. Gli utenti stanno aumentando sempre di più e
sempre più famiglie si convincono a dotarsi delle attrezzature necessarie per navigare,
un po’ per curiosità, un po’ per la valutazione operata circa il futuro dei figli perché
prima si mettono i figli in condizione di navigare e meglio sarà. Tra l’altro si stanno
affermando altre tecnologie (dalla web tv ai nuovi telefoni cellulari, dalle agende
elettroniche alle prossime console di videogiochi) che consentiranno la navigazione e
che renderanno il ruolo del pc sempre più minoritario tanto è che in un futuro ormai
prossimo vi saranno tre modalità d’accesso alla rete internet ; quella seduta a mezzo
computer, quella sdraiata a mezzo televisione e quella in piedi a mezzo telefonino.
Nel capitolo 2 abbiamo analizzato l’euforia che ha coinvolto i titoli delle aziende
internet e l’irrazionalità di certi valori borsistici. Esso si è manifestato come un
fenomeno di follia collettiva che presenta analogie con la mania dei tulipani nel 600 in
Olanda e delle ferrovie alla meta del 800 in Inghilterra. L’uso della parola follia non è
14
improprio perché in una certa fase del mercato abbiamo assistito al fatto che in Borsa
venivano premiate società che non facevano profitti. Come ha ben sottolineato il
presidente della Consob Spaventa, per “quanto riguarda le società del nuovo mercato, i
prospetti rilevano che ben quattro su dieci società ammesse non avevano mai pubblicato
un bilancio annuale non prevedevano di essere in utile prima del 2001”.
L’unica logica possibile è che un titolo cresce in valore perché il numero dei compratori
supera quello dei venditori. Ma perché c’erano tanti compratori ?
I rialzi stratosferici di queste aziende sono dipesi da un insieme di fattori quali
l’attrattività di questi titoli che ha eccitato i risparmiatori di tutto il mondo perché li ha
illusi di arricchirsi velocemente senza badare troppo agli indicatori borsistici
tradizionali e ai parametri fondamentali. D’altra parte non era facile non farsi prendere
dal miraggio di facili guadagni e tantissimi piccoli investitori hanno investito sull’onda
della emotività più che della consapevolezza. Era come una corsa all’oro ma come ha
sottolineato Morgan Stanely “in ogni corsa all’oro molti partecipano, solo pochissimi
cercatori trovano l’oro e diventano ricchissimi, ma a fare soldi furono soprattutto le
fabbriche che producevano le pale ed i picconi usati dai cercatori”. D’altra parte questo
è lo schema già seguito dall’economia nel corso di altre rivoluzioni tecnologiche e si sta
attuando quello che è stato definito come “darwinismo digitale” per indicare l’aspetto
più doloroso dell’evoluzione, cioè la selezione cruenta e la scomparsa dei più deboli.
Anche gli investitori istituzionali si sono adeguati alla moda ed hanno riconosciuto
valori enormi ad iniziative che promettono grandi cose per il futuro, indipendentemente
da qualunque riscontro oggettivo del presente. Anche essi hanno adottato una ottica a
breve ed hanno cercato di uscire al momento opportuno.
L’impressione che si ha di queste aziende è che sono state creature semi artificiali,
costruite per cogliere una fortissima domanda finanziaria. Un sacco di gente voleva
investire, anzi speculare, su questo genere di aziende e molti si sono quotati
rapidamente dato che in tal modo potevano avere molti più capitali di quelli che erano
pronti a riconoscere i finanziatori tradizionali. Una prova di ciò deriva dal fatto che una
ricerca della Purdue Univerity
6
ha addirittura mostrato che tante aziende che si sono
dichiarate high-tech, adottando il suffisso dotcom, hanno registrato impennate in Borsa
dell’ordine del 63% nei cinque giorni seguiti dalla variazione del nome e dell’80%
sull’arco dei 10 giorni. Ma è sempre un errore farsi trascinare in Borsa dalle mode,
come si evince da un articolo dell’Economist e ben presto si è scoperto la durezza delle
15
leggi economiche. All’euforia iniziale è seguita una delusione acuta come acuta era
stata la febbre del rialzo. Da marzo 2000 sono tornati di moda i fondamentali ed il
mercato è diventato più selettivo e non premia indistintamente chiunque e non è più
sufficiente cambiare un nome per avere successo in Borsa. Da quella data si sta
iniziando a valutare le prospettive di crescita, la solidità patrimoniale e la solidità del
management e la new economy non ha ancora abrogato la differenza tra il rosso delle
perdite ed il nero degli utili.
