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1.2 Analisi dell’evento alla ricerca dell’errore
I numerosi strumenti di analisi del rischio clinico possono essere racchiusi in due
macrocategorie: la reattiva e la proattiva.
La prima focalizza l’analisi sull’evento avverso già accaduto andando a ritroso nella
sequenza degli avvenimenti e ricercando le cause scatenanti, favorenti, e le mancate
barriere di protezione e prevenzione. La seconda invece si muove d’anticipo andando a
revisionare ogni processo o procedura e ricercando eventuali punti critici che potrebbero
scatenare o favorire l’errore. Quest’ultima tipologia di analisi viene spesso utilizzata
anche in fase di progettazione di nuovi processi o procedure per cercare di creare delle
barriere che impediscano l’errore. Entrambe le tipologie di analisi si avvalgono di vari
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http://www.salute.gov.it/portale/sicurezzaCure/dettaglioContenutiSicurezzaCure.jsp?lingua=italiano&id=250&area
=qualita&menu=lineeguida
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strumenti per raggiungere i propri obiettivi che ora andremo ad analizzare in modo
dettagliato.
Uno degli strumenti di tipo reattivo maggiormente diffuso è: l’incident reporting. Si tratta
di una scheda anonima, redatta dal professionista sanitario, in cui vengono descritte le
informazioni che hanno riguardato l’evento avverso (luogo, personale coinvolto,
tipologia di errore e gravità) e che viene poi inviata all’ufficio di Risk Management
aziendale dove viene analizzata alla ricerca di eventuali falle organizzative, con lo scopo
di generare poi raccomandazioni o contromisure che vadano ad impedire il ripetersi di
tale evento.
Un secondo strumento si basa sulla valutazione delle schede di dimissione ospedaliera
(SDO) relativamente all’analisi delle diagnosi (ICD-9-CM) e delle complicanze insorte
durante il ricovero. Lo scopo principale è quello di individuare dallo studio e confronto
delle complicanze in casi di diagnosi analoghe ed il confronto stesso tra la diagnosi di
accettazione e di dimissione, eventuali eventi avversi che abbiano inficiato sulla qualità
assistenziale e sui tempi medi di degenza.
Un altro strumento di analisi a basso costo ed ampia diffusione è la revisione delle cartelle
cliniche alla ricerca di indizi che evidenzino un errore od un evento avverso. Tra gli indizi
da ricercare ce ne sono alcuni che indicano con quasi assoluta certezza la presenza di un
errore e sono: l’uso di antidoti, la prescrizione di particolari esami di laboratorio e di
dosaggi ematici di farmaci, segnalazioni cliniche ed alterazioni bioumorali.
Rimanendo sempre in tema di cartelle cliniche possiamo utilizzare la “review” a due stadi
nella quale si individua un campione statistico che rappresenta una popolazione di
riferimento e si scelgono in maniera randomizzata le cartelle da analizzare.
Successivamente le cartelle vengono valutate da due infermieri alla ricerca degli
indicatori standardizzati di probabilità di evento avverso e le cartelle con indice positivo
vengono infine valutate da due medici, per generare delle raccomandazioni al fine di
evitare il ripetersi dell’errore individuato.
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Infine, abbiamo la Root Cause Analysis (RCA), o analisi delle cause profonde, lo
strumento reattivo probabilmente più efficace. Come si intuisce dalla denominazione è
una tipologia di analisi che va alla ricerca delle cause più profonde seguendo un metodo
induttivo che punta alla scoperta della causa scatenante non del problema. Per ottenere il
risultato sperato si avvale di 3 diverse tecniche: il diagramma a spina di pesce, i 5 perché
e la mappa dei processi. La prima tecnica viene utilizzata quando è possibile risalire alle
fasi temporali ed organizzative dell’errore partendo dall’evento ed elencando una dopo
l’altra tutte le cause primarie, secondarie e terziarie. L’analisi si può considerare conclusa
quando non si riescono più ad individuare altre cause. La tecnica dei 5 perché si basa
semplicemente sul porre una sequenza di domande analizzando la motivazione della
risposta precedente nella domanda successiva, in questo modo si superano le cause ovvie
dell’errore e si giunge alla vera causa scatenante. La serie dei perché si conclude quando
il gruppo che sta analizzando il caso si ritiene soddisfatto. L’ultima tecnica invece viene
utilizzata in casi più complessi dove attraverso una mappa si analizzano le diverse
variabili ed organizzazioni che hanno contribuito al verificarsi dell’evento. La mappa
segue tre fasi di analisi: la descrizione dell’evento, l’elenco dei fattori collegati e l’elenco
dei sistemi e processi alla base dell’errore.
La varietà di strumenti di analisi reattiva che abbiamo appena visto permette ad ogni
struttura sanitaria di utilizzare quello che meglio si adatta ad un determinato contesto
operativo, alla ricerca di un determinato errore ricorrente oppure in base al budget messo
a disposizione. Abbiamo visto che ogni metodo ha un determinato livello di efficacia e di
complessità ma sono tutti accomunati da un elemento, un punto debole: il fattore umano.
