4
previsione nivometeorologica nella valutazione del rischio valanghe, che
contribuisce a pianificare gli interventi sul territorio montano per la salvaguardia
delle persone e delle cose, in circostanze normali o in condizioni di emergenza.
Prevedere le valanghe significa fornire valutazioni sulla stabilità della neve,
attuali e future, e richiede l’integrazione di tutti i dati disponibili. Esistono tre classi
di dati
[2]
:
• Classe I – fattori di stabilità. Descrivono il rapporto diretto esistente tra i
carichi presenti lungo un pendio e la resistenza del manto nevoso.
• Classe II – fattori legati al manto nevoso. Forniscono prove sulla
debolezza del manto nevoso ed i carichi su quest’ultimo.
• Classe III – fattori meteorologici. Forniscono prove indirette sulla
stabilità o debolezza della neve del momento e di quella futura.
Più alto è il numero della categoria, più incerta sarà l’interpretazione e meno diretta
l’evidenza. L’attività di previsione regionale, che varia dalla mesoscala alla scala
sinottica, viene perlopiù effettuata utilizzando i dati meteorologici allo scopo di
prevedere le condizioni atmosferiche in montagna e gli eventuali effetti sul distacco
di valanghe. Tra i principali elementi utilizzati vi sono l’entità e l’intensità delle
precipitazioni nevose, l’andamento della temperatura, la direzione e l’intensità del
vento, l’irraggiamento solare.
Scopo del lavoro svolto in questa tesi è quello di definire una stagione
invernale media su un’area montana della regione Lombardia, mediante l’analisi di
dieci stagioni invernali nelle quali sono evidenziati quantitativamente i legami
esistenti tra circolazioni tipiche in quota e al suolo, tipi di tempo, intensità ed
accumuli totali di precipitazione nevosa. Il lavoro è suddiviso in due parti: nella
prima sezione (capitoli 1 e 2) vengono presi in esame gli aspetti generali della
meteorologia alpina e del manto nevoso, nella seconda sezione (capitoli 3 e 4) sono
analizzate nel dettaglio le stagioni invernali dal 1990 al 1999 e si definisce
statisticamente la stagione invernale media, correlando le circolazioni atmosferiche
tipiche che compaiono durante l’inverno con l’evoluzione del manto nevoso al
suolo.
5
I dati utilizzati per la stesura della presente tesi sono stati di due tipi: dati
nivologici e dati meteorologici. Il primo gruppo è stato fornito dagli archivi del
Centro Nivometeorologico della regione Lombardia con sede a Bormio: in essi
sono presenti informazioni su temperatura dell’aria (valori minimi e massimi),
altezza totale del manto nevoso, altezza della neve fresca, valanghe osservate e
cadute giornalmente su una stazione di rilevamento.
STAZIONE DATA TM TX HS HN L1 L2 L3 L4 L5 L6 L7 L8
5BOR 01/01/97 -11 -5 95 22 0 0 0 0 0 0 4 3
5BOR 02/01/97 -10 -1 92 2 5 1 1 8 1 6 3 2
5BOR 03/01/97 -8 -1 102 15 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 04/01/97 -5 2 113 18 0 0 0 0 0 0 4 3
5BOR 05/01/97 -11 1 106 0 4 1 1 8 2 0 4 2
5BOR 06/01/97 -10 -3 103 2 0 0 0 0 0 0 4 3
5BOR 07/01/97 -8 -2 100 1 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 08/01/97 -11 0 100 0 / / / / / / / /
5BOR 09/01/97 -9 -1 98 1 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 10/01/97 -10 0 98 0 / / / / / / / /
5BOR 11/01/97 -11 -2 97 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 12/01/97 -10 1 97 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 13/01/97 -11 0 96 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 14/01/97 -10 -1 96 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 15/01/97 -6 2 95 0 / / / / / / / /
5BOR 16/01/97 -4 4 94 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 17/01/97 -4 7 93 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 18/01/97 -8 5 92 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 19/01/97 -9 4 92 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 20/01/97 -6 4 94 4 0 0 0 0 0 0 4 3
5BOR 21/01/97 -3 2 100 5 0 0 0 0 0 0 4 3
5BOR 22/01/97 -3 6 98 0 / / / / / / / /
