2
prescindere dall’etica, al contrario della teoria economica
‘mainstream’, di stampo liberista, che tende a predicare gli effetti
positivi per tutti di un’economia basata sul perseguimento della
massimizzazione del profitto personale.
Occorre precisare che non viene qui messo in discussione l’utilizzo
della matematica, indispensabile per conferire necessario rigore
scientifico alla materia, ma con altrettanta evidenza si vuole
dimostrare che lo studio dell’Economia Politica non può ridursi a
questo, specie nel caso in cui ci si accinge a trattare la materia come
scienza sociale. Non è un caso infatti che, in quanto segue, si fa
ricorso, oltre che alle più accreditate teorie etiche in merito al sistema
economico, anche a modelli di riferimento che fungono da punto
d’equilibrio tra economia come scienza sociale ed economia come
scienza assiomatica; in particolar modo la teoria dei giochi.
La Tesi si divide in tre capitoli: nel primo capitolo, di carattere
introduttivo, viene messa in luce la stretta relazione esistente tra etica
ed economia, ponendo l’attenzione sui comportamenti altruistici dei
singoli individui e sulle norme morali che li governano; nel secondo
capitolo verrà affrontato il tema dei codici etici e quindi, attraverso
un’analisi dei meccanismi di reputazione, verrà data una risposta circa
la convenienza per l’impresa dell’adozione di comportamenti
eticamente accettabili; nel terzo ed ultimo capitolo infine, verrà
trattata la responsabilità sociale dell’impresa da più punti di vista
differenti, allo scopo di capire quali sono i criteri e le modalità che la
governano, nonché i fondamenti etici su cui questo sistema di
autoregolamentazione per le imprese si fonda. Inoltre, il primo e il
terzo capitolo sono arricchiti di ‘Appendici’ che danno un quadro più
ampio dei temi trattati.
***
3
Ringrazio il professore Guglielmo Forges Davanzati, per la costante
presenza e per le importanti indicazioni ai fini della stesura dell’intero
lavoro, e il professore Alberto Dell’Atti per la supervisione dell’intero
lavoro e per gli utili consigli, con particolare riferimento al terzo
capitolo. Ringrazio infine il dottore Giovanni LaVerde per l’utile
commento all’intero lavoro.
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1
ETICA ED ECONOMIA
1.1 Il criterio di razionalità strumentale e la presunta
inammissibilità dei giudizi di valore
La teoria economica contemporanea “mainstream” si fonda su uno
statuto epistemologico che esclude – per la delimitazione stessa del
campo d’indagine – considerazioni di natura etica e/o giudizi di valore
sia sulle ipotesi dei modelli proposti, sia sui risultati teorici, sia anche
sui fatti economici. E’ noto, tuttavia, che la disciplina ha preso avvio
in gran parte quale derivato dell’etica
1
.
La scissione che si è avuta nel XIII secolo, e poi definitivamente
nell’800, tra queste due discipline ha visto l’estensione, nel campo
dell’economia, del paradigma dell’utilità.
L’enorme successo della teoria dell’utilità attesa come spiegazione
razionale dell’azione si motiva in ragione della semplicità di questa
posizione e, inoltre, la figura neoclassica dell’homo oeconomicus , col
suo calcolo di massimizzazione dell’utilità, la si può giudicare come
risposta alla crescente pervasività dell’agire strumentale nelle
economie di mercato contemporanee. Tuttavia, anche in questa fase,
giocava un ruolo importante una teoria morale di fondo, che
equiparava l’utilità al bene, che, nell’utilitarismo benthamiano, si
specificava nella razionalità del calcolo dei mezzi piuttosto che alla
razionalità dello scopo (vedi Zamagni, 1994).
Con il passaggio dallo statuto cardinalista a quello ordinalista, si ha la
effettiva emancipazione dall’etica (avviene nel 1906 con Pareto);
1
Basti pensare che Adam Smith, ‘fondatore’ della scienza economica, fu professore
di Filosofia Morale all’Università di Glasgow e che, fino a poco tempo fa, a
Cambridge, l’economia veniva insegnata nell’ambito del corso di “Scienza Morale”.
Si veda Sen (1987, p. 8)
5
avviene in questo passaggio la riduzione della nozione di utilità in
preferenza.
McIntyre (1981) fa notare come, mentre nel passato l’azione etica
doveva seguire dei limiti rigidi predisposti dalla società (gli individui
non si chiedevano il perché delle proprie azioni), da due secoli a
questa parte gli individui potevano esprimere preferenze, ovvero
potevano scegliere loro stessi le norme di condotta. Questo vuol dire
che se prima i criteri di legittimità di una norma erano condivisi, vi era
cioè una universalità di intenti, ora ci si ritrova in un sostanziale stato
di anarchia, dovuto anche al fatto che, nella società post-industriale, lo
Stato e la Chiesa non rappresentano più gli unici emissari di norme
morali, ma vi sono molteplici istituzioni nella società civile che si
dividono il compito. Risulta chiaro quindi come, a questa varietà i
giudizi di valore o considerazioni di natura etica, l’economia reagisca
cercando di aggregarli e restringendo il campo delle azioni attorno al
criterio di razionalità strumentale. A tal proposito si vuole ricordare
che, nella teoria economica corrente, è considerata razionale un’azione
che porta ad allocare le risorse scarse nel migliore dei modi possibile.