Dal capitolo 3 abbiamo iniziato ad analizzare il commercio elettronico rivolto al
consumatore finale, il cosiddetto business to consumer (B2C) da non confondere con il
business to business (B2B), cioè transazioni tra imprese. Innanzitutto abbiamo
sottolineato che il principale motore che spinge il navigatore a navigare non è certo lo
shopping online ma il desiderio di comunicare. Infatti la maggior parte del tempo è
dedicata al leggere e scrivere email o a chattare. Dopo abbiamo evidenziato come il
business to consumer è ancora ad una quota irrilevante in rapporto al totale delle
vendite al dettaglio e che il commercio elettronico riguarderà soprattutto le transazioni
tra imprese (B2B). Successivamente abbiamo cercato di analizzare i motivi per cui da
noi il commercio elettronico non è sviluppato ed abbiamo individuato :
ξ fattori climatici - ambientali, cioè il fatto che i Italia mancano le grandi distanze ed il
clima ostile, caratteristiche che favoriscono la diffusione del commercio elettronico
ξ fattori tecnologici, intendendo la insufficiente presenza di linee telefoniche ed il
ritardo verso linee digitali e via cavo
ξ ma soprattutto fattori culturali, cioè il fatto che gli italiani sono più propensi ad
acquistare telefonia mobile rispetto ai computer ed il boom della telefonia mobile in
Italia ha colpito pure Bill Gates che fa derivare tale risultato dalla maggiore propensione
degli italiani al dialogo. Ciò porta al risultato paradossale che l’Italia è un paese saturo
di telefonini, ma ancora nelle retrovie rispetto ai partner europei per quanto riguarda la
diffusione di pc, la presenza di websites e di navigatori sulla rete. Pertanto ad un
primato sui telefonini si contrappone un atteggiamento ancora primordiale su Internet e
ciò non deriva né dal costo delle telecomunicazioni, tra i meno cari in Europa, né da
fattori di reddito, dato che paesi con un minore o uguale reddito medio al nostro hanno
una maggiore quota di internauti e di diffusione del pc. Tuttavia sottolineiamo come
l’iniziativa di molti gestori telefonici del free internet abbia fatto crescere in maniera
6
www.purdue.edu
16
esponenziale gli utenti internet italiani. Tra i fattori culturali abbiamo inserito anche la
scarsa tradizione del nostro paese di vendita a distanza, dato che Internet può essere
considerato come l’evoluzione delle vendite a distanza, e sicuramente l’abitudine ad
acquistare presso il proprio domicilio è una circostanza che facilità la penetrazione del
commercio elettronico. L’Italia è legata ad una mentalità in cui l’acquisto passa ancora
attraverso un rapporto faccia a faccia con il venditore, manca la fiducia a trattare con chi
sta a distanza, vi è una abitudine al “passeggio” e ovviamente la grande frammentazione
della distribuzione commerciale ha stimolato più che altrove il contatto fisico. Sembra
forte la matrice culturale che considera fondamentale vedere e toccare prima di
comprare.
Dopo queste considerazioni abbiamo cercato di capire quali beni si vendono meglio via
Internet invece che con i normali canali partendo dal presupposto che il consumatore,
nonostante la comodità dell’acquisto da casa, per preferire il canale virtuale deve
percepire ciò come un vantaggio o una esperienza che fa la differenza rispetto al canale
tradizionale. Pertanto abbiamo analizzato per quali prodotti si è sviluppato il commercio
elettronico.
Inizialmente è stato posto l’accento sui prodotti high tech, i primi ad essere
commercializzati sul web, in quanto maggiormente attrattivi per la prima generazione di
navigatori che era composta per lo più da appassionati di informatica. Successivamente
abbiamo evidenziato come il web sia adatto per la commercializzazione di merci
standard e di modesto valore mentre per l’acquisto di un automobile, per esempio, si
sarà disposti a fare un viaggio dal proprio concessionario, per vedere effettivamente
cosa si sta comprando.
Sicuramente il canale Internet, che consente di risparmiare tempo, risulta avere notevoli
potenzialità perché nella tendenza di consumo degli anni 90 vi è una domanda di time
saving. Svariate ricerche indicano, per esempio, l’estremo interesse a ricevere
direttamente a casa gran parte della spesa domestica ed il tempo sottratto a questa
corvée domestica viene destinato ad altre più gradevoli incombenze di tempo libero e da
qui nasce lo spazio di mercato che websites, all’Estero ma anche in Italia, di grocery on
line che stanno cercando di occupare. Il momento in cui si farà la spesa stando a casa,
con tutti i mutamenti che esso comporta, potrebbe diventare presto realtà.