5BOR 23/01/97 -2 7 96 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 24/01/97 -2 6 94 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 25/01/97 -2 9 93 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 26/01/97 -4 9 90 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 27/01/97 -6 2 90 0 0 0 0 0 0 0 4 2
5BOR 28/01/97 -8 5 90 0 0 0 0 0 0 0 3 2
5BOR 29/01/97 -8 6 90 0 0 0 0 0 0 0 3 2
5BOR 30/01/97 -6 8 89 0 0 0 0 0 0 0 3 2
5BOR 31/01/97 -8 9 89 0 / / / / / / 3 2
[2]
D. McClung, P. Schaerer
Codice stazione Data Temperatura
minima e massima
Altezza neve al
suolo e fresca
Valanghe osservate e cadute
nelle ultime 24 ore
6
I dati meteorologici sono stati estrapolati da due fonti: pubblicazioni annuali
sull’andamento delle stagioni invernali dell’Associazione Interregionale Neve e
Valanghe (A.I.NE.VA.), edizione giornaliera del Bollettino Meteorologico
Europeo del servizio meteorologico nazionale tedesco, reperito dagli archivi
dell’Osservatorio Meteorologico di Milano Duomo e dell’Ente Regionale Sviluppo
Agricolo della Lombardia (E.R.S.A.L.). È stato utilizzato, inoltre, un lavoro svolto
dall’Osservatorio Meteorologico di Milano Duomo sulla classificazione di tipi
circolatori a scala sinottica europea che interessano le regioni alpine centro-
orientali.
La scelta dell’intervallo di tempo da considerare per ciascuna stagione
invernale, è stata determinata dalla disponibilità e dalla continuità dei dati: si è
arrivati così a definire una stagione invernale a partire dal 20 dicembre fino al 20
aprile dell’anno successivo. I dati mancanti all’interno di questo intervallo sono
stati sostituiti mediante regressione o similarità locale.
Per ciascuna stagione invernale è stata calcolato:
• altezza minima e massima stagionale e mensile della neve al suolo
• sommatoria totale stagionale e mensile delle precipitazioni nevose
• andamento termico stagionale e mensile
• distribuzione dell’indice di pericolo valanghe e frequenza di comparsa
dei diversi indici
• frequenza di comparsa dei tipi di tempo
Sul decennio in esame sono state valutate quindi le medie, le deviazioni
standard e le tendenze di ciascuno dei parametri sopra indicati.
7
1.1 INTRODUZIONE
L’atmosfera è un sistema fluido- e termodinamico che può essere analizzato
mediante opportune equazioni. Gli elementi fondamentali del tempo atmosferico,
quali temperatura, pressione, nubi, precipitazioni, possono essere descritti in
termini di moti d’aria che li causano, ed il movimento dell’atmosfera viene a sua
volta studiato mediante la meccanica Newtoniana. Queste equazioni permettono di
predire il futuro stato del sistema da condizioni iniziali note.
Il tempo meteorologico è definito, per una località assegnata, dalle
condizioni istantanee dell'atmosfera; i principali elementi che determinano il tempo
possono variare ad ogni istante. La meteorologia studia il tempo meteorologico e la
sua evoluzione.
L'insieme delle condizioni meteorologiche in una data località costituisce il
clima, oggetto di studio della climatologia nella quale rientrano anche i concetti di
variazione climatica e trend climatico.
Meteorologia e Climatologia
dell’ambiente montano
INTRODUZIONE
DINAMICA DELL’ATMOSFERA
TERMODINAMICA DELL’ATMOSFERA
BILANCIO RADIATIVO
NUBI E PRECIPITAZIONI
8
Uno dei principali problemi delle scienze dell'atmosfera è dato dalla
conoscenza dei moti atmosferici; per la loro caratterizzazione, si è scomposta
l'atmosfera in parti più semplici, note come sistemi di moto, configurazioni
dinamiche con dimensioni sia spaziali sia temporali diverse, e quindi diverse scale.
È per questa ragione che si parla di macro-, meso- e microscala. È nell'ambito della
mesoscala, che si possono cogliere i più importanti legami e le più significative
interazioni tra i moti atmosferici e la complessità della superficie di un territorio
montano.
Lo studio dell'influenza dei rilievi nei confronti delle strutture della
circolazione a mesoscala, ha portato alla messa a punto di classificazioni di “tipi di
tempo” e di “tipi circolatori”, ed alla connessione, attraverso cluster analysis, tra
particolari strutture circolatorie ed episodi di precipitazione rilevanti.