Purtroppo nel contesto italiano la cultura della segnalazione dell’errore, della corretta
compilazione della cartella clinica e dello studio degli errori per migliorare la qualità
dell’assistenza è ancora poco sviluppata a causa dell’ancor troppo diffusa cultura della
colpa (Blame Culture), del trovare il colpevole, del risolvere la questione con un capro
espiatorio. Tutto ciò porta ad una poca o assente segnalazione ed a numerose omissioni
in cartella clinica per evitare di essere ricollegato agli eventi, rendendo spesso vano
l’utilizzo degli strumenti sopra descritti. Inoltre, un non adeguato stanziamento di fondi
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per l’unità di rischio clinico dell’azienda, impedendo un adeguato organico, va ad
inficiare ulteriormente sul pensiero negativo dei professionisti sanitari, che quelle poche
volte che segnalano e chiedono un intervento non vedono un adeguato seguito che
porterebbe invece ad incentivare la cultura della segnalazione e quindi della risoluzione
dei problemi, imparando dagli errori.
Gli strumenti di analisi proattiva riescono in qualche a modo a bypassare queste
problematiche, vediamo in che modo.
Come detto in precedenza si basano sull’analisi del processo che è una metodologia di
tipo quali-quantitativo. L’analisi qualitativa va ad identificare le macroattività presenti in
un processo fino ad individuare i singoli compiti che devono essere svolti dai
professionisti. A questo punto un’analisi di tipo quantitativo valuta tutte le possibilità di
errore (modi di errore) che si possono associare ad un singolo compito calcolandone il
livello di rischio. Anche il rischio stesso viene valutato in modo quali-quantitativo,
sfruttando rispettivamente l’esperienza dei professionisti sanitari o l’analisi di dati
probabilistici. Questi vari step per l’analisi e valutazione del rischio vengono racchiusi ed
ordinati in quattro fasi: analisi dei processi e delle attività, identificazione delle situazioni
pericolose e dei modi di errore possibili, stima della probabilità di occorrenza dell’errore
e della gravità del danno, valutazione del grado di accettabilità del rischio. Per eseguire
queste quattro fasi abbiamo a disposizione diversi strumenti di analisi proattiva, il più
importante dei quali è il: FMEA/FMECA. L’acronimo completo sta per: “Failure mode,
effects and criticality analysis” ovvero analisi dei modi, degli effetti e delle criticità dei
guasti o errori. Nell’acronimo in cui la C è assente invece non viene effettuata l’analisi di
criticità che valuta la gravità delle conseguenze di un guasto correlata alla probabilità che
si verifichi. Questo strumento effettua delle considerazioni preventive dei possibili errori
e valuta in modo obiettivo il processo e le eventuali alternative. Si inizia definendo il
processo da analizzare, poi si descrive il modo corretto in cui dovrebbe svolgersi, a questo
punto si effettua un’analisi qualitativa dei possibili errori, degli effetti e delle cause. Si
costruiscono tre scale: una per la gravità degli effetti, un’altra per la probabilità delle
cause e l’ultima per la capacità di rilevare l’errore, e si effettua un’analisi quantitativa per
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ogni scala utilizzando dei valori standard. La scala di rilevabilità dell’errore è l’unica
inversamente proporzionale perché maggiore è la capacità di rilevare l’errore prima che
avvenga e minore sarà la probabilità che si verifichi e ancor minore i suoi effetti. A questo
punto si moltiplicano i valori assegnati ad ogni scala e si avrà un numero che rappresenta
l’indice di priorità del rischio (IPR) per quel dato compito analizzato. Una volta raccolti
tutti gli IPR verranno ordinati in senso decrescente e si andrà ad intervenire in maniera
prioritaria sui valori più alti. Maggiore è il valore e maggiore sarà la probabilità di errore
e/o i suoi effetti.
Come abbiamo visto l’analisi proattiva è un valido metodo per contrastare il verificarsi
di errori prevedendo i processi a maggior rischio e proponendo valide alternative. Di
contro è una metodologia che usa strumenti più complessi di quelli dell’analisi reattiva
ed il fattore umano è sempre presente. Infatti, senza un’adeguata formazione e
preparazione specifica dei professionisti che dovranno poi valutare il processo, si
potrebbe giungere a conclusioni errate, se non controproducenti.
A questo punto appare chiaro che l’analisi e la valutazione del rischio clinico dipendono
dalla formazione del personale preposto a tale attività ed ancor di più dalla formazione
sul tema del rischio del personale sanitario coinvolto nei processi che vengono analizzati
o negli errori compiuti. Inoltre la giusta sinergia tra le due metodologie di analisi può
permettere la massima filtrazione dei processi ad elevato rischio e la massima analisi e
gestione di quei rari eventi avversi che arriverebbero a conclusione a causa del fattore
umano non eliminabile.
1.3 Correzione delle cause e monitoraggio delle soluzioni
L’ultimo step consta nel progettare, individuare ed applicare le misure preventive utili per
evitare il ripetersi dell’evento, scegliendo in termini di costo/efficacia ed in relazione
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all’ambito specifico. Successivamente si attivano sistemi di controllo e monitoraggio per
valutare gli effetti delle contromisure ed eventualmente effettuare ulteriori interventi.
Tutto questo porta ad una miglior qualità nell’assistenza con conseguente riduzione dei
sinistri, portando ad un’adeguata rappresentazione economica nei rapporti contrattuali. Il
tutto favorisce il Governo clinico, ovvero l’insieme degli strumenti organizzativi
attraverso i quali le istituzioni del SSN assumono una diretta responsabilità per il
miglioramento continuo della qualità dell’assistenza e per mantenere elevati livelli di
servizio attraverso la realizzazione delle condizioni necessarie all’espressione
dell’eccellenza professionale (Commission for Health Improvement e Department of
Health).
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Andiamo ora a conoscere gli ultimi aggiornamenti normativi in tema di gestione del
rischio clinico.
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Ministero della Salute: “Risk Management in Sanità- il problema degli errori” Commissione Tecnica sul Rischio
Clinico DM 5 marzo 2003