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INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad una crescente attenzione da parte della
comunità scientifica al fenomeno del “riscaldamento globale”. Ciò ha contribuito, da un
lato, al consolidamento della conoscenza sulle dinamiche alla base di tale fenomeno, e
dall’altro all’accrescimento della consapevolezza, da parte dei singoli e dei decisori
politici, delle conseguenze problematiche legate alla sua manifestazione.
Preso atto della crescente preoccupazione mostrata dalla comunità scientifica, i decisori
politici hanno, da parte loro, progressivamente implementato una serie di atti normativi e
regolatori (di carattere sia nazionale sia internazionale) nel tentativo di limitare la
concentrazione dei gas serra in atmosfera. Sebbene tali politiche abbiano costituito un
punto di partenza fondamentale verso la realizzazione di un modello economico e sociale
caratterizzato da una minore intensità carbonica, esse si sono rilevate insufficienti. Infatti,
le emissioni globali annuali di anidride carbonica continuano ad aumentare
incessantemente, attestandosi nel 2011 a circa 50
(Oliver et al., 2012),
nonostante il raggiungimento degli obiettivi di abbattimento prefissati per il primo periodo
di attuazione del Protocollo di Kyoto (Ronchi et al., 2013), tra l’altro appena conclusosi.
L’incremento delle emissioni annuali a livello globale è dovuto alla crescita delle
emissioni in quelle nazioni che non hanno aderito agli accordi di Kyoto (in primis Stati
Uniti e Cina). Purtroppo, le prospettive per l’immediato futuro non sembrano discostarsi
dal trend appena evidenziato, poiché, nonostante la decisione presa al termine della
Conferenza di Doha (tenutasi nel mese di Novembre 2012) circa il prolungamento della
validità degli accordi di Kyoto per il periodo 2013-2020, molti Paesi non hanno rinnovato
il loro impegno a livello internazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto
serra. Conseguentemente, i Paesi che hanno confermato l’adesione a questo secondo
periodo di validità del Protocollo, sono responsabili di appena il 15% delle emissioni
mondiali (Caminiti e La Motta, 2012).
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La situazione appena delineata rende più complicato (se non altamente improbabile) il
raggiungimento dell’obiettivo, auspicato dalla letteratura scientifica e successivamente
formalizzato con la ratifica degli accordi di Copenhagen, di riduzione della concentrazione
dei gas serra in atmosfera ad un livello tale da limitare l’incremento della temperatura
media globale a 2 °C rispetto a quella osservata nel periodo precedente l’avvio della
rivoluzione industriale (Oliver et al., 2012; Caminiti e La Motta, 2012). Specificamente,
l’obiettivo di limitare l’incremento della temperatura media di 2 °C sottende il
raggiungimento del picco delle emissioni globali di gas serra nel decennio in corso, seguito
da una continua e graduale riduzione delle emissioni annuali, fino a raggiungere il loro
dimezzamento nell’anno 2050 (IPCC, 2007a).
Inoltre, le conseguenze negative derivanti da un eccessivo innalzamento della temperatura
media del Pianeta, rendono necessaria l’implementazione di una serie di azioni volte alla
riduzione e all’attenuazione delle cause alla base del riscaldamento globale. Queste
vengono solitamente indicate come “azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici”.
Tra le principali iniziative di mitigazione, crescente importanza viene assegnata alle
attività di gestione sostenibile delle aree forestali, in virtù del ruolo che tali aree rivestono
all’interno del ciclo globale del carbonio (IPCC, 2007b). Nello specifico, le principali
azioni di mitigazione legate agli ecosistemi forestali sono rappresentate (IPCC, 2007b)
dalla riduzione delle attività di deforestazione e del fenomeno della degradazione delle
foreste, dall’incremento del tasso di assorbimento di anidride carbonica delle foreste
esistenti e di quelle di nuova costituzione, dalla fornitura di legname per l’ottenimento di
biocombustibili da impiegare in sostituzione dei combustibili fossili e dalla fornitura di
legname per la realizzazione di prodotti in legno.