L'importanza dei rilievi sulle condizioni meteorologiche, è dovuta all'azione
di deformazione nei confronti delle strutture circolatorie che avviene con diversa
efficacia alle diverse altitudini. Nelle carte meteorologiche, si utilizzano livelli
barici standard quali gli 850 hPa (circa 1550 m s.l.m.), che consente di non
considerare l'effetto dell'attrito superficiale sul flusso delle masse d'aria, e
contemporaneamente di testimoniare i processi di deformazione che, alla
mesoscala, lo stesso flusso subisce per opera dei rilievi. Nel campo della
mesoscala, l'influenza delle Alpi e degli Appennini sulle strutture della circolazione
atmosferica causa andamenti stagionali contemporanei profondamente diversi da
zona a zona.
Per la regione alpina, vi è una marcata stagionalità dovuta alla collocazione
alle medie latitudini, alla quale si accompagna la gran complessità della superficie
che in poche centinaia di chilometri si estende dalla pianura alle più alte vette
d'Europa. Si parla, dunque, di clima endoalpino, con precipitazioni molto scarse,
specialmente nelle valli longitudinali come la Valtellina.
9
1.2 DINAMICA DELL’ATMOSFERA
Lo studio del moto delle masse d’aria dell’atmosfera richiede la conoscenza
delle forze che agiscono su ogni sua porzione elementare. Le forze in questione
sono fondamentalmente tre: la forza dovuta al gradiente di pressione, la forza
gravitazionale e la forza d’attrito o viscosità. Quest’ultima è significativa solo negli
strati prossimi al suolo e può quindi essere trascurata.
È opportuno rilevare che il moto delle masse d’aria è prevalentemente
orizzontale, e che sotto questo aspetto il moto dell’aria è comunemente descritto e
osservato come vento, cioè come componente orizzontale della velocità. I moti
verticali hanno effetti rilevanti se si considera il comportamento termodinamico
dell’atmosfera, essendo coinvolti i processi di cambiamento di stato dell’acqua.
La causa principale di ogni movimento dell’aria è il sole che scalda la terra
in modo disomogeneo: l’equatore riceve mediamente più energia dal sole che le
zone polari, i versanti esposti a sud più di quelli esposti a nord e le superfici
d’acqua si riscaldano più lentamente delle superfici continentali. Le differenze
termiche che così si vanno a formare vengono trasmesse all’aria che sovrasta le
diverse superfici. Differenze termiche creano però differenze di pressione: l’aria
calda è meno densa di quella fredda e quindi dove l’aria è più calda vi sarà bassa
pressione. La diversa distribuzione spaziale della pressione genera una forza che
tende a far muovere le masse d’aria dalle zone a pressione maggiore verso quelle a
pressione minore. Questa forza è chiamata forza di gradiente di pressione, definita
dalla rapidità con cui la pressione decresce rispetto alla distanza, nel verso in cui
tale diminuzione appare massima.
p
ρ
1
m
F
G
p
h
ρ
ρ
ρ
∇−==
La direzione della forza è quella della normale n alle linee isobariche (linee
che uniscono punti aventi la stessa pressione), e risulta orientata dall’alta verso la
bassa pressione.
10
Figura 1.1- Movimento dell'aria sottoposta alle forze di gradiente di pressione
La componente verticale della forza di gradiente di pressione è bilanciata, in
assenza di moti atmosferici, dalla forza gravitazionale, ossia dalla forza
d’attrazione esercitata dalla Terra su una particella d’aria (intesa come volume
unitario d’aria con caratteristiche omogenee al suo interno), diretta verso il centro
del pianeta.
*
2
g
g
r
r
r
M*G
m
F
ρ
ρ
ρ
=−=
M = massa della Terra
G = costante di gravitazione universale
m = massa del volumetto d’aria
r
ρ
= vettore posizione del volumetto d’aria rispetto al centro della Terra.
L’equilibrio tra la forza gravitazionale e la componente verticale della forza
di gradiente di pressione, viene espresso mediante l’equazione idrostatica in forma
integrale:
∞
=
z
ρgdzp(z)
Bassa pressione
Alta pressione
h
G
ρ
11
La pressione in un punto è quindi uguale al peso della colonna d’aria di
sezione unitaria che sovrasta quel punto; l’unità di misura della pressione in
meteorologia è l’hectopascal (hPa) o millibar (mbar). La pressione atmosferica al
livello medio del mare è 1013,25 hPa (o mbar).
