Comic on–line: interactivity design
4
Oggi ci ritroviamo nuovamente in questa
situazione. Lo sviluppo tecnologico ha creato nuovi
media e nuovi strumenti di comunicazione con
caratteristiche superiori ed innovative rispetto alla
ormai datata televisione. Uno di questi nuovi
numerosi campi di sviluppo della comunicazione è
sicuramente Internet. Ciò che adesso si deve fare
è lo stesso passaggio che dal fumetto
bidimensionale cartaceo ha portato all’animazione
televisiva giapponese. Sono stati fatti dei tentativi
di introdurre il fumetto all’interno della Rete, ma il
risultato è paragonabile a quello ottenuto dai primi
fumetti televisivi americani. Non è sufficiente
portare il fumetto all’interno del nuovo media per
renderlo adatto a tale mezzo. Si devono anche
trovare e sfruttare le caratteristiche che questo
nuovo mezzo offre. Nel caso del Web la prima e
più importante di queste è sicuramente
l’interattività, con non riscontriamo né nel comic
book né nella televisione. Il lettore di fumetti in
Internet non è più solo spettatore, ma partecipa
alla creazione del proprio fumetto.
Su queste premesse si basa il progetto che ho
sviluppato. Dopo una prima analisi del mondo
fumettistico in cui vengono passate in rassegna la
storia del fumetto, lo studio delle sue
caratteristiche fisiche ed il suo rapporto con
computer e Rete, si passa all’analisi del progetto,
sviluppato analizzando tutte le diverse componenti
(vignetta, pagina e storia) che lo definiscono e
l’interfaccia che lo rappresenta.
Internet
Comic on-line: interactivity design
5
Parte prima: il fumetto
1.1 Testimonianze
1.1.1 La grande occasione.
Considerazioni sulla crisi del fumetto
di Ade Capone
Non credo sia mai esistita una crisi del fumetto in
termini globali. Di volta in volta ad andare in crisi
sono solo alcuni settori di questo mondo, mentre
altri si consolidano o addirittura si sviluppano.
Non è mai capitato, non capiterà mai, almeno a
mio parere, che si possa mettere in discussione
l’efficacia commerciale e comunicativa del mezzo
fumettistico, che funziona sempre e anzi ha una
diffusione tanto più larga quanto più si diffondono
nuovi media. Immagino che molti non siano
d’accordo con questa mia affermazione, ma credo
di poter portare fatti precisi a suo supporto. Qual è
la nazione sottoposta al maggior bombardamento
di informazioni elettroniche su ogni singolo
abitante, tenendo conto anche dello spazio limitato
in cui ciò avviene, con effetti a volte claustrofobici?
Il Giappone. Ma proprio lì le vendite di fumetti
toccano cifre esorbitanti e per noi inimmaginabili.
E’ come se all’overdose “elettromagnetica” i
giapponesi reagissero rifugiandosi nella carta
stampata. Approfondendo l’argomento
scopriremmo che è proprio così.
Comic on–line: interactivity design
6
Esiste una teoria, detta Teoria dell’Informazione,
che dimostra come un flusso di bit provochi, se
portato all’eccesso, una reazione da parte di coloro
che dal flusso sono investiti. C’è, insomma, un
limite alla quantità di informazioni elettroniche che
possiamo ricevere. Ha ragione dunque chi afferma
che anche da noi ci sarà questa reazione, e che
torneremo a leggere in massa i fumetti trascurando
computer, Internet, CD Rom e televisione? Ha
ragione chi afferma che la vera interattività è quella
della carta stampata? Solo in parte, a mio parere.
Perché una cosa non esclude l’altra. E perché tutti
coloro che lavorano nel mondo del fumetto
dovrebbero, in questo momento, farsi un giro
anche al Futurshow o allo SMAU, grandi rassegne
del multimediale dove vedrebbero come il pubblico
sia identico a quello delle mostre/mercato
fumettistiche: ragazzi con zainetto e scarpe da
ginnastica, che discutono di Web, e-mail,
videogiochi e fumetti senza fare alcuna distinzione.
Perché questa è la loro cultura, una cultura
“contaminata” caratteristica degli anni novanta e
destinata a contaminarsi sempre di più, che ci
piaccia o no. A me piace.
