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per poi passare ai veri e propri contenuti quali possono essere il principio di
onestà, verità e correttezza.
Partendo dal concetto di etica analizzo la corrispondenza della
comunicazione commerciale ad alcuni di questi principi., per poi giungere
all’analisi vera e propria che si concentrerà sulla comunicazione
commerciale delle bevande alcoliche quali prodotti che possono andare ad
incidere sui comportamenti sociali e della persona.
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CAPITOLO PRIMO
1. NORMATIVE DELLA PUBBLICITA’
La pubblicità è una forma di comunicazione al pubblico che invece di
indirizzarsi a singoli soggetti in modo diretto e personale si rivolge
impersonalmente alla collettività, attraverso veicoli idonei a trasmetterla, ad
un numero indeterminato di persone ed in particolare attraverso i mass
media.
Per meglio dire si rivolge alle persone in modo che esse si possano sentire
chiamate in causa, perché la comunicazione commerciale è diretta al
singolo, creata su misura per il target che vuole colpire.
La funzione di questa comunicazione, nata con la rivoluzione industriale, è
in genere quella di sollecitare nei suoi destinatari un certo comportamento
economico cioè la domanda di certi prodotti o servizi.
Essendo quindi la pubblicità un fenomeno che coinvolge l’intera
collettività, di cui i mezzi e le tecniche amplificano sia quantitativamente
che qualitativamente l’efficacia, assume un rilievo giuridico come fatto
potenzialmente pericoloso o addirittura lesivo di interessi diffusi
propriamente riferibili alla collettività dei consumatori, quali in particolare
la “fede pubblica” nella sua più vasta accezione o anche il diritto dei singoli
all’autodeterminazione nelle proprie scelte economiche.
Entrano in gioco anche altri interessi collettivi non riferibili solo ai
consumatori o concorrenti ma a tutti i soggetti suscettibili d’essere toccati
dalla comunicazione pubblicitaria: interessi come l’ordine pubblico, la
pubblica morale, le convinzioni civili e religiose, la tutela dei minori, la
salute e la sicurezza della collettività ecc.
Le leggi, norme, regole che disciplinano la comunicazione pubblicitaria
sono estremamente varie, difformi e disparate dato che si tratta di interessi
della più diversa natura, facenti capo alle più varie categorie di soggetti.
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Ne deriva che la disciplina della pubblicità presenta, sul piano normativo,
caratteri di frammentarietà.
Infatti il “diritto della pubblicità” si compone di testi normativi emessi da
legislatori diversi nell’arco di quasi un secolo sotto la spinta delle esigenze
più disparate; così nel corso dei decenni la normativa è cambiata,
rispecchiando le esigenze storiche, economiche e sociali del proprio tempo;
ad esempio nel periodo post-bellico recavano l’impronta dello spirito del
miracolo economico limitandosi a prevedere sanzioni non molto gravi per
chi vi contravveniva, infine la produzione legislativa degli ultimi decenni,
che risente dell’influenza Europea, presenta un nuovo tipo di disposizioni di
natura prevalentemente amministrativa che nei contenuti e nella tecnica
normativa denunciano spesso la loro origine non nazionale.
Quindi, come già accanato, si registra una stratificazione non coordinata di
discipline diverse che applicano formule e metodologie diverse, non sempre
tra loro compatibili.
Infine in aggiunta alle diverse norme di legge, larga parte della
regolamentazione della pubblicità è affidata a disposizioni che non
promanano dallo Stato e non hanno valore di leggi: i regolamenti
autodisciplinari.
Non esiste altra attività economica nel contesto attuale in cui
l’autoregolamentazione e l’autocontrollo abbiano assunto una rilevanza
paragonabile a quella che l’autodisciplina riveste nel settore della
pubblicità, con proprie normative, proprie strutture, propri organismi
giudicanti.
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2. NASCITA ED EVOLUZIONE DEL CODICE DI
AUTODISCIPLINA PUBBLICITARIA
Con il termine di Autodisciplina Pubblicitaria si definisce un principio base
al quale i soggetti operanti tutti nello stesso settore di attività, accomunati
da interessi affini e mossi dal desiderio di fare qualcosa di preventivo
anziché repressivo e soprattutto che non avesse i tempi della giustizia
ordinaria, decidono di assoggettare a prestabilite regole di condotta i propri
comportamenti.