Un’importante conseguenza dell’equazione idrostatica è quella di poter
utilizzare la pressione come coordinata verticale al posto della quota, che diviene
una variabile dipendente (esiste una relazione stretta tra pressione e quota in ogni
colonna di atmosfera).
L’interpretazione del moto dell’atmosfera da un punto di vista fisico-
matematico, è complicata dal fatto che, volendo descrivere tale moto rispetto alla
terra, quest’ultima costituisce un sistema di riferimento non inerziale. L’aspetto
fondamentale di tale fatto, consiste nell’impossibilità di scrivere le leggi della
meccanica nella loro formulazione classica, e nella necessità di tenere conto per i
corpi in movimento rispetto alla terra, delle forze apparenti. Tra queste si
considerano, per lo studio dei moti atmosferici, la forza centrifuga, che tende ad
allontanare i corpi dalla superficie terrestre, e la forza di Coriolis, che devia i corpi
in movimento verso destra nell’emisfero boreale (sinistra in quello australe).
Il contributo della forza centrifuga al moto dei corpi rispetto alla terra, viene
integrato nel termine gravità g
ρ
: questa grandezza comprende forza gravitazionale e
forza centrifuga, ed è un vettore perpendicolare alla superficie terrestre in ogni suo
punto, diretto verso l’interno del pianeta (non più verso il centro: la terra assume la
forma di un ellissoide di rotazione).
Consideriamo una porzione d’aria soggetta alla forza di gradiente di
pressione ed alla forza di Coriolis: a causa delle differenze di pressione la porzione
d’aria viene accelerata verso la zona di bassa pressione e la sua velocità aumenta
gradualmente. Una volta in movimento, essa subisce anche la forza di Coriolis che
agisce perpendicolarmente alla direzione del movimento. La porzione viene deviata
verso destra fino a quando si crea un equilibrio fra le due forze. Il risultato finale è
che la porzione non si muove verso la zona di bassa pressione, ma lascia la bassa
pressione alla sua sinistra e l’alta pressione alla sua destra (emisfero settentrionale).
Le condizioni di equilibrio descritte con questo vento orizzontale sono note come
condizioni di equilibrio geostrofico.
12
Figura 1. 2 - Movimento dell'aria sottoposta alle forze di gradiente di pressione e di Coriolis
Negli strati bassi dell’atmosfera, ed in particolare nel così detto strato limite
(strato atmosferico compreso tra il suolo e 0,3- 3,0 km di quota che risente
direttamente dei processi dinamici e termodinamici della superficie terrestre), vi è
una terza forza che si fa sentire discretamente: la forza di attrito che il suolo
esercita sull’aria in movimento. L’effetto di tale forza, di direzione opposta al
movimento dell’aria, ha un’azione frenante al movimento dell’aria: nello strato
limite il vento ha la tendenza a disporsi verso le zone di bassa pressione, deviando
dalle condizioni di equilibrio geostrofico che si rinvengono in libera atmosfera.
In una zona montuosa la complessa morfologia del terreno influenza il
vento, tanto che non corrisponde né al vento geostrofico né a quello nello strato
limite. Le catene montuose e le valli hanno un forte effetto dinamico sul
movimento dell’aria, dato da fenomeni quali accelerazione e decelerazione,
sbarramento e incanalamento. Gli effetti dinamici dovuti alle montagne ed alle valli
sono molto complessi e variano da località a località. Non sono da trascurare,
inoltre, gli effetti legati al diverso riscaldamento del terreno nelle valli e sui
versanti delle montagne che sono causa di venti locali o brezze.
Utilizzando le relazioni matematiche che descrivono il moto delle masse
d’aria rispetto alla Terra in movimento, considerata per i calcoli come una sfera, si
ottengono delle equazioni differenziali non lineari, e ciò comporta parecchie
difficoltà nel tentativo di risolverle analiticamente per trovare l’esatta formulazione
del campo di moto atmosferico. Per semplificare la comprensione dei moti
atmosferici si è scomposta l’atmosfera in parti più semplici, note come sistemi di
Bassa pressione
Alta pressione
h
G
ρ
C
ρ
V
ρ
13
moto. Questi sistemi sono configurazioni dinamiche aventi dimensioni e durate
diverse, e perciò diverse scale.