La motivazione alla base dell’aumento dell’attenzione dedicata alle aree forestali come
strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici non è rinvenibile esclusivamente
nell’ampiezza delle riserve di carbonio che le caratterizzano, ma anche nella (relativa)
velocità con cui il ciclo biologico del carbonio si manifesta, soprattutto se paragonata con
quella necessaria per il compimento del ciclo geologico. Proprio sulla base di quest’ultima
considerazione è tuttora in corso un profondo dibattito circa il possibile contributo delle
emissioni di anidride carbonica generate dalla combustione o dai processi di tipo biologico
dei materiali di origine biogenica sull’effetto serra (Baldo et al., 2008). Difatti, secondo
alcuni, le emissioni da combustione e decomposizione delle sostanze di origine biogenica
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non contribuiscono all’effetto serra, a condizione, però, che la velocità di rigenerazione
della fonte considerata sia superiore a quella delle attività di prelevamento. Contrariamente
a quanto detto, secondo altri, ciascuna emissione di anidride carbonica contribuisce
all’incremento dell’effetto serra, indipendentemente dalla natura della fonte di emissione.
Le incertezze e la diversità di vedute sul contributo delle emissioni di origine biogenica
all’effetto serra non possono non riversarsi nelle modalità in cui tali emissioni vengono
inserite e trattate negli studi e nelle valutazioni degli impatti ambientali attribuibili a
specifici prodotti e servizi.
Il presente lavoro di tesi si inserisce nel quadro di riferimento di tale dibattito e dei
connessi riflessi sugli approcci metodologici per l’inclusione delle emissioni di
di
origine biogenica all’interno degli studi basati sulla valutazione del ciclo di vita di un
prodotto o servizio. In particolare, il lavoro è focalizzato sull’analisi degli approcci
attualmente previsti dalle principali norme e linee guida al momento disponibili per la
realizzazione degli studi di Life Cycle Assessment e di Carbon Footprint (nel testo ci si
riferisce indistintamente ad essi con il termine valutazione del ciclo di vita di un prodotto),
nonché sugli approcci alternativi proposti in letteratura.
L’intento del presente lavoro è quello di approfondire gli effetti sul clima derivanti
dall’impiego della materia prima legno. Tuttavia, data la molteplicità degli impieghi a cui
tale materia può essere indirizzata (tra i principali ricordiamo: la produzione di carta e
imballaggi, l’utilizzo diretto come fonte di energia, l’ottenimento di biocombustibili e la
realizzazione di beni durevoli e non), si sono indagati esclusivamente gli approcci
applicabili nella valutazione di prodotti costruiti interamente, o in parte, in legno,
tralasciando quelli predisposti specificamente per altre categorie di prodotto. Questa scelta
è stata guidata dalla volontà di approfondire la tematica del sequestro temporaneo del
carbonio contenuto nei prodotti durevoli di origine biogenica, fattispecie ovviamente non
riscontrabile nell’analisi del ciclo di vita dei biocombustibili.
A tal fine, sono state inizialmente analizzate le principali normative e linee guida sulla
realizzazione degli studi di valutazione del ciclo di vita dei prodotti, in modo da poter
definire gli approcci attualmente applicabili per l’inclusione del sequestro temporaneo di
carbonio. A seguito di questa iniziale ricognizione, ci si è dedicati alla ricerca di articoli
scientifici che trattassero il tema. L’attività di ricerca è stata svolta al fine di individuare
eventuali approcci metodologici alternativi proposti in letteratura, oltre che, naturalmente,
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al fine di documentare le motivazioni concettuali alla base del carbon storage e del carbon
sequestration.
Il lavoro si compone di tre capitoli, nei quali, vengono dapprima illustrati il concetto di
“riscaldamento globale” e le dinamiche che caratterizzano tale fenomeno, dopodiché
vengono approfonditi gli approcci metodologici per la considerazione
dell’immagazzinamento temporaneo di carbonio negli studi di valutazione del ciclo di vita
dei prodotti. Queste osservazioni vengono contestualizzate mediante l’analisi delle
principali correnti di pensiero sulle conseguenze climatiche delle emissioni di anidride
carbonica di origine biogenica e delle principali attività di gestione forestale.
