con cui un ateneo di grande tradizione storica, l'Università di Pavia, comu-
nica ai suoi principali interlocutori, in particolare attraverso le attività svol-
te dall'ufficio stampa nella gestione dei rapporti con i media.
Lo strumento di cui mi sono avvalsa in questa seconda fase è
un questionario in forma scritta, sottoposto alla responsabile dell'ufficio
stampa, portavoce e coordinatrice delle iniziative di comunicazione
dell'Università di Pavia.
Il questionario, modificato in alcuni suoi aspetti, è stato poi inviato
ad uffici stampa e comunicazione di alcune università italiane.
I risultati completi dell'indagine si conosceranno solo quando per-
verrà un numero cospicuo di risposte da parte degli uffici contattati. I dati
raccolti potranno diventare lo spunto, insieme con le ricerche condotte da-
gli osservatorî, dalle associazioni nazionali e dai centri di statistica, per una
nuova ricerca nel campo della comunicazione universitaria in Italia.
Grazie all'esperienza di collaborazione maturata all'Ufficio Relazio-
ni Esterne dell'Università di Pavia, ho avuto la possibilità di osservare da
vicino le attività quotidiane che coinvolgono un ufficio incaricato della ge-
stione della comunicazione di ateneo, i rapporti con le altre strutture e con
l'organo di vertice, il coordinamento tra le diverse iniziative.
Pur essendosi trattato solo di un breve periodo, l'esperienza presso
le relazioni esterne in università ha segnato il primo passo di avvicinamen-
to verso l'argomento prescelto per la tesi di laurea.
7
Introduzione
La nuova Università
L'Università, come tutte le amministrazioni pubbliche negli ultimi
anni, ha attraversato un profondo processo di ammodernamento che è tut-
tora in corso.
Nel nuovo contesto di Riforma1 che ha portato ad una nuova arti-
colazione dei piani di studio e ad una maggiore autonomia, l'università ha
dovuto imparare a comunicare con i propri utenti (gli studenti in primis, le
istituzioni, la comunità locale, i media), allo scopo di rafforzare l'immagine
percepita e sviluppare nuovi strumenti e nuovi linguaggi per attrarre i po-
tenziali studenti e diventare competitiva.
Nel pieno della stagione di rinnovamento, il diktat che investe gli
atenei pone l'accento sulla necessità di comunicare il cambiamento.
I processi che hanno influenzato gli ordinamenti didattici compor-
tano un grande investimento nel rapporto con i “clienti” e con gli
stakeholders di riferimento e una maggiore attenzione agli aspetti comuni-
cativi.
“L'università può solo adeguarsi ai cambiamenti in atto o può
invece svolgere un ruolo attivo? Forse ogni università può seguire l'una
strada o l'altra ed esistono molti esempi in entrambe le scelte. L'unica stra-
da che un'università non può seguire [...] è quella di far finta che nulla sia
successo”2.
La comunicazione, in tale contesto, ha assunto sempre più il ruolo
di funzione istituzionale, l'università è divenuta agenzia pubblica, verso la
quale la società riversa numerose aspettative.
1 Introdotta con il Decreto Ministeriale 3 novembre 1999 n. 509, successivamente modifi-
cata con il D.M. 22 ottobre 2004 n. 270 e con il Decreto Ministeriale del 26 luglio 2007
2 Invernizzi E., Prefazione de “La comunicazione per il marketing delle università” di
Mazzei A., Franco Angeli, Milano, 2000, p. 9
8
Gli atenei comunicano da sempre, si può dire, con proprie peculiari-
tà: “gli accademici comunicavano agli altri accademici, alle istituzioni, agli
studenti. L'essenza stessa del metodo didattico [...] si è sempre basata sulla
comunicazione”3.
La comunicazione diviene strumento di riduzione delle complessità,
a patto che sia di qualità; per essere efficace, cioè, deve essere penetrante,
approfondita e chiara.
L’università deve investire nella costruzione di relazioni significati-
ve e continuative per accrescere il proprio prestigio e rispondere al mondo
del lavoro che richiede profili professionali sempre più specializzati e ad
elevata competenza4.
Sulla base della nuova cultura, l’università ha bisogno di pianificare
tutte le attività che rispondono a questa esigenza anche con l’aiuto di stru-
menti di marketing.