Però non possiamo pretendere che queste nuove
generazioni leggano le stesse cose che
leggevamo noi. Sarebbe come aver preteso, negli
anni sessanta, che chi era ragazzino allora
continuasse a leggere Dick Fulmine o Il Vittorioso
o Il Piccolo Sceriffo (nomi che da soli danno il
sapore di un’epoca passata) invece di Zagor,
Diabolik, Satanik. E poi, via via, Alan Ford, i
supereroi Marvel, Mister No, fino ad arrivare a
Martin Mystere e a quel Dylan Dog che, scusatemi
la banalità, è stato una vera svolta epocale, in un
momento che vedeva un trend negativo per i
fumetti molto simile a quello di adesso, se non
addirittura peggiore: non c’era infatti, allora, la
varietà di proposte che c’è attualmente. Tutti
coloro che hanno prodotto fumetti negli ultimi dieci
anni dovrebbero ringraziare Tiziano Sclavi&C., per
aver creato un nuovo pubblico di centinaia di
migliaia di lettori, un pubblico che è diverso da
quello tradizionalmente legato all’avventura e
all’eroe classico e di cui Tiziano ha saputo far
vibrare certe corde adolescenziali e inconsce,
coinvolgendo in egual misura ragazzi e ragazze:
altro fenomeno nel fenomeno, questo. Dylan,
grazie alla straordinaria sensibilità del suo autore,
è riuscito ad aprire la porta di quel “giardino
segreto” in cui nessun altro personaggio era mai
riuscito a entrare. Ci si erano avvicinati solo i primi
Uomo Ragno, quelli con Peter Parker nelle vesti di
timido liceale, ma il puritanesimo americano aveva
impedito ai loro autori di andare fino in fondo, negli
anni “innocenti” della Nuova Frontiera kennediana
(poi sarebbero venuti la guerra nel Sud Est
asiatico, le giovani prostitute vietnamite e la
Comic on-line: interactivity design
7
morfina come anticamera dell’eroina, ma questa è
un’altra storia). In quel giardino sono invece entrati
i manga, alcuni in particolare (Video Girl Hi su
tutti), portando alle estreme conseguenze il
discorso di coinvolgimento già iniziato da Dylan. E’
indubbio che i cartoni animati televisivi abbiano
dato un grosso contributo alla nascita del
fenomeno, ma credo che sarebbe sbagliato
attribuirgliene l’esclusivo merito. Non si
spiegherebbe, altrimenti, perché la
programmazione televisiva dei cartoon dei
supereroi non abbia minimamente fatto alzare le
vendite di X-Men e soci (anzi). Ai giovani lettori
che cercano semplicità narrativa e personaggi con
cui identificarsi, troppi fumetti americani (in
particolare quelli Marvel, e lo dico a malincuore,
per l’amore che porto verso tali personaggi)
propongono saghe intricatissime e spesso
contradditorie, con resurrezioni scontate che
eliminando il concetto di morte hanno anche tolto
vita al mondo supereroistico. Eppure la Marvel
Italia, pensava di poter addirittura dar del filo da
torcere a Bonelli, dando per scontato
l’affossamento di case editrici (per la Marvel)
minori come la Star Comics.
E’ chiaro che, se si sbarca in Italia con
atteggiamento monopolistico, invece di fare il bene
del fumetto si introduce un elemento di conflitto
esasperato (il caso Spawn è esemplare, in tal
senso) che, abbinato a un’invasione di albi in
edicola e libreria, frastorna i lettori e provoca in
loro una sorta di repulsione verso il fumetto in
generale. Inquadriamo il tutto in uno scenario di
distribuzione/punto vendita che vede da un lato un
sindacato edicolanti quasi stalinista, nei suoi
atteggiamenti, e dall’altro una concorrenza
all’ultimo sangue tra distributori librari (e tra librai
arrivati a praticare sconti selvaggi), e capiremo che
davvero la crisi di cui tanto si parla, a volte a
sproposito, ha molti padri, nessuno dei quali
ovviamente disposto a sottoporsi alla prova del
DNA.
Nemmeno, concedetemi di sottolinearlo, gli
organizzatori di certe mostre, che sembrano fatte
per speculare sulla pelle dei ragazzini e per
leccare i piedi a destra e sinistra per mezzo di
“premifarsa”. E nemmeno un underground che,
invece di essere fucina di giovani talenti, sembra il
ritrovo di sdegnati incompresi spesso finanziati dai
soldi di papà, da enti pubblici e dai debiti in
tipografia. Eppure è in questa situazione generale
che un Dragonball ha potuto arrivare a vendere
100.000 copie ogni quindici giorni, a dimostrazione
che il mercato non solo continua a essere ricettivo,
ma anzi ha una gran fame di novità che possano
appassionarlo.
