INTRODUZIONE
Pensando ad un'introduzione che potesse motivare la natura e la struttura della tesi, mi sono
trovato a riflettere sulle ragioni che mi hanno portato qui oggi, facendo emergere in me la
necessità di considerare questo mio lavoro finale quale ultimo atto che si inserisce in un
percorso più ampio del quale esso ne rappresenta il completamento.
Concludo, quindi, ripartendo dall'inizio, da quando tre anni or sono ho deciso di lasciare il
lavoro in fabbrica e tentare quello che poteva apparire (e per certi versi lo era) un azzardo. La
motivazione che mi ha convinto ad operare questa scelta, è stata quella di trasformare un
interesse e un modo di essere, in un impegno professionale: operare, agire, intervenire sulle
molteplici forme di malessere e di difficoltà del singolo o del gruppo, in una fase di forte
rallentamento economico (almeno in tutti i Paesi dell'ex occidente produttivo ed opulento)e
di “inviluppo”sociale quale quella attuale, che in parte esaspera quelle criticità ma in parte
essa stessa contribuisce direttamente a produrre.
Le mancanze di un'utenza sempre più variegata, rischiano di non trovare una risposta
adeguata e a fronte del bisogno incalzante di offrire proposte articolate a necessità
complesse, si impongono all'assistente sociale (AS) vincoli economici ed organizzativi che
rischiano di limitare progressivamente l'incisività e la prospettiva dell'intervento, a favore di
risposte parziali o standardizzate. I tagli ai fondi per le politiche sociali
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che incidono
pesantemente anche sui settori dell'infanzia e dell'adolescenza
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ipotecano la possibilità di
poter continuare a parlare di stato sociale e stato di diritti e credo necessitino della
mobilitazione dell'intera comunità professionale.
Da un lato essere consapevole di ciò ha significato per me condividere l'idea, oggi più che mai
necessaria, di un AS capace di alzare lo sguardo sul mondo e prendere coscienza dei grandi
temi legati all'analisi delle contraddizioni che attanagliano questo modello di sviluppo.
Dall'altro, nel rapporto quotidiano con l'utenza, mi sono interrogato su quali potevano essere
gli esiti di questo scenario per coloro che possiedono gli strumenti meni testati ed affinati per
farvi fronte: i minori.
Ecco, dunque, come è progressivamente cresciuto il mio interesse per quest'area di intervento
del Servizio Sociale, che si è concretizzato, prima, nella possibilità di svolgere il tirocinio
1 A. Misani, “Finanziaria 2011: fine delle politiche sociali?”
2 http://www.cnoas.it/documento.php?id=346
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presso l'Ufficio Minori dell'Ambito di San Vito al Tagliamento e, poi, nella possibilità di
proseguire quell'esperienza attraverso un contratto come educatore. Sono entrato, così, in
punta di piedi in un settore tra i più complessi (se non il più complesso) nel quale si trovi ad
operare i professionista AS e la mia “iniziazione” è stata all'altezza delle premesse. Da subito
mi sono trovato, infatti, a seguire con le AS casi mai semplici o scontati ma, al contrario,
sempre articolati e , spesso, a tratti drammatici. È proprio in questo contesto che mi sono
avvicinato al tema dell'affido, a ciò che accade quando quella rete primaria a così alto
coinvolgimento emotivo ed affettivo che è la famiglia, non è più in grado di offrire risposte e
sostegno al minore ma diviene, essa stessa, causa e strumento di incertezza, trascuratezza,
abbandono o violenza. Quando, cioè, tutto ciò si traduce nella necessità di pensare ad un
allontanamento del minore dal proprio nucleo di origine.
