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Durante questo periodo il sistema ha costantemente garantito le seguenti emissioni a pieno
carico: NOx<2ppm (@15% di O2); CO<2ppm (@ 15% di O2); incombusti <1 ppm
[http:\\www.catalytica-inc.com]. I promettenti risultati ottenuti in questa e precedenti
campagne di prove hanno portato Catalytica a firmare accordi di sviluppo e
commercializzazione con numerosi produttori di turbine a gas (General Electrics,
Pratt&Whitney, Rolls Royce Allison e Solar Turbines). Per soddisfare tali requisiti sono stati
sviluppati catalizzatori monolitici a nido d’ape a base di Pd supportato su un washcoat ad alta
area superficiale. La formulazione ottimale del catalizzatore prevede un alto carico di fase
attiva allo scopo di incrementare l’attività di combustione. Inoltre, tale sistema esibisce una
volatilità trascurabile al di sotto di 1000°C di tutte le specie palladio che si possono formare in
atmosfera di reazione e la capacità di automoderare la propria temperatura.
Combustore Ibrido
Il terzo approccio è quello presentato dalla Toshiba Corp. [Furuya et al., 1995], che ha
realizzato un combustore ibrido in cui la reazione è avviata cataliticamente e si completa in
fase omogenea. La principale differenza con la combustione catalitica parziale risiede nel
fatto che nel caso ibrido il combustibile è solo parzialmente alimentato allo stadio catalitico.
Così facendo si realizza un controllo della temperatura del substrato agendo sulla
composizione della miscela reagente: il monolito lavora ancora alla temperatura adiabatica di
fiamma della miscela ma tale temperatura non supera i 900°C, permettendo l’impiego di un
catalizzatore ad alta attività ed area superficiale a base di metalli nobili supportati. Completata
la combustione catalitica, alla corrente gassosa calda uscente dal monolito viene aggiunto
dell’altro combustibile che brucia autonomamente con il largo eccesso di ossigeno ancora
presente, per raggiungere la temperatura desiderata. Questo sistema consente sicuramente di
salvaguardare il catalizzatore, ma diviene molto più complesso e difficile da controllare a
causa della presenza di una corrente aggiuntiva di combustibile. I vantaggi in termini di alta
efficienza e minima produzione di NOx potenzialmente offerti dalla combustione catalitica
sono a grave rischio nel caso in cui le disuniformità di miscelazione sicuramente presenti non
vengano efficacemente ridotte (hot -spot, combustione incompleta).
La variante di questo processo ibrido in cui è l’aria ad esser introdotta in due fasi successive
presenta analoghi problemi legati ad una rapida ed efficace miscelazione. Ancora una volta si
agisce sulla composizione della miscela combustibile aria (adesso ricca) per controllare la
temperatura del catalizzatore, con l’ulteriore complicazione di un possibile aumento di prompt
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- NOx formati subito dopo lo stadio catalitico per l’eccesso di combustibile [Garten et al.,
1998].
Bruciatori porosi
Numerosi bruciatori radianti catalitici sono stati sviluppati dagli anni 70 ad oggi [Trimm e
Lam, 1980; Specchia et al. 1981]. In tali apparecchiature, il mezzo poroso all’interno del
quale si realizza il processo di combustione, assorbe il calore di reazione, sino al
raggiungimento dell’incandescenza, con il risultato di un rapido trasferimento di calore dal
solido all’ambiente circostante sotto forma di radiazione elettromagnetica [Kesselring 1986].
Da un lato, il meccanismo di trasferimento per irraggiamento permette, rispetto ad una
combustione a fiamma libera, più alte efficienze termiche e, dall’altro, riduce le temperature
di fiamma a beneficio di più contenute emissioni di NOx termici. I primi bruciatori catalitici a
riscuotere successo commerciale, con applicazioni nel riscaldamento civile, sono stati del tipo
a diffusione [Saint Junst et al. 1996] il cui impiego è però limitato dalla bassa potenza termica
che sono in grado di erogare (non raggiungendo i 50 kW/m2). I bruciatori di tipo pre-
miscelato rappresentano un’interessante alternativa anche perché in grado di soddisfare
richieste di potenze termiche superiori (sino a 2000 kW/m2).