Lo IAP è l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria che riguarda tutto il
mondo della pubblicità, è l’unico presente ed esprime in un corpo di regole
chiamato Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale,
disposizioni più articolate e spesso più severe di quelle contenute nelle leggi
dello Stato, prevedendo propri organismi sia di controllo sia giudicanti per
la loro applicazione.
Questo Codice impegna solo i soggetti che, direttamente o tramite le
rispettive associazioni settoriali, lo hanno accettato e si sono
volontariamente obbligati al suo rispetto.
Per meglio assicurare l'osservanza delle decisioni, gli organismi aderenti si
impegnano a far sì che ogni soggetto ad essi associato inserisca nei propri
contratti una speciale clausola di accettazione del Codice e delle decisioni
del Giurì, nonché delle ingiunzioni del Comitato di Controllo divenute
definitive.
In forza della clausola di accettazione del Codice, inserita nei contratti
standard di pubblicità, anche la pubblicità dell'utente, dell'agenzia o del
professionista che non appartengano alle associazioni di cui sopra è
soggetta al Codice. Pertanto, pur trattandosi di una disciplina volontaria, la
larga generalità della pubblicità italiana è ad essa soggetta.
In pratica, il numero delle associazioni che supportano lo IAP e
riconoscono il Codice è tale da far sì che sia estremamente raro che almeno
uno degli operatori partecipanti all’iter ideativi o divulgativo di un
messaggio non sia legato al rispetto dell’Autodisciplina.
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Si è calcolato che ne è coinvolto il 90% dell’intero settore.
Il Codice di Autodisciplina ha radici nel 1937 (molto prima che un
legislatore ideasse una legge o un regolamento per questa materia) con il
“Code de Pratiques Loyales en matierè de publicitè” (il quale era
influenzato da norme inglesi e americane) varato dalla Camera di
Commercio Internazionale il quale contiene tutti i principi etici e giuridici
ritenuti ancora oggi essenziali perché l’utilizzo dello strumento
pubblicitario sia utile al consumatore nonché strumento di corretta e leale
concorrenza tra le imprese.
Questo Codice definisce il significato di “pubblicità” e “consumatore” e
stabilisce in diciannove articoli le regole che saranno adottate dai vari
Codici Autodisciplinari in materia di decenza, onestà, veridicità,
comparazione, attestazione, denigrazione, protezione della privacy,
sfruttamento della buona fede, imitazione, riconoscimento del messaggio
pubblicitario, rispetto dell’infanzia, sicurezza e responsabilità.
Questo testo poi aggiornato in successive edizioni ha costituito la comune
fonte di ispirazione per lo sviluppo dei Codici attualmente in vigore in molti
Paesi.
Nel 1950 a Torino si tiene il primo Congresso Nazionale della Pubblicità
del dopoguerra nel quale non mancano i primi segnali sul tema del controllo
della pubblicità .
Nel 1951 l’UPA (Utenti Pubblicità Associati, associazione che tuttora
unisce imprese ed enti che investono in pubblicità ) presenta il primo
“Codice Morale della Pubblicità”;
nel 1952 segue un nuovo codice proposto dalla FIP (Federazione Italiana di
Pubblicità) ma entrambi questi codici ebbero un’applicazione praticamente
nulla.
Nel 1963 ad Ischia si tiene il VII Congresso Nazionale della Pubblicità
dove Roberto Cortopassi pronuncia una relazione che sostiene l’adozione di
un Codice comune a tutte le parti interessate alla pubblicità.
Con una mozione il Congresso impegnava tutte le categorie del settore ad
“elaborare e riunire in un unico Codice Morale della Pubblicità le regole
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che devono presiedere ogni attività pubblicitaria a presidio dell’attività
imprenditoriale e dei fondamentali interessi dei consumatori”.
