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Introduzione
Questa tesi avrà come oggetto l’ansia da prestazione sportiva e le tecniche di
gestione attualmente considerate più efficaci. In particolare, ci si soffermerà sulle
tecniche impiegate nel caso del pugilato, uno sport che richiede un grande autocontrollo
emotivo e cognitivo nell’atleta.
Le competizioni sportive costituiscono, infatti, un ambito dove l’ansia da
prestazione si manifesta in modo particolarmente intenso, anche a causa dell’iper-
attivazione fisiologica necessaria per eseguire una buona performance. Dunque, questo
argomento ha sia implicazioni teoriche che pratiche, relative all’adozione, in ambito
sportivo, di tecniche validate ed efficaci da parte degli psicologi dello sport, per aiutare
gli atleti a gestire la tensione e lo stress pre-competizione. Alla base di questa tesi vi sono
anche motivazioni personali, legate alla mia esperienza di fighter professionista e di
allenatore, che mi ha portato a confrontarmi personalmente con questo tipo di situazioni.
Nello svolgere questa tesi, si terrà conto dei più recenti contributi della psicologia
dello sport per quanto riguarda la gestione dell’ansia da prestazione, anche sulla base di
articoli di ricerca in lingua italiana e inglese consultati attraverso database online come
MedLine, PsycInfo e ResearchGate, che sono stati analizzati e confrontati tra loro.
Questa tesi si articolerà in 3 capitoli.
Il primo capitolo descriverà le caratteristiche della psicologia dello sport, a partire
dall’analisi del Modello Multidimensionale attualmente adottato. Ci si soffermerà,
inoltre, sul ruolo svolto dalle motivazioni in ambito sportivo e sull’importanza del
coaching e del lavoro di squadra nel potenziare le motivazioni individuali. Infine, sarà
fornita una breve descrizione del pugilato.
Il secondo capitolo analizzerà le caratteristiche dell’ansia e, in particolare, di quella
da prestazione sportiva. Saranno dunque descritti sia gli aspetti cognitivi che quelli
emotivi e fisiologici implicati e ci si soffermerà sulle componenti dell’ansia da
prestazione sportiva, descrivendone anche gli effetti per quanto riguarda il pugilato.
Il terzo capitolo fornirà, invece, una panoramica delle tecniche di gestione
dell’ansia da prestazione sportiva, anche nel pugilato, suddividendole in tecniche di
respirazione, di potenziamento cognitivo e di potenziamento dell’autoefficacia dell’atleta,
corredando tali analisi con le indicazioni provenienti da recenti studi di efficacia.
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Capitolo 1. La psicologia dello Sport
1.1 Il Modello Multidimensionale nella Psicologia dello Sport
La psicologia dello sport è una disciplina relativamente recente, sebbene le prime
teorizzazioni sul rapporto tra mente, corpo e movimento risalgano già all’antica Grecia,
periodo in cui si è venuta a creare la figura dell’atleta, inteso non solo come partecipante
a competizioni sportive, ma anche come individuo in grado di creare un equilibrio
armonico tra emozioni, corpo ed esecuzione estetica del movimento. Negli anni Venti e
Trenta del secolo scorso, Griffith (1926; 1928) conduce alcuni studi sulla psicologia alla
base dell’attività atletica e del coaching e successivamente le indagini vengono estese alla
psicomotricità.
In tempi più recenti, in particolare a partire dagli anni Sessanta, la psicologia dello
sport si configura come branca a sé stante della psicologia, grazie all’istituzione, nel 1965,
della International Society of Sport Psychology (ISSP). Infine, negli ultimi vent’anni è
emersa l’esigenza di fondare su basi scientifiche ed empiricamente validate questa
disciplina, creando dei modelli del comportamento umano e dei setting dove vengono
svolte attività fisiche, che aprano a diversi risvolti applicativi (Tenenbaum & Eklund,
2007; Tortorelli, 2016).