Infine, poiché internet è pur sempre un canale efficace per distribuire informazioni e che
il web mette a disposizione una quantità incredibile d’informazioni “a portata di
mouse”, riteniamo che è un adeguato strumento per tutti quei beni che abbiamo
17
chiamato information intensive, che per essere venduti necessitano di maggiori
informazioni che difficilmente si trovano nel canale reale. Una delle chiavi di successo
per vendere su Internet è la capacità di sfruttare il valore aggiunto della Rete in modo
che le persone siano disposte a rinunciare all’acquisto di tipo tradizionale. Per esplicare
questo concetto abbiamo preso in considerazione i casi più pubblicizzati di commercio
elettronico come Amazon, che vende libri on line, al trading on line per finire al settore
dei viaggi. In questi casi i beni o servizi sono venduti sul mercato virtuale perché sono
accompagnati da servizi che consentono un valore aggiunto. Infatti le librerie on line
consentono l’opportunità di consultare cataloghi, leggere recensioni o presentazioni
fatte da terzi, ricevere segnalazioni di nuovi libri di probabile interesse. Nei servizi di
trading on line, oltre a poter operare in mercati esteri, troviamo database dove
scegliendo un titolo è possibile sapere qualsiasi cosa su andamenti, rapporti, notizie di
stampa, prospettiva, pericolosità, previsioni degli analisti ed addirittura vi è la
possibilità di avvisi via email o tramite telefonino con messaggio sms quando il titolo
segnalato scende sotto certi valori indicati. Sempre con il telefonino è possibile fare
compravendita di azioni. Per quanto riguarda il turismo, il web e l’era telematica hanno
fornito agli utenti un mezzo efficace per pianificare un viaggio e prenotare, senza
muoversi da casa o dall’ufficio, hotel, aerei, auto a noleggio, tavolo al migliore
ristorante. Tutte queste operazioni possono essere fatte in modo molto più agevole
rispetto al passato e si può accedere ad una vastità d’informazioni ed offerte
notevolmente superiore a quanto è disponibile offline. Con Internet il turismo invece
che organizzato è sempre più fai da te e le agenzie stanno sempre più perdendo la loro
funzione originaria di mettere a disposizione del cliente una gamma di alternative ed
individuando i prezzi più competitivi perché non possono competere con internet e con
quei siti che forniscono tutti quei servizi aggiuntivi come le informazioni sui luogo di
destinazione. La cultura del viaggio sta cambiando da on the road a on line.
Nel capitolo 4 siamo partiti da una ricerca del Boston consulting group
7
da dove emerge
che nonostante in Italia il commercio elettronico sia a livelli inferiori rispetto agli altri
paesi europei, i pochi siti italiani che fanno commercio elettronico non sono in grado di
soddisfare la poca domanda che c’è, la quale trova sbocco in siti stranieri. Pertanto se
c’è qualcosa da lamentare non è solo l’ampiezza della platea dei potenziali compratori,
quanto la qualità e focalizzazione dei potenziali venditori. Ci siamo interrogati sul
18
perché il commercio elettronico italiano è composto da acquisti effettuati da
consumatori italiani su siti stranieri piuttosto che da transazioni effettuate da
consumatori stranieri o italiani su siti delle imprese italiane.
Il motivo è che molti siti italiani non sono adeguati alla realtà di commercio elettronico
anche perché non hanno ancora capito come gestire un canale commerciale
completamente nuovo scontando un forte ritardo culturale. Varie ricerche hanno
evidenziato diversi limiti dei website italiani, sia sul fronte della sicurezza, in quanto
spesso le transazioni non sono criptate, sia sul fronte della logistica, poiché pochi siti si
sono attrezzati per gestire adeguatamente la logistica, sia sul sistema di relazione ed
interazione con i clienti, alla base del successo su ogni iniziativa sulla rete. Siti ben
costruiti, affidabili, efficaci, leggibili sono sempre più importanti perché la loyalty nel
commercio elettronico è bassissima, nel senso che basta un click perché il cliente cambi
location e non si faccia più vedere. Molti non hanno capito la natura interattiva e
bidirezionale dello strumento. Invece in Italia i website sono più che altro rivolti alla
realizzazione dei siti destinati a fornire informazioni sull’azienda (siti vetrina) e solo
una minima parte di loro ha varato strategie per avere un ruolo attivo nell’e-commerce.
Molti sono sul web senza un progetto, ma un progetto senza obiettivi è un progetto che
non ha gambe su cui reggersi. Il successo dell’iniziativa di andare on line si ha quando
le strategie per il marketing del sito, la sua realizzazione grafica ed il pieno supporto
aziendale all’iniziativa si compongono in armonia. Troppo facile per essere vero. Inoltre
tra quei pochi che vogliono fare e-commerce non tutti sono scritti in inglese. Pertanto si
desume che viene visto come uno strumento per crescere all’interno del loro paese,
piuttosto che come un arma per entrare in altri mercati. Alcune ricerche hanno notato
un atteggiamento prudente verso la rete, con una strategia attendista osservando le
mosse che fanno i loro competitori. Le aziende italiane vanno in rete solo se lo fanno i
concorrenti oppure i loro principali clienti glielo chiedono. Invece l’atteggiamento
dovrebbe essere proattivo ed il canale internet andrebbe presidiato con maggiore
convinzione strategica, non certo perché bisogna esserci.
