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INTRODUZIONE
In un passo del libro Praz paragona La casa della vita ad
una Via Crucis, sacro percorso costellato da episodi
dolorosi, che ha come meta finale la crocifissione sul
Golgota e la morte.
Questa metafora è, a mio avviso, solo in parte adatta al
testo, poiché è certamente innegabile che molti degli
episodi autobiografici presenti nella narrazione lasciano
trasparire od intuire sofferenze tali da segnare le vicende
dell’uomo. Questo del dolore, della sofferenza legata
all’abbandono, è certo un tema che fa da sfondo all’opera e
ne caratterizza le direttrici.
Ma non è certo l’unica traccia dell’opera.
Per questo motivo ritengo che se si rimane nell’ambito
della metafora religiosa sia preferibile scegliere un altro
percorso di preghiera: il rosario.
La casa della vita potrebbe avere l’andamento del rosario,
con il suo sgranarsi incessante, coi misteri dolorosi - certo -
ma posti accanto a quelli gaudiosi e a quelli gloriosi.
In questo modo risulterebbe possibile rendere con
maggiore precisione l’infinita gamma delle sfumature
presenti in tutte le pagine di questo lunghissimo racconto.
E’ assai difficile rendere in modo sintetico la struttura di
un libro come La casa della vita, così come potrebbe
apparire folle il tentativo di sistematizzare un autore che
dell’assoluta libertà di pensiero aveva fatto un principio
indiscutibile.
Tentare di semplificare il suo metodo significherebbe
banalizzarlo. Discorso valido a maggior ragione per quello
che appare uno dei testi più stratificati, ricchi e complessi di
Praz, che dell’opulenza della prosa, unita alla molteplicità
dei contenuti, aveva fatto anche in precedenza la nota
caratteristica della sua attività di scrittore e studioso.
La casa della vita chiede di essere affrontata in modo
diverso.
E’ possibile innanzitutto tentare di ravvisare una serie di
nuclei portanti, che caratterizzano in modo proprio ed
autonomo tutto il testo, scomparendo e ricomparendo ad
intervalli quasi costanti nella narrazione.
All’interno del libro - oltre alla presenza concreta,
ossessiva a volte, degli oggetti - emerge una serie di nuclei
tematici che attraverso digressioni o strutture circolari e
concentriche si impongono all’attenzione del lettore.
E’ possibile, inoltre, cercare di lasciar emergere quella
miriade di ambienti, sociali e storici, quasi pittorici, a volte,
che traspaiono dai numerosi ricordi presenti nella
narrazione.
Quello degli oggetti della raccolta resta comunque il tema
principe: Praz, durante l’intera esistenza ha raccolto - o
accolto, che forse è il termine più adatto - migliaia di
oggetti, grandi - come poteva esserlo la gigantesca
biblioteca napoletana - o minuscoli - come alcuni dei ritratti
in cera appesi alle pareti.
Ognuno di essi ha il suo momento di celebrità all’interno
del testo, per ognuno è stata cesellata una nicchia capace di
renderlo unico tra centinaia di altri oggetti nella collezione.
Sopra gli oggetti si erge la casa, cornice che esalta la
stessa collezione e nucleo fondamentale da cui si dipanano
alcuni sotto-temi, uno dei quali è quello della città, che
della casa è a sua volta cornice assolutamente non
secondaria.
La prima città importante per Praz, poiché è lì che si
svolse la sua infanzia, è Firenze, la cui immagine, pur nei
diversi nuclei narrativi, è quasi sempre solare, luminosa,
come se fosse essa stessa impregnata di luce.
Dalle passeggiate coi nonni, alle scampagnate in bicicletta
coi compagni su per le colline intorno alla città: niente
sembra voler scalfire quell’aria cristallina che pare
modellata su una tempera del ‘400.
La villa di Vernon Lee pare inondata di luce ed il colore
del sole è amplificato ancor più dalle maioliche gialle che la
scrittrice inglese, così amica di Praz, teneva in casa.
Roma, invece, non possiede mai certe illuminazioni, non
è dipinta col bianco sangiovanni. Sembra sempre essere
scrutata dal punto più profondo dell’antro di Via Giulia,
quello dove la luce appare solo sporadicamente.
Spesso Roma appare di notte, con la luna che fa capolino
da qualche finestra dell’appartamento e manda a cadere
bagliori sinistri sul tappeto Aubusson. Eppure Roma
restava pur sempre la città dove Praz era nato, ma si
percepisce, nella narrazione, che non c’è stato imprinting
con la Città Eterna.
Solo Via Giulia - oasi nascosta e quasi intagliata nel
corpo urbano - richiama su di sé attenzione ed amore,
mentre il resto della città troppo spesso crea fastidi quasi
intollerabili. Firenze è la città dell’infanzia trascorsa con la
madre, Roma è una moglie bisbetica con cui si convive da
troppo tempo e che si sopporta per tutta l’esistenza, con
l’aria di non poterne fare a meno.
Accanto a queste due città principali emergono le città
inglesi, talora malinconiche ed impregnate di vapore
acqueo, altre volte, invece, a dispetto di ogni cliché,
magnanimamente riscaldate da un sole imprevedibile, come
nel caso di Brighton. La casa dei suoceri, nel Sussex,
immersa nel verde, riporta il lettore ad un’Inghilterra più
familiare e rassicurante.