[3]
Scala Macro- Meso- Micro-
Dimensione caratteristica (km)
Periodo (h)
Lunghezza d’onda (km)
>480
>48
>500
15-150
1-48
20-500
<8
<1
<20
È possibile associare alle diverse scale gruppi di fenomeni meteorologici
tipici, sia per le dimensioni sia per i tempi evolutivi che li caratterizzano. Ad
esempio, nell’ambito della meso- scala hanno un ruolo rilevante le lee waves,
testimonianza delle formazioni di bassa pressione sotto vento ai rilievi, mentre alla
micro- scala sono importanti tutti i fenomeni di turbolenza (mulinelli, trombe
d’aria). Le perturbazioni alle medie latitudini sono fenomeni che coinvolgono scale
spaziali dell’ordine dei 500- 5000 km e scale temporali dell’ordine delle 24- 96 ore:
siamo nell’ambito della scala sinottica e sub- sinottica, ulteriori suddivisioni della
macro- scala. Su queste scale è possibile verificare che i moti atmosferici sono
prevalentemente paralleli alla superficie terrestre, perciò è sufficiente considerare le
componenti orizzontali delle equazioni di moto per caratterizzare completamente la
circolazione.
La disuguale distribuzione dell’energia solare e dell’irraggiamento sulla
Terra è il motore della circolazione generale, ossia dell’aspetto generale dei moti
atmosferici. Nell’arco di un anno le zone polari ricevono meno energia dal sole
rispetto alla zona equatoriale, con formazione di un grande contrasto termico. Se la
terra fosse immobile, tra la zona calda equatoriale e le zone fredde polari, si
creerebbero due grandi celle di circolazione. Tali celle avrebbero il compito di
generare uno scambio termico tra queste due zone. Il senso di circolazione sarebbe
dai poli all’equatore nei bassi strati dell’atmosfera e viceversa in quota, con moto
ascendente all’equatore e discendente ai poli. La pressione sarebbe bassa
all’equatore e alta ai poli. In realtà, a causa soprattutto della forza di Coriolis
dovuta alla rotazione terrestre, la circolazione generale non si svolge esattamente
[3]
S. Borghi
14
come il modello teorico, anche se alcune caratteristiche sono conservate. Le celle
teoriche risultano frazionate in tre celle più piccole: una tropicale, una polare e una
intermedia. Inoltre, alla zona di alta pressione ai poli e a quella di bassa pressione
all’equatore, si aggiungono una fascia di bassa pressione intorno ai 60° (esempio la
depressione dell’Islanda) ed una di alta pressione intorno ai 30° (esempio
l’anticiclone delle Azzorre).
Il sole scalda d’estate maggiormente l’emisfero boreale e d’inverno quello
australe: allo stesso modo anche le fasce di alta e bassa pressione tendono a
spostarsi nell’arco dell’anno da sud verso nord e viceversa. Il territorio del
mediterraneo, situato tra i 30° e i 40° di latitudine nord, d’inverno è spesso
interessato dalle depressioni che corrono lungo il 60esimo grado di latitudine, e
d’estate subisce generalmente l’influenza della fascia di alte pressioni che da 30° si
sposta più a nord.
In quota, oltre i 10 km, la situazione è contraria rispetto a quella a livello del
mare: infatti la troposfera (fascia di atmosfera in cui hanno sede i principali
fenomeni meteorologici e che si estende dal suolo fino a circa 11 km di altezza)
all’equatore ha un’estensione verticale maggiore rispetto ai poli. Il maggiore
riscaldamento dell’aria nelle zone tropicali spinge la troposfera più in alto: dato che
la temperatura nella troposfera diminuisce con la quota e nella fascia
immediatamente superiore (stratosfera) è prima costante e poi aumenta, dai 10 km
in su (fino ad una quota che varia con le stagioni) si registrano temperature basse
all’equatore e alte ai poli. Di conseguenza la pressione risulta in quota più alta
all’equatore e più bassa ai poli: nella zona tra i 30° e i 60° di latitudine è presente
un vento di direzione occidentale molto intenso detto corrente a getto, che si
sviluppa proprio a causa dell’elevato contrasto termico e barico tra polo ed
equatore che raggiunge il massimo livello a circa 10 km di altezza. Le correnti a
getto sono caratterizzate da variazioni stagionali in latitudine, altitudine e velocità:
d’inverno l’asse del getto si sposta verso l’equatore e verso l’alto raggiungendo le
massime velocità. Oltre a queste variazioni si hanno anche delle oscillazioni
cicliche delle correnti, che si compiono in periodi più brevi (dell’ordine di una
settimana), con formazione di onde orizzontali molto ampie chiamate onde di
Rossby, le quali tendono ad accentuarsi progressivamente fino a staccarsi dal flusso
15
principale
[4]
. Ne derivano immissioni frammentarie di aria calda tropicale verso le
alte latitudini e di aria fredda verso le basse latitudini. In questo modo il divario
termico crescente tra le zone equatoriali e polari è controbilanciato. Queste
migrazioni darebbero luogo a cadute d’aria sul lato equatoriale delle correnti a
getto e ad ascese d’aria sul lato polare: si creerebbero così le cellule anticicloniche
delle zone sub- tropicali e le cellule cicloniche delle zone temperate sub- polari,
responsabili delle perturbazioni meteorologiche che si osservano alle medie
latitudini nella bassa troposfera.