I fattori che spiegano questo stato di fatto sono stati suddivisi in :
ξ fattori economici, con poche risorse destinate ai siti web italiani. Ciò si evince da un
insufficiente investimento per la creazione del sito e da un non adeguato budget medio
annuo di promozione del sito stesso. I sognatori della nuova economia erano convinti
che fosse sufficiente creare un sito internet e fornirsi di un server sicuro per entrare nel
7
www.bcg.com
19
mercato globale. Troppo facile per essere vero ! ! Aprire un sito internet efficiente
implica almeno 3 anni di investimento senza ritorno di utili. Naturalmente senza soldi
non si cantano messe, neanche virtuali ! ! Le poche risorse economiche derivano dal
fatto che da noi il venture capital è allo 0,02% del Pil, rispetto ad una media europea
dello 0,06% a sua volta ben lontano dai risultati statunitensi e nella rete per lanciarsi nel
mondo del commercio digitale serve, oltre che una idea ed una buona conoscenza dei
meccanismi della Rete, anche dei capitali per decollare, visto che è ormai terminata la
fase pionieristica. Infine abbiamo indicato anche le caratteristiche del nostro sistema
bancario che lavorano su garanzie patrimoniali, che non sempre le persone che hanno
buone idee possono o vogliono offrire, piuttosto che sulla valutazione e sul rischio di
una idea
ξ fattori socio - culturali. Tra i nostri imprenditori vi è una incapacità nel capire lo
strumento, come emerge dalle parole di Raimondo Boggia, fondatore di una impresa
che realizza siti web, extranet ed intranet. Ciò sembra derivare dalla nostra cultura
imprenditoriale. Infatti sembra che i nostri imprenditori non sono abituati a rischiare al
di fuori dei business tradizionali. Pertanto sono più lenti a trarre le implicazioni
strategiche ed organizzative dell’economia elettronica e si guarda ad internet come se
fosse un gadget, invece che di un arma seria di business. Inoltre abbiamo indicato anche
il fatto che negli Stati Uniti vi è un contesto sociale che favorisce l’imprenditorialità e
non vi è una legislazione che criminalizza l’imprenditore che fallisce tanto che si dice
spesso che non si può essere un business man di successo se non si è falliti almeno una
volta. È considerata un esperienza utile. Lo stesso non si può dire in Italia poiché
quando si crea una nuova azienda e questa fallisce, in pratica non si riesce ad avere
finanziamenti per nuove imprese. Negli Stati Uniti, invece, in caso del genere, si viene
addirittura considerati più esperti e sarà sempre possibile ricevere finanziamenti. È
quello che Thurow chiama creazione “di un ambiente imprenditoriale dinamico e dotato
di forte spinta alla crescita”
ξ fattori derivanti dalla tipologia del nostro tessuto produttivo, strutturato su piccole e
medie imprese, e pertanto meno propense ad investire nelle tecnologie. Infatti
l’Information Technology ed internet non sono popolari nelle Pmi e ciò avviene anche
in America dove solo 1,4% delle Pmi con meno di cento dipendenti utilizza la rete per
vendere beni e servizi. Inoltre più le aziende sono micro, più le tecnologie diventano
oggetti misteriosi. Inoltre il nostro sviluppo è derivato da operatori del Nord Est,
prevalentemente specializzati su produzioni a bassa intensità tecnologica, non su
20
produzioni research intensive. Si assiste ad una crescita di peso dei settori tradizionali a
scapito dei settori high tech. Inoltre, in questa fase caratterizzata da cambiamenti così
profondi, risultano sempre più importante servizi di consulenza gestionale,
organizzativa e manageriale ma, essendo caratterizzata la nostra struttura produttiva da
piccole e medie imprese, che non sono avvezze a servirsi di consiglieri esterni
all’azienda, ecco che le imprese italiane rimangano spiazzate.
ξ fattori derivanti dalla politica industriale dell’Italia, perché l’Italia destina agli
investimenti in ricerca e sviluppo meno della metà della quota del Pil che vi dedicano i
maggiori paesi industrializzati e ciò fa perdere terreno al nostro paese nei settori ad alto
contenuto tecnologico. Anche gli investimenti privati in R&S delle imprese sono poca
cosa e conferma che la struttura industriale, pur rimanendo export oriented, è
sostanzialmente legata a settori che richiedono scarsi investimenti in tecnologie.
