Valentina Sonzini
Cominus et eminus: la tipografia alla Campana. Annali di Vittorio Baldini (1575-1618)
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LA FERRARA NEL CINQUECENTO,
LA VISIONE STORICA
E LA RICHIESTA DI LIBRI DELLA CORTE ESTENSE
1.1 INTRODUZIONE
Le riflessioni sul metodo adottato nell’intraprendere questo lavoro meritano di essere
chiarite sulla base di alcune considerazioni. In primis, è risultato scontato che una
dimensione operativa venisse delineata preliminarmente per consentire una ricerca attenta
e puntuale. In seconda istanza, andava sviluppato l’intento con cui ci si approcciava ad una
materia, quella della storia della stampa e dell’editoria, indagabile sotto vari punti di vista.
In corso d’opera, la lettura di alcuni testi di Guido Guerzoni, ha consentito di illuminare
almeno in parte l’insidioso frangente della metodologia storica applicata all’ambito
ferrarese, privilegiando alcuni aspetti nella ricerca su Vittorio Baldini. È apparso chiaro che
non si poteva parlare dell’uomo senza conoscere il contesto socio-culturale nel quale lo
stampatore si trovava a svolgere le sue funzioni. Ma è risultato altrettanto palese, che solo
riferendosi all’oggetto libro si poteva condurre un’esperienza legata appunto al libro. Si è
quindi preferito privilegiare la “sostanza” libraria alla “forma” storica tout-court.
Parafrasando un paragrafo di Guerzoni, si è giunti alla constatazione che ci si doveva
sottrarre, nell’analisi della produzione del Baldini, “all’unione improcrastinabile, per quanto
compromissoria, di qualità e quantità, ritratto biografico e paesaggio istituzionale, vicende
singolari ed epopee collettive”
1
.
Nella convinzione che la storia “quantitativa” possa contribuire significativamente ad
acclarare alcuni aspetti della vicenda storica dello stampatore Baldini, si è guardato a questa
metodologia cogliendone gli aspetti più confacenti all’investigazione. La compilazione degli
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GUIDO GUERZONI, Le corti estensi e la devoluzione di Ferrara del 1598, p.2 della premessa.
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annali, con il censimento descrittivo delle edizioni visionate, risponde quindi alla volontà di
fornire un dato, il più esaustivo possibile, sull’attività baldiniana.
Al contempo, si è carpito dalla prosopografia quegli elementi in grado di coadiuvare
significativamente l’opera dello storico-bibliografo. Del resto “la storia del libro non può
limitarsi agli aspetti culturali e bibliografici in senso stretto, dato che essi rappresentano
soltanto una parte della realtà quotidiana assai più complessa, in cui gli aspetti tecnici ed
economici ebbero altrettanto, a volte anche maggiore, peso”
2
.
Consci comunque dell’asserzione di Balsamo
in realtà lo studio della tipografia e del libro è consistito finora prevalentemente nella individuazione di
fatti e persone, fase certamente indispensabile ma solo di partenza per una indagine storia che deve
approfondire ed estendersi nella valutazione dei fatti in rapporto all’ambiente in cui accaddero ... per
lo più si è rimasti, infatti, nella tradizione che ama allineare dati, avvenimenti, individui singoli senza
legarli a quella che il Braudel chiama la “catena di avvenimenti, di realtà sotterranee”
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si è provveduto ad estendere il discorso su Baldini, guardando alle corti padane di
Mantova, per esempio, o cogliendo particolari dei legami fra Venezia e la terraferma,
Ferrara e Bologna.
La storia “tipografica” di Ferrara presenta fin dall’inizio alcuni ostacoli: “altro fattore che
forse ha influito sulla non vasta produzione libraria ferrarese fino a tutta la prima metà del
XVI secolo è forse da riscontrare (si tratta però soltanto di una supposizione) nel
disinteresse del principe verso questa nuova produzione”
4
. Infatti
soltanto nel 1562 allo stampatore Valente Panizza viene concesso il primo privilegio di tipografo
ducale. Privilegio che sarà poi rinnovato a Francesco De Rossi, che lo userà soltanto una volta, forse
perché troppo geloso della sua indipendenza di produzione, in occasione della pubblicazione di
un’opera ideata per l’esigenza cortigiana di difendere i titoli nobiliari della famiglia ducale, e sarà
assunto definitivamente da Baldini che delle richieste della corte diverrà il sollecito fornitore, senza
preoccuparsi per questo di servire con la stessa sollecitudine dopo il 1598 le nuove autorità
rappresentate dai legati pontifici
5
.
Così
2
LUIGI BALSAMO, Tecnologia e capitali nella storia del libro in MARCO SANTORO, *Il libri a stampa. I primordi,
Napoli, Liguori, 1990, p. 94.
3
ibidem.
4
DIEGO CAVALLINA, L’editoria ferrarese nei secoli 15. e 16., in *Rinascimento nelle corti padane. Società e cultura, Bari,
De Donato, 1977, p. 342.