Comic on–line: interactivity design
8
Il punto è dunque quali novità. Le scelte che
abbiamo sono due: o continuare a seguire una
strada sicura, per vendere i nostri prodotti a chi già
li compra, rassegnandoci a veder calare
lentamente e costantemente le vendite, in
mancanza di un ricambio generazionale tra i lettori,
o cercare di produrre cose nuove che sappiano
parlare anche ai quattordicenni di fine anni
novanta. Il che non vuol dire, sia chiaro, sfornare
prodotti beceramente giovanilistici, ma rendersi
conto che proprio i due esempi eclatanti che ho
citato, Dylan Dog e Dragonball, hanno un pubblico
variegatissimo che va dai dodicenni agli
ultratrentenni. Ho abbastanza esperienze di
mostre/mercato e di incontri in fumetteria da
poterlo affermare con certezza. E il punto, in
fondo, è proprio questo: il pubblico del fumetto ha
un’anima che è nel contempo eternamente
adolescente (gli over 30) e insieme precocemente
matura (i ragazzini). Mentre gli operatori del
settore sono a volte o degli inguaribili bambinoni o
gente mentalmente invecchiata che ha perso il
contatto con la sempre mutevole sensibilità dei
lettori. Gente che non prende più il tram, direbbe il
grande Zavattini. E’ dunque molto spesso colpa
nostra se i nostri prodotti non funzionano, perché
siamo noi che dobbiamo saper comunicare,
andare verso la gente, non è la gente a dover
venire verso di noi, a doversi sforzare di leggerci e
capirci. L’unica cosa che abbiamo il diritto di
chiedere al nostro pubblico è di pagare un fumetto
per quel che vale, per l’impegno e la fatica che ci
sono dietro. E io credo che i lettori siano disposti, a
pagare, se il contenuto merita e se la distribuzione
di un albo o di un volume funziona. Il fumetto non è
più il cinema dei poveri, perché la sua crescita
culturale (in senso lato) sta rendendo questo
mezzo sempre più diffuso tra le classi sociali
medio-alte, mentre ora sono proprio le classi meno
abbienti a snobbarlo (per andare al cinema devono
semplicemente accendere la TV). A fine aprile ‘98
è scattata finalmente la sperimentazione che
permette di vendere la stampa periodica in luoghi
non canonici come supermercati e librerie
tradizionali. Un punto in più a nostro favore, se non
ci fregheremo con le nostre stesse mani. Sì, io
sono convinto che proprio questa ennesima “crisi”
possa essere una grande occasione, se sapremo
stare al passo con una vera e propria svolta
epocale che ci chiede nuovi contenuti, nuovi ritmi
narrativi, nuovi tipi di disegno e nuove politiche
commerciali. Ma senza, sia chiaro, rinunciare a
quel senso di epico e mitologico di cui ogni storia
(anche una semplice storia d’amore) ha bisogno
per diventare una storia senza tempo. E se
qualcuno pensa che con queste parole finali io mi
stia contraddicendo, pensi, per esempio, a Guerre
Stellari.1
Comic on-line: interactivity design
9
1.1.2 Lettura per adulti
di Umberto Eco
Tranne che per i disattenti, per cui il fumetto
rappresenta ancora un esempio di produzione
commerciale riservata a fanciulli e analfabeti,
questo genere “multimediale” (e sì, esso è pur
limitatamente tale, e ante litteram) presenta alcune
curiose caratteristiche, almeno in termini di storia
delle culture.
Infatti esso inizia come arte popolare
d'avanguardia. Curioso ossimoro: popolare certo è,
per destinazione e linguaggio ma basti considerare
da un lato l'approccio “selvaggio” e provocatorio di
Yellow Kid e dall'altro le raffinatezze pittorico-
oniriche di Little Nemo, per dire che esso si pone
come innovazione nella storia dell’iconografia e
della narrativa; tanto è vero che, non appena
questi autori e questi personaggi perdono il loro
appeal popolare, divengono preda degli storici
dell'arte, e ormai la letteratura colta su Krazy Kat
rischia di superare quella su Virginia Woolf.
