ed aminoacidiche conservate (la regione NBS ne rappresenta per l’appunto
una tipologia); tale tecnica permette di generare una grande collezione di
frammenti RGA e di rintracciare all’interno di essi delle variazioni genetiche,
generando in tal modo marcatori molecolari strettamente associati ai geni di
resistenza.
La disponibilita` di dati fenotipici ottenuti da infezioni in condizioni control-
late e ripetute per ciascun individuo della progenie ha permesso di localizzare
robusti QTL sulle mappe molecolari di V. riparia e di identificare interessanti
marcatori NBS di geni candidati, anche per posizione, ad un ruolo di rego-
lazione della risposta di difesa della vite alla patologia indagata, 8 dei quali
sono strettamente associati a QTL evidenziati durante l’analisi.
Il marcatore Ploop R2, potenzialmente correlato alla resistenza al patogeno
Plasmopara viticola, si trova all’interno dell’intervallo di confidenza del QTL
del gruppo di linkage 12, e` stato ritrovato in 2 anni diversi in differenti con-
dizioni di infezione e in un caso rappresenta proprio il picco del QTL stesso.
Il marcatore NBS5 R3 si trova localizzato all’interno dell’intervallo di confi-
denza in un QTL del gruppo di associazione 6 presente in 2 anni diversi di
infezione ed in uno dei casi rappresenta il picco; la significativita` del marca-
tore e` inoltre confermata anche dall’analisi di Kruskal-Wallis.
L’analisi di espressione del gene per la Caffeoil-Co-A metiltransferasi median-
te RealTime PCR ha consentito inoltre di localizzare 7 e-QTL sulle mappe
di V. riparia, 4 dei quali corrispondono alla posizione di QTL relativi ai dati
fenotipici nei quali sono mappati anche marcatori NBS.
Alla luce dei risultati ottenuti, l’approccio NBS si presenta interessante ed
efficace all’individuazione e al clonaggio di geni coinvolti nella difesa (RGA),
a una migliore comprensione delle basi molecolari e fisiologiche dei tratti
poligenici e alla successiva creazione di genotipi resistenti a vari tipi di stress.
5
Capitolo 2
Introduzione
2.1 La Vite
La vite rappresenta una delle piu` importanti piante da frutto conosciute e
coltivate in tutto il mondo, ad oggi infatti quasi otto milioni di ettari di
terreno sono coltivati a vigneti (Vivier et al. 2002). I prodotti derivanti da
questa pianta ed apprezzati dai consumatori di tutto il mondo sono veramen-
te molteplici: il vino, i numerosi distillati, l’uva sultanina, l’uva da tavola ed
i succhi di frutta.
Fondamentale risorsa di lavoro umano, la vite ed il vino erano uno dei mezzi
privilegiati della convivialita` sociale gia` prima dell’era cristiana.
L’importanza di questo frutto e` dimostrata dal fatto che possiede antiche con-
nessioni storiche con lo sviluppo della cultura dell’uomo (This et al. 2006); il
suo maggior prodotto, ossia il vino, era considerato divino: veniva appunto
chiamato il nettare degli dei e Dioniso (nella letteratura greca) e Bacco (nella
letteratura romana) erano le divinita` a cui era dedicata tale bevanda. Tra
i frutti della Natura e del lavoro dell’uomo, l’uva ed il vino hanno quindi il
privilegio di aver avuto diritto addirittura da parte di un dio.
Dioniso fu educato dalle Muse ed era il piu` erudito degli dei dell’Olimpo. E`
il promotore della civilizzazione, dio dell’acqua, delle belle arti e dell’arte del
vivere. Colpito da demenza, fu condannato ad errare per il mondo intero,
introducendo presso i popoli la coltura della vigna e l’arte del vino. Bacco e`
il dio del vino e della vigna e simbolizza soprattutto la licenziosita`; e` sempre
6
rappresentato accompagnato da Fauni e Baccanti e spesso nell’atto di suo-
nare due flauti.
Viene considerato un dio tra i piu` benefici nei confronti degli uomini, ai quali
insegno` il culto della vite e l’arte di estrarre il vino dal suo dolce frutto.