Praticamente la specializzazione è orientata verso settori tradizionali, cioè vendiamo
moda, mobili, scarpe, ma l’alta tecnologia sembra non interessarci. Discorso totalmente
diverso negli Stati Uniti dove si assiste al boom di ricerca e sviluppo
ξ fattori derivanti dalla nostra struttura formativa con uno scollamento tra mondo
accademico e mondo economico come se fossero antagonisti. Mentre negli Stati Uniti le
università hanno un rapporto più stretto con le aziende con strutture di collegamento tra
ricerca di base, ricerca applicata e trasferimento al mondo produttivo, da noi registriamo
una quota dei nostri ricercatori che è la metà degli altri paesi industrializzati. Altra colpa
del nostro sistema scolastico e che non sforna un numero adeguato di persone adatte a
lavorare su Internet. Il problema, che va sotto il nome dello skill shortage, in realtà
affligge tutti i paesi industrializzati tanto che molti paesi stanno facendo politiche di
apertura dei visti per gli esperti stranieri. Inoltre il nostro Paese registra una quota bassa
sia di laureati che di diplomi di scuola media superiore, ma è stato rilevato che il 50% di
fondatori di imprese Internet hanno un titolo di studio post universitario e che un
ulteriore 47% ha frequentato il college. Pertanto nella net economy spazi a chi non ha
acquisito una formazione di alto livello tendono a ridursi allo zero. Anche le strutture
nella nostra scuola sono sotto la media sia nelle scuola dell’obbligo (51 studenti 1 PC)
che nella scuole superiori (14 studenti 1 PC) ed analoghe percentuali si trovano nelle
percentuali di scuole collegate alla rete. Inoltre nelle università e nelle scuole medie
superiori i corsi di laurea ed i master dedicati alle nuove tecnologie sono ancora
pochissimi. Le classi politiche da noi hanno trascurato per lungo periodo
l’insegnamento delle nuove tecnologie ai nostri studenti e non hanno mai dato
21
importanza all’high tech. La contrario gli studenti americani avevano acquisito, durante
il periodo formativo, familiarità con le nuove tecnologie che poi hanno proiettato nella
società. Il risultato di tale politiche è che gli studenti italiani siano tra i più delusi al
riguardo al nostro sistema educativo perché poco concreto ed inadatto alle esigenze del
mercato del lavoro. Infine il nostro sistema scolastico insegna poco l’inglese (3 ore
settimanali contro le 6 ore settimanali degli altri paesi europei), lingua franca del mondo
di internet.
Nel capitolo 5 abbiamo analizzato il ruolo fondamentale che rivesta la logistica per le
iniziative di commercio elettronico di beni tangibili perché è necessario tenere conto del
fatto che sulla rete possono viaggiare byte e non atomi e ciò comporta il fatto che la
vendita debba fare i conti con la necessità di trasportare fisicamente i beni venduti dal
luogo di produzione a quello d’acquisto. La logistica in Internet è la condizione
pregiudiziale per il successo di ogni iniziativa. La logistica deve rispondere con
efficacia alla nuova domanda che deriva dal commercio elettronico. Occorre adeguare i
sistemi logistici perché i sistemi logistici distributivi tradizionali non risultano adeguati
ad affrontare questa sfida. Lo sviluppo del b2c comporta non più spedizioni medio
grandi a poche e note destinazioni ma spedizioni medio piccole a tantissime
destinazioni non ricorrenti. Occorre ripensare da zero la distribuzione fisica. Inoltre la
logistica va considerata non solo in direzione del consumatore ma anche dal
consumatore al venditore nel caso in cui qualcosa va storto. Una customer care scadente
può minare il rapporto tra i venditori e la nuova clientela del web. Ciò perché non
accada quello che è successo nel Natale ’99 in America dove i siti peccarono per quanto
riguarda la puntualità e l’affidabilità delle consegne perdendo così clienti e questo ha
rischiato di minare il rapporto virtuale appena instaurato tra il consumatore e le imprese
che utilizzano i negozi online. Si ricordi che la loyalty nel commercio elettronico è
bassissima, nel senso che basta un click perché il cliente cambi location e non si faccia
più vedere. Infatti i cyberacquirenti esigenti sopportano a fatica attese troppo
prolungate per ricevere a casa le merci ordinate via internet. Il b2c avrà successo se le
capacità di consegnare saranno adeguate alla velocità d’acquisto. La più brillante delle
idee, la più intraprendente delle dot.com, la più convinta delle net company senza una
logica strutturata funzionale ed efficace non ha alcuna probabilità di successo.
Nel nuovo scenario uno dei rischi più ricorrenti è che al momento della consegna il
cliente non sia a casa, rendendo tutto più scomodo per lui è più costoso per il corriere.
22
Per ovviare a ciò si sono affermati i concetti del pick up point, cioè punti fisici che
funzionano come centri logistici dove viene lasciata la merce e dove l’utente va a
ritirarla. Infine abbiamo evidenziato una ricerca dalla quale si evince che il commercio
elettronico italiano esce malconcio dal confronto con i principali paesi della Ue ed
addirittura in Italia arriva prima la merce ordinata dall’estero che quella scelta nei siti
nazionali
Nel capitolo 6 abbiamo visto che l’importanza del servizio logistico scompare per i
prodotti digitalizzabili, poiché la consegna di ciò che abbiamo comprato avviene via
internet. Pertanto Internet per tali prodotti rappresenta un futuro perché i costi di
distribuzione tendono allo zero. Quindi abbiamo analizzato varie applicazioni di questa
rivoluzione digitale.