Tale razionalità è detta strumentale in quanto prescinde dagli obiettivi
e i requisiti ai quali risponde sono i seguenti:
a) scarsità delle risorse;
b) libertà di scelta;
c) illimitata capacità di calcolo, senza costi;
d) perfetta informazione.
Si noti che il criterio di razionalità in questione non implica l’egoismo
poiché si può essere razionalmente altruisti. Questo aspetto lo si potrà
meglio constatare nel corso del capitolo . Restano tuttavia vari dubbi
sull’ effettivo valore del criterio di razionalità. Questi sono espressi in
una serie di critiche che vengono ora analizzate.
6
1.1.1 Le critiche alla Razionalità Strumentale
Molte sono le critiche rivolte al criterio di razionalità strumentale.
Critiche soprattutto esterne, che non toccano cioè la teoria dal suo
interno, poiché presenta una sua coerenza interna, ma i critici
ritengono che non vengono presi in considerazione alcune motivazioni
rilevanti dell’agire umano, quali possono essere le abitudini, le
consuetudini, l’istinto e così via. Ma le critiche non finiscono qui.
Keynes
2
ad esempio sostiene che in condizioni d’incertezza gli
individui si uniformano all’opinione media della massa. Inoltre la
razionalità strumentale non è riscontrabile nei capitalisti. Egli infatti
sostiene che l’impulso a investire e accumulare di queste figure del
mercato moderno non è razionale. Alle critiche di Keynes seguono
quelle di Hayek, il quale sostiene che l’agire economico procede per
tentativi, fino ad arrivare ad una regola di condotta che può essere
efficace ma non efficiente
3
.
L’illimitata capacità di calcolo viene messa in discussione da Simon,
il quale ritiene che l’uomo si pone obiettivi ragionevoli, ma non
ottimali
Risulta evidente quindi come nel dibattito attuale, è ormai diffuso il
convincimento che una teoria economica pura, che prescinda cioè da
punti di vista etici e/o giudizi di valore, non sia in grado di dar conto
efficacemente l’intero agire economico.
2
Per Keynes l’incertezza non va confusa con il rischio “neoclassico”, al quale si può
attribuire una probabilità.
3
Efficiente è un comportamento che massimizza l’obiettivo, dato un certo vincolo.
Efficace è un comportamento che raggiunge l’obiettivo indipendentemente dal
costo.
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1.1.2 Il criterio di razionalità secondo Sen
L’ipotesi di “comportamento razionale” svolge un ruolo importante
nell’economia moderna. A tal proposito, si suppone che il
comportamento effettivo degli esseri umani corrisponda ad un
comportamento razionale. Ma, pur accettando come appropriata
l’ipotesi di comportamento razionale, propria della teoria economica
convenzionale, è poi così vero che le persone si comportino
effettivamente in tale modo? La domanda è d’obbligo, anche in virtù
del fatto che, come illustra Sen (1987): “noi tutti facciamo degli errori,
degli esperimenti o ci confondiamo”.
Molte critiche sono state avanzate all’economia moderna sul fatto che
essa identifichi il comportamento effettivo col comportamento
razionale.
4
Sulla base di questa definizione, seguendo Sen (1987), ci sono due
metodi dominanti per definire la razionalità: da una parte abbiamo la
razionalità vista come coerenza interna di scelta, e dall’altra la
razionalità è vista come massimizzazione dell’interesse personale.
Per quanto riguarda il primo punto di vista è difficile credere che la
coerenza interna delle scelte possa di per sé essere condizione
adeguata di razionalità. Se un individuo, seguendo una sua inflessibile
coerenza interna, fa esattamente il contrario di quello che lo
aiuterebbe a ottenere ciò che vuole ottenere, costui molto difficilmente
sarà considerato razionale.
Una scelta razionale deve richiedere almeno una certa corrispondenza
tra ciò che si cerca di ottenere e il modo in cui si agisce per farlo.
5
Per quanto riguarda invece il secondo punto di vista, potremmo
chiederci: “Perché dovrebbe essere razionale perseguire il proprio
interesse personale ad esclusione di qualsiasi altra opzione?”
4
Si vedano in particolare Hirschman (1970[1982],1982), Kornai (1971), Scitovsky
(1976), Simon (1979), Elster (1983), Schelling (1984).
5
Si può aggiungere che la razionalità, in realtà, possa richiedere più di questo, ma
difficilmente qualcosa di meno. Per una più ampia discussione sul tema della
razionalità economica vedi Broome (1978), Parfit (1984), Sen (1985).