Poi il fumetto si assesta in posizione low brow. A
vocazione popolare, senza uzzoli avanguardistici
sono Superman o l’Uomo Mascherato, Mandrake o
Mickey Mouse (faremo una eccezione per Gordon,
popolarissimo quanto a possibilità di consumo, ma
estenuatamente perduto in citazioni liberty ed
anticipazioni visionarie di cui la Nasa ha fatto
tesoro).
Oggi ci troviamo nella terza fase: il fumetto marcia
di nuovo sulla via dell'avanguardia, della proposta
innovativa. e certamente ci è più familiare la logica
di Picasso che quella di certe edizioni cartonate
d'oltralpe, per non dire del percorso dal Pulp allo
uncanny che ha segnato certo il fumetto
americano, dai primi complessi dei Fantastici
Quattro all'ultimo Batman.
Si badi che questa marcia verso lo sperimentale
segna anche i fumetti argentini a destinazione di
massa, e forse si tratta anche di evoluzione
generazionale, ed io trovo troppo simili a Joyce
certe storie che i nuovi lettori percorrono con la
stessa confidenza con cui io percorrevo Salgari.
Ma certo il genere ci ha riservato non poche
sorprese, non ultima quella (innegabile) di aver
influito sullo sviluppo dell'arte “colta” (basti pensare
alla Pop Art).
Tutto questo senza sbilanciarmi in giudizi critici:
come ci sono stati pessimi quadri cubisti così ci
sono pessimi fumetti dalla lettura difficilissima. Ma
le linee di tendenza sono queste.
Genere infido, dunque, e non così paciosamente
pacifico come vuole la vulgata aristocratica,
Comic on–line: interactivity design
10
genere spesso più aristocratico dei suoi critici.
Genere dunque degno di attenzione critica, e
acribia, storiografica, che ne segni e paletti i
percorsi sinuosi e non del tutto prevedibili.2
1.1.3 Fumetti, perché
di Gaetano Strazzulla
I fumetti, oggi, entrano liberamente in tutte (o
quasi) le case, ormai fanno parte del nostro
consumo quotidiano, come il cinema e la
televisione, e hanno acquistato il pieno diritto ai
essere inclusi nella cultura contemporanea come
una componente primaria della psicologia umana.
Il lettore che se n'è appropriato li legge soprattutto
per evadere dalla realtà che lo circonda e lo
opprime. In essi egli cerca una compensazione o
un surrogato per i propri sogni e quelle immagini
che la vita ai ogni giorno non è più in grado di
dargli. Sono, insomma, il veicolo che gli consente,
con modica spesa, di rifugiarsi in un mondo
fantastico-avventuroso, di vivere mirabolanti
imprese fianco a fianco con i suoi eroi prediletti,
scaricandosi cosi della tensione accumulata
durante le ore ai lavoro in ufficio o in fabbrica e
appagando provvisoriamente le sue esigenze più
inconsce e le sue ansie ai evasione più impellenti.
(…) Benché oggi abbiamo raggiunto una diffusione
mondiale, i fumetti rappresentano ancora un
fenomeno curioso e non del tutto chiarito, Da un
lato è nato un vivace interesse sociologico per una
forma di espressione tipica della nostra civiltà dei
consumi: i fumetti sono diventati materia di studio
universitario, talvolta con risultati non trascurabili, e
nell'ambito dei mass media hanno attirato
l'attenzione di sociologi, psicologi e studiosi del
costume; dall'altro c'è un nuovo e spregiudicato
atteggiamento del pubblico adulto per un tipo di
letteratura popolare, che per lunghi anni solo pochi
appassionati avevano coltivato in segreto,
andando sulle ali del ricordo alla ricerca del tempo
perduto. Con il ritorno di interesse nostalgico per i
fumetti fantastico-avventurosi degli anni trenta, è
nata una nuova forma di feticismo. Si tratta di una
manifestazione patologica, le cui radici vanno
rintracciate nelle nevrosi e nelle frustrazioni che
oggi assalgono l'uomo della società di massa.
L'adulto che si accosta alle letture della sua
adolescenza è spinto da un desiderio inconscio di
ritrovare brandelli di un’età felice e ancora non
inquinata dalle ansie prodotte da una realtà
quotidiana alienante, di rivivere un’età
psichicamente serena e non traumatizzata da
delusioni e sconfitte lancinanti. Attraverso le
pagine ingiallite dei vecchi periodici, l'adulto
approda con la fantasia sull'isola ideale per
ritrovare i fantasmi della propria giovinezza.
