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siamo stati, quando eravamo bambini e quando le nostre parole d'ordine erano "gioco", "scoperta",
"sorpresa", "innocenza"...
Clown non è solo naso rosso, costume colorato e faccia dipinta. Il clown di oggi, derivante dalla grande
tradizione circense, è emblema di positività, un guerriero del buon umore nella vita di tutti i giorni. Il
"Nouveau" Clown è una forma d'arte basata sul dare, sul trasformare in speranza la complessità e la
tensione delle nostre società: fare il clown significa ritrovare la libertà e sfuggire alla monotonia, attraverso
una tecnica universale basata appunto sul dare, regalare allegria e positività, ricevendo in cambio il calore
di un sorriso, di una risata.
Questa è la figura di clown che mi ha affascinata e con cui, pian piano, cerco di cimentarmi. Il paradosso è
che per fare la cosa più semplice del mondo (ovvero essere clown), bisogna un po' complicarsi la vita:
sgusciare fuori da tutta una serie di stereotipi sociali, di reti conformiste che ci chiudono in un sistema
bloccato in cui il diverso è emarginato e temuto.
Un esercizio pratico: mettetevi in un luogo pubblico e iniziate a sorridere (per almeno un minuto). L'ipotesi
migliore è che, su una ventina di persone che incontreranno il vostro sguardo, quattro o cinque
risponderanno al sorriso. La più normale è che verrete semplicemente ignorati … la peggiore invece è che
qualcuno decida di tirarvi un pugno in faccia.
Eppure, è scientificamente provato che ridere "risveglia nel corpo la naturale disponibilità a rilassarsi,
allenta la tensione, distende naturalmente il sistema nervoso e allontana le preoccupazioni di tutti i giorni".
è un rilassamento fisico e mentale, una liberazione. E quando ridiamo siamo tutti uguali, il sorriso è
universale e tutti lo capiscono. Ecco perché il clown dovrebbe essere a mio avviso un emblema di
interculturalità e di mediazione nella nuova società multietnica in cui viviamo. Il clown non ha nazionalità
né razza, i suoi colori sono tutti i colori, eppure non fa paura, non fa scattare il rifiuto, il pregiudizio, non
allontana ma avvicina, è immagine ideale e immediata per superare discriminazioni e preconcetti sociali. La
figura del clown riesce a dare un punto di vista spontaneo e sincero che permette la Comunicazione e il
Confronto e quindi la Comprensione reciproca.
La seconda domanda a cui cercherò di rispondere è: perché clownerie e comunicazione?
Viviamo in un’epoca paradossale, in cui possiamo virtualmente raggiungere ogni angolo della terra ed
interagire con persone di ogni cultura, etnia, credo politico, religione e estrazione sociale attraverso sms,
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chat istantanee, social network, email e telefono. Eppure, nella vita reale, quella che non ha bisogno di
interfacce e connessioni a internet, abbiamo paura e diffidiamo degli altri, evitando il contatto, lo sguardo,
l’incontro. La serietà, creata da regole prescritte dalla società stessa, prevale nella nostra vita quotidiana.
Abbondano precetti e formalismi, pregiudizi, tabù, ruoli da mantenere, modelli e convenzioni da seguire.
Così, mentre la realtà virtuale si semplifica sempre di più, diventando accessibile a tutti, dall’altra parte il
mondo reale delle interazioni faccia a faccia diventa sempre più complesso e porta ad un isolamento
globalizzante privo di calore umano.
L’idea di questa tesi, nata appunto da un’esperienza personale che ha permesso di acquisire la
consapevolezza di quanto detto in precedenza, è quella di proporre una possibile soluzione. Tale soluzione
si chiama “clownerie” ed è un modo di vedere le cose e di vivere la propria vita. Quindi clownerie e
comunicazione, perché la clownerie è, prima di ogni altra cosa, comunicazione: significa comunicare
emozioni e messaggi non banali nel modo più semplice e puro. Ed essere capiti da tutti, per la sincerità
delle proprie intenzioni, per la semplicità delle proprie espressioni e per l’ingenuità ed empatia dei propri
gesti.
Una comunicazione di questo tipo permette di superare qualsiasi tipo di stereotipo, favorisce l’incontro
con l’altro, apre gli orizzonti, ci permette di riscoprire l’umanità che ci circonda. Non vuol dire regredire ad
uno stato infantile o primitivo, ma semplicemente riscoprire dentro di sé la curiosità, il gioco, l’apertura
verso il mondo, la sorpresa dei bambini che siamo stati. Ognuno di noi è un clown in potenza.
