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di tipo specificatamente filosofico o estetico o sociologico o musicologico. Proprio
riguardo alla musica, per Adorno il problema della possibilità di un’esistenza liberata
dalla morsa della società è infatti strettamente connesso alle possibilità e alle
prerogative dell’arte. Cercherò dunque in questo elaborato di individuare quale ruolo,
nell’uomo e nelle attività umane, assegni Adorno all’arte e in special modo alla musica,
quali prerogative attribuisca ad esse e quali siano gli effetti che i meccanismi del
perverso sistema capitalistico ha su di esse.
Il momento teorico relativo alla produzione e alla funzione dell’arte e della
musica è stato trattato da Adorno con un’attenzione e una specificità particolare, dal
momento che il profondo interesse per l’arte e per la musica si è concretizzato
nell’autore non solo a livello teorico ma anche nella stessa pratica musicale. Per
Adorno, parlare di estetica non significa esclusivamente teorizzare sul fenomeno “arte”,
sulla sua genesi, sulla sua funzione e sui suoi sviluppi, bensì i suoi scritti vengono
sempre più compenetrati, avvalorati e resi significativi da analisi di altro tipo. L’arte
viene valutata alla luce delle sue implicazioni sociologiche, politiche ed economiche, in
relazione ai condizionamenti dei sistemi di comunicazione di massa, in rapporto agli
sviluppi del capitalismo, all’interno di una società regolata dalla “logica del dominio”.
Da ciò Adorno ricava l’esigenza di superare la tradizionale impostazione dell’estetica
(intesa come studio filosofico applicato “dall’esterno” ad un oggetto particolare) e della
sociologia, a favore di un approccio originale capace di scavare nella costituzione delle
opere e di ricavare, dall’analisi delle strutture delle composizioni, il loro significato
sociale, ovvero il loro atteggiamento nei confronti della società. La particolarità
dell’approccio adorniano ai fenomeni musicali è dunque quella di essere essenzialmente
interdisciplinare, capace di avvalersi di strumenti analitici di tipo filosofico,
3
sociologico, psicoanalitico, storico e teorico-musicale, al fine di pervenire ad una
conoscenza globale – il più esauriente possibile – dei fatti musicali e della complessa
trama di relazioni in cui essi si trovano sempre inseriti.
Il pensiero di Adorno è irriducibile a qualsiasi altro sistema filosofico e la
capacità di toccare ambiti tanto distanti tra loro, dalla gnoseologia all’estetica, rendono
la lettura dei diversi saggi molto complessa; Adorno è uno studioso poliedrico e
versatile impegnato su più fronti (filosofia, sociologia, critica musicale e persino
composizione) e sempre convinto della necessità di abbattere le frontiere tra le varie
discipline per ricercare una comprensione più vasta e profonda dei fenomeni. Per questo
motivo è stato necessario analizzare quasi l’interezza degli scritti di Adorno, poiché in
molti di essi sono presenti riferimenti a tematiche differenti, per ricostruire un cammino
diacronico del pensiero del filosofo francofortese; infatti “non c’è dubbio che un lungo
viaggio nella selva della prosa adorniana dà l’impressione di incontrare con fastidiosa
frequenza gli stessi punti di riferimento”3. Contemporaneamente ho ricercato anche
numerosi saggi e parte della produzione di articoli, critiche e recensioni apparsi sulle
principali riviste culturali del nostro Paese in quasi cinquant’anni.
Il primo capitolo, dopo una breve biografia intellettuale, vuole porre l’accento
sullo stile di Adorno, in quanto strettamente legato con i contenuti dell’espressione
filosofica; capire la scrittura di Adorno e il suo rapporto con chi legge è infatti
fondamentale per comprendere il suo pensiero. Il secondo capitolo invece si focalizza
su alcuni temi portanti del pensiero adorniano: il concetto di illuminismo e di ragione
strumentale, la dialettica negativa e la critica all’industria culturale. La mia analisi, nel
terzo capitolo, si è poi incentrata sull’estetica e in particolar modo sulla musica; la
3
Jay M., Theodor W. Adorno, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 178
4
quarta parte invece è quella più strettamente legata al titolo della tesi. Si può parlare di
un valore formativo della musica in Adorno? O anche, girando la domanda, si può dire
che la critica musicale (e anche filosofica) di Adorno ha un valore formativo? Quale
può essere una pedagogia musicale per Adorno?