Il mio interesse per l'affido nasce dal suo intrinseco carattere transitorio, in quanto pensato
con l'obiettivo di dare una possibilità altra ad entrambi i soggetti coinvolti nella relazione: al
minore di sperimentarsi in rapporto a se stesso, al mondo adulto e a relazioni familiari
incardinate su di un principio di equilibrio. Alla famiglia di origine, di ritagliarsi uno spazio
nel quale poter pensare ad un percorso che, sostenuto dai servizi e dalle reti disponibili, possa
permetterle di riorganizzarsi e, nel momento in cui si dovessero ripristinare le condizioni
adatte, di ri-accogliere il minore al proprio interno. Anche quelle forme di affido definite “sine
die” per le quali non si prevede un'ipotesi di rientro vista la natura multiproblematica del
nucleo familiare di origine, rimangono, a parere di tutti gli operatori, degli affidi a tutti gli
effetti. Infatti, la lontananza permanente genitori-figlio/i si combina con la possibilità di
mantenere un filo diretto e continuo tra gli uni e gli altri, nei limiti delle capacità e delle
esigenze di ognuno.
Il tratto che rende speciale l'affido familiare è lo spirito di solidarietà che lo sottende, l'idea,
così lontana dalla visione nucleare delle priorità della famiglia odierna, che alcuni pezzi della
società possono muoversi e incanalare risorse in direzione di altri che vivono una sofferenza.
Ogni progetto di prossimità familiare contribuisce a muove un passo verso il superamento
della visione parcellizzata dei rapporti sociali, proponendo una qualità della vita che dipende
dalla qualità delle relazioni. La sua natura “laica” si esprime nel rispetto dell'altro che viene
accolto senza l'obiettivo di cambiarlo ma con quello di farlo crescere nelle sue potenzialità,
proponendo un modello altro di vita e di relazione al quale il minore potrà decidere se e come
aderirvi.
In questo quadro generale si inserisce l'esperienza particolare con la quale vorrei
caratterizzare il mio lavoro di tesi: quella dell'affido genitore-bambino. Nell'ottica della
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salvaguardia e del mantenimento del rapporto privilegiato che qualunque minore detiene con i
propri adulti naturali, questa forma di affido si presenta come un'inedita possibilità che viene
data alla coppia genitore-figlio di rimanere unita all'interno di una famiglia affidataria,
sperimentando una condizione di accoglienza e sostegno dai forti tratti di articolazione e
complessità per il numero e la qualità delle relazioni in gioco.
Nella stesura del lavoro ho voluto, quindi, proporre una cornice generale sul tema dell'affido
cercando di quantificarne la portata con alcuni dati statistici; di delinearne i tratti legislativi, e
di descriverne la natura sociale e l'impatto relazionale per gli attori coinvolti. Nella seconda
parte del lavoro ho voluto focalizzare l'attenzione sull'esperienza dell'affido genitore-bambino
così come la osservo nell'Ambito presso il quale lavoro, proponendo alcune riflessioni
generali sull'esperienza in sé e lasciando spazio anche alla voce dei diretti protagonisti, che
per quanto la loro condizione emotiva lo permetteva, altro hanno saputo descrivere e
trasmettere, meglio di chiunque altro hanno saputo descrivere il significato che ha avuto per
loro tale esperienza particolare.
Ho pensato a questo lavoro non come ad un scritto teorico sul tema, ma come ad uno
strumento utile per pensare all'affido in termini operativi, portandone alla luce una tipologia
inedita. L'ambizione è quella di contribuire, anche attraverso questo lavoro di tesi, alla sua
diffusione.
Dove non indicato da specifici rimandi, tutte le considerazioni e le riflessioni sono frutto di
scambi e discussioni più o meno formali che si sono date all'interno del gruppo con il quale
lavoro.
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CAPITOLO I
COS'È L'AFFIDO FAMILIARE
L'affido familiare è un'istituzione dell'ordinamento civile italiano disciplinata dalla l.184/83 e
modificata dalla l.149 del 28/03/2001 che ha come obiettivo quello di intervenire all'interno
delle situazioni familiari nelle quali non possa essere garantita quella condizione di
equilibrio che consente uno sviluppo del minore dal punto di vista fisico, psichico ed emotivo.