Rispetto ai bruciatori convenzionali a diffusione, quelli radianti premiscelati anche non
catalitici, che solo nell’ultima decina d’anni hanno raggiunto una più ampia diffusione sul
mercato, sono in grado di offrire una serie di vantaggi:
• alte efficienze termiche, raggiungibili quando si operi in modalità radiante;
• riduzione dell’ingombro della camera di combustione: se ai bassi carichi termici la
combustione si realizza internamente al pannello, ai più alti carichi termici il mezzo
poroso si ricopre di numerose fiammelle la cui lunghezza è inferiore a quella dell’unica
fiamma tipica dei bruciatori convenzionali;
• ridotte emissioni di NOx termici, per le più basse temperature di fiamma;
• possibilità di operare a più bassi livelli di eccesso d’aria, a diretto vantaggio di maggiori
efficienze termiche;
• versatilità nel posizionamento del bruciatore all’interno della camera di combustione e
nella configurazione geometrica dello stesso (piano, conico, emisferico,…) con possibilità
di meglio adattare la geometria della camera di combustione;
• uniformità nella produzione dell’energia termica con superfici di combustione anche
molto estese.
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Esempi delle numerose applicazioni [Saint Just et al. 1996] si trovano nelle caldaie a tubi da
fumo [Kesselring 1986], nei forni dell’industria petrolifera per il riscaldamento dei fluidi di
processo o negli elementi riscaldanti nei serbatoi dei prodotti organici semifluidi [Gotterba et
al. 1985], negli impianti di essiccamento della carta e dei tessuti [Cho et al. 1999], nei forni di
ricottura dell’industria alimentare, nei fornelli delle cucine domestiche [Ro et al. 1999;
Scholten et al. 1999], nella sezione di reforming degli impianti con celle a combustibile sia
mobili che stazionari [Emonts 1999] e più in generale in tutti i processi endotermici
dell’industria chimica che richiedono calore a temperature medio alte [Ramshaw e Gough
1999].
Caratteristiche di funzionamento di bruciatori porosi
In un bruciatore poroso completamente premiscelato aria e metano vengono alimentate ad un
pannello poroso (Figura 5) e, in funzione della quantità di moto locale della miscela gassosa
che attraversa il mezzo, la combustione può procedere in diversi regimi. In corrispondenza di
bassi carichi termici ed eccessi d’aria, la combustione procede quasi completamente in un
sottile strato all’interno del pannello poroso (regime radiante senza fiamma) vicino all’uscita:
la temperatura della superficie esterna del bruciatore raggiunge tipicamente valori tra 700 e
900°C in assenza di fiamme. A questo punto l’energia termica viene trasferita rapidamente
per irraggiamento verso l’ambiente circostante, il che consente di mantenere bassa la
temperatura di combustione e di conseguenza minimizzare la produzione di NOx termici.
Tuttavia in queste condizioni la combustione del metano in un pannello non catalitico risulta
incompleta e comporta la formazione di alti livelli di CO ed idrocarburi incombusti [Cerri et
al. 2000].
Al contrario, in corrispondenza di alti carichi termici e eccessi d’aria, la quantità di moto
locale dei gas diviene sufficiente a spingere la reazione al di fuori del bruciatore, realizzando
un fronte di fiamma (blu) immediatamente a ridosso della superficie del pannello che resta
relativamente fredda (200-300 °C). In questo caso l’energia termica viene trasferita meno
intensamente al pozzo di calore, cosicché la temperatura di fiamma cresce sensibilmente,
favorendo la combustione completa del metano, ma causando maggior formazione di NOx. Si
deve inoltre sottolineare che la transizione da un regime all’altro non avviene in maniera
netta, ma gradualmente, con coesistenza di piccole fiamme blu e irraggiamento dalla
superficie incandescente del bruciatore [Cerri et al. 2000].
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• il catalizzatore, incrementando la frazione di calore trasmessa per irraggiamento, induce
più limitate temperature di fiamma e conseguentemente più contenuti livelli di NOx
termici;
• il catalizzatore, promuovendo la reazione di ossidazione del metano, permette la riduzione
delle emissioni inquinanti di monossido di carbonio e idrocarburi incombusti.
