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Secondo la scuola keynesiana tradizionale, lungo una data curva di Phillips non
esiste, a priori, alcun punto di equilibrio, poiché il sistema tende a giacere dove si
trova o dove le autorità di politica economica intendono collocarlo. Questo è reso
possibile dall’ipotizzata stabilità della relazione tra inflazione e disoccupazione
teorizzata da Phillips. La critica avanzata dalla scuola monetarista nel corso degli
anni Settanta, rafforzata dall’evidenza empirica in corso in quegli anni, si concentrò
soprattutto su questo fronte. La relazione di Phillips nel decennio 1970-80, infatti,
divenne sempre più instabile, anche a causa della rilevanza maggiore assunta dalle
aspettative di inflazione. A partire dagli anni Ottanta, la teoria della curva di Phillips
ha ripreso nuovo vigore: ad ogni modo, se opportunamente modificata per tener
conto degli shock di offerta e del ruolo delle aspettative, essa mantiene una discreta
stabilità anche per gli anni Settanta.
A differenza dei keynesiani, i monetaristi hanno individuato nell’equilibrio di piena
occupazione e nel tasso naturale di disoccupazione il punto di convergenza del
sistema. Non si tratta di un parametro immutabile, ma che può variare nel tempo in
funzione dell’evoluzione e della composizione della forza lavoro, delle preferenze
dei lavoratori, della distribuzione della domanda di lavoro e di modifiche strutturali e
istituzionali. Il tasso naturale di disoccupazione è compatibile con un solo livello del
salario reale d’equilibrio, ma con un qualunque livello del salario monetario se il
livello dei prezzi varia in proporzione. Pertanto, la curva di Phillips sarà
rappresentata, grazie alla piena flessibilità di prezzi e salari, come una retta verticale
in coincidenza del tasso naturale di disoccupazione.
La curva di Phillips verticale delle teorie monetariste si riferisce comunque solo
all’equilibrio di piena occupazione di lungo periodo. E’ proprio nel lungo periodo
che, per i monetaristi, il trade off tra inflazione e disoccupazione tende a scomparire,
essendo il tasso di disoccupazione fisso al livello naturale e con qualunque tasso
d’inflazione compatibile con esso. Nel breve periodo, anche per i monetaristi
sussistono le tradizionali curve di Phillips inclinate negativamente. Tuttavia, la
disoccupazione può temporaneamente divergere dal tasso naturale, a causa degli
errori previsivi degli agenti.
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L’analisi della stagflazione: l’ipotesi accelerazionista
Nel breve periodo, l’esistenza del trade off individuato da Phillips può favorire, a
prima vista, alcune scelte di politica economica. Partendo ad esempio da un’ipotesi
di inflazione nulla e disoccupazione al tasso naturale, il governo potrebbe mirare ad
una riduzione ulteriore della disoccupazione, sopportando un tasso di inflazione
superiore allo zero. Tuttavia, il nuovo punto raggiunto non potrà essere di equilibrio,
in quanto la curva di Phillips passante per esso si riferisce ad un tasso d’inflazione
nullo (le aspettative sono state incorporate nel livello predeterminato dei salari).Nel
momento in cui gli agenti si renderanno conto che l’inflazione è salita,
modificheranno il proprio comportamento avanzando, ad esempio, richieste per
aumenti dei salari monetari. Il governo può ritentare l’esperienza altre volte,
cercando di mantenere la disoccupazione al di sotto del livello naturale, attraverso
politiche monetarie espansive ed incrementando continuamente il tasso di crescita
monetaria, al costo di un’inflazione continuamente crescente nel tempo
5
. Friedman
ha definito questa teoria ipotesi accelerazionista. Secondo la teoria delle aspettative
adattative, occorre sfruttare l’effetto sorpresa sugli agenti del mercato, proponendo
tassi d’inflazione sempre più elevati per poter conseguire effetti reali.
A cavallo tra anni Sessanta e Settanta, i monetaristi hanno avanzato l’ipotesi di una
relazione positiva all’interno della curva di Phillips: un’affermazione collegabile
all’evidenza empirica dei fenomeni di stagflazione. E.S. Phelps ha affermato, a
riguardo, che è il comportamento razionale dei lavoratori che li induce, a seguito
dell’inflazione e delle aspettative, a ridurre l’offerta di lavoro, generando così
disoccupazione “volontaria”. Friedman ha invece constatato che, quando l’inflazione
aumenta, si accresce anche la sua variabilità causando incertezza negli operatori e
inefficienze nel mercato. Quindi, al crescere dell’inflazione si può ridurre il livello di
attività e quindi può crescere la disoccupazione.
5
Il disequilibrio, inteso come allontanamento dalla posizione di equilibrio di piena occupazione, è sempre un fenomeno
temporaneo dovuto al processo di aggiustamento delle aspettative.