Comic on-line: interactivity design
11
Ormai il fumetto si è inserito stabilmente tra i mass
media, è diventato un importante veicolo di
informazione socio-culturale capace di rivolgersi
con i suoi messaggi iconici a un pubblico adulto e
intellettualmente preparato, viene generalmente
accettato, anche se permangono isolate
resistenze, soprattutto da parte di coloro che, non
essendo stati educati fin da piccoli alla lettura di
questa narrativa grafica, non riescono a fruirne il
linguaggio particolare. È vero che si contano
ancora esempi di fumetto per incolti e
sottosviluppati mentali. Esiste una produzione
fumettistica dozzinale e deleteria, impinguata di
sesso e sadismo. Tuttavia un largo settore del
comic è impegnato a fornire una Weltanschauung
in continuo aggiornamento, che rivela
atteggiamenti di critica nei confronti dell'ideologia
del sistema e dei condizionamenti emergenti dalla
società consumistica, riuscendo a testimoniare,
spesso con efficacia, gli aspetti contraddittori della
nostra epoca.
Dopo che anche la cultura ufficiale - abbandonato
l'atteggiamento di condanna con il quale aveva
accolto la nascita della nuova espressione - si è
interessata ai fumetti considerandoli senza remore
e pregiudizi precostituiti, nessuno si vergogna più
di mostrarsi in pubblico con sottobraccio uno dei
tanti periodici a fumetti e non è difficile scoprire
seri e compassati professionisti tra i più accaniti e
agguerriti lettori (e collezionisti) di albi e giornaletti.
(…) Non è più il tempo di considerare i fumetti
come l’espressione più infima e deprecabile della
civiltà dell’immagine, di liquidarli con brusche
condanne o con atteggiamenti troppo distratti. Chi
insistesse ancora a ragionare in siffatta maniera
dimostrerebbe di voler fare di ogni erba un fascio,
coinvolgendo e confondendo nella propria
condanna la poesia surreale di Krazy Kat, la satira
feroce di Li’l Abner, le fantasticherie inquietanti di
Charly Brown&C. e lo stesso suggestivo
romanticismo dell’Uomo Mascherato con le rozze
grossolanità di alcune strisce avventurose e le
ripetute oscenità del fumetto sadico-erotico.I
fumetti, presi globalmente, rappresentano una
nuova dimensione di vita e di pensiero, un nuovo
genere di letteratura amena e di evasione – dove
ritroviamo la continuità di antichi motivi ancestrali,
magici e mitici – che interessa a tutti i livelli sociali
una moltitudine di lettori di ogni età in costante
aumento. Ma ciò che ci sembra più interessante è
che i fumetti – diretti discendenti del racconto
popolare – contribuiscono alla formazione culturale
e psicologica dell’individuo, il quale per loro tramite
si rifugia in un mondo di finzione come sollievo
dalla tensione provocata dalla banalità e dal
caotico ritmo della vita moderna.3
Comic on–line: interactivity design
12
1.1.4 Il fumetto cinematografico
di Guido Crepax
Cinema e fumetto da cento anni percorrono strade
che spesso si sono toccate e qualche volta
incrociate.
Nel cinema si è sempre preferito l'associazione
con la letteratura scritta piuttosto che con quella
disegnata. Di conseguenza il fumetto ha spesso
sofferto di un complesso di inferiorità nei confronti
del cinema, tanto che è opinione generale definire
un brutto film un “fumettaccio” o, se è noioso, un
“fumettone”. Personalmente non gradisco queste
definizioni anche se ammetto di essere fortemente
critico a proposito dei fumetti che considero, nella
maggior parte dei casi, “disegnati male” e peggio
“scritti”. Mi si conceda però di essere altrettanto
critico a proposito del cinema: oggi il
perfezionamento della tecnica cinematografica ci
dà, nella maggioranza dei casi. ottima fotografia,
buoni effetti di colore, ma non necessariamente
prodotti artisticamente validi. Per non parlare degli
attori, spesso di bell'aspetto, ma pessimi nella
recitazione. Il fumetto invece, essendo un prodotto
artigianale, “fatto a mano” insomma, è più esposto
ad un esame, anche superficiale, che rivela subito
le proprie manchevolezze. Un disegno non è una
fotografia e se è brutto, è brutto senza rimedio.