I bruciatori radianti necessitano di sistemi catalitici strutturati su cui si realizza l’ossidazione
del combustibile, che fungano anche da superfici incandescenti che realizzano il trasferimento
di calore per irraggiamento. A tal fine il catalizzatore può esser disperso su supporti strutturati
tipo feltri, formati da fibre metalliche o ceramiche [Klvana et al. 1997; Cerri et al. 2000,
oppure su monoliti a nido d’ape ancora una volta di materiali ceramici o metallici [Geus e van
Giezen 1999; Ro e Scholten 1999; Scholten et al. 1999]. Le proprietà del supporto in termini
di dimensione dei pori, conducibilità termica e area superficiale esposta influenzano
fortemente le caratteristiche di funzionamento con particolare riferimento al posizionamento
del fronte di reazione. In tali applicazioni, l’attività di combustione non costituisce un
requisito primario del catalizzatore in quanto l’accensione può essere ottenuta a più alte
temperature rispetto a combustori per turbine a gas. Del resto la deposizione di metalli nobili
come Pt e Pd, sia su supporti ceramici che metallici, porta a risultati soddisfacenti in termini
di funzionamento solo per brevi periodi, a causa dei fenomeni relativamente veloci di
disattivazione sia per avvelenamento che per volatilizzazione o sinterizzazione [Sullivan
1991]. Al contrario, altri sistemi catalitici a base di ossidi misto di tipo perovskitico o
esaalluminati sono allo studio in virtù dei potenziali vantaggi in termini di maggior stabilità
termica e resistenza all’avvelenamento, associate ad una buona attività e soprattutto ad un
costo sensibilmente minore [Saracco et al. 1999].
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Catalizzatori di Combustione
Le prime osservazioni su fenomeni di combustione catalitica risalgono a più di 150 anni fa e
sono dovute al lavoro di Sir Humphrey Davy, il quale, nelle sue ricerche su fiamme e lampade
di sicurezza, notò che ossigeno e gas di carbone, in presenza di una rete calda (di platino), si
combinavano “senza fiamma”, ciononostante producendo abbastanza calore per mantenere la
rete incandescente e sostenere la loro combustione. La rete di platino esibiva l’attività
catalitica che è ben riconosciuta oggigiorno [Kolaczkowski 1995]. Dallo studio della
vastissima letteratura in materia appare evidente che, a fronte del gran numero di materiali e
formulazioni chimiche proposti e provati come catalizzatori di ossidazione totale, non è stato
trovato il sistema catalitico adatto a tutte le esigenze, che sappia coniugare alta attività con
stabilità termica e durabilità a costi possibilmente contenuti. Difatti, allo stato delle
conoscenze non è proponibile pensare ad un singolo catalizzatore da utilizzare in un
combustore di turbina a gas, ma sono necessarie particolari configurazioni reattoristiche
accoppiate all’impiego di diversi sistemi catalitici complessi. Di seguito vengono esaminate le
principali classi di composti che sono state studiate come catalizzatori di ossidazione totale,
con lo scopo di fornire una rapida panoramica sulle principali caratteristiche ed in particolare
su pro e contro di ciascuna.
Metalli Nobili
Molti degli elementi dei metalli del gruppo del platino mostrano ottima attività per
l’ossidazione di idrocarburi, idrogeno e monossido di carbonio. Questi metalli hanno trovato
largo impiego come fase attiva in catalizzatori di bassa e media temperatura per
l’abbattimento dei VOC e nelle marmitte catalitiche a tre vie, e sono i migliori candidati per
gli stadi iniziali dei combustori di turbine a gas. A causa della loro rarità e forte volatilità ad
alta temperatura, nella pratica l’uso è limitato al platino, palladio e rodio. La scala di attività
nelle reazioni di ossidazione è solitamente Ru<Rh<Pd<Os<Ir<Pt [Parsad et al. 1984], ma la
scelta risulta comunque legata al tipo di combustibile da bruciare. Il platino mostra elevata
attività per l’ossidazione di CO e idrocarburi saturi ad eccezione del metano, che è ossidato
più velocemente su palladio come pure accade per le olefine. Spesso una combinazione di più
metalli nobili mostra attività superiore dei singoli elementi, specie quando ci sia da bruciare
una miscela di idrocarburi diversi (diesel o combustibile per aerei). Il palladio è il
catalizzatore più usato nelle applicazioni con gas naturale. A bassa temperatura si trova nella
forma PdOx, almeno nella parte superficiale delle particelle. Al crescere della temperatura,
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intorno agli 800°C, avviene la riduzione a palladio metallico. Il processo è reversibile, per cui
intorno ai 600°C in aria si è riformato PdOx [Quick e Kamitomai 1995, McCarty 1995]. La
forma ridotta è meno attiva di quella ossidata, ma molto si discute ancora su quale delle forme
ossidate sia la più attiva e sulla natura e modalità delle transizioni PdOx-Pd. La transizione
verso una forma meno attiva viene sfruttata in alcuni casi per ottenere un meccanismo di auto
protezione del catalizzatore da fenomeni di surriscaldamento [Dalla Betta 1997]. Infatti, il
problema principale con i metalli nobili è legato alla scarsa resistenza alle alte temperature
(>800°C) a causa di fenomeni di sinterizzazione e volatilizzazione (soprattutto Pt). Ad
esempio è stato calcolato che già dopo 15 h di funzionamento a 1000°C, circa il 70% del
platino originariamente caricato su di un supporto monolitico andrebbe perso [Dalla Betta
1997]. I supporti su cui vengono dispersi i metalli nobili rivestono anch’essi un ruolo molto
importante, perché possono migliorare sensibilmente le proprietà catalitiche oltre che la
resistenza alla sinterizzazione. Ad esempio, la presenza di additivi che fungono da riserva di
ossigeno (CeO2 e SnO2) rallenta la riduzione del PdO a Pd e ne minimizza gli effetti in
termini di riduzione di attività.