5
ibidem.
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mentre per anni i miniatori si sono indugiati intorno ai quinterni della “Bibbia Bela” che in (…) ogni
pagina scintilla di ori profusi in gran copia lungo i margini e ride dei colori più smaglianti, distribuiti
con arte sapiente nei fregi che circondano le pagine (…)”, è già uscita dai torchi del Gutenberg la
prima Bibbia a stampa, miracolo di un genio e insieme di un’età, perfetta nella sua struttura e nei suoi
caratteri
6
.
Ferrara continuava ad indugiare nell’utilizzo della pergamena arricchita dai fasti dei
miniatori.
Il libro è un ornamento, segno di ricchezza che deve accompagnarsi agli altri segni di potenzia del Duca
[…] per testimoniare quanto la sua forma del vivere sia politica e ornata. Il libro a Corte è dunque segno
di civiltà, di cortesia, di buone maniere, oltre che di ricchezza e potenzia: un segno visibile tra gli altri,
anzi più efficace di altri in termini di valuta (per quanto eximia), e non solo per una strutturalmente
omologa economia di ornamento […] ma perché è più degli altri funzionale a produrre la meraviglia e
soprattutto il piacere
7
.
Del resto “nella Corte di Ferrara, già ai tempi di Nicolò III, il libro è un bene diffuso: non
solo nella Torre dell’Archivio segreto e nello studiolo di Leonello, ma anche in non meglio
precisate “riche camere” della residenza ducale, cioè in Palazzo”
8
perché
questa è una corte che legge molto, anzi moltissimo, a confronto con le altri grandi sedi signorili
italiane: consuma libri non solo per le tante necessità pratiche della vita quotidiana (il carattere medico,
come giuridico), oltre che per pregare, come fan tutte; consuma libri soprattutto per svago, per
occasione di lettura, privata o pubblica che sia: in particolare la grande tradizione del romanzo di
cavalleria, in francese e in italiano. Ed è questo il dato distintivo primario
9
.
Gli Este rimasero sempre grandi lettori. Ed è un dato che
a Corte esistono più biblioteche, il libro è un bene diffuso, conservato ed esibito in più luoghi, con
funzioni diverse: pubbliche e personali, di conservazione e d’uso, esattamente come le biblioteche
d’oggi; a Corte sono raccolti nello stesso luogo libri diversi per statuto merceologico (lussuosi libri
miniati, spesso d’autore e di dedica, e libri a stampa di mediocre qualità), e diversi anche per
pertinenza linguistica e culturale (di autori classici, greci e latini, di umanisti contemporanei, come
anonimi romanzi di cavalleria, anche in francese); a Corte il libro ha un ricambio velocissimo, dovuto
6
Biblioteca estense. Modena, a cura di Ernesto Milano, Firenze, Nardini, 1987, p. 20.
7
AMEDEO QUONDAM, Le biblioteche della corte estense in *Il libro a corte, Roma: Bulzoni, 1996, p. 17.
8
A. QUONDAM, Le biblioteche della corte estense, cit., p. 17.
9
ivi, p. 35.
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alla precoce obsolescenza che la dinamica culturale tra Quattro e Cinquecento produce nelle pratiche
di scrittura e di lettura e nei loro paradigmi di riferimento
10
.
La biblioteca diventa, come anche per quella di Ercole, specchio della società in cui si
forma, paradigma di quel fervore culturale che caratterizzerà gli anni del ducato
anche la nuova biblioteca di Ercole ne propone un’immagine [del fervere di iniziative culturali di
respiro internazionale], parziale e sfuocata come sempre, attraverso un nuovo inventario, redatto – in
questo 1495 – da Girolamo Giglioli. Descrive ben 512 libri e fornisce subito, già nella sua intestazione,
una notizia importante, che riguarda lo spazio dove questi libri di Ercole sono raccolti: “Inventario
fatto per lo sp. Gironimo Ziliolo de li libri che si trovano ne l’oratorio de la excellentia del Signore”.
L’arcipelago del libro e della scrittura a Corte è sempre più articolato: in questo oratorio è conservata (e
ordinata, grazie al lavoro di Pellegrino Prisciani […]) una Biblioteca molto ampia, in grado di
documentare tutte le trasformazioni culturali di fine Quattrocento, una Biblioteca che richiede –
proprio per le sue dimensioni – un nuovo ordine descrittivo e classificatorio: non più quello
topografico, bensì quello alfabetico per autore o titolo. Un inventario che tende a farsi catalogo
11
.