Siamo partiti dal successo registrato dal formato mp3, il formato che trasforma la
musica in files che possono essere trasmessi vai internet, che si sta affermando come
sistema per veicolare la musica con costi di distribuzione irrisori, tanto che le case
discografiche si stanno interrogando se, nell’era di Internet, i cd venduti nei negozi sono
ancora il mezzo più efficiente per venderla. C’è il caso che tra non molto non sarà più
necessario andare in negozi per acquistare l’ultimo lavoro del cantante preferito, ma si
potrà scaricare sul proprio PC dalla rete. Il motivo per cui le case discografiche prestano
attenzione al digital downloading deriva dal fatto che per loro può essere un buon
affare dal momento in cui con questa modalità non devono affrontare il costo di stampa
dei cd né quello della distribuzione. L’importante per loro è che vengono salvaguardati
i diritti d’autore e che la musica non sia distribuita in maniera gratuita, come è accaduto
con siti come Napster.
Un altra applicazione riguarda l’industria editoriale e va sotto il nome di e-publishing.
Questa applicazione ha attirato l’interesse del settore editoriale in quanto consente di
stampare solo i libri richiesti dal mercato, risparmiando sulle scorte invendute, stimate
nel 30-40% delle copie totali, eliminando i costi di stoccaggio ed evitando il fenomeno
dell’uscita dal mercato di titoli perché sono esauriti e non è economico ristamparli a
basse tirature. Il processo editoriale prevede l’elaborazione del contenuto, la stampa
secondo una stima che può rilevarsi aleatoria, il recupero dei resi a fronte di un minor
acquisto. Internet permette nuove condotte competitive che modifica la struttura stessa
del ciclo di progettazione vendita nel senso che prima si vende e poi si stampa,
eliminando così i problemi delle copie invendute. Viene ribaltato il concetto di “print
23
first sell later” in “sell first print later”. Tuttavia con Internet esiste anche la possibilità
che i libri non vengano neanche stampati perché risiedono nel supporto digitale di un e-
book e pertanto i volumi potrebbero essere acquistati e scaricati immediatamente dalla
Rete. I costi di produzione di un e-book sono enormemente inferiori rispetto a quelli di
un libro tradizionale perché l’e-book non ha bisogno di essere stampato, né di legatura,
non occupa spazio in un magazzino, non va spedito, non va reso ed infine non ha
neppure bisogno di essere macerato per far posto ad altri libri. In tal modo i costi di
produzione di un e-book sono enormemente inferiori a quelli di un libro tradizionale.
Anche Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, è convinto che presto gli e-book si
affermeranno. Molti editori sono impegnati in questa direzione e vi stanno investendo
massicciamente. L’e-book sembra adatto per quei libri che necessitano di continui
aggiornamenti, come i libri scolastici ed i libri per avvocati e medici, evitando così
nuove stampe.
Infine abbiamo visto che la rivoluzione digitale potrebbe anche abbracciare anche la
distribuzione dei film con il Divx, che rappresenta per i filmati ciò che mp3 rappresenta
per la musica. Le tecnologie attuali però non consentono uno scaricamento dei film
soddisfacente, con tempi talmente lunghi da far in ogni modo preferire agli utenti il
classico affitto serale nella più vicina videoteca. Tuttavia ciò non esclude che se lo
sviluppo tecnologico porti ad una adeguata larghezza di banda e si riesca ad arrivare a
trasferimento di contenuto multimediale con tempi e modalità sufficienti. In tal caso lo
scaricamento di un film sul nostro PC potrà diventare realtà e non ci sarà più bisogno di
andare a prelevarlo alla videoteca ma direttamente da Internet.
Nel capitolo 7 abbiamo analizzato il problema della sicurezza sotto tre diversi aspetti :
quelli legati alla sicurezza delle transazioni, quelli legati alla sicurezza dell’operatore
commerciale e quelli legati alla privacy.
Per quanto riguarda il primo aspetto abbiamo notato che vi è un certo scetticismo tra gli
utenti ad utilizzare la propria carta di credito per il timore di truffe. Questo problema è
stato sicuramente amplificato dai media, che hanno allontanato il consumatore dal
commercio elettronico. Tuttavia bisogna riconoscere che nel web, per le sue stesse
caratteristiche, poiché è una rete che attraversa tutto il globo, è impossibile garantire la
sicurezza completa. L’utilizzo della carta di credito rappresenta uno dei punti più critici
del commercio elettronico, soprattutto per i timori legati alla sicurezza delle transazioni.
Per questo abbiamo elencato varie soluzioni per ovviare a tali problemi : dalle password
24
agli accordi tra le varie banche, per garantire sia sull’identità dell’acquirente che del
venditore, dall’andare su siti protetti da sistemi di crittografia riconosciuti a livello
internazionale, che garantiscono che il numero della carta di credito almeno non sia
intercettato nel percorso che lo porta dal computer dell’acquirente al server del
venditore, alla firma digitale, con il sistema delle doppie chiave di cui una custodita
dalla certification authority, dalla carte con microchip a quelle prepagate ed usa e getta,
per finire ai firewall, che cercano di salvaguardare i server dove sono custoditi i dati
della carta di credito. Infine abbiamo evidenziato che è difficile affrontare il
cybercrimine, sia per la transazionalità, perché questi reati connessi con l’uso della
tecnologia vanno a coinvolgere più paesi e conseguentemente più magistrature e diverse
forze dell’ordine, sia per l’inadeguatezza normativa, in quanto l’evoluzione tecnologica
consente sempre nuovi strumenti d’attacco che risultano molto più veloci della capacità
del legislatore di seguire l’evoluzione tecnologica, sia per una scarsità di denunce delle
aziende colpite, che non dichiarano con facilità di avere subito crimini informatici
perché teme gli effetti negativi sui clienti e sulla Borsa derivante dalla pubblicità
indesiderata sulla fragilità delle proprie infrastrutture tecnologiche.