Adorno si occupa direttamente di pedagogia in pochi saggi e comunque
marginalmente alla sua produzione; ciò nonostante è sempre presente in lui l’attenzione
alla formazione dell’individuo, specialmente in una società di massa come quella in cui
viviamo. Ecco allora le grandi analisi sugli aspetti sociali della produzione e della
ricezione della musica, sui tipi di comportamento musicale, sulla reificazione dell’arte e
sulla regressione dell’ascolto; esse sono l’esplicitazione di una teoria estetica che
guarda sempre con attenzione all’uomo “non come mezzo ma come fine” – citando
Kant –, ovvero al capovolgimento dell’essenza della società nella quale l’uomo si trova
a vivere. L’arte ha infatti la possibilità di andare oltre alla realtà contingente e può
denunciarne l’assurdità; la migliore formazione dell’uomo è riuscire ad avere coscienza
di questo stato di cose per poter sfuggire ai meccanismi reificanti dell’ideologia.
Critico nei confronti del sistema attuale di oggettivazione – di mercificazione –
del soggetto, scettico verso un possibile giro di boa del mondo contemporaneo,
nonostante in molti lo abbiano tacciato di pessimismo ad oltranza, il “Mister Magoo
della cultura europea”4 ha sempre avuto una speranza nel cambiamento e nel
miglioramento della condizione dell’uomo. Alla lucidità che contraddistingue molte
delle intuizioni di Adorno, fa da contrappeso una visione definita “apocalittica”5 da
Umberto Eco; vi è un certo pessimismo di fondo che egli ha ereditato da un filone del
pensiero tardo ottocentesco che affonda le sue radici specialmente nelle riflessioni
4
Ferrarotti F., Quello che Adorno non vuole vedere, in “La fiera letteraria”, dicembre 1966, p. 3
5
Eco U., Apocalittici e integrati, in “Marcatré”, 1964, n. 6 – 7, p. 86
5
nietzschiane. Nonostante ciò, molto spesso si è esagerato nel definire eccessivamente e
sconsolatamente pessimista il punto di vista adorniano, poiché “nel pessimismo, reso
funzionale dell’intelligenza critica, è da ravvisare la forza stessa della denuncia”6.
6
Perlini T., Che cosa ha veramente detto Adorno, Roma, Ubaldini, 1971, p. 16
6
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CAPITOLO PRIMO – Th. W. Adorno: la vita, lo stile, le
idee
I – Per una biografia intellettuale
“Un giorno lei dovrà decidere tra Kant e Beethoven”
Alban Berg a Adorno (1925)1
Pare quasi un controsenso voler raccontare la vita, le opere e il pensiero di
Theodor Wiesengrund Adorno poiché egli avrebbe rifiutato qualsiasi opera di esegesi
del suo pensiero. In Adorno infatti ogni topos concettuale non si presenta come unitario,
separabile dal resto del pensiero, o esaustivamente definito; al contrario ogni
affermazione è il trampolino di un ribaltamento, l’antitesi di un sillogismo irrisolvibile
che lascia sempre aperto il pensiero. Adorno definisce il concetto come “Kraftfeld”
(“campo di forza”), ovvero un sistema di attrazioni e repulsioni che crea un fenomeno
che è e che si vuole mantenere complesso. La struttura del logos adorniano è dunque
paratattica, una ragnatela in cui gli elementi non solo non sono ordinati gerarchicamente
ma addirittura si negano tra loro, decostruendo ogni volta la realtà dei fatti. Per questo
1
Riportato in Giardina R., Adorno, maestro ribelle contestato dal sessantotto, in “Il Resto del Carlino”, 9
settembre 2003
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motivo Jay nel suo saggio parla di “costellazione”2, ovvero di una filosofia che tende ad
raggrupparsi intorno a dei punti di aggregazione, tensioni irrisolte del suo pensiero,
spunti continui di riflessione; Jay ne individua cinque – marxismo, modernismo estetico
(difesa dell’arte moderna), conservatorismo culturale oligarchico (disprezzo per la
cultura di massa), impulso ebraico (Adorno fu ossessionato dalle implicazioni culturali
di Auschwitz3) e decostruzionismo – che possiamo considerare come delle invarianti
del suo pensiero. Unico vantaggio – unica bussola – dunque la coerenza; Adorno
rimane sempre fedele ad alcuni temi fissi e che porgono la chiave di lettura di ogni suo
volume. Illuminismo, industria culturale, dialettica negativa (ma volendo anche –
seppur in maniera più complessa – marxismo, psicanalisi) sono concetti base che
irradiano ogni scritto, anche quando le affermazioni paiono contraddirsi nel giro di
poche pagine.