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Un altro nucleo tematico importante è quello
rappresentato dai compagni dell’adolescenza, insieme con i
quali, dopo aver condiviso giochi e scorribande, Praz aveva
dovuto far fronte all’urgenza di dover entrare quasi a forza
nel mondo degli adulti, sotto la spinta di vicende familiari e
sociali ormai incontrollabili. Essi rappresentano dunque i
destini di un’intera generazione di fronte ad eventi
imprevedibili e terribili, dai quali non tutti riuscirono ad
emergere.
Della sua famiglia Praz parla molto, almeno stando alle
apparenze. In realtà, non appena si prova a scavare nel
profondo della materia del libro, ci si accorge che gli
accenni sono fugaci, abbozzati, piccoli schizzi messi lì sulla
pagina.
Molto spazio è concesso al nonno - dalla figura stile
liberty, sempre in ordine e profumato -, che sta a
rappresentare la fine involontaria dell’ottimismo
ottocentesco, l’inconsapevole decadenza di una piccola
nobiltà ormai al tramonto.
La nonna appare, invece, solo sullo sfondo, ombra cinese
lontanissima, se non per un fugace accenno al suo grande
fervore religioso.
Viene spesso il dubbio che l’incidenza nella coscienza del
narratore sia inversamente proporzionale allo spazio che
certe figure riescono ad avere nel corso della narrazione.
Infatti, anche la madre di Praz, Giulia, è solo una
silhouette, appena visibile all’inizio de La casa della vita,
che poi scompare.
Tuttavia, seppure nominata e citata con grande
parsimonia, essa aleggia sulla narrazione, quasi fosse un
nume tutelare capace di guidare il percorso. Possiede,
dunque, una tridimensionalità insospettabile, a giudicare
dall’esiguo spazio narrativo che occupa.
Al contrario Vivyan, la moglie di Praz, nonostante abbia
una sua presenza scenica piuttosto consistente, sembra fatta
della stessa materia dei fantasmi e la descrizione di un suo
ritratto eseguito dal pittore Donghi è magistralmente portata
avanti da Praz, che ha saputo parlare per pagine e pagine
delle fattezze della moglie immortalate sulla tela senza dire
nulla della sua consistenza corporea.
Come tutte le altre figure femminili del racconto, essa
appare dunque bidimensionale, assolutamente priva di una
caratterizzazione personale, che pure dovette possedere e
che si riesce debolmente ad intuire solo da alcuni passaggi
veloci ed impercettibili.
Sono moltissime - e molto diverse tra loro - le
caratterizzazioni, gli schizzi caricaturali, genere descrittivo
in cui Praz dimostra di eccellere in modo particolare.
Non solo per ognuna di queste figure - gli artigiani ormai
in via di estinzione, qualche figura di antiquario, i vicini di
casa e molti altri personaggi - riesce a trovare l’aspetto che
contraddistingue un figurante da un altro, ma ha una
singolare capacità di far emergere il lato ridicolo di una
persona, così che - come avviene appunto nella caricatura -
rende inconfondibile un ritratto.
A volte persino il registro linguistico è talmente duttile da
sapersi adattare all’ambiente o al singolo personaggio da
delineare come se la penna fosse uno strumento da disegno.
Anche la ricchezza linguistica, infatti, sembra essere ne
La casa della vita personaggio a sé stante, nucleo tematico
allo stesso livello di tanti altri. Sono proprio l’estrema
duttilità stilistica e linguistica a rendere di sicuro fascino
questo testo. In quanto protagonista, la scrittura riesce a
collocarsi sempre nell’ambito più appropriato al contesto.
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Accedit quod non solum litteras sed artes etiam optime
cognovit, qui aliam nuper sententiam ‘ut pictura
poesis’latius patere demonstraverit; nam pictoribus eis qui
vitam cotidianam tabulis exprimebant fabularum
narratores multum docuit debuisse in moribus
describendis. Neque cognovit solum, sed adeo diligit ut
domum suam Romae in Via Iulia sitam ineuntis eius saeculi
ornamentis et supellectile exquisitis decoraverit.
Duco ad vos hominem humani nil a se alienum
putantem.
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BMP1, pag. 11.
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VIA GIULIA 147
“In questo crepaccio di strada simile a una trincea,
diresti che la nebbia del passato si sia indugiata
stagnando.”
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L’esordio del libro è narrativo: è la reminiscenza a
guidare i primi passi del lunghissimo racconto, che si
dipana poi con una struttura in progress.
Questa prima parte, narrativa ed autobiografica insieme, è
solo apparentemente slegata dal tema principale - la
minuziosa descrizione degli interni dell’appartamento di
via Giulia 147 - e trova invece una collocazione importante
nel tessuto del libro.
Infatti, il titolo del libro La casa della vita ha in sé le
tematiche prevalenti nella narrazione: il collezionismo e
l’autobiografia, due elementi strettamente legati tra loro,
tanto che in molti casi è difficile scindere l’apporto dell’uno
da quello dell’altro.
1
CDV, pag. 16.