Numerose sono le citazioni, per esempio nell’Odissea, di quanto fosse impor-
tante il vino all’interno della vita sociale dell’uomo dell’antica Grecia; non
poteva mancare infatti un brindisi di buon auspicio in onore degli dei prima
dell’inizio di ogni avventura e come onorificenza nei confronti degli ospiti.
Altre culture del Mediterraneo credevano che il vino sgorgasse dal sangue di
coloro i quali avevano combattuto gli dei ed anche per esse il vino aveva un
ruolo importante nella vita comune.
Con il cristianesimo e l’arte bizantina, la rappresentazione del lavoro della
vigna e del vino divento` piu` frequente; il vino assunse un valore spirituale e
trascendentale; caricandosi di spirito cristiano divento` l’occasione ed il mez-
zo per la Comunione con il Cristo. Anche gli abiti sacerdotali, i capitelli, i
fregi delle chiese sono adorni di grappoli pampini e foglie di vigna. Anche in
questo caso non mancano le citazioni che ne confermano il ruolo importante.
Nell’ Antico testamento, in particolare nel libro dei Profeti, si apprende co-
me Israele fosse una “vigna lussureggiante che ben sapeva dare i suoi frutti”,
mentre nella Sacra Bibbia si dice “Bonum vinum laetificat cor hominis”, ov-
vero il vino buono rallegra il cuore degli uomini.
Le viti coltivate appartengono al genere Vitis Tourn, sottofamiglia Ampeli-
dae o Vitoidae, famiglia Vitaceae, ordine Rhamnales. Esiste poi una ulteriore
suddivisione all’interno del genere Vitis che distingue il sottogenere Euvitis
(2n=38) dal genere Muscadinia (2n=40).
All’interno della famiglia delle Vitaceae, il genere che possiede la maggior
rilevanza economica e` il genere Vitis. Esso consiste di circa 60 specie in-
terfertili che crescono quasi esclusivamente nell’emisfero nord. (This et al.).
All’interno di queste specie, Vitis vinifera e` l’unica usata cos`ı abbondante-
mente per l’industria del vino.
Tale specie viene ancora suddivisa in due sottospecie: Vitis vinifera silvestris
e Vitis vinifera sativa; la separazione storica tra queste due sottospecie e`
stata basata su differenze morfologiche. Vitis silvestris e` la forma selvatica,
e` caratterizzata da grappoli ed acini piccoli con basso tenore zuccherino ed
7
e` dioica, V. sativa e` morfologicamente variabile e possiede fiori generalmente
ermafroditi.
Si ritiene che la specie Vitis vinifera comprenda all’incirca 5000 cultivar la cui
maggior parte si ritiene sia stata originata attraverso l’ addomesticamento ed
il successivo incrocio tra piante coltivate e selvatiche o tra piante coltivate.
La propagazione della vite e` di tipo vegetativo.
Figura 2.1: rappresenta le differenze morfologiche tra vite coltivata (sottospecie vinifera)
a sinistra e vite selvatica (sottospecie sativa) alla destra dell’immagine.
La domesticazione della specie sembra essere collegata alla scoperta del vino
e risale a circa 8000 anni fa; durante questo periodo di tempo essa e` andata
incontro a numerosi cambiamenti che hanno assicurato un aumento del tenore
zuccherino degli acini per ottenere una fermentazione migliore, un prodotto
maggiore ed una produzione piu` costante nel tempo.
La prima testimonianza della produzione di vino risale a circa 7400-7000 anni
fa in Iran, ma semi risalenti a circa 8000 anni fa sono stati ritrovati anche in
8
Georgia e Turchia.
Dal sito di “prima addomesticazione” ci fu una seconda espansione verso le
regioni adiacenti come Egitto e bassa Mesopotamia (5000-5500 anni fa) per
poi arrivare al Mediterraneo seguendo le civilta` presenti: Assiri, Fenici, Greci,
Romani (i primi a dare un nome alle cultivar), Etruschi e Cartaginesi. Le
coltivazioni di vite hanno successivamente raggiunto la Cina ed il Giappone
(circa 3200 anni fa).
Tra l’anno 100 A.C. ed il 100 D.C., grazie alle condizioni ottimali del clima,
il bacino del Mediterraneo era l’area privilegiata per lo sviluppo della coltura
della vite.