Il tentativo di formulare i termini di paragone tra
queste due espressioni artistiche (mi si conceda
l'aggettivo “artistico” pensando, che so, al cinema
di Eisenstein e ai fumetti di Winsor McCay del
1905, Little Nemo) mi sembra giustificato. In tutti e
due i generi si fa uso delle immagini (fotografiche
nel cinema, disegnate nel fumetto), delle parole e
dei rumori (registrate e recitate nel cinema, scritte
nel fumetto).
Appare subito evidente il “vantaggio tecnico” del
cinema che può essere facilmente recepito nelle
immagini (viste dagli occhi) e nelle parole ascoltate
con le orecchie, mentre il fumetto può essere
soltanto guardato con gli occhi, che vedono le
figure e leggono le parole. Quante volte i miei
“lettori” mi dicono (magari con entusiasmo) di
avere “visto” le mie storie, ma di non averle “lette”!
Questo mi aveva indotto a disegnare una storia
(Lanterna magica) senza parole, trovando
effettivamente un maggior successo nelle vendite
del libro, più facilmente riproducibile all'estero
senza la necessità di traduzione!
A parte gli incidenti di percorso (“lettori” che non
leggono) sto tentando ugualmente questa fusione
tra i due generi (almeno alcuni miei amici-lettori
che leggono, mi avevano dato la “patente” di
autore di fumetti-cinematografici, già trent'anni fa).
Le prime storie furono accolte abbastanza
Comic on-line: interactivity design
13
favorevolmente: la corsa delle macchine di F1 con
le fotografie di Valentina in contemporanea nella
Curva di Lesmo; ancora le foto di Valentina che
rivelano un delitto (come nel film di Antonioni Blow
up, che comunque era stato programmato dopo la
mia storia Ciao Valentina, quindi niente plagio
come era stato insinuato). Semmai gli attori erano
venuti dopo: sogni e flashback venivano digeriti
con difficoltà dai lettori medi.
Più tardi avevo provato altre tecniche poco
recepibili in un fumetto come il “dialogo interiore” di
Valentina in Alfabeto muto. Poco raccomandabile
l'amore lesbico di Valentina per una ragazza
tedesca (Made in Germany - Chi ama chi?).
Comunque in tutte le mie storie (anche non di
Valentina, come Histoire d’O, Emmanuelle Conte
Dracula, ecc.) ho dato particolare rilievo al
montaggio, appunto “cinematografico”, alla
“sequenza” in genere, al “particolare”, al “primo
piano”, più che al disegno “in sé e per sé”.
Comunque il rapporto tra cinema e fumetto resta
difficile con qualche lodevole eccezione. Le
delusioni maggiori sono venute proprio dalle
versioni cinematografiche dei fumetti celebri. Non
conosco Histoire d’O e neppure le varie derivazioni
da Emmanuelle, ma ne ho sentito parlare
abbastanza male e poi si trattava di interpretazioni
dei romanzi corrispondenti, senza alcun riferimento
alle mie versioni fumettistiche. Non parliamo dei
serial Flash Gordon, Phantom, che non conosco
che in minima parte (uno solo mi è bastato!), nè di
Barbarella (malgrado Vadim).
E le eccezioni? Dick Tracy di Warren Beatty non è
la versione cinematografica del fumetto di Chester
Gould, ma è un bellissimo film che ne ricrea
l'atmosfera, senza ricalcare le trame delle storie;
già il colore dà un tono completamente diverso da
quello dei disegni di Gould, che se mai fanno
pensare ad altri film molto più vecchi, per esempio
M di Fritz Lang, ma questo, secondo me, non è un
difetto, perché un film è un film e un fumetto è un
fumetto.4
1.1.5 Il fumetto all'università
di Ermanno Detti
Il fumetto all'università è il titolo di quattro incontri
che si sono svolti nei mesi di novembre e dicembre
1983 all'ateneo romano. Il titolo, di certo invitante,
attira l'attenzione, ma non corrisponde del tutto
all'idea che qualcuno potrebbe essersi fatta: difatti
era assente ogni rappresentanza dell'università,
che offriva all'iniziativa solo locali e prestigio.