Per quanto riguarda il secondo aspetto abbiamo evidenziato come ancora il web sia un
far west senza sceriffi perché non c’è agenzia governativa che verifichi chi c’è dietro i
nomi che appaiono sul web, ed il consumatore è estremamente vulnerabile.
Occorrerebbe che le autorità pubbliche creino delle agenzie di vigilanza ad hoc per il
commercio elettronico così come già avviene per il commercio elettronico. Il visitatore
deve essere sicuro che il sito contattato sia davvero un punto di vendita elettronico e
non una truffa. Per questo si sta andando verso la certificazione dei siti e stanno
nascendo marchi che vengono rilasciati solo agli operatori che rispettino determinate
regole di comportamento.
Infine vi è una crescente preoccupazione riguardo al problema della privacy ed alla
tutela dei dati personali e le persone non sono contente che le proprie abitudini vengano
catalogate, inserite in archivi o database e vadano ad arricchire le richiestissime indagini
di mercato
Nel capitolo 8 abbiamo analizzato l’interazione con il cliente evidenziando il fatto che a
frenare l’esplosione del commercio elettronico è la freddezza del mezzo e
l’impersonalità. Il commercio elettronico si basa sulla virtualità del prodotto offerto e
sull’asetticità del rapporto tra cliente ed azienda. Per diminuire la freddezza intrinseca
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nel mezzo abbiamo citato il tentativo fatto da Printemps con il commesso virtuale, e la
possibilità offerta dal sito Esperya di chattare con i “banconisti”. Tuttavia questi
strumenti non sono sufficienti per entrare nel cuore del cliente. Tuttavia il canale
Internet ha anche delle qualità in quanto dà la possibilità di monitorare e registrare
costantemente le attitudini e le preferenze del cliente, con un contatto sicuramente meno
diretto e personale, ma più memorizzabile in un database. Ciò è reso possibile sia con
sistemi a monitoraggio attivo, dove l’utente fornisce informazioni in modo esplicito
ordinando per esempio prodotti, che con sistemi a monitoraggio passivo, grazie ai
cosiddetti cookie che sono strumenti tecnici per memorizzare determinati
comportamenti del navigatore consumatore, normalmente a sua insaputa. Con i cookies
le abitudini dei navigatori vengono acquisite in modo impercettibile perché sono in
grado di pedinare un navigatore nei suoi spostamenti apparentemente anonimi. Le
informazioni lasciate più o meno attivamente dall’utenza all’interno del proprio negozio
virtuale sono utili per effettuare elaborazioni statistiche, ottimizzare la struttura del sito
che viene riprogettato in funzione dei segnali che l’utenza lascia, ma soprattutto
effettuare azioni di marketing one to one con offerte personalizzate che va a sostituire il
marketing di massa. L’interattività del canale internet consente di mantenere un
rapporto continuo con il consumatore, di realizzare sofisticate politiche di fidelizzazione
basate sulla possibilità di accumulare e comprendere un’enorme quantità d’informazioni
sui comportamenti ed i gusti del cliente. Chi fa commercio elettronico deve saper
“ascoltare” le esigenze del consumatore “per parlare la sua voce”. Chi fa commercio
elettronico deve avere bene in mente che l’ “e-consumer” ha caratteristiche
antropologiche tipiche con un forte orientamento all’autonomia ed un atteggiamento
proattivo, sensibile al rapporto prezzo/qualità e che esige elevati standard di servizio. Il
protagonista dei consumi dell’era digitale ha caratteristiche antropologiche diverse da
quello tradizionale e questa discontinuità va percepita nella sua interezza. Infine
abbiamo visto come l’e-mail stia progressivamente sostituendo la posta tradizionale nel
marketing diretto per i suoi vantaggi quali abbattimento dei costi di spedizione, la
ricezione immediata e nessun rischio che la posta vada perduta.
Nel capitolo 9, quello finale, abbiamo infine affrontato i problemi organizzativi che
l’adozione del commercio elettronico comporta. Infatti l’entusiasmo per il commercio
elettronico non ci deve far dimenticare che occorre una completa revisione dei processi
aziendali. Le imprese devono comprendere che l’economia digitale comporta la
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ridefinizione dei processi organizzativi al fine di sincronizzare le attività tradizionali
con quelle di stampo telematico. Per fare commercio elettronico non è sufficiente
dotarsi di un sito web, ma occorre andare in profondità ed accettare di cambiare il
modello organizzativo. Abbiamo evidenziato come vi sia una nuova logica
commerciale. Come dice Bradley, le aziende devono passare da una logica make & sell,
cioè dal fare e vendere, al sense & respond, dove il produttore pianifica la produzione a
partire dagli ordini ricevuti. Mentre le aziende stile make & sell sono quelle fedeli ad un
modello industriale basato sul ciclo strategia annuale - budget - piano industriale -
esecuzione del piano e dove la produzione è per il magazzino, nelle aziende sense &
responde la produzione è attivata solo dopo il ricevimento dell’ordine. La Dell
computer è sicuramente un azienda sense & responde.