È sempre Ercole che “sull’esempio di altri principi, arriva addirittura, uomo dei tempi
nuovi, a concepire, nel 1560, l’idea di aprire in Ferrara “una magnifica stamperia affine di
dare per essa alla luce quelle opere inedite che si credessero dover recare giovamento alle
lettere”
12
. La sua biblioteca diviene esempio dell’introduzione di questa nuova arte
l’inventario, […] questa volta dà un’informazione del tutto inedita: registra l’ingresso in Biblioteca del
nuovo libro tipografico. E non in termini marginali: ben 202 dei 512 titoli (cioè il 40% del totale) è
registrato con l’indicazione stampato Solo vent’anni dopo l’introduzione della tipografia a Ferrara
(precisamente nel 1471: nello stesso anno in cui Ercole diventa Duca), in Biblioteca si registra – in
modo inequivocabile – una vera e propria alluvione di libri prodotti con la nuova “ars artificialiter
scribendi”
13
.
L’attività tipografica a Ferrara parte quasi in sordina. All’epoca d’oro del manoscritto
“però non subentra una altrettanta gloriosa tradizione tipografica, come per esempio
succede per Venezia con la produzione di Aldo Manuzio, anzi la stampa trova in origine
alcune difficoltà ad inserirsi a Ferrara”
14
.
10
A. QUONDAM, Le biblioteche della corte estense, cit., p. 35.
11
A. QUONDAM, Le biblioteche della corte estense, cit., p. 22.
12
Biblioteca estense. Modena, cit., p. 28.
13
A. QUONDAM, Le biblioteche della corte estense, cit., p. 23.
14
D. CAVALLINA, L’editoria ferrarese nei secoli 15. e 16., cit., p. 343.
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Avviatasi quindi una prima tipografia, Ferrara manifesta poi nei decenni, e nei secoli a
venire, un certo fervore tipografico: “Il Catalano nella sua Vita di Ludovico Ariosto annota
come ai tempi del poeta esistessero “a Ferrara da 25 a 30 botteghe di cartolari, numero
veramente rilevante, che testimonia il fervore di cultura prodotto dal Rinascimento”
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. La
presenza di una, o più stamperie, pone tuttavia il potere di fronte alla necessità di gestire la
materia stampata e chi la stampa oltre, chiaramente, a goderne i frutti.
Il potere politico non si limita soltanto a semplici commissioni, nel 1562 istituirà per la prima volta il
privilegio di Stampatore Ducale, in cambio del quale poteva disporre continuamente dell’attività di una
officina tipografica. Il titolo però non sarà affidato al Rossi che forse preferì restare libero da impegni
che sarebbero potuti diventare troppo gravosi, ma fu assunto, appunto nel 1562, dal tipografo Valente
Panizza, di origine mantovana, forse chiamato a Ferrara proprio con questo incarico
16
.
L’egemonia cinquecentesca dei Rossi si chiude con il favore che Vittorio Baldini comincia
a godere presso le istituzioni.
Quella alla Campana non era, come si può facilmente intendere, la sola tipografia attiva a
Ferrara con l’uscita di scena degli eredi Rossi. Nel tardo Cinquecento Ascarelli-Menato
annoverano nella città estense, oltre a Baldini e agli eredi Rossi (che operarono solo per un
breve periodo), Giulio Cesare Cagnacini, Domenico e Benedetto Mammarello, Simone e
Giulio Vassalini, Alfonso Caraffa e Vincenzo Galdura: “di altri tipografi si ha notizia solo
da rogiti notarili e non si sa se avessero un’officina tipografica o fossero semplici operai.
Essi sono: Signorelli Andrea nel 1527; Comencini Benvenuto da Brescia nel 1559; Daniele
da Guastalla nel 1589; Ravizzi Antonio da Trento nel 1591”
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. Anche Paolo Tartarino
lavorò a Ferrara nel 1582
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insieme con gli eredi Rossi.
Per quanto Ferrara fosse giunta in ritardo, rispetto ad altri centri italiani, nel favorire
l’impianto di una tipografia, l’animazione culturale che la caratterizzava facilitò l’innesto di
varie maestranze destinate, nel corso di pochi decenni, a fare della capitale del ducato un
fiorente, seppur locale, centro tipografico.
Le stamperie servivano da una parte la corte che, presumibilmente, acquistava anche, e
soprattutto in altri centri o, meglio, edizioni pubblicate in altri centri; e la nobiltà ferrarese
costituente gran parte, se non la totalità, dei fondatori e partecipanti alle accademie locali.
15
D. CAVALLINA, L’editoria ferrarese nei secoli 15. e 16., cit., p. 341 [ndr: il corsivo è dell’A.].
16
ivi, p. 353.
17
FERNANDA ASCARELLI e MARCO MENATO, La tipografia del ‘500 in Italia, Firenze, Olschki, 1989, p. 73. Gli
stessi editori sono citata in GEDEON BORSA, Clavis typographorum librariorumque Italie 1465-1600, Aureliae
Aquensis, Koerner, 1980, t. II, p. 352. Di Antonio Ravizzi non si ha notizia alcuna.
18
“Secondo il Borsa, nel 1582 il Tartarino è attivo a Ferrara” (F. ASCARELLI e M. MENATO, La tipografia del
‘500 in Italia, cit., p. 212).