esigenza di razionalizzazione ed omogeneizzazione dell’offerta, tuttavia sollevava non
trascurabili esigenze di tutela dell’aderente al contratto.
La disciplina del codice civile del 1942 introduce dunque una deroga al principio
generale della libertà contrattuale e della autonomia dispositiva delle parti: l’art.13222 ha
infatti come suo presupposto necessario un contributo paritario nel procedimento di
formazione del contenuto del contratto quale espressione dell’accordo delle parti: nel
momento in cui si verifichi una deroga al normale meccanismo di formazione del
contenuto del contratto allora si rende opportuno un adattamento della disciplina
generale alla ipotesi specifica.3
La applicazione delle norme sulle clausole vessatorie è dunque ristretta al fenomeno
della predisposizione unilaterale delle stesse nell’ ambito delle condizioni generali di
contratto (art.1341)4: l’ analisi delle disposizioni dettate dal legislatore riguardo alle
clausole vessatorie non può dunque prescindere dalla considerazione del contesto nel
quale esse spiegano la loro efficacia.
3. L’ ART.1341 I COMMA: LA DISCIPLINA GENERALE DELLE
CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO.
Le condizioni generali di contratto possono essere definite come “le clausole
predisposte unilateralmente da una parte a contenuto di una serie indefinita di rapporti
contrattuali” 5: i caratteri fondamentali delle condizioni generali di contratto sono dunque
la predisposizione unilaterale nonché la attitudine a regolare una serie indefinita di
rapporti contrattuali6. La disciplina che risulta dal codice civile costituisce il risultato del
contemperamento di due fondamentali interessi: quello dell’impresa ad una
razionalizzazione della propria contrattazione in un momento in cui già si affermava nel
mercato il sistema della produzione di massa, e quello della sua controparte ad essere
tutelata affinché la predisposizione unilaterale del contratto da parte della impresa non
si risolva in un eccessivo sacrificio della propria posizione contrattuale.
2
art. 1322 cod.civ., I comma: “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del
contratto nei limiti imposti dalla legge”.
3
cfr. SALVATORE TONDO, Evoluzione nella disciplina giuridica dei contratti per adesione,
in Rivista del notariato, 1995 pp1 e ss: “importa qui considerare, che l’accordo stesso, se in via
idealtipica si realizza nel segno di una libertà piena, può tuttavia sottostare, per svariate
situazioni a condizionamenti o limitazioni.”
4nonché al contratto concluso tramite moduli o formulari, dal momento che l’ art.1342 II comma
stabilisce la applicazione del II comma dell’articolo precedente.
5BIANCA, in Le condizioni generali di contratto a cura di Massimo Bianca, Milano 1979 p.V.
6
cfr. Cass., 16 gennaio 1986,n.230, in Rep.Foro it.,1986 voce Contratto in genere, c.622, n.217; e
Cass. 22 maggio 1986, n.3407, in Giur.it., 1987, I,1,c.1264 (citate da VITO RIZZO, Le “clausole
abusive nell’esperienza tedesca, francese, italiana e nella prospettiva comunitaria, Napoli
1994, p.492, nota n.4): nelle decisioni riportate si specifica che “I contratti per adesione
disciplinati dal secondo comma, sono quelli destinati a regolare una serie indefinita di rapporti,
sia sostanzialmente (ove predisposti da un contraente esplicante attività negoziale verso vari
soggetti) sia formalmente (ove preordinati a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie). Non
rientra in tale ipotesi il contratto predisposto da una delle parti in modo che l’altra possa solo
accettarlo o rifiutarlo in blocco, quando lo schema non è destinato a servire ad una serie
indefinita di contratti.”
L’art.1341 I comma stabilisce che “le c.g.c. predisposte da uno dei contaenti sono
efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto7-8questi le
ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando la ordinaria diligenza”.