Con l’espansione dell’Impero romano, qualche secolo dopo Cristo, la Penisola
divenne la maggior produttrice di vitigni da esportazione e di vino. Plinio
il vecchio nella “Naturalis Historia” parla del vino prodotto dagli Umbro-
Sabini come “vino di grande qualita`” e dai testi di Diodoro di Sicilia si
apprende come gli italiani vendessero vino ai Galli; numerosi resti di anfore
ritrovate sulle strade utilizzate per i commerci dell’esportazione del vino lo
testimoniano. I fondali marini del Tirreno inoltre sono contrassegnati da
relitti di navi affondate con il loro carico di anfore, i cui tappi conservano
marchi di vino prodotto in Campania e diretto a Marsiglia.
Successivamente, con la scoperta del nuovo mondo, la vite e` stata esportata
anche in America dove comunque erano gia presenti altre specie native di
Vitis.
La possibilita` di una cos`ı vasta espansione della vite e` dovuta ad alcune sue
caratteristiche che la rendono adatta a numerosi tipi di suolo e climi: tuttavia
il fatto che richieda luce ed un clima temperato ne esclude la coltivazione in
zone troppo fredde o in climi eccessivamente caldo-umidi.
2.2 Il miglioramento genetico della vite
Come accennato precedentemente, il primo tentativo di miglioramento ge-
netico della vite, seppur condotto in modo empirico, deriva dalla selezione
arbitraria di quelle viti che presentavano una produzione maggiore di frutti,
fossero ermafroditi, avessero acini piu` dolci e zuccherini e che fermentassero
maggiormente, che producessero in modo piu` costante, che avessero dei par-
9
ticolari aromi e possedessero una miglior adattabilita` ai suoli di coltivazione.
(Vivier e Petronius 2002).
Alla fine del XIX secolo, agenti causa di malattia per la vite (muffe e fillossera)
raggiunsero, dall’America, le coltivazioni dell’Europa, causando devastazio-
ni, distruggendo molti vigneti e cambiando drasticamente la diversita` di tale
specie.
Una delle soluzioni per risolvere questo problema di enorme portata, nel ca-
so della fillossera per esempio, arrivo` proprio dalle coltivazioni americane: le
specie non vinifere di Vitis, resistenti al patogeno, furono infatti utilizzate
come portainnesto e per incroci interspecifici con specie vinifere ma non re-
sistenti. Da qui sono iniziati quindi numerosi programmi di miglioramento
genetico che mirano ad utilizzare le resistenze alle malattie che colpiscono le
specie vinifere presenti nelle specie selvatiche di vite, mantenendo comunque
l’elevata qualita` del frutto ed i caratteristici e desiderati aromi delle specie
vinifere.
A differenza di queste ultime, caratterizzate come detto da una notevole
qualita`, le viti americane utilizzate per l’ottenimento dell’ibrido hanno de-
gli aromi non desiderati (aroma volpino) causati da alcuni composti in esse
presenti. L’ottenimento di specie resistenti alle malattie porterebbe ad un
enorme vantaggio sia economico ma soprattutto ambientale e nei confronti
dei consumatori, in quanto esse richiederebbero meno interventi anticritto-
gamici durante la coltivazione.
Il miglioramento genetico mira all’ottenimento di specie piu` resistenti sia nei
confronti di stress biotici come afidi, nematodi, batteri, fitoplasmi, insetti,
funghi e virus, sia da stress abiotici come il freddo.
Per raggiungere tale scopo, e` necessario conoscere esattamente e tener conto
delle caratteristiche della specie soggetta al breeding ; la vite in particolare
possiede alcune caratteristiche per le quali il miglioramento e` reso difficolto-
so.
In primis la vite, altamente eterozigote, e` recalcitrante nei confronti delle
classiche analisi genetiche in quanto linee parentali omozigoti sono virtual-
mente impossibili da ottenere a causa della forte depressione da inbreeding
(Fischer et al. 2004).
L’elevato grado di eterozigosi rende difficile inoltre un elevato grado di somi-
10
glianza tra progenie e genitori.
Le caratteristiche di grande importanza agronomica sono ereditate in modo
quantitativo e si rivelano quindi difficili da controllare durante il miglioramen-
to, in quanto influenzate dall’azione di numerosi geni piu` o meno indipendenti
tra loro e che esercitano un’azione variabile sul carattere di interesse (Fischer
et al. 2004).