Dopo tre anni di studi e trattative fra le associazioni viene presentato
pubblicamente a Roma il 12 maggio 1966 il “Codice di lealtà
pubblicitaria”, concordato dalla FIP, l’UPA, la FIEG e la RAI;
aveva un organo giudicante il Giurì, allora presieduto da Manilo Borrelli,
Presidente onorario della Corte di Cassazione, vicepresidente il prof. Remo
Franceschelli che mantiene la carica per 11 anni e come membri i
Professori Mario Rotondi e Luigi Sordelli e i legali delle parti firmatarie.
La decisione non prescritta dal Codice di affidare ad un alto magistrato la
presidenza del collegio giudicante risulta particolarmente ispirata e viene
mantenuta nel corso degli anni, come uno dei punti fermi che caratterizzano
l’Autodisciplina Pubblicitaria.
Inizialmente il Codice non trova un uniformità di consensi, una posizione
critica viene assunta da fonti non trascurabili delle stesse categorie
pubblicitarie le quali invocano più libertà o una più ferrea disciplina da
instaurarsi nello Stato.
Scettica anche l’opinione pubblica alimentata, specie in quegli anni (fine
anni 60) dalla ventata di contestazioni che non risparmia né la pubblicità né
le Istituzioni in genere.
Per questo motivo i primi anni di vita del nuovo sistema di Autodisciplina
non sono stati semplici, era necessario tracciare una strada nuova, fatta di
norme restrittive, di procedure da instaurare e collaudare, di fiducia da
ottenere anche all’interno dallo stesso ambiente.
I fattori determinanti per superare queste difficoltà sono principalmente
due: il leale mantenimento degli impegni da parte delle associazioni e degli
enti che avevano voluto la creazione del sistema e la dottrina; la saggezza e
l’autorevolezza dei membri del Giurì ai quali il mondo della pubblicità ha
affidato l’applicazione del proprio Codice.
Un anno dopo al Giurì viene aggiunto il Comitato di Accertamento, poi
chiamato di Controllo, per promuovere vertenze nell’interesse del
consumatore che da allora svolge due funzioni principali, di Giudice
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istruttore (per l’esame e la preparazione delle cause da farsi in funzione del
consumatore) e di pubblico ministero (per sostenere l’accusa in queste
cause ed esprimere pareri nelle altre, durante i dibattiti di fronte al Giurì).
Il Codice aveva e ha tuttora un solo grado di giudizio, favorendo così la
velocità dei procedimenti; la condanna dell’azienda la cui pubblicità non
rispetta le norme autodisciplinari consiste nell’immediata sospensione della
campagna pubblicitaria .
Inizialmente il Giurì aveva quattro dei suoi membri rappresentanti delle
categorie pubblicitarie e dei mezzi di comunicazione.
Nel 1971 e nel 1975 ci furono due riforme: il Codice del 1966 recava nella
premessa che il suo scopo “è di far sì che ogni e qualsiasi forma di
manifestazione pubblicitaria non danneggi la pubblicità che ha un ruolo
essenziale per lo sviluppo dell’economia e per la creazione di maggior
benessere ed è insieme un servizio socialmente utile”;
il testo del ’71 introduce una prima modifica alla premessa: “il suo scopo è
di far si che la pubblicità, che ha un ruolo essenziale per lo sviluppo
dell’economia e per la creazione del consumatore, eviti tutto ciò che la
possa screditare e che sia compatibile con i suoi fini”.
Più importate è stato però l’inserimento di un nuovo articolo 1 che afferma:
“La pubblicità dev’essere onesta, veritiera e corretta” .
Una significativa evoluzione si ha poi nel dare pubblicità alle decisioni del
Giurì che inizialmente aveva la sola facoltà, nel caso la parte soccombente
non avesse rispettato la decisione, di far divulgare l’informazione.
Nel 1971 la facoltà si trasforma in obbligo mentre in via più generale può
ordinare che la sua decisione sia pubblicata anche con i nomi delle parti;
fino al 1980, quando si ha l’obbligo di pubblicare tutte le massime di tutte
le decisioni sul Notiziario dell’Istituto con esplicita citazione del nome delle
parti.