Ossidi semplici di Metalli
La maggior parte degli ossidi dei metalli di transizione mostra attività nell’ossidazione di
idrocarburi, anche se in generale abbastanza inferiore a quella riscontrata con i metalli del
gruppo del platino. Il vantaggio principale degli ossidi metallici rispetto ai metalli nobili resta
il minor costo della materia prima. Molti studi sono stati condotti con lo scopo di identificare
una scala di attività nell’ossidazione degli idrocarburi leggeri, ottenendo risultati non sempre
concordi [Zwinkels et al. 1993]. In generale i catalizzatori più attivi sono quelli a base di
Co3O4, seguiti da vicino da CuO, NiO, Mn2O3, Fe2O3 e Cr2O3, mentre gli ossidi di Zn e Ti
non sono catalizzatori di ossidazione totale. Tutti questi materiali sono comunque soggetti a
fenomeni più o meno gravi di volatilizzazione e sinterizzano già a temperature moderate, per
cui il loro impiego risulta subordinato alla dispersione su di un supporto ad alta area
superficiale con cui non ci siano interazioni dannose. In particolare è noto che i vari metalli di
transizione possono facilmente disciogliersi nel lattice dell’allumina (supporto tipico)
attraverso reazioni allo stato solido che portano alla formazione di spinelli con struttura
MAl2O4, estremamente meno attivi degli ossidi di partenza [Zwinkels et al. 1993 e 1999]. Al
contrario questi stessi spinelli si sono dimostrati materiali con una buona resistenza e stabilità
termica nelle condizioni tipiche dei processi di combustione, e vista anche la scarsa affinità
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con varie fasi attive, sono degli ottimi candidati all’impiego come supporti [Marti et al. 1994,
Zwinkels et al. 1998 b].
Esa-alluminati
Nell’ambito dei materiali per le applicazioni catalitiche di altissima temperatura, gli esa-
alluminati (MO·6Al2O3) inizialmente proposti da Arai [Machida et al. 1987 e 1989], sono
sicuramente quelli che attualmente riscuotono maggior interesse. La loro struttura anisotropa
si compone di blocchi di spinelli separati da uno strato monoatomico che contiene un catione
di grosse dimensioni come Ba o La, che impedisce la crescita dei cristalli e conferisce
proprietà di stabilità superiori al normale (aree superficiali > 20 m2/g a temperature superiori a
1200°C, e stabilità fino a 1600°C). Inoltre gli esaalluminati consentono l’introduzione nel
lattice di metalli di transizione quali manganese, ferro e cobalto, nonché la parziale
sostituzione di questi e dei cationi Ba e La con altri elementi a diversa valenza (Sr, Ca).
L’attività catalitica nell’ossidazione del metano, che deriva dall’introduzione di questi metalli
(soprattutto Mn), è bassa se paragonata a quella dei metalli nobili come il Pd, ma non
pregiudica le proprietà di stabilità [Eguchi e Arai 1996]. Per questo motivo gli esaalluminati
sostituiti sono utilizzabili efficacemente negli stadi di alta temperatura dei combustori di
turbine a gas sotto forma di monoliti estrusi, in cui la fase attiva è costituita dal supporto
stesso (monoliti attivi) [Sadamori et al. 1995]. Nell’ossidazione di combustibili diversi dal
metano (CO idrogeno, prodotti di gassificazione di biomasse, diesel) le differenze di attività
rispetto ad altri catalizzatori sono anche meno pronunciate [Groppi et al. 1996].