Nel primo capitolo vengono descritti i fenomeni fisici e chimici responsabili dell’effetto
serra, e vengono analizzati nel dettaglio i principali gas climalteranti insieme ai principali
meccanismi di retroazione (attraverso i quali gli effetti sul clima vengono amplificati o
controbilanciati). In aggiunta all’analisi scientifica del fenomeno, viene ripercorso
l’andamento della temperatura media globale e della concentrazione dei principali gas
serra per un periodo di centinaia di migliaia di anni. Tali informazioni si basano sulle
ricostruzioni operate dai climatologi. La parte conclusiva di questo primo capitolo è
dedicata all’approfondimento delle dinamiche che caratterizzano il ciclo globale del
carbonio.
Nel secondo capitolo viene specificato il ruolo attuale e potenziale delle aree forestali
nell’ambito del riscaldamento globale. In particolare viene delineato l’ordine di grandezza
delle riserve e dei flussi di carbonio che coinvolgono le foreste. Tali grandezze vengono
riportate sia a livello globale, sia con riferimento ai tre biomi fondamentali: boreale,
temperato e tropicale. Il capitolo prosegue con la specificazione dei diversi approcci per la
gestione delle aree forestali nell’ottica di mitigazione dei cambiamenti climatici
(conservation, sequestration e substitution management). In questa parte della tesi
vengono inoltre discussi i diversi punti di vista riscontrati in letteratura sull’opportunità di
considerare, o meno, gli eventuali benefici climatici associati all’impiego della materia
biogenica come input per la produzione dei beni.
Il terzo capitolo affronta nello specifico gli approcci esistenti per l’inclusione del sequestro
temporaneo di carbonio negli studi di valutazione del ciclo di vita dei prodotti. Il capitolo
apre con una breve panoramica sulle metodologie Life Cycle Assessment e Carbon
Footprint, e con l’approfondimento dell’attuale metodo impiegato per la caratterizzazione
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degli impatti sul riscaldamento globale, il Global Warming Potential. Segue, come già
detto, l’analisi specifica di ciascun approccio. La parte conclusiva del capitolo è, invece,
dedicata al tema più generale delle emissioni di anidride carbonica causate dalle attività
“Land-Use, Land-Use Change and Forestry” (LULUCF) ed alle relative difficoltà ed
incertezze attualmente riscontrate nella loro caratterizzazione.
Per una chiara e corretta interpretazione del presente lavoro, è opportuno sottolineare che i
commenti, le affermazioni e i giudizi riportati, ove non diversamente specificato, si
riferiscono a valutazioni effettuate esclusivamente in riferimento alla problematica
ambientale del riscaldamento globale. Esse non possono dunque essere prese come
riferimento degli impatti ambientali complessivi. Questo, poiché, una scelta che appare
conveniente sotto l’aspetto delle emissioni di gas ad effetto serra, potrebbe, al contrario,
rivelarsi altamente problematica nell’ambito delle altre categorie di impatto.
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CAPITOLO 1
I CAMBIAMENTI CLIMATICI ED IL RUOLO DEL CICLO
DEL CARBONIO
1.1. I cambiamenti climatici e la loro evoluzione nel corso del tempo
Negli ultimi decenni si è assistito ad una sempre più ricorrente e persistente considerazione
delle problematiche ambientali, e nello specifico climatiche, all’interno del dibattito
pubblico e politico. La formazione, a partire dagli anni settanta, di una coscienza
ambientale individuale, soggettiva, che si è successivamente evoluta in forme di
associazionismo, ha sicuramente svolto un ruolo attivo nel consolidare e diffondere la
conoscenza su tali questioni. Tuttavia, un ruolo fondamentale è stato svolto dalla ricerca e
divulgazione scientifica, la cui prolifica attività ha permesso di comprendere, rappresentare
e misurare con sempre maggior precisione le interazioni e le interconnessioni tra le varie
grandezze naturali, tra queste e le attività umane ed i rischi che ne derivano.
Un aspetto a cui viene prestata particolare attenzione dalla maggior parte delle istituzioni
politiche (nazionali ed internazionali), della comunità scientifica e della società civile è il
rapido mutamento delle condizioni climatiche del pianeta, in altre parole l’aumento del
fenomeno del “riscaldamento globale”. In effetti, dalla fine degli anni ’70 la comunità
internazionale, tramite l’ONU, ha preso in considerazione i cambiamenti climatici globali
come fattore di rischio per l’umanità, e, di conseguenza, ne è scaturita la volontà di
approfondire le conoscenze su tali fenomeni e le loro conseguenze(Pasini, 2006).