Nella moderna società quindi, il clown, così paradossalmente autentico (nonostante trucchi, parrucche e
naso rosso), rappresenta una via d’uscita, una nuova situazione di equilibrio nei confronti della vita. In un
mondo in cui tutti hanno paura, il clown trasforma le nostre debolezze in energia vitale che viene
comunicata agli altri e per questo solidifica i rapporti tra esseri umani.
Forse il clown è il futuro dell’uomo.
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Percorsi
I modi per affrontare questo argomento potevano essere molteplici. Ciò che ho cercato di far emergere
nelle pagine seguenti sono soprattutto gli aspetti legati all’esperienza personale.
L’analisi della figura del clown e della sua efficacia comunicativa parte da un breve resoconto sulla storia e
le origini di questo personaggio, seguito da alcune riflessioni su quelli che sono i suoi aspetti e caratteri più
significativi.
Ho poi riportato brevemente alcuni studi e analisi sulle caratteristiche della comunicazione interpersonale,
della comunicazione non verbale e della comunicazione interculturale. Questo mi ha permesso di riflettere
anche sulla comunicazione clownesca e sulle sue peculiarità.
Con questi primi capitoli, volevo porre le premesse per un discorso più approfondito su alcune applicazioni
pratiche della clownerie, dalle azioni di strada alla clown-terapia. Ho quindi cercato di dimostrare come la
figura del clown e il suo particolare modo di comunicare possano essere utilizzati nei più diversi aspetti
della vita quotidiana, ma anche in situazioni particolari di interazione sociale.
Un capitolo a parte è invece dedicato all’esperienza che ha fatto nascere questa tesi. L’intento è quello di
mostrare come la clownerie, come metodo di comunicazione e di vita, sia alla portata di tutti e come esso
cambi davvero le interazioni tra i singoli individui, favorendo il dialogo e la comprensione reciproca anche
tra persone appartenenti a culture e background completamente diversi.
Ho pensato infine di concludere il mio lavoro lasciando la parola a chi il clown lo fa veramente, ogni giorno
della propria vita, e cercando di dare qualche piccolo consiglio a chi invece vorrebbe dare alla propria
quotidianità un tocco in più di follia e umanità.
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STORIA E ORIGINI DEL CLOWN
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Le origini della figura del clown sono misteriose: è estremamente difficile infatti stabilire con certezza
quando e dove essa sia nata.
È chiaro che il clown moderno nasce all’interno del circo, tuttavia esso affonda le sue radici in epoche
molto più lontane … tanto che si potrebbe quasi supporre che figure di questo genere siano in realtà
sempre esistite.
Alcuni sostengono infatti che l’apparizione di personaggi clowneschi debba esser fatta risalire alle Dionisie,
le grandi feste dell’antica Grecia in onore del dio Dioniso. Durante queste manifestazioni si svolgevano gare
poetiche buffonesche e spettacoli comico-satirici in cui si potrebbero distinguere gli antenati dei pagliacci.
Il genere teatrale della commedia si sviluppò poi presso i Romani.
Pian piano nacque così una vera e propria arte e un nuovo mestiere, quello dell’attore comico. Un mestiere
che però veniva considerato come attività pressoché inutile ed inferiore, e per questo i primi attori comici
vennero chiamati con disprezzo “buffoni” o “giullari”.
Per molto tempo, in epoche e paesi diversi, nani e gobbi ricoprirono il ruolo dei giullari: il primissimo
buffone di cui si ha notizia fu proprio un nano, alla corte del faraone Pepi. Ma ci furono giullari nani anche
in Cina, nell’America pre-colombiana e nei mercati romani.
I buffoni davano il meglio di loro nelle piazze, in mezzo alla gente del popolo, rappresentando i difetti della
natura umana, dopo quel che vedevano con i loro occhi nelle corti. Proprio la loro sagacia e la loro
abitudine ad osservare criticamente gli avvenimenti, valsero ai giullari di professione posti di riguardo nelle
corti dei secoli bui del Medioevo.
Il giullare diventò così, con le commedie colte del Cinquecento e almeno fino alla prima metà del XVIII
secolo, il vero protagonista del divertimento. Il Seicento infatti fu il secolo della Commedia dell’Arte, con le
sue maschere-clown e le prime compagnie professionali.
L’Ottocento invece vide una continua confusione di generi e lo spirito della commedia antica rimase solo
nel teatro dialettale. Ma il teatro dovette fare i conti, a questo punto, con una nuova forma di spettacolo: il
circo. Nel 1770 nasce a Londra il primo circo equestre, creato da P.Astley, che in circa due anni vide
aggiungersi ai cavallerizzi molte altre figure: acrobati, equilibristi, trapezisti, domatori, giocolieri, fenomeni
umani, orchestre … fino a diventare “l’incomparabile tendone delle meraviglie”. E presto gli originari
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improvvisatori fecero la loro comparsa sotto i tendoni, dove presero la denominazione (forse coniata dallo
stesso Astley o dal pubblico inglese) identica in tutte le lingue: clown.
I clown costituivano un momento distensivo e rilassante all’interno dello spettacolo. Il loro primo
rappresentante fu Joseph Grimaldi, con la maschera di Pedrolino. Mentre il primo clown vero e proprio,
introdotto da Astley, fu invece un musicista, Mr.Merriment (il signor Divertimento): un clown
chiacchierone che divenne elemento caratteristico di tutto il circo inglese.
Ben presto, grazie anche allo stesso Astley e ai suoi investimenti in diverse capitali europee, il circo si
sviluppò in tutta Europa, fino a raggiungere l’America. Alla semplicità del circo europeo, si oppose quindi
l’opulenza di quello americano.
Da allora molti clown sono passati alla storia: Groch, Dimitri, Popov, Clarabella, Bozo … ognuno di essi
aveva caratteristiche diverse e inconfondibili, ma faceva sempre riferimento a due categorie principali di
clown: il bianco e l’augusto. Il primo è colorato, allegro e ingenuo; il secondo è triste, malinconico e
tiranneggiante.
Da tutta questa tradizione dunque deriva la figura del clown moderno: nata e perfezionatasi nel circo, ne è
poi uscita per riprendere le strade e le piazze che una volta erano appartenute ai giullari e ai buffoni.
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ASPETTI EMBLEMATICI DEL CLOWN
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Sappiamo quindi che il clown è esistito in ogni epoca, a qualsiasi latitudine e all’interno di tutte le forme
sociali, evolvendosi da attore comico a giullare, da semplice intrattenitore ad acuto osservatore della
realtà. Fino ad arrivare al clown moderno, quello nato nel circo e che oggi tutti conosciamo. In questo
lungo percorso, la figura del pagliaccio ha però mantenuto alcuni aspetti fondamentali che qui cercheremo
di analizzare.
In primo luogo, il clown si presenta come una figura viva e vitale, capace di dire agli altri che cos’è la vita e
di far vedere in quanti modi diversi essa può essere vissuta. E per far questo il clown sembra stravolgere la
vita stessa, mentre in realtà la vive, la soffre e ne gode in modo totale ed esaustivo.
Il clown non è solo un personaggio strano, stravagante, buffo: essere clown rappresenta una scelta di vita,
una “vocazione”. Un clown fa ridere ma fa anche pensare, aiuta a vivere e fa vedere la realtà così com’è,
perché rispecchia la vita di tutti i giorni: problemi, gioie, dolori, illusioni e delusioni.
Ogni clown rappresenta se stesso, ha sue caratteristiche che dipendono dal suo modo di vedere il mondo,
se stesso e gli altri. Genuinità e semplicità sono le parole d’ordine di ogni clown. Egli ride perché è ingenuo
come un bambino e piange perché è innocente e quindi capace di portare i pesi e le sofferenze dell’uomo.
Della realtà i clown riprendono anche i rapporti di potere, riflettendone la divisione:
- Il clown bianco è il “cattivo” che vive sfruttando l’augusto, sempre elegante, bello e autoritario.
- Il clown augusto è quello che sfugge al potere, dalla parte dei bambini, concreto, popolare,
ingenuo, sbadato, goffo, semplice.
Oggi il clown bianco è sempre meno importante (così come nel mondo moderno stanno perdendo
importanza le regole, sentite come scomode e difficili da capire, apprendere ed insegnare), mentre il clown
si identifica sempre di più con la sola figura dell’augusto. Egli esprime l’aspetto più irrazionale dell’uomo,
simbolo di gioia e di innocenza, creatura debole e sognante.
Il pagliaccio parla a tutti proprio perché è in ognuno di noi: è la parte più impacciata e piccola che
vorremmo tenere nascosta e che ci fa sentire goffi e fuori posto in molte situazioni. Eppure allo stesso
tempo il clown è abbastanza maturo da saper piangere e ridere di se stesso perché grazie alla sua saggezza
riesce a mettere in gioco la parte bambina di sé e la sua apparente stupidità si trasforma così in
“intelligenza emotiva”.