All’interno di questa pianificazione deve essere pensata la comuni-
cazione, che deve divenire un elemento strutturale dell’organizzazione uni-
versitaria, “una componente strategica essenziale all’organizzazione”5, pia-
nificata e finalizzata alla coerenza con l’identità dell’istituzione e dei suoi
obiettivi.
La Legge 7 giugno 2000 n. 150, il cui fine è stato quello di ordinare
in una disciplina organica le attività di informazione e comunicazione delle
pubbliche amministrazioni, ha provveduto ad individuare e precisare il
ruolo dell'Ufficio Stampa, del Portavoce e dell'Ufficio Relazioni con il
Pubblico (URP).
È difficile dire se la legge n. 150/2000 si sia dimostrata esauriente ed
adattabile al contesto accademico, soprattutto alla luce del fatto che l'attivi-
3 Casiero V., La comunicazione nelle Università in “ La funzione pubblica di comunica-
zione nelle pubbliche amministrazioni” a cura di G. Arena, Maggioli, Rimini, 2004, p. 358
4 Bracciale R., Martino V., “Comunicare l’Università. I dati dell’indagine Uni.com”, in
Rivista Italiana di Comunicazione Pubblica, anno V, 2003, n°17, pp.151-172.
5 Mazzei A., “La comunicazione per il marketing dell’università”, Franco Angeli, Milano,
2000, p. 26-27
9
tà di informazione non sempre è scindibile da quella di comunicazione,
come invece la legge sembrerebbe richiedere.
Uno dei più urgenti cambiamenti che l'istituzione universitaria ha
dovuto affrontare negli ultimi anni consiste nel riconsiderare il rapporto
con il suo pubblico, non più elitario come in passato, e con i suoi nuovi in-
terlocutori: il mondo del lavoro e la società civile.
Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di approfondire, da
un'analisi generale del mondo accademico fino all'esempio concreto dell'a-
teneo pavese, come l'università si sia adeguata al nuovo modello che la ri-
forma ha imposto: un modello che utilizza come strumento principale la
comunicazione ed il marketing relazionale.
Un tipo di marketing con proprie peculiarità che trae da quello tra-
dizionale gli strumenti con cui operare, cambiando l'approccio verso il tar-
get di riferimento.
Per restare al passo con i tempi l'università italiana deve, dunque,
imboccare con decisione la via del cambiamento per rispondere sempre più
concretamente alle esigenze del suo nuovo pubblico.
“Le università italiane hanno cominciato ad uscire dal chiuso
dei propri abituali circuiti comunicativi scientifico-istituzionali e ad
adottare strumenti di tipo pubblicitario, del tutto inusuali nella tradizione
accademica”6.
Molti autori utilizzano la metafora della “torre d'avorio” per descri-
vere l'università come “organismo autoreferenziale, [...], luogo di cono-
scenza fine a se stesso”7, un organismo che non ha bisogno di condividere
conoscenza, ma solo di comunicare in un unico senso. È evidente che, con
l'avvento dell'università di massa, la svolta autonomista e il processo di ri-
forma intrapreso, il modello è stato superato.
6 Boffo S., “La nuova comunicazione universitaria” in Rivista Italiana di Comunicazione
Pubblica, n. 15, Franco Angeli, Milano, 2003 p. 40
7 Casiero V., “La comunicazione nelle Università...” cit., p. 358
10
Le attività di comunicazione intraprese dal mondo universitario
sono la diretta conseguenza dei cambiamenti avvenuti nell'ultimo decen-
nio; il calo delle immatricolazioni negli anni novanta, l'alto tasso di abban-
doni, la perdita di attrattiva avevano gettato l'università in un profondo
stato di crisi dal quale solo un radicale cambiamento istituzionale avrebbe
potuto risollevarla.
Il radicale cambiamento, la riforma universitaria, è arrivato con il
Decreto Ministeriale del 3 novembre 1999 n. 509 che, introducendo il
sistema del “3+2”, ha completato definitivamente il passaggio ad un'uni-
versità di massa e ha consentito di recuperare il terreno sul fronte
delle iscrizioni, quasi quadruplicate nel giro di pochi anni dall'entrata in
vigore della riforma.
Non è, però, l'unico cambiamento avvenuto a seguito della riforma;
con la crescita del numero di iscritti anche le strutture amministrative han-
no dovuto adattare i propri organici, l'offerta formativa si è dovuta ade-
guare all'autonomia che consente ad ogni ateneo di differenziare i corsi di
laurea e i singoli insegnamenti.