Nato a Francoforte sul Meno l’11 settembre 1903, unico figlio di un
commerciante ebraico – Oskar Wiesengrund – e di una cantante cattolica di origini
corse – Maria Calvelli - Adorno –, Theodor Wiesengrund Adorno trascorre la propria
infanzia in un ambiente familiare molto agiato ed equilibrato, manifestando sin dalla
giovinezza una precoce passione per la musica, instillatagli probabilmente dalla madre,
cantante di buon livello, e dalla zia, pianista professionista. Adorno inizia quindi a
studiare pianoforte con Bernhard Sekles, maestro anche di Paul Hindemith; negli stessi
anni inizia anche ad occuparsi di filosofia sotto la guida di Siegfried Kracauer, un
amico di famiglia, con cui ogni settimana legge una o due pagine della Critica della
ragion pura. Musicalmente ed intellettualmente precoce, Adorno viene incoraggiato a
2
Jay M., Theodor W. Adorno, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 11
3
Significative sono al proposito due frasi di Adorno in Dialettica negativa, ovvero la considerazione che
“tutta la cultura dopo Auschwitz […] non sia che spazzatura” (p. 331) e la domanda sul fatto “se dopo
Auschwitz si possa ancora vivere” (ibid.)
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sviluppare le proprie doti in entrambi i campi; nel 1921 si diploma presso il Kaiser
Wilhelm Gymnasium di Francoforte e si iscrive alla Johann Wolfgang Goethe
Universität, laureandosi in filosofia in soli tre anni sotto la guida di Hans Cornelius,
insegnante fortemente interessato a Husserl e al neo-kantismo, ai cui seminari sulla
fenomenologia Adorno fa la conoscenza di un altro giovane studente, Max Horkheimer.
Di origini non meno agiate di Adorno, Horkeimer è interessato anch’egli di problemi
estetici e di psicologia e benché più grande di Adorno di otto anni, i due stringono
un’amicizia e una collaborazione intellettuale durata per tutta la vita.
Poco prima della laurea, Adorno ha modo di assistere ad un’esecuzione di brani
tratti dal Wozzeck che suscita la sua ammirazione e lo spinge a contattare, grazie ad
un’amicizia comune, l’autore di quell’opera, Alban Berg, per entrare a far parte della
cerchia dei suoi allievi. Giunto a Vienna al principio del 1925, il ventiduenne Adorno si
trova subito a contatto con le più feconde energie dell’espressionismo schönberghiano
che proprio in quegli anni passa dalla fase della libera atonalità a quella dodecafonica.
Adorno guarda subito a questo nuovo modo di comporre con l’occhio del filosofo e non
del musicista interpretando l’atonalità espressionista non tanto semplicemente come il
prodotto della pura soggettività, ma come l’ultimo sviluppo di tendenze oggettive
immanenti alla musica stessa, tendenze a loro volta collegate alla società in cui si
realizzano e della quale sono a loro volta il frutto. Questo “intellettualismo” fa sì che
l’ammirazione di Adorno per Schönberg e i suoi allievi non sia ricambiata da questi
ultimi, i quali mostrano di non apprezzare la complessa interpretazione filosofico-
sociologica della propria musica fornita dal giovane filosofo, tacciato di eccessiva
seriosità.