Ciò ha avuto come conseguenza una crescita degli ambiti applicativi di questa
disciplina. Da un lato, la psicologia dello sport si è inserita nell’ampio novero di discipline
di cui si avvalgono le società sportive o gli sportivi stessi, per monitorare e incrementare
le prestazioni atletiche e il benessere dell’atleta.
Dall’altro lato, questa disciplina ha permesso di studiare più nel dettaglio i benefici
dello sport sulla salute dell’individuo, a prescindere dalle finalità sportive e competitive
intrinseche, consentendo inoltre di comprendere in che modo lo sport partecipa allo
sviluppo e alla crescita personale, sia in età evolutiva e adolescenziale che in età adulta
(Cockerill, 2002).
Dunque, attualmente la psicologia dello sport mira a educare gli atleti, gli allenatori,
i team, i praticanti, gli istruttori, gli insegnanti, i genitori e i bambini riguardo gli aspetti
psicologici insiti nello sport e nelle altre forme di esercizio fisico. In caso di necessità, è
anche possibile ottimizzare le prestazioni dei destinatari attraverso l’uso di skills e
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strategie psicologiche, valutando poi gli esiti dell’intervento tramite strumenti di
misurazione qualitativi e quantitativi (Marchant, 2010).
Per quanto riguarda le consulenze rivolte agli atleti, alle squadre e alle società
sportive, esse si focalizzano sull’ambito relazionale, centrale soprattutto nella squadra o
team e sull’ambito più strettamente tecnico, legato alle procedure che vengono seguite.
In merito alle relazioni, il compito dello psicologo dello sport è quello di lavorare sui
legami interpersonali tra i membri del gruppo, favorendo lo spirito di squadra, la
cooperazione e l’aiuto reciproco, la motivazione di ciascun membro e la promozione della
salute del gruppo (Tortorelli, 2016).
Per quanto riguarda le tecniche, gli obiettivi seguiti dagli psicologi dello sport
possono essere centrati sui processi, ovvero sul modo di seguire determinati
comportamenti durante la prestazione sportiva, sulla performance, ovvero sull’efficacia
e la correttezza della prestazione o sui risultati, per i quali dal punto di vista sportivo si
intendono il conseguimento di vittorie o di un miglioramento della posizione della
squadra o dell’atleta (Eklund & Tenenbaum, 2013).
Alcune tecniche della psicologia dello sport vengono impiegate anche in ambito
organizzativo, ad esempio per facilitare il cambiamento a livello di cultura aziendale
(Barker, Neil & Fletcher, 2016).
Nell’ambito della Psicologia dello sport, sono state definite e validate specifiche
tecniche di miglioramento della performance sportiva e di preparazione mentale alla
stessa. In particolare, secondo il recente modello multidimensionale elaborato da Fulcheri
e collaboratori (2014), è possibile classificare le strategie dello psicologo dello sport sulla
base di quattro aree di intervento: il miglioramento della prestazione, le difficoltà nella
prestazione, il decadimento della prestazione e l’interruzione o il termine della
prestazione.
Per quanto riguarda lo sviluppo e il miglioramento della prestazione, lo psicologo
dello sport può intervenire sulla qualità della performance attraverso un intervento di
preparazione mentale, o mental training, che ha come obiettivo terapeutico primario gli
aspetti strettamente connessi alla prestazione dell’atleta, focalizzandosi sulle strategie di
ottimizzazione e, come focus terapeutico secondario, gli eventuali problemi psicosociali
che possono impedirne il miglioramento.
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Infatti, rimuovendo tali ostacoli e lavorando sulle motivazioni della persona, è
possibile incrementare la performance e, di conseguenza, anche gli outcome del processo.
Per quanto riguarda le difficoltà nella prestazione, lo psicologo dello sport può
attivare un intervento di psicoterapia o counseling per lo sportivo che incontra temporanee
difficoltà, eventualmente integrando tale intervento con uno di preparazione mentale. Il
focus terapeutico primario viene posto sui problemi di sviluppo, transizione, reazione e
adattamento a eventi significativi, così come su eventuali barriere psicologiche che
possono rendere più difficile la prestazione per lo sportivo. Il focus terapeutico secondario
è invece centrato sui problemi della prestazione veri e propri, con lo scopo di identificarli
e risolverli.