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Strumenti ed obiettivi della Federal Reserve
La Fed
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ha tre strumenti a disposizione per controllare l’offerta di moneta: il primo è
rappresentato dai vincoli sulle riserve, che influenzano il moltiplicatore della moneta;
gli altri due, il prestito alle banche e le operazioni di mercato aperto, modificano
invece la base monetaria. La Fed, come ogni banca centrale, determina le riserve
obbligatorie, cioè l’ammontare minimo di riserve che le banche devono detenere in
proporzione ai depositi in conto corrente. Anche senza tali obblighi, le banche
terrebbero comunque conto delle riserve per essere in grado di soddisfare la domanda
di contante da parte dei loro clienti. Modificando i vincoli sulle riserve, la Fed
cambia il moltiplicatore della moneta e quindi l’offerta di moneta, senza variare la
base monetaria. Un aumento del coefficiente di riserva obbligatoria comporta una
riduzione del moltiplicatore della moneta e quindi una riduzione dell’offerta di
moneta stessa. Gli aumenti dei vincoli sulle riserve possono costringere le banche a
prendere decisioni drastiche, come ad esempio esigere il rimborso di prestiti già
accordati. Per questa ragione, la Fed è diventata sempre più riluttante ad utilizzare i
vincoli sulle riserve come strumento di politica macroeconomica.
La Fed può inoltre accordare prestiti alle banche: la quantità e le condizioni dei
prestiti rientrano nella politica di sconto. La concessione di crediti alle banche è
molto simile all’acquisto di titoli con operazioni di mercato aperto: in entrambi i casi
la Fed crea moneta e quindi aumenta la base monetaria. A fronte del prestito
concesso, riceve un diritto di credito nei confronti della banca; nelle operazioni di
mercato aperto, invece, essa acquista titoli del Tesoro, che rappresentano crediti nei
confronti del governo. Tuttavia, la Fed scoraggia generalmente le banche dal
chiederle prestiti se non per ragioni legate al ciclo economico stagionale o di breve
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La Federal Reserve (abbreviata con FED) venne istituita il 23 dicembre 1913 su proposta del presidente Woodrow
Wilson approvata dal Congresso degli Stati Uniti. Il Federal Act regolamenta attività, poteri e composizione della
Federal Reserve. La legge fissa in 100$ il valore di ogni azione e nel 6% il dividendo per azione (per un massimo di 6$
ad azione) che il consiglio direttivo può decidere di distribuire. La restante quota di utili viene trasferita al Ministero del
Tesoro americano. Le banche azioniste della Federal Reserve sono per statuto banche nazionali americane, ad oggi
suddivise in 12 distretti. Ogni singola Federal Reserve Bank provvede a svolgere funzioni di prestatore di ultima istanza
per le banche commerciali e gli altri istituti del proprio distretto. Il mandato del Federal Reserve System è stato stabilito
nella Humphrey-Hawkins Full Employment Law approvata dal Congresso nel 1978. Questa legge impone alla Fed di
“mantenere la crescita di lungo periodo degli aggregati monetari e creditizi compatibile con il potenziale di espansione
economica di lungo periodo, in modo tale da perseguire efficacemente gli obiettivi di massima occupazione, prezzi
stabili e tassi di interesse a lungo termine moderati”.L’organismo direzionale della Fed è il Federal Reserve Board,
costituito da sette membri nominati dal Presidente degli Usa. Questa nomina è poi soggetta a ratifica da parte del
Senato. Infine, la Fed può fissare il tasso dei Federal Funds, rendendolo un riferimento per il mercato interbancario.
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periodo. Le variazioni del tasso di sconto sono tuttora rilevanti, ma soprattutto nella
misura in cui costituiscono un segnale delle intenzioni della Fed. Ad esempio, i
mercati finanziari generalmente interpretano una riduzione del tasso di sconto come
un segnale che la Fed ha intenzione di attuare una politica monetaria più espansiva.
In questo modo, attraverso un effetto sulle aspettative dei tassi di interesse futuri
attesi, una riduzione del tasso di sconto si riflette in un calo dei tassi di interesse di
medio e di lungo termine. Il terzo strumento a disposizione della Fed è costituito
dalle operazioni di mercato aperto, con le quali essa acquista e vende titoli. Quando
la Fed acquista titoli, essa paga creando moneta, cioè aumentando la base monetaria.
Nel corso degli anni, le operazioni di mercato aperto si sono rivelate lo strumento più
adatto e flessibile per cambiare la base monetaria e quindi l’offerta di moneta.
Per quanto riguarda gli obiettivi della politica monetaria, essi si distinguono in
obiettivi finali e obiettivi intermedi. Gli obiettivi finali sono gli stessi della politica
economica (prezzi, occupazione, sviluppo), ma in particolare la politica monetaria
assume il compito di garantire la stabilità dei prezzi interni ed esterni (cambio). Tale
obiettivo non può essere raggiunto attraverso il controllo diretto dei prezzi, ma con
operazioni che, influendo sulla domanda e l'offerta di beni e servizi, spinga i prezzi
nella direzione desiderata. In particolare se, come spesso accade, il problema da
affrontare è l'eccessivo aumento dei prezzi, il compito della politica monetaria è di
rallentare le dinamiche della domanda in modo da contenere l'aumento dei prezzi nei
limiti desiderati. Si è soliti distinguere tra obiettivi finali e obiettivi intermedi della
politica monetaria. Poiché le autorità monetarie non possono influenzare
direttamente gli obiettivi finali (crescita del PIL, inflazione, tassi di cambio) devono
puntare a raggiungere obiettivi intermedi (tassi di interesse, circolazione monetaria)
che a loro volta influenzano gli obiettivi finali.