La vite inoltre presenta delle dimensioni abbastanza grandi e ha un lungo ci-
clo di vita essendo una pianta legnosa poliennale (Grando et al. 2003, Vivier
et al. 2002).
In questo scenario difficile, un aiuto notevole arriva dalle tecniche di miglio-
ramento genetico che si basano sulla biologia molecolare: esse assistono le
tradizionali tecniche di breeding, spesso costose e molto laboriose, facilitan-
do le analisi di segregazione per i caratteri sotto esame. Se prima infatti le
analisi erano legate in modo indissolubile alla manifestazione fenotipica del
carattere, ora, grazie alla biologia molecolare, esse vengono effettuate diret-
tamente sul DNA, quindi a livello genotipico. Questo permette lo svincolo
dalle influenze esercitate sul carattere dall’ambiente e dal lungo periodo di
tempo necessario per la sua manifestazione fenotipica, che spesso puo` essere
molto tardivo (ad esempio caratteri legati alla riproduzione), permettendo
una selezione precoce della popolazione.
Si ha in questo modo la possibilita` di effettuare una preselezione delle carat-
teristiche delle piante giovani in modo da scartare tempestivamente quelle
che non posseggono i caratteri desiderati; la possibilita` di poter effettuare
questa selezione all’interno di una giovane popolazione e` offerta dalla presen-
za di marcatori molecolari, ossia di alleli in determinate regioni del genoma
espresse o meno (Jones et al. 1997).
Questi permettono di rintracciare e seguire il movimento di geni all’interno
di una popolazione segregante per il carattere di interesse (ad esempio ca-
ratteri di resistenza); questa tecnica rappresenta quindi un nuovo approccio
allo studio di una popolazione segregante.
In questo contesto la costruzione di mappe genetiche apporta un aiuto fon-
damentale allo studio di caratteri agronomici interessanti e che presentano
una base genetica complessa (QTLs, ossia Quantitative Trait Loci) e si rivela
efficace per la comprensione di meccanismi di azione genici quali dominanza,
11
pleiotropia, additivita` ed epistasi.
La prima mappa genetica e` stata descritta su Pisum nel 1948 da Lamprecht;
egli individuo` 37 marcatori distribuiti in 7 gruppi di linkage (Swicicki et al.
2000). Ad oggi una enorme collezione di marcatori e` disponibile per mol-
tissime specie coltivate e per Arabidopsis (The Handbook of Plant Genome
Mapping).
Per la vite la prima mappa di associazione e` stata descritta da Lodhi et al. nel
1995 e da allora ne sono state sviluppate altre utilizzando diversi marcatori
molecolari (ad esempio RAPD, AFLP, SSR) analizzando diversi parentali,
interessanti per vari caratteri presi in esame, come per esempio l’assenza di
semi, la grandezza degli acini o la resistenza a patogeni: ( Dalbo et al. 2000,
Doligez et al. 2002 , Grando et al. 2002, Riaz et al. 2003,. Adam-Blondon
et al. 2004, Doucleff et al. 2004).
2.3 La peronospora della vite e i geni di resi-
stenza
2.3.1 La peronospora della vite (downy mildew)
L’agente patogeno responsabile della peronospora e` un fungo parassita ob-
bligato appartenente alla famiglia delle Peronosporaceae, philum Oomycota,
regno Chromista, e chiamato Plasmopara viticola.
Questo fungo e` stato introdotto in Francia dall’America nel 1878 con mate-
riali viticoli, in particolare attraverso portainnesti resistenti alla fillossera, ed
assieme all’oidio rappresenta una delle piu` gravi e diffuse avversita` della vite.
La suscettibilita` delle viti europee deriva dal fatto che esse si sono evolute in
totale assenza del patogeno e che quindi non portano alcun tipo di resistenza
verso di esso; la malattia ha potuto quindi diffondersi dalla Francia a tutta
l’Europa grazie al clima umido-temperato di tali zone, favorevole alla cre-
scita e sviluppo del fungo (sfavorevoli alla crescita sono invece i climi secchi
che non permettono alle zoospore biflagellate di muoversi in quanto per farlo
necessitano di un film acquoso).
Tutti gli organi verdi possono essere infettati, i primi sintomi fogliari sono
12