Nel 1975 viene approvata la seconda e più sostanziale riforma del Codice il
cui nome cambia da Codice di lealtà in Codice dell’Autodisciplina
Pubblicitaria, viene modificata sostanzialmente la premessa con un
capovolgimento degli scopi: “Il Codice di Autodisciplina ha lo scopo di
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assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo
particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata soprattutto
come servizio per l’informazione del pubblico, con speciale riguardo alla
sua influenza sul consumatore”, con l’aggiunta “Essa deve evitare tutto ciò
che possa screditarla”.
In quella occasione entrano nel testo diverse nuove norme: distinzione della
pubblicità dall’informazione (art.7), convincimenti morali e religiosi (art.
10), necessità di indicare pericoli insiti in alcuni prodotti (art. 12), vendite a
credito (art.17), forniture non richieste (art. 19), limiti alla pubblicità dei
cosmetici (art. 23) per i viaggi organizzati (art. 28) e limiti alla pubblicità
delle bevande alcoliche (art. 22), articolo che desidero approfondire più
avanti.
Viene cambiata inoltre la formazione del Giurì: mentre il Presidente deve
essere ancora un magistrato di carriera, i membri dell’organo giudicante
non possono essere più i legali o altri rappresentanti degli organismi
firmatari del Codice, bensì studiosi scelti fra professori di diritto, esperti di
problemi dei consumatori e esperti di comunicazione pubblicitaria ma
esterni al mondo della pubblicità.
Questa è una prova di maturità e di sicurezza che, oltre che a distinguere il
nostro sistema sul piano internazionale, è valsa ad accrescere rapidamente il
prestigio e la credibilità dell’Istituzione.
Il Comitato di Controllo infatti è inizialmente formato da soli tre membri
nominati dal Giurì e si limita a ricevere e vagliare le istanze; nel 1971 i suoi
membri sono più che raddoppiati e sono nominati, come per il Giurì, dalla
Confederazione della Pubblicità.
Il Giurì viene arricchito di funzioni: oltre a quelle proprie della sua
costituzione vengono aggiunte altre: la possibilità di esprimere pareri
preventivi (dal 1975) per campagne non ancora diffuse, il diritto ad invitare
un’impresa a modificare una campagna pubblicitaria (se l’invito viene
accolto la procedura si ferma, diversamente il Comitato rimanda la causa al
Giurì), la possibilità di ricevere in deposito idee creative e campagne per il
futuro perché ne venga stabilito un diritto di priorità.
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Nel suo primo anno l’Autodisciplina si trova a trattare un solo caso, ma con
la decisione, nel 1977, di comporre il Giurì soltanto con personalità esterne
al mondo della pubblicità si incrementa sensibilmente la fiducia verso il
nuovo sistema, aumentando sia le segnalazioni del pubblico di presunte
trasgressioni, sia l’attività del Comitato di Controllo e del Giurì.
Gli interventi conclusivi dei due organi passarono da 882 casi affrontati nei
primi 20 anni per arrivare all’anno 2000 con 927 casi, superando in un solo
anno il totale dei 20 anni precedenti.
Un crescendo che è in atto tuttora e che ha raggiunto quota 10.000 casi,
tutto questo nonostante il fatto che nel 1990 il Parlamento ha costituito
l’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato (l’ANTITRUST, che
definisce in primo luogo il complesso delle norme giuridiche che sono poste
a tutela della concorrenza sui mercati economici, e che viene più spesso
identificato con l’AGCOM, che è una autorità di garanzia a cui è affidato il
duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul
mercato e di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini prende
le proprie decisioni autonomamente sulla base delle leggi e normative
vigenti e risponde del proprio operato al parlamento, essa ha anche
competenze in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità
comparativa).
Alcuni temevano che l’Autodisciplina sarebbe stata svuotata di significato
da questo nuovo organismo statale che deve occuparsi anche di pubblicità
ingannevole, ma, sia perché le campagne pubblicitarie sono molto
aumentate dal 1990, sia perché “pubblicità ingannevole” nell’accezione che
l’autorità da a questo termine significa quasi esclusivamente confusione tra
pubblicità e informazione, il Giurì è rimasto ben vivo e utile alla società.
Nel frattempo gli articoli del Codice sono passati dai 19 iniziali agli attuali
46 con una progressione di 44 nuove edizioni.