L'università ha imparato a comunicare per far conoscere il cambia-
mento in atto, per promuovere se stessa e segnare un netto confine tra il
vecchio il nuovo.
11
PARTE PRIMA
Cap. 1
L'evoluzione dell'università:
lo scenario degli ultimi decenni
1. Università: definizioni
Nel Diritto italiano, per anni, è rimasto vivo il dibattito sulla natura
giuridica delle università in bilico tra un orientamento che sosteneva per
esse lo status di “persone giuridiche organi dello Stato” e un altro che le
annoverava tra le “amministrazioni pubbliche non statali”8.
Ha, infine, prevalso la seconda ipotesi sostenuta dagli interventi le-
gislativi in favore dell'autonomia degli atenei9, che hanno permesso il pas-
saggio da “ente statale” ad “ente portatore di interessi” costituzionalmente
garantito10.
Nella Costituzione Italiana il principio dell'autonomia degli atenei
si trova nell'articolo 33, in particolare nell'ultimo comma11 il quale afferma
8 Cassese S. (a cura di), “Le Università” in Trattato di Diritto Amministrativo, parte spe-
ciale, tomo secondo, pp. 1349-1416, Giuffrè, Milano, 2003
9 Legge n. 168/1989
10 C.Cost., n. 281/1992 e n. 383/1998
11 L'Art. 33 Cost. Recita:
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti
gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità,
deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente
a quello degli alunni di scuole statali.
12
“il diritto delle istituzioni di alta cultura, delle accademie e delle università
di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti delle leggi dello Stato”.
Per anni l'autonomia è stata intesa come “libertà di ricerca ed inse-
gnamento”e non come autonomia normativa.
Secondo Cassese12 questa concezione è criticabile per due ragioni.
Innanzitutto, perché non sembra cogliere una latente contraddizione tra
l'autonomia normativa di un organismo collettivo, come le università, e la
libertà del singolo docente o ricercatore nello svolgimento del proprio ruo-
lo (le norme di un ateneo potrebbero limitare lo statuto di libertà di ricerca
e insegnamento garantito costituzionalmente).
In secondo luogo essa sottovaluta le università come fenomeno am-
ministrativo. “L'autonomia costituisce infatti una formula organizzatoria e
gestionale per la realizzazione di un servizio pubblico a favore della collet-
tività, quale è l'istruzione superiore”13.
L'autonomia deve essere intesa come uno strumento per accrescere
l'efficienza.
La natura di “enti indipendenti” non deve ingannare: l'autonomia
universitaria non ha il carattere di autonomia politica, intesa come capacità
di autodeterminazione dei propri fini istituzionali in quanto enti esponen-
ziali di collettività territoriali, attribuita agli enti locali e alle regioni.
Le università sono “autonomie funzionali” per il loro carattere che
le pone in stretto rapporto con la collettività (degli studiosi e degli studen-
ti). La definizione di università come “comunità” di persone si ritrova an-
che negli statuti emanati in attuazione della legge 9 maggio 1989 n. 168
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la
conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti
autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
12 Cassese S., “Le Università” in op. cit., 2003
13 Ibidem, p. 1357
13
“Istituzione del Ministero dell'Università e delle Ricerca scientifica e tec-
nologica”14.
Il concetto di comunità è fondamentale perché discosta l'università
dal modello del “servizio pubblico” e la avvicina al modello “a rete di ate-
nei”, del quale si tratterà nei paragrafi successivi.
Sul territorio italiano sono presenti 78 atenei di natura sia pubblica
che privata (università statali e non statali o libere).
Nel presente lavoro ci si riferirà in particolare alle università pubbli-
che, anche se le differenze tra le due strutture non sono così sostanziali.
Le università non statali operano anch'esse nell'ambito delle norme
dell'art. 33 Cost., ultimo comma, e ad esse sono state estese le norme sul-
l'autonomia normativa introdotte dalla l. 168/89 sopra accennate.
Il dibattito sull'autonomia ha aperto la strada verso la riforma del
sistema universitario. Secondo Vaira15, il cardine su cui ruota tutto l'im-
pianto riformista è costituito dal concetto di autonomia.
14 La l. 168/1989 oltre a proclamare per la prima volta l'autonomia statuaria per gli atenei,
istituisce il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST).
15 Vaira M. “Le radici istituzionali della riforma universitaria”, in Rassegna italiana di So-
ciologia, n.4, 2001
14