Figura 1. 3 - Circolazione generale dell'atmosfera
[5]
[4]
B. W. Atkinson
[5]
G. Kappenberger, J. Kerkmann
N
60°
30°
Equatore
16
1.3 TERMODINAMICA DELL’ATMOSFERA
Lo strato atmosferico di maggiore interesse per quel che riguarda i
fenomeni meteorologici è la troposfera: in essa, infatti, è concentrato tutto il vapore
acqueo atmosferico, con il massimo negli strati prossimi al suolo e andamento
decrescente con la quota. Il vapore acqueo, nonostante sia presente in basse
quantità e per brevi periodi, è il protagonista del tempo atmosferico, grazie alle
grandi quantità di energia messe a disposizione durante i passaggi di stato.
L’acqua è l’unica sostanza che si presenta nell’atmosfera in tutti gli stati
possibili: i parametri determinanti che decidono lo stato di presentazione dell’acqua
sono la temperatura e la pressione. In un diagramma avente la temperatura in
ascissa e la pressione in ordinata è possibile tracciare tre zone in cui l’acqua si
presenta rispettivamente allo stato solido, liquido o gassoso.
Figura 1. 4 - Diagramma delle fasi dell'acqua
Acqua
Vapore
Ghiaccio
T (°C)
P (hPa)
1
2b
2a
3
0 100
1013
6.11
17
Le tre curve che separano le tre zone nel diagramma, indicano i punti in cui
due stati possono coesistere tra loro in equilibrio. La curva 1 rappresenta acqua e
vapore in equilibrio, la curva 2a acqua sopraffusa e vapore in equilibrio, la curva
2b ghiaccio e vapore in equilibrio, la curva 3 ghiaccio e acqua in equilibrio.
L’acqua pura, se non è a contatto con altri oggetti rimane allo stato liquido anche
quando la temperatura scende sotto gli 0 °C. Si parla di acqua allo stato di
sopraffusione che ghiaccia solo a –40 °C. L’acqua sopraffusa, però, se viene a
contatto con altri oggetti freddi gela istantaneamente (esempio: galaverna).
Se preso un determinato volume d’aria contenente vapore acqueo, a
temperatura costante, si aumenta la pressione immettendo ulteriori molecole di
vapore, si raggiunge un punto in cui la pressione non aumenta più ed una parte del
vapore acqueo condensa. La pressione del vapore acqueo a tale punto è detta
pressione di vapore saturo
s
e : essa rappresenta la massima quantità di vapore che
un determinato volume d’aria può contenere. I valori della pressione di vapore
saturo dipendono dalla temperatura: maggiore è la temperatura maggiore sarà la
quantità di vapore che un determinato volume d’aria può contenere. Oltre che dalla
temperatura, la pressione di vapore saturo dipende anche dalle superfici a contatto
con l’aria contenente vapore: la pressione di vapore saturo dell’aria sovrastante una
superficie ghiacciata è inferiore a quella dell’aria sovrastante una superficie
d’acqua. La ragione di queste differenze è da ricercarsi nella forza agglutinante
esistente tra le molecole d’acqua: nel ghiaccio tale forza è maggiore che nell’acqua.
La pressione di vapore saturo è tanto più bassa quanto più forti sono i legami
agglutinanti. Le differenze sono piccole ma estremamente importanti per i processi
di precipitazione e per le metamorfosi all’interno del manto nevoso.