Alla difficoltà temporanea della famiglia naturale, fa eco la costruzione di un percorso di
sostegno che può realizzarsi in modi diversi ed assumere forme differenti a seconda di quelle
che sono le esigenze del nucleo in difficoltà. La legge prescrive, preliminarmente, l' obbligo
da parte dello Stato di rimuovere tutti quegli ostacoli che a diverso titolo possono impedire o
pregiudicare la permanenza del minore presso il suo nucleo familiare. Solo quando ciò non si
è rivelato sufficiente, allora è possibile ricorrere a forme di allontanamento, sempre con
l'obiettivo di salvaguardare l'incolumità del minore. L'affido rappresenta una delle possibili
soluzioni che si possono adottare. Lo stesso affidamento familiare si può concretizzare, poi, in
una serie di misure differenti che possono collocarsi all'interno di orari particolari della
giornata, della settimana o prevedono l'uscita completa del minore dal proprio nucleo
familiare per il tempo che viene ritenuto necessario. Il tratto che deve essere garantito dal
progetto, però, è quello della continuità, della stabilità per garantire in modo costante ciò che
la famiglia non riesce a dare. Gli stessi volontari che si propongono per l'affido possono
essere soggetti molto diversi tra di loro: single, coppie conviventi o coniugate, con figli o
senza. Possiamo dire che non esiste una tipologia di famiglia dai tratti più adatti di altri ad
accogliere un minore. Ciò che si rivela importante per incrementare la probabilità di riuscita
di un affido, è l'abbinamento che si riesce a fare tra il minore e gli affidatari: tanto più
risultano complementari (non uguali) l'uno all'altro, tanto più riusciranno a ipotecare la
riuscita del progetto.
1-Gli attori dell'affido.
Ho voluto utilizzare il termine di “attori” perchè in un procedimento di affido non esistono
soggetti attivi ed altri passivi. Al contrario tutti (ed ognuno nella specificità del proprio ruolo)
esercitano attivamente una parte, modificando e venendo cambiati dalla relazione e dagli
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accadimenti che la accompagnano.
Chi sono i minori in affido.
Rientrano all'interno di questa categoria tutti i minori, dai neonati a coloro che hanno
compiuto 17 anni. Nella scelta della famiglia affidataria, le caratteristiche specifiche dei
minori da quelle anagrafiche a quelle caratteriali, come anche la necessità di salvaguardare il
loro rapporto con eventuali altri fratelli o meno, si rivelano fondamentali. La loro centralità
rispetto alla costruzione del progetto educativo deve essere sempre tenuta presente in tutte le
fasi e i momenti dell'affido. Ad esempio ho rilevato che nella costruzione del calendario delle
visite (specie se hanno carattere protetto), la disponibilità del minore ad incontrare i genitori
deve essere sempre oggetto di riflessione da parte di chi segue il progetto: il rischio che ci si
trovi solo per fare piacere agli adulti esiste e può indurre nel minore reazioni di insofferenza
anche molto forti. Ciò non si traduce nella delega al minore della decisione di incontrarsi o
meno, che spetta, comunque ad una valutazione dei professionisti impegnati nella relazione;
quanto alla necessità di pensare a quei momenti come contesti da spiegare e costruire con il
minore.
Chi sono le famiglie degli affidati.
Si tratta delle famiglie che necessitano di un aiuto, di un sostegno nelle funzioni educative,
affettive, relazionali con i propri figli, in quanto si trovano in una difficoltà tale da arrecare
pregiudizio, a volte addirittura un danno, per il minore. La durata dell'allontanamento di
questo dalla famiglia, è determinata dal bisogno che essa dimostra per ripristinare una
condizione di equilibrio, per ri-acquisire la capacità di esercitare le proprie funzioni
genitoriali. Dal punto di vista del lavoro integrato dei Servizi, quello con la famiglia naturale
ne rappresenta uno degli aspetti più evidenti ed avanzati. Infatti i Servizi Sociali, il
Consultorio, la Neuropsichiatria Infantile, il medico di base, il pediatra, il Centro di Salute
Mentale sono tutti protagonisti di un lavoro che, a seconda del caso specifico, deve
accompagnare la famiglia nel suo percorso di acquisizione o rinforzo di competenze e
relazioni.