Perovskiti
Le perovskiti sono un gruppo di materiali con formula generale ABO3 e struttura idealmente
cubica simile al CaTiO3, minerale che dà il nome a tutto il gruppo. Negli ultimi anni, un
grande sforzo di ricerca è stato rivolto allo studio degli ossidi a struttura perovskitica come
catalizzatori di ossidazione totale [Tejuca et al. 1989]. Alcuni di questi ossidi mostrano
un’attività significativa (simile a quella del platino) già a temperatura moderata [Arai et al.
1986], associata ad una buona resistenza termica fino a circa 2000 °C grazie alla loro natura
di materiali altofondenti [Tejuca et al. 1989]. Il numero di perovskiti con interesse potenziale
nelle reazioni di ossidazione è molto elevato, a causa del gran numero di cationi metallici A e
B capaci di entrare nella struttura: circa il 90% degli elementi metallici della tavola periodica
può esser inserito nella struttura perovskitica a patto che il raggio cationico sia compatibile
con le dimensioni dei siti A con coordinazione 12 e dei siti B con coordinazione 6. Tale
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condizione risulta soddisfatta quando rA>0.90 Å ed rB>0.51 Å. Inoltre, l’elevata stabilità della
struttura perovskitica consente la parziale sostituzione di entrambi i cationi A e B (formula
generale AxA’1-xByB’1-yO3) con altri metalli con stati di ossidazione differenti, determinando
la formazione di difetti strutturali (vacanze cationiche o anioniche) che possono migliorare
l’attività. Fin ora, le migliori prestazioni catalitiche nella combustione di combustibili fossili
sono state individuate nelle perovskiti a base di La o La-Sr (in posizione A) contenenti Co,
Fe, o Mn come catione B [Arai et al. 1986, McCarty e Wise 1990], cioè gli stessi elementi
efficaci come sostituenti negli esaalluminati. Il problema principale con l’uso delle perovskiti
resta la loro scarsa resistenza alla sinterizzazione ad alta temperatura, dovuta alla crescita
tridimensionale dei cristalli (a differenza di quanto visto per gli esaalluminati). A seguito
dell’esposizione a temperature superiori a 900°C l’area superficiale diminuisce fino al punto
che l’attività del catalizzatore non è più sufficiente a sostenere la reazione [Arai e Machida
1996]. La Figura 6 riporta l’intervallo di temperatura di utilizzo nella combustione del metano
di ciascuna delle classi catalizzatori di ossidazione considerati, valutato in relazione alle
temperatura minima di innesco della reazione ed alla stabilità termica della fase attiva.
Sommario dell’Attività di Ricerca
Lo studio effettuato durante il Dottorato di Ricerca è stato concentrato sui sistemi catalitici di
combustione a base di ossidi con struttura perovskitica, in virtù delle proprietà intermedie di
attività catalitica e stabilità termica di questi materiali, a metà strada tra i metalli nobili e gli
esaalluminati. Il lavoro di ricerca è stato dunque indirizzato in due filoni principali, entrambi
legati al tentativo di estendere l’intervallo di utilizzo di questi catalizzatori, sia verso
temperature più basse che più elevate (Figura 6), necessarie per lo sviluppo di sistemi efficaci
nella combustione del metano.
Da un lato, quindi, lo studio ha approfondito l’effetto di nuove formulazioni e l’aggiunta di
elementi dopanti all’interno della struttura perovskitica ABO3, con lo scopo principale di
comprendere e razionalizzazione i meccanismi di reazione e le modifiche indotte nelle
proprietà dei catalizzatori, oltre che ricercare composizioni vantaggiose per l’incremento
dell’attività catalitica a bassa temperatura (ignizione). In particolare si sono confrontate
perovskiti a base di Mn e Fe con diversi elementi delle terre rare in posizione A (La, Nd, Sm);
inoltre si è affrontato lo studio dell’effetto di sostituzioni sia in posizione A che B con
elementi a valenza minore (Sr, Ca, Mg), in particolare riferimento alla formazione di difetti
strutturali ed all’influenza di questi sull’attività catalitica delle perovskiti massive.