Se vi sono due superfici diverse una accanto all’altra, le molecole di vapore
saranno presenti sopra entrambe le superfici in quantità differenti: questo genera
una differenza di pressione e, quindi, una forza accelerante. Per questa ragione, ad
esempio, i cristalli di ghiaccio crescono a spese delle gocce d’acqua, le grosse
gocce crescono a spese di quelle più piccole e le gocce d’acqua contenenti una
soluzione crescono a spese delle gocce di acqua pura.
La quantità di vapore presente nell’aria è un parametro piuttosto difficile da
misurare: per questa ragione è stato introdotto il concetto di umidità relativa, intesa
18
come la quantità di vapore presente nell’aria in relazione alla sua massima
concentrazione.
100
e
e
f
s
×=
Nell’atmosfera l’umidità relativa può assumere tutti i valori compresi fra 0 e
100%; localmente, nelle nubi, si raggiungono anche valori lievemente al di sopra
del 100% (sovrasaturazione).
Raffreddando l’aria non satura, l’umidità relativa aumenta. Ad una certa
temperatura si arriva a 100% di umidità ed ha inizio il processo di condensazione.
Tale temperatura viene chiamata temperatura di rugiada. Essa è sempre minore o,
al limite, uguale alla temperatura reale dell’aria. Conoscendo sia la temperatura T
dell’aria che la temperatura di rugiada T
d
, si può calcolare l’umidità relativa f:
)T5(T100f
d
−−=
La temperatura e l’umidità dell’aria, o meglio la loro stratificazione, sono
importanti nel determinare la stabilità dell’atmosfera, cioè l’equilibrio della
struttura verticale dell’aria. Se una particella d’aria inizialmente immobile viene
sollevata, incontra nel suo cammino verticale un ambiente a pressione minore e di
conseguenza si espande (processo adiabatico: l’aria è un pessimo conduttore di
calore). Nel processo di espansione la particella si raffredda di 1 °C ogni 100 metri:
si parla di raffreddamento adiabatico
d
Γ (adiabatica secca). A seconda del profilo
verticale della temperatura dell’atmosfera, la particella potrà incontrare strati
differenti che determineranno il futuro destino della particella stessa: qualora il
profilo reale sia inferiore al gradiente adiabatico, la particella incontrerà strati
d’aria più caldi e di conseguenza, essendo più pesante, scenderà nuovamente alla
posizione d’equilibrio. Se, invece, il profilo verticale è maggiore del gradiente
adiabatico allora la particella continuerà nella sua ascesa incontrando strati sempre
più freddi. Infine, il profilo verticale può seguire esattamente il gradiente adiabatico
e quindi la particella si trova circondata da aria con la stessa temperatura.
19
L’atmosfera presenta nei tre casi rispettivamente: una stratificazione stabile, una
stratificazione labile ed, infine, una stratificazione neutrale.
Figura 1. 6 - Diagramma termodinamico dei tre casi di stabilità atmosferica: A- stabile; B-
labile; C- neutrale.
[6]
Nella descrizione della stabilità atmosferica non è stato considerato il
fenomeno della condensazione: durante l’ascesa la particella d’aria modifica la sua
umidità relativa. In caso di saturazione, subentra la condensazione con formazione
di goccioline visibili sotto forma di nubi o nebbia: il livello al quale avviene la
saturazione è detto lifting condensation level. Durante i processi di condensazione,
però, viene liberato del calore che va a compensare in parte il raffreddamento
dovuto all’espansione adiabatica: il raffreddamento, in questo caso, è di 0,6 °C ogni
100 metri e si parla di raffreddamento pseudoadiabatico
s
Γ (adiabatica satura).
L’andamento della temperatura con la quota sopra un determinato luogo, dà
quindi notizia circa la stabilità dell’atmosfera. A questo proposito sono utili i
diagrammi termodinamici, costruzioni grafiche sulle quali è possibile valutare, data
la temperatura massima prevista:
che quota può raggiungere una particella d’aria in ascesa
se la particella, una volta iniziata l’ascesa, continuerà nel suo
movimento verticale
se verrà raggiunto il lifting condensation level con conseguente
formazione di nubi.
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J. M. Wallace
Γ
Γ
d
T
z
T
d
T
Γ
Γ
d
T
z
TT
d
Γ
Γ
d
T
z Γ
s
A B
C