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Generalmente per “clima” si intende il valore medio e la variabilità della temperatura, delle
precipitazioni atmosferiche e dei movimenti delle masse d’aria in un determinato periodo
di tempo (IPCC, 2007a). Il sistema climatico è regolato dall’azione di agenti forzanti
capaci di interagire con la radiazione solare ed infrarossa (o terrestre) e quindi in grado di
modificare il bilancio radiativo del pianeta (ENEA, 2007).
Il sistema climatico viene continuamente alimentato dalle radiazioni elettromagnetiche,
trasmesse per irraggiamento dal Sole, caratterizzate da lunghezze d’onda ricomprese
nell’intervallo della luce visibile e per questo in grado di raggiungere e di essere assorbite
dall’atmosfera e dalla superficie terrestre. Della complessiva radiazione solare che
raggiunge la Terra circa il 50% riesce a raggiungere la superficie terrestre, il 20% viene
assorbito dai gas presenti nell’atmosfera ed il restante 30% viene riflesso direttamente
verso lo spazio dai corpi riflettenti (nubi, superfici innevate e ghiacciate, distese di sabbia
ed altri corpi), senza essere assorbito (Baird e Cann, 2006). Mediamente ogni secondo la
Terra riceve nella parte più alta dell’atmosfera una radiazione solare pari a circa 341
W
, di cui circa 102 W
vengono riflessi nello spazio dalla superficie terrestre, dalle
nuvole e dagli aerosol; ne risulta un assorbimento dell’energia radiativa da parte della
Terra di 240 W
(Seinfeld, 2011). Successivamente la Terra, per bilanciare l’energia in
ingresso, emette, in media, la stessa quantità di energia sotto forma di radiazione infrarossa
(non visibile e con lunghezze d’onda maggiori rispetto a quella solare). Questa viene
inizialmente assorbita da alcuni gas presenti nell’atmosfera, per poi essere riemessa in
modo casuale in tutte le direzioni. Di conseguenza, una parte di queste radiazioni
infrarosse viene retrodiffusa verso la superficie terrestre dove esse vengono riassorbite,
andando di nuovo a scaldare la superficie e l’aria (Baird e Cann, 2006). Quei gas che
permettono alla radiazione solare incidente di attraversare l’atmosfera e impediscono alla
radiazione infrarossa di allontanarsi verso lo spazio, sono detti gas ad effetto serra e sono
responsabili del cosiddetto “effetto serra”.
Il potenziale effetto di alterazione del clima attribuito ad una variazione nella
concentrazione dei vari forzanti atmosferici (i quali agiscono sul valore netto del bilancio
radiativo del pianeta) viene espresso con la grandezza “effetto radiativo” (radiative
forcing). In altri termini, l’effetto radiativo esprime l’entità della riduzione della radiazione
infrarossa capace di attraversare l’atmosfera e, quindi, di abbandonare la Terra, per
incrementi unitari della concentrazione del livello dei gas ad effetto serra (Manahan,
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2000). Tale grandezza, espressa in W
, è rappresentativa dei soli effetti istantanei
prodotti dalla variazione dei forzanti atmosferici, e non tiene conto, quindi, degli effetti
indiretti e dei meccanismi di retroazione (feedback) eventualmente alimentati (ENEA,
2007).
Nella Figura 1, viene riportata la stima del bilancio radiativo annuale della Terra, sulla
base delle osservazioni realizzate dal 2000 al 2004.
Figura 1: Bilancio radiativo medio annuale della Terra (espresso in
). I valori si riferiscono alla media
registrata nel periodo 2000–2004.
Fonte: Trenberth et al. (2009).
Le alterazioni del bilancio radiativo terrestre possono scaturire sia direttamente che
indirettamente (per mezzo dei meccanismi di retroazione) in seguito ai cambiamenti
intervenuti (IPCC, 2007a):
1) nell’intensità della radiazione solare diretta ad impattare la parte superiore
dell’atmosfera (dovuta principalmente a cambiamenti nell’orbita terrestre o a
oscillazioni nell’attività solare);
2) nella frazione di radiazione solare riflessa nello spazio (albedo);