Possiamo dire insomma che per ora il fumetto ha
varcato solo le soglie dell'Aula Magna, o di altre
aule piuttosto capienti, dell'ateneo. L'idea era stata
Comic on–line: interactivity design
14
del Centro «Kolbe» e consisteva semplicemente
nel far parlare i principali autori di fumetti italiani
(Staino, Berardi e Milazzo, Bonelli e Galleppini,
Pratt e Manara, le sorelle Giussani), affinché essi
rivelassero le loro tecniche, i loro propositi ed
obiettivi, i riferimenti culturali dei loro lavori, ecc. . E
questo è stato fatto, con una partecipazione alta e
con un livello non sempre altrettanto alto. Risultati
alterni, insomma.
L'incontro più interessante è stato indubbiamente
quello con Sergio Staino, l'unico che si sia
presentato con una vera e propria relazione
introduttiva (breve, spiritosa, intelligente,
documentata, seguita con profonda attenzione) e
che abbia poi risposto alle domande con estrema
naturalezza e senza ombra di reticenza. Forse a
qualificare quell'incontro è stata anche la presenza
di un critico, Franco Pettarin, il che ha permesso
un confronto (così sempre evitato, chissà perche!)
tra chi fa i fumetti e chi su essi riflette. Il momento
più divertente è stato quello in cui Franco Pettarin
ha tentato un discorso di alto livello sulle prime
strisce di Staino, composte non dalle quattro
vignette classiche disposte l'una dopo l'altra, ma
da due vignette sopra e due sotto. A quella
disposizione nuova Pettarin ha attribuito una
volontà di rinnovamento espressivo e
comunicativo. Staino ha però spiegato che quelle
vignette le aveva disposte così a causa della
dimensione della carta da lui usata (era in tempi di
difficoltà economica e doveva risparmiare), e
quando a “Linus”, che le pubblicò per primo, gli
chiesero se quella disposizione era irrinunciabile,
rispose di sì semplicemente per darsi un contegno.
Certo, non tutti sono brillanti come Staino e
qualche volta in un simile confronto potrebbero
essere gli autori ad avere la peggio. Ma questo
non ci sembra un problema. Anzi, lo stesso Staino
ha pubblicamente dichiarato che dalla critica ha
sempre appreso molto per migliorare le sue
strisce. Al contrario delle sorelle Giussani che,
anzi, in alcune occasioni si sono risentite verso
coloro che scrivono su Diabolik; e lo stesso Sergio
Bonelli ha sostenuto ancora una volta che la critica
rinviene nelle sue storie contenuti e ideologie a cui
non aveva mai pensato. Ma nemmeno questo ci
sembra un problema, c'è chi pensa una cosa e chi
ne pensa un'altra. Siamo rimasti sorpresi,
piuttosto, che proprio Bonelli e le Giussani, creatori
di personaggi tanto audaci (Sergio Bonelli è figlio
del celebre Gianluigi Bonelli, autore di Tex, ed è, a
sua volta, autore di celebri fumetti, come Zagor,
Mister No…) siano stati invece in questi incontri,
come dire, molto controllati. Nell'incontro con Pratt
e Manara ci sono stati momenti davvero
significativi. Forse meriterebbe un
approfondimento proprio a livello universitario
l'ipotesi avanzata da Pratt e Manara sull'avventura,
Comic on-line: interactivity design
15
che è sempre stata, con poche eccezioni fra cui le
peripezie di Ulisse, bandita dalla nostra letteratura
perché portatrice di valori antiteci alla società
occidentale. L'avventura, hanno sostenuto i due
autori, è il regno della precarietà e tutto ciò che è
precario terrorizza la nostra società occidentale
sempre così “impegnata”. Molto ben vista è, non a
caso, la letteratura gialla, ove l'avventura è
ricondotta a livello di trasgressione puntualmente
punita. Nel giallo, infatti, a dare inizio alla vicenda
è l'assassino o il ladro o il fuorilegge e non
l’investigatore che interviene per scoprire e punire
colui che tanto bruscamente ha sconvolto l'ordine
costituito.5
1
http://www.hackernet.com
2
PIETRO FAVARI, Le nuvole parlanti. Un secolo di fumetti tra arte e mass
media, Ed. Dedalo, Bari, 1996, pag.10
3 GAETANO STRAZZULLA, Fumetti di ieri e di oggi , Ed. Nuova Universale
Cappelli, Bologna, 1977, cap.1, pag.9
4
PIETRO FAVARI, Le nuvole parlanti. Un secolo di fumetti tra arte e mass
media, Ed. Dedalo, Bari, 1996, pag.7
5
ERMANNO DETTI, Il fumetto tra cultura e scuola, Ed. La Nuova Italia,
Firenze, 1984