La dottrina ha sottolineato come la disposizione de qua rappresentasse un chiaro indice
del disfavore con cui il legislatore del 1942 considerava la contrattazione basata su
condizioni generali di contratto, evidenziando come il requisito per cui l’oblato debba
prendere effettivamente conoscenza delle clausole contenute in condizioni generali di
contratto fosse finalizzato ad escludere la possibilità che l’accordo venisse raggiunto
senza una piena consapevolezza del regolamento contrattuale da parte di tale soggetto;
si sottolineava quindi come l’elemento qualificante della disposizione de qua fosse
rappresentato non dalla “conoscenza” ma dalla “conoscibilità” costituendo questa il
limite inferiore al di sotto del quale non si sarebbe potuta avere la inclusione delle
clausole nel contesto del contratto.9
Altro elemento importante di differenziazione della disciplina dei contratti conclusi sulla
base di condizioni generali è costituito inoltre dalla sussistenza di una deviazione dallo
schema comune di formazione del contratto: mentre normalmente si presuppone un
consenso integrale, vale a dire formatosi su ogni punto della proposta, qui invece
l’elemento in considerazione viene sostanzialmente surrogato dall’adempimento da
parte del predisponente dell’onere di conoscibilità.
4. LA DISCIPLINA SPECIFICA DELLE CLAUSOLE VESSATORIE
L’art.1341 II comma contempla un elenco di clausole la cui efficacia è subordinata alla
sussistenza del requisito della specifica approvazione per iscritto: soggiacciono a tale
onere, da un lato, le clausole che stabiliscono a favore del predisponente 1) limitazioni
di responsabilità; 2) facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne la esecuzione; da
un altro lato le clausole che sanciscono a carico dell’altro contraente: 3) decadenze; 4)
limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni; 5) restrizioni alla libertà contrattuale nei
rapporti con i terzi; 6) tacita proroga e rinnovazione del contratto; 7) clausole
compromissorie o deroghe alla competenza della autorità giudiziaria. In presenza di una
elencazione tassativa di clausole vessatorie che peraltro “ non si pone come
7
cfr. GENOVESE, Le condizioni generali di contratto, Padova 1954 (citato da SERGIO
MAIORCA, voce Contratti standard, in Novissimo Digesto, Appendice, Torino, 1980, p.622,
nota 14)che evidenzia invece come lo stato di conoscenza o di conoscibilità può avere rilevanza
solo se sussiste al momento in cui viene emessa la dichiarazione e non “al momento della
conclusione del contratto che è successivo quando i contraenti non si trovano l’uno in
presenza dell’altro.
8
cfr BIANCA, Condizioni generali di contratto- I) Diritto civile, in Enciclopedia giuridica
Treccani, Roma 1988, p2: “Questa precisazione vale ad escludere l’efficacia di condizioni
generali che l’aderente abbia avuto la possibilità di conoscere in un tempo successivo alla
perfezione del contratto, come nel caso in cui il relativo testo sia inserito nella fattura.”
9vedi SERGIO MAIORCA, Contratti standard, in Novissimo digesto italiano, Appendice,
Torino 1980. Dalla norma risultante dall’art.1341 II comma emerge quindi la deroga alla
disciplina comune dell’errore: il codice infatti stabilisce all’art.1428 il principio per cui l’errore
rileva solo in quanto presenti i requisiti della essenzialità e della riconoscibilità da parte dell’altro
contraente; nella norma de qua si prescinde completamente dall’elemento della essenzialità
dell’errore risultandone sostanzialmente abbassata la soglia della rilevanza alla sua scusabilità.
concretizzazione di una più ampia figura delineata in via generale”10 si è discusso in
dottrina circa le modalità di applicazione della disciplina prevista all’art.1341 II comma.