Inoltre per un azienda vendere direttamente i propri prodotti su Internet significa un
radicale cambiamento di approccio al canale di vendita con relativi problemi perché si
passa da un canale di vendita indiretto ad uno diretto e ciò implica :
ξ la nascita di conflitti potenziali con i canali distributivi. La vendita diretta non è
compatibile con quella indiretta perché i canali tradizionali di vendita si sentiranno
minacciati dalla concorrenza di questo ulteriore canale di vendita a meno che non si
riesca a coinvolgere in qualche modo il canale nella vendita on line, oppure creando
prodotti destinati esclusivamente ad essere commercializzati via internet, oppure non
mettendo in competizione i due canali, cioè il cliente dovrà ricevere sempre lo stesso
prezzo a prescindere dal canale utilizzato. Le aziende devono cercare di sviluppare
questo nuovo canale di vendita senza compromettere quello esistente, dal momento che
è anche quello più redditizio poiché la clientela telematica è ancora ristretta
ξ un radicale aumento dei dati relativi alla distribuzione e agli stessi clienti. Infatti,
vendendo direttamente ai clienti, le informazioni che dovrà gestire aumentano in modo
considerevole e cambiano anche dal punto di vista qualitativo. Pertanto passando da un
canale indiretto ad uno diretto bisogna adeguare il sistema informativo aziendale
altrimenti può risultare sottodimensionato rispetto alle nuove esigenze
ξ la necessità di operare in tempo reale. Infatti mentre con i canali indiretti le imprese
non hanno la necessità di aggiornare le procedure in tempo reale, che possono essere
gestite con un approccio “batch”, aggiornando i dati una volta ogni tanto, quando si fa
vendita via internet tutte le operazioni devono essere gestite in modo immediato. Ciò
comporta l’adozione di un approccio informatico basato sui processi che consente una
integrazione di tutte le fasi del commercio elettronico, dalla gestione di contenuti ed
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applicazioni alla consegna delle merci. Da qui l’introduzione di un sistema informativo
fortemente orientato ai processi che abbia sposato le logiche tipiche di un prodotto ERP,
dove i sistemi informativi non sono organizzati per cicli processi, ma per funzioni. In tal
modo questi programmi consentono la possibilità di integrare tutte le funzioni aziendali,
dalla produzione alla contabilità, dalla finanza alla gestione del magazzino, in una unica
piattaforma operativa che considera ognuna di queste attività come un singolo processo
da gestire in tempo reale. Le varie componenti dei processi di business vengono sempre
più integrate. La disponibilità di un sistema informativo adeguato e una organizzazione
dell’impresa basato sui processi diventano fondamentali.
Le organizzazioni, per essere vincenti sul web, devono avere strutture organizzative
radicalmente diverse rispetto al passato, e si stanno affermando sempre più le spaghetti
organisation, caratterizzate da peculiari paradigmi organizzativi. L’organizzazione si
appiattisce e si afferma sempre più una logica di tipo cooperativistico. Il lavoro viene
sempre più organizzato per progetti, non per funzioni o dipartimenti, e a seconda del
tipo di progetto da realizzare si raduna il personale ad hoc e si ripartiscono i compiti. Le
rigide gerarchie ed i modelli organizzativi piramidali sono sempre più erosi a favore di
modelli organizzativi più orizzontali nei quali la conoscenza è condivisa, le
comunicazioni sono informali e la flessibilità sostituisce la gerarchia. I processi
decisionali non devono essere troppo farraginosi, anche perché le aziende internet, che
operano in contesti molto incerti ed imprevedibili, devono prendere decisioni molto
rapide di fronte al mutare delle condizioni. L’informazione viene sempre più condivisa,
diviene un bene aziendale ed una leva competitiva (vedi caso GKN), non più una
talvolta e perversa forma di gestione del potere.
Dopo queste riflessioni abbiamo analizzato anche che Internet, oltre a ridefinire i
confini organizzativi, ha una influenza anche nella funzione di comunicazione della
azienda
ξ sia verso l’esterno, perché comunicare la propria presenza su Internet impone alle
aziende una riflessione non solo sulla novità linguistica del mezzo ma anche sulla
novità linguistica, oltre che funzionale, dell’informazione. Infatti i siti internet non
devono avere testi lunghi, anche a causa della minore leggibilità della lettura a video
ξ sia nelle comunicazioni all’interno dell’azienda, perché viene meno la distinzione
netta tra comunicazioni formali ed informali