Chi sono le famiglie affidatarie.
Come già accennato sono tutti coloro che dimostrano una disponibilità a condividere uno
spazio nella propria vita e nella propria casa con un minore che versa in condizioni di
difficoltà. Si tratta di un ruolo particolarmente complesso in quanto prevede la capacità di
accogliere una persona evitando qualunque atteggiamento giudicante rispetto a lei, alla sua
famiglia e alla storia che porta con sé. La volontà è quella di accompagnarla durante un tratto
più o meno lungo della sua vita senza la pretesa di cambiarla ma lavorando assieme a lei
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perchè possa sviluppare le sue potenzialità e imparare ad utilizzare le proprie risorse. In
quanto compartecipe del progetto, la famiglia affidataria non solo agisce all'interno della
relazione ma è essa stessa modificata da tale rapporto. Colui che è accolto al suo interno fa
percepire alla famiglia affidataria modi altri di sentire e di comportarsi.
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Il ruolo degli
affidatari si fa portatore di importanti responsabilità, tanto che emerge, come sempre più
pressante, la necessità che il loro intervento affianchi alla dimensione affettiva all'“essere
pronti per”
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quella più formale che si costruisce attraverso una specifica preparazione: “la
formazione delle famiglie affidatarie è necessaria per aiutare le persone, le coppie, le famiglie
che si rendono disponibili a andare oltre una generica espressione spontanea di solidarietà
umana”.
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Una fase importante dell'incontro con le famiglie che si avvicinano all'esperienza dell'affido è
quella della loro valutazione, che tocca le caratteristiche dei singoli e della coppia ma anche le
motivazioni per le quali esse approdano in un certo momento del proprio ciclo di vita a tale
decisione. Approfondire gli aspetti delle motivazioni andando oltre quelle portate in prima
istanza, “limita l'onnipotenza della coppia e degli operatori e aiuta i soggetti valutati
nell'autovalutazione e nella riflessione su loro stessi”.
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Chi sono gli attori istituzionali.
Sono quelli che dispongono l'affido e delineano il progetto da proporre e condividere con
l'utente. La titolarità del progetto affido spetta all'ente locale ma la sua attuazione, data l'alta
complessità che lo caratterizza, richiede l'apporto stabile, integrato e continuativo di
professionalità diverse: sociali, sanitarie ed educative.
Il terzo settore.
Ultimo, non certo per importanza, è l'intero corpo dell'associazionismo e della cooperazione
sociale che riveste un ruolo primario nell'intero arco del percorso dell'affido. La territorialità
del terzo settore consente di individuare risorse e disponibilità che difficilmente riuscirebbero
ad emergere in altro modo. Essendo il messaggio dell'affido basato sulla disponibilità
volontaria, l'associazionismo risulta fondamentale come canale per completare quella
sensibilizzazione del territorio, rispetto alla quale il solo intervento istituzionale potrebbe
risultare insufficiente. La pubblicizzazione “generica”, quella della quale si può fare portatrice
l'istituzione, ho verificato che si rivela utile per mantenere vivo l'interesse attorno ad un tema
così particolare come l'affido ma risulta poco efficace per raccogliere la disponibilità di
3 D. Chitti, “La genitorialità sociale nell'affido familiare”
4 L. Mortari, “Famiglie-risorsa e pratiche di quotidiana solidarietà”
5 I. Todaro, S. Scalco, C. Stragliotto, N. Zanardello, “Un modello operativo per l'affido”
6 A. Casartelli, “Affido familiare e valutazione”
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