Per quanto riguarda il decadimento della prestazione, ovvero il calo nella
performance dello sportivo, è possibile attivare un intervento psicoterapeutico o di
counseling, accompagnato a un’eventuale farmacoterapia. Lo psicologo si focalizzerà
sull’eventuale presenza di disturbi psichici o comportamentali da parte dello sportivo, che
potrebbero spiegare il decadimento della prestazione e, come focus secondario, sugli
specifici problemi della prestazione, anche in questo caso allo scopo di rimuovere gli
ostacoli e le barriere.
Infine, per quanto riguarda l’interruzione della prestazione o la conclusione della
carriera dello sportivo, l’intervento può essere psicoterapeutico o di counseling, per
sostenere lo sportivo nella transizione a nuove pratiche e attività. Lo psicologo può
focalizzarsi sulle reazioni psicologiche dello sportivo e aiutarlo a pianificare il proprio
futuro, conservando comunque l’attitudine proattiva nei confronti dell’esercizio fisico, in
grado di garantire uno stile di vita sano.
Ciascuna di queste aree prevede una fase di lavoro educativo, tramite cui lo
psicologo aiuta il singolo sportivo o il gruppo ad affrontare il problema attuale acquisendo
una comprensione delle difficoltà e imparando a superarle e una fase esperienziale, che
prevede il ricorso a diverse strategie di lavoro, sia psicologico, legato ad esempio alla
motivazione, sia relazionale, legato allo spirito di squadra e al legame con il coach, sia
tecnico, legato ai processi implicati nella performance.
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1.2 Le motivazioni in ambito sportivo
Uno degli aspetti di cui si occupa la psicologia dello sport è la motivazione
individuale e di gruppo. Affinché sia possibile motivare l’individuo nei confronti di
attività sportive o di esercizio fisico, che richiedono sforzo e concentrazione prolungati,
è anzitutto necessario comprendere il rapporto tra motivazione e movimento (Roberts,
Treasure & Conroy, 2013).
Il termine motivazione deriva infatti dal latino motus, “movimento”, dunque fin
dall’etimologia di questa parola si denota il legame tra motivo e azione nella persona. La
motivazione è infatti ciò che spinge un individuo ad agire, fornisce una ragione e uno
scopo al suo comportamento che può essere compresa anche dagli altri, su una base di
una valutazione delle risorse personali e ambientali (Moè, 2010). Nell’ambito della
psicologia dello sport, la motivazione viene definita come un processo che direziona,
regola e incentiva il comportamento in vista di un fine.
Una delle teorie storiche sulle motivazioni è quella di Maslow (1954), che ordina i
bisogni attraverso l’immagine metaforica della “piramide”: alla base ci sono bisogni
fisiologici, poi salendo ci sono bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima, di
autorealizzazione. Se non vengono soddisfatti i bisogni alla base, non possono essere
soddisfatti quelli superiori. I bisogni basilari sono di origine fisiologica e includono, ad
esempio, mangiare, bere, coprirsi dal freddo. Nella fascia piramidale successiva ci sono i
bisogni di sicurezza, cioè di stabilità, di avere una base di riferimento.
Una volta ottenuta, emergono i bisogni di appartenenza, di tipo sociale, quindi il
desidero di avere legami. Successivamente, all’interno di queste relazioni si avverte il
bisogno di essere apprezzati e riconosciuti, quindi emergono i bisogni di stima. Infine, vi
sono i bisogni di autorealizzazione, cioè di vivere pienamente compiendo le attività che
danno soddisfazione.
Questa teoria si può applicare anche alla scelta di praticare uno sport, incluso il
pugilato, anche evidenziando come tale scelta possa soddisfare contemporaneamente più
bisogni, non necessariamente nell’ordine elencato da Maslow (1954). Infatti,
difficilmente la scelta è dovuta a bisogni primari, ma se viene protratta a lungo, l’atleta,
da amatore, diventa professionista, percependo uno stipendio che gli consente di