Si sono così delineate due possibili opzioni operative: una consistente in una
operazione di astrazione della clausola dallo specifico contesto nel quale essa deve
operare, l’altra invece consistente proprio nella valutazione della clausola alla luce di
questo. Se dunque una parte della dottrina ha decisamente affermato il carattere
necessariamente astratto del giudizio argomentando la propria affermazione con la
posizione di centralità che si ritiene assegnata dalle norme codicistiche alla “generalità
del volere del predisponente” e soprattutto presumendo in esse la finalità di tutela della
molteplicità degli aderenti in se stessa considerata piuttosto che il singolo aderente11,
altri invece ha definito “un nuovo apriorismo” quello di “considerare vessatoria o non
vessatoria una clausola soltanto perché facente parte o non facente parte di quelle
enunciate nell’art.1341, II comma cc.”12, dovendo invece la valutazione ad oggetto
essere compiuta considerando le circostanze nelle quali si è realizzato il contratto
nonché le rispettive posizioni dei contraenti. Nell’ambito di questo orientamento
dottrinale si inserisce la valutazione dell’assoggettamento di una determinata clausola al
requisito della specifica approvazione “sulla scorta di un apprezzamento concreto della
particolare situazione contrattuale dedotta in giudizio” definendo tale criterio come
“criterio procedimentale concreto” in quanto avente riguardo “al modo in cui risultano
essersi sviluppate le fasi che hanno condotto alla conclusione di quel determinato
contratto, o alla inserzione in quel determinato contratto di quelle determinate clausole”
criterio che si contrappone a quello “contenutistico astratto” che si riferisce invece
esclusivamente “all’obiettivo tenore della clausola ed agli effetti in generale riferibili ad
essa, senza dare peso alla concreta e specifica configurazione che per essa l’assetto
degli interessi contrapposti può di fatto assumere in quel determinato rapporto
contrattuale [...] cosicché una clausola reputata vessatoria in ragione del suo contenuto
astrattamente pregiudizievole per gli interessi dell’aderente non cessa di essere
considerata tale anche laddove [...] essa finisca per operare in concreto a vantaggio di
lui.”13
Altro importante tema discusso in dottrina nella interpretazione della disciplina in
considerazione è stato quello della assenza di una definizione generale del concetto di
vessatorietà e conseguentemente della possibilità di una interpretazione estensiva,
essendo la maggioranza della dottrina concorde sul carattere tassativo e non
esemplificativo dell’elenco. Una tesi particolarmente interessante14 è stata quella che
rinvenendo nelle clausole vessatorie previste nel II comma dell’art.1341 “lo schema di
una determinata categoria di clausole vessatorie lecite” ossia di condizioni generali di
contratto che “pur essendo particolarmente onerose o pericolose divengono efficaci se
sono approvate specificamente per iscritto” , ha individuato tre categorie di clausole
10vedi VITO RIZZO, Le clausole vessatorie nella esperienza tedesca, francese, italiana, e nella
prospettiva comunitaria, Napoli 1994, p.502.
11GENOVESE,op.cit.,pp.301 e ss (citato da VITO RIZZO, op.ult.cit.,p.504, nota 29).
12L.BIGLIAZZI GERI, L’ interpretazione del contratto secondo buona fede, p.241 (citata da
VITO RIZZO, op.ult.cit., p.505, nota 32).
13
cfr. ENZO ROPPO,Una buona decisione della Corte suprema a proposito di contratti
standard e tutela dell’ aderente, nota a Cass.15.06.1979 n.3373, in Giurisprudenza italiana
1980.I,1,col.236 e ss.
14
cfr. SERGIO MAIORCA, op.cit., pp.636 e ss.
vessatorie: la prima essendo naturalmente rappresentata dalle clausole indicate nel
codice civile, e le altre due da “clausole non particolarmente onerose” caratterizzate
dunque da una soglia di vessatorietà più bassa, e da “clausole eccessivamente
onerose” caratterizzate invece da una soglia di vessatorietà più alta. All’interno della
categoria di clausole “eccessivamente onerose” sarebbero dunque ricomprese quelle
clausole che pur non rientrando fra le quelle “che sono per loro stessa natura da
considerarsi contrarie alla legge”, tuttavia sono da ritenersi inefficaci nella ipotesi della
loro collocazione nell’ambito di condizioni generali di contratto: si ritiene dunque non
automaticamente applicabile alle clausole non ricomprese nell’elenco del II comma la
disciplina generale sulle c.g.c. in quanto ciò determinerebbe il risultato paradossale per
cui in presenza di clausole che presentino una vessatorietà maggiore rispetto a quelle
ricomprese nell’elenco si avrebbe una efficacia automatica semplicemente a seguito
dell’ottemperamento all’onere di conoscibilità da parte del predisponente. Tale
categoria sarebbe peraltro suscettibile di includere quelle clausole che pur non essendo
in sé onerose siano in grado di determinare “un grave squilibrio nella economia
complessiva del contratto (squilibrio che, si specifica, non dovrebbe ridursi
semplicemente al rