6
nascere il riso, inteso nel suo significato più ampio: il suo valore umano,
educativo, liberatorio, socializzante, con forti implicazioni psicologiche.
Alla mia predisposizione alla materia si è aggiunta una piccola schiera di clown,
comici, buffi, o persone semplicemente ridenti che mi sono state vicine: il loro
aiuto è stato fondamentale.
Questa mia tesi rappresenta perciò il manifesto estatico di quanto ho appreso e
vissuto, di quanto sono cresciuto e di come mi sono arricchito: semplicemente
ridendo.
La tesi è articolata in tre sezioni. Una prima parte, introduttiva, cerca di delineare
brevemente il fenomeno “comico”, presentando le principali riflessioni e ricerche
sull’argomento.
La seconda parte affronta e delinea le caratteristiche principali della
comicoterapia e le sue proprietà terapeutiche.
La terza parte si sofferma sulla clownterapia, resa celebre in tutto il mondo dal
film su Patch Adams.
Parte integrante della tesi è infine il materiale raccolto sui siti Internet rivolti alle
principali associazioni e gruppi internazionali che diffondono e promuovono la
comicoterapia, attraverso anche saggi e articoli sugli effetti benefici del riso per
ulteriori acquisizioni di informazioni e documentazione.
7
1. Il sorriso
“Un sorriso è la luce attraverso la finestra del tuo viso
che dice alla gente che sei a casa”
(B.Johnson)
“La parola sorridere deriva dal latino «sub-ridere» e suggerisce l’idea di un riso a
bassa intensità che consiste nello stirare le labbra e sollevare gli angoli della
bocca senza mostrare i denti”
1
.
Definiamo invece “sorriso pieno quell’espressione facciale caratterizzata dal
ritrarsi della pelle tra naso e bocca grazie al muscolo zigomatico superiore, lo
scoprirsi dei denti superiori e il formarsi di piccole rughe attorno agli occhi”
2
.
Il sorriso costituisce un messaggio non verbale che permette agli essere umani di
stabilire universalmente un contatto amichevole coi loro simili. Certamente
dietro un sorriso possono mascherarsi vari stati d’animo, dall’imbarazzo allo
scherno, tuttavia il messaggio primo rimane privo di altre connotazioni: “davanti
ad un sorriso, l’aggressività scema quasi automaticamente”
3
.
L’antiaggressività insita nel sorriso permette di instaurare un rapporto alla pari,
per lo meno nella nostra cultura: non bisogna infatti dimenticare che il sorriso è
un atto sociale e pertanto caratterizzato dalle varie culture e tradizioni in cui esso
viene mostrato. La cultura cinese, ad esempio, associa al sorriso quasi sempre
imbarazzo.
“Il sorriso è uno dei comportamenti verbali più forti: se accompagnato dalle
parole ne amplifica i messaggi. Ha in sé valenze antigerarchiche e antiaggressive
e, forte del suo peso relazionale, spesso accompagna un contenuto difficile da
esprimere, che crea disagio nell’altro: un contenuto ostile può essere mitigato da
un sorriso sincero, mentre viene rafforzato se il sorriso è ironico o sarcastico.”
4
1
S. Fioravanti, L. Spina, 1999, La terapia del ridere, Red Edizioni, Como, p. 17.
2
S. Carletti, Che cos’è il sorriso, in “La terapia del sorriso”, Giugno 2002, p. 10.
3
S. Fioravanti, L. Spina, 1999, La terapia del ridere, cit. p. 20.
4
Ibi, p. 72.
8
La molteplicità di fattori sociali e contestuali che posso determinare un sorriso,
permettono a “Ekman di individuare tre tipi di sorriso:
ξ il sorriso sincero, come l’espressione genuina di un’emozione positiva;
ξ il sorriso falso, come il tentativo premeditato di simulare un’emozione
positiva;
ξ il sorriso triste, come il riconoscimento di una condizione di infelicità
percepita come tale anche dagli altri”
5
.
Generalmente un sorriso sincero è contrassegnato da un contatto visivo stabile in
cui le dimensioni delle pupille aumentano di diametro e la pelle attorno agli occhi
risulta increspata.
La capacità di sorridere è un dono prettamente umano che non viene espresso da
nessun altra creatura terrestre: sorridere può essere inteso “sia come l’espressione
più umana sia come l’espressione più naturale”
6
, dal momento che viene
utilizzato il solo muscolo zigomatico. “Ma nessuno ha imparato a sorridere
pensando al movimento del muscolo zigomatico, infatti il sorriso è
un’espressione emotiva innata, la più contagiosa e frequente”
7
.
Configurandosi come una delle prime espressioni umane di un bambino, il
sorriso si colloca fin dai primi mesi di vita come un elemento di rilevanza
sociale, che permette al bambino di esprimere la propria felicità e la
soddisfazione verso i suoi simili.
“Il sorriso è un mezzo più sfumato e sottile rispetto a una raffica di risate e
possiede una soglia di attivazione molto più bassa, cosa che ne fa un canale di
comunicazione emotiva relativamente «difettoso», in quanto difficile da
sopprimere. La sua esternazione è invece soggetta a maggiore controllo da parte
della volontà: se si chiede a qualcuno di sorridere, egli sarà subito in grado di
assecondare la richiesta”
8
.
5
L. Hodgkinson, 1987, Smile Therapy, tr. it. La terapia del sorriso, 2001, Armenia, Milano p. 30.
6
Ibi, p. 37.
7
V. D’Urso, R. Trentin, 1998, Introduzione alla psicologia delle emozioni, Laterza, Roma-Bari, p. 234.
8
R. Provine, Laughter. A Scientific Investigation, 2000, tr. it. Ridere, un’indagine scientifica, 2001,
Baldini & Castoldi, p. 60.
9
Il sorriso si configura come una potente arma dal valore terapeutico: questo è
riscontrabile non solo nella persona che sorride, che si dimostra positiva nei
confronti della vita, ma poiché l’allegria è contagiosa, una persona sorridente può
modificare in positivo l’umore di chi le sta attorno: il sorriso rende le persone più
attraenti, vitali e giovani; è sempre consigliabile e mai controindicato; può
allentare enormemente la tensione in qualsiasi circostanza e farci sentire più
felici.
10
2. Il riso
“Il riso è la distanza più breve fra due persone”
(Victor Borge)
“L’Enciclopedia Britannica riporta la seguente definizione di riso: «il riso
spontaneo è un riflesso motorio prodotto dalla contrazione coordinata di 15
muscoli facciali secondo uno schema stereotipato, accompagnata da un
un’alterazione del respiro. La stimolazione elettrica del muscolo principale che
solleva il labbro superiore, lo zigomatico, con correnti di varia intensità produce
espressioni che vanno dal vago sorriso ai contorcimenti tipici del riso
irrefrenabile. Il riso è un riflesso, ma è unico nel suo genere in quanto
apparentemente non ha alcuna funzione biologica. Si potrebbe definire un
‘lusso’, e il suo unico effetto sembrerebbe quello di allentare la tensione».
In prima istanza si può notare una
contraddizione interna alla
definizione, in quanto dopo aver
affermato che il riso non ha alcuna
funzione, l’enciclopedia parla del suo
effetto rilassante. Ed i maggiori
esperti di medicina e scienza di tutto
il mondo concordano affermando che
la tensione è la più grave minaccia
alla salute”
9
.
In verità, il riso non è solo una
semplice azione di riflesso, “un
lusso”; come afferma Leopardi “chi
9
L. Hodgkinson, Terapia del sorriso, cit. p. 50.
11
ha il coraggio di ridere è padrone del mondo”
10
.
Il riso produce una deformazione del viso: “bocca aperta a mostrare i denti, narici
dilatate, occhi stretti e luminosi. La testa e il corpo si muovono alternativamente
avanti e indietro. Le spalle si sollevano e abbassano. Il torace è in tensione. La
respirazione è convulsa, fatta soprattutto da emissioni d’aria a scatto con
conseguente rilassamento. È il diaframma che, sussultando violentemente, guida
questo tipo di respirazione. Il cervello è irrorato di sangue, grazie ai muscoli
facciali che si contraggono”
11
.
Una grassa risata, alimentata da pensieri positivi, provoca la distensione della
muscolatura volontaria e involontaria, ferma lo stato d’ansia, ri-ossigena
completamente l’organismo, sveglia la mente e le emozioni: a differenza del
sorriso che è una espressione di soddisfazione che segue ad un intenzione, il riso
ci libera da una tensione e ci introduce in un flusso di energia e creatività che si
distacca dal limiti del vivere quotidiano.
È stato rilevato che “al termine dello scoppio di riso si ha un rilascio di
endorfina, detta anche «opioide endogeno». Gli effetti dell’endorfina scatenata
dal ridere sono: antidolorifico, euforizzante, infine, l’ultimo e più importante,
immunostimolante”
12
.
Il riso ha un grandissimo valore sociale: “la risata è una sorta di lingua misteriosa
e universale ispirata da una risposta inconscia ai condizionamenti sociali e
linguistici”
13
; la risata è il segnale sociale per eccellenza degli essere umani, e ha
a che fare con i rapporti interpersonali. “Al pari del linguaggio, infatti, la risata è
un segnale vocale che emettiamo raramente se non c’è nessuno ad ascoltarci: ha
quindi nel comportamento umano numerose funzioni comunicative ed è
interpretabile come un «processo comunicativo»”
14
. “La risata consiste in una
serie regolare di brevi monosillabi di timbro vocalico, di solito trascritti come ah-
oh, oh-oh, ih-ih: «parole» che appartengono al vocabolario universale dell’uomo,
10
G. Leopardi, Pensieri, LXXVIII.
11
S. Fioravanti L. Spina, La terapia del ridere, cit. p. 23.
12
Ibi, p. 27.
13
R. Provine, Ridere: un’indagine scientifica, cit. p. 12.
14
Ibi, p. 51.
12
prodotte e riconosciute da tutti a prescindere dalla specifica cultura di chi le
utilizza”
15
.
Le circostanze sociali che meglio stimolano l’ilarità e il riso sono quelle che
favoriscono la comunicazione orale, dal momento che quest’ultima ha con essi e
con altri segnali sociali, verbali e non verbali, più affinità di quanto spesso si
creda.
Secondo Provine, la conversazione futile si è evoluta fra i nostri antenati per
facilitare o rinvigorire i legami sociali, con un ruolo indipendente dal contesto
linguistico. Questa funzione di collante sociale è inoltre una proprietà del
cosiddetto linguaggio “fatico” descritto da Malinowski. In tal ottica, l’atto di
parlare in sé è più importante di quanto viene detto.
Nella creazione di un legame sociale la risata gioca un ruolo in qualche modo
simile, cementando amicizie e aggregando i conoscenti: “si possono infatti
definire «amici» e «membri del gruppo» coloro con cui si ride”
16
, convalidando
la funzione del riso come lubrificante dei legami sociali.
Se ridere è un’attività sociale, questa necessita quindi di un gruppo nel quale
diffondersi e di un contatto visivo fra i partecipanti: una volta presenti questi
elementi, la risata ha la
capacità di diffondersi a
macchia d’olio. “La
singolare capacità del riso di
strappare identiche risposte
contagiose spinge a
ipotizzare che gli esseri
umani possiedano un sorta di
«rivelatore» a livello uditivo.
Una volta innescato, esso a sua volta libera un «generatore di risata». Quando
sentiamo ridere, tendiamo a comportarci in modo analogo, creando i presupposti
15
R. Provine, Ridere, un’indagine scientifica, cit. p. 11.
16
Ibi, p. 55.
13
per una sorta di reazione a catena che si propaga all’interno del gruppo in cui ci
troviamo in un crescendo di allegria e di comicità”
17
. “Essendo contagioso, il riso
può creare un’atmosfera salutare di intimità e di vicinanza, così importante per la
nostra società che è nata per vivere in comunità”
18
. Provine parla a proposito di
“episodio ilare”, inteso come l’insieme del commento che scatena il primo
scoppio d’ilarità e di tutte le risate che seguono immediatamente.
La risposta in questo caso è immediata e involontaria, dal commento che
coinvolge solo la più diretta forma di comunicazione immaginabile tra le
persone, indipendentemente da ogni partecipazione intellettiva: quella da cervello
a cervello.
17
Ibi, p. 156.
18
B. Bokun, Humour Therapy, tr.it Ridere per vivere, 1997, Mondadori, Milano, p. 50.
14
3. Teorie sul comico
3.1 Teorie filosofiche
“Il riso è una piccola epilessia”
(Ippocrate)
3.1.1 Platone (427-347 a.c.). Il discepolo di Socrate pare sia stato il primo
filosofo che abbia trattato del riso e delle sue cause.
Platone afferma che il riso proviene da una mescolanza di piacere e di malignità
o invidia. “Per esempio l’iniziale fitta d’ansia che può procurarci la vista di un
capitombolo scompare con una risata liberatoria.
Secondo lo stesso, nella commedia il riso nascerebbe dall’ignoranza che i
personaggi hanno di se stessi, dal credersi più ricchi, più belli, più virtuosi, o più
valenti di quello che in realtà siano”
19
.
Chi ha questa illusione o presunzione fa ridere, a patto però che sia un debole
perché se fosse un potente può generare timore.
Ma il riso così provocato non è un piacere puro: è un piacere misto a dolore;
perché si gode dell’ignoranza, dei difetti o dei mali altrui, dolore perché
l’individuo che ride per tali motivi mostra di possedere bassi sentimenti e
malevoli verso gli amici.
Nella Repubblica Platone, premesso che il riso eccessivo è un segno di grande
turbamento d’anima, fa dire a Socrate che non bisogna permettere che gli uomini
gravi, e ancor meno gli dei, siano rappresentati come dominati da un riso ch’essi
non possono moderare.
19
D. Francescato, Ridere è una cosa seria, cit. p. 29.
15
3.1.2 Aristotele (384-322 a.c.). La commedia viene definita “imitazione di gente
più ordinaria, giacché del turpe fa parte il comico. Il comico, infatti, consiste in
un errore e una deformità indolore e non dannosa, proprio come la maschera
comica è qualcosa di brutto e distorto senza dolore”
20
.
Ma egli non pretende affatto che la commedia descriva i fatti di tutti i giorni,
bensì solo i fatti eccezionalmente peggiori di quelli di tutti i giorni. Aristotele
condivide il parere di Platone secondo cui si ride di chi si ritiene migliore di
quanto in realtà non sia. Inoltre sottolinea che l’elemento sorpresa è essenziale
per suscitare il riso: il riso è una particolare sorpresa ed inganno: ma l’inganno
comico è di una natura particolare; esso si fonda sull’attesa e la tensione che in
noi suscita qualcosa, la quale viene delusa senza che noi ce ne accorgiamo.
Allora il riconoscimento dell’abbaglio preso, il fatto che esso ci sia sfuggito,
provoca in noi una sollecitazione di sentimenti comici.
3.1.3 Hobbes (1588-1679). In una delle citazioni più famose della letteratura
sull’umorismo, Hobbes afferma che la risata esprime “un movimento improvviso
di vanità”
21
, prodotto dall’improvvisa consapevolezza di nostre qualità,
raffrontate alle debolezze altrui o alla nostra precedente debolezza. Similmente a
Platone e Aristotele, Hobbes associa la risata alla superiorità sul prossimo e ai
suoi contenuti intrinsecamente aggressivi.
3.1.4 Kant (1724-1804). Il filosofo afferma: “in tutto ciò che eccita un riso vivace
e scuotente, ci deve essere qualcosa di contraddittorio; il riso è un effetto che
scaturisce dall’improvvisa risoluzione in nulla di un aspettativa tesa ed è quindi
centrale la violazione delle regole logiche secondo cui tutto ciò che è capace di
eccitare un vivace scoppio di riso deve esserci qualcosa di assurdo. Allo stesso
tempo però si richiede un’aderenza alla razionalità: la capacità di ridere
corrisponde al talento di mettersi volontariamente in una certa disposizione
20
Aristotele, Poetica, 5, 1449b, cit. da D. Francescato, Ridere è una cosa seria, p. 29.
21
Hobbes, 1651, Leviathan, London.
16
d’animo in cui tutte le cose sono giudicate in modo del tutto diverso
dall’ordinario, e pure conformemente a certi principi razionali che sono nella
disposizione stessa”
22
.
In altre parole, per Kant il riso è “il risultato di una subitanea distensione che
segue ad una tensione; esso traduce in una manifestazione il sollievo che segue
ad un timore, cioè il sollievo di una sicurezza ritrovata”
23
.
3.1.5 Bergson (1859-1941). Il saggio di Bergson Le rire - essai sur la
signification du comique fu pubblicato per la prima volta alla fine dell’800,
suscitando subito una vasta eco. Bergson afferma innanzitutto che non esiste
comicità all’infuori di ciò che è propriamente umano. “A tale proposito Bergson
rievoca la definizione dell’uomo quale essere che si distingue dagli altri animali
proprio per il riso; non solo, ma l’unico animale di cui si rida ‘in sé’”
24
. Il riso
nasce per l’individuo e nell’individuo. La sua finalità sociale si presenta come un
fenomeno di adattamento al vivere collettivo, la «sanzione sociale» del riso, che
serve anche per criticare costumi o comportamenti negativi. Il riso assume perciò
un significato di affermazione e difesa dell’organismo collettivo, il quale agisce
come se fosse un individuo. Bergson dice che il riso rappresenta un castigo
sociale per chi si allontana dalla norma: “il riso è soprattutto una correzione.”
25
Il comico è una manifestazione di gruppo; isolati non lo gustiamo: questo è
quanto chiamiamo “effetto socializzante” dell’umorismo.
Per Bergson appaiono comiche le forme, i gesti, le invenzioni che risultano da
una caricatura della realtà, mascheratura in cui vi è uno “spostamento” da una
cosa autentica ad un’altra sentita come non autentica, che scade, impoverita. Il
riso sorge anche quando si scende dai valori alti – ritenuti assoluti, naturali –
verso quelli più bassi, attuando così un “inversione”.
22
Kant, 1990, Critica del giudizio.
23
P. Santarcangeli, 1989, Homo Ridens, estetica, filologia, psicologia, storia del comico, Olschki Editore
p. 239.
24
Ibi, p. 48.
25
Ibi, p. 321.
17
Bergson trova nel comico una logica particolare, quella dell’“assurdo”,
un’inversione del senso comune: associa a questo comportamento quello della
“follia”.
Bergson sostiene che l’incongruo del comico è quello che esiste fra mente e
corpo: “è comico ogni incidente che richiami la nostra attenzione sull’aspetto
fisico di una persona mentre è in gioco il suo lato morale”
26
.
Inoltre Bergson nota che il riso avviene solo se diveniamo insensibili,
indifferenti, infatti non possiamo ridere di una persona che ci ispiri affetto o
pietà. Il comico esige per produrre l’effetto del riso “qualcosa che somigli a
un’anestesia momentanea del cuore”
27
.
26
H. Bergson, Le rire - essai sur la signification du comique, tr. it. Il riso. Saggio sul significato del
comico, 1992, Laterza, Bari p. 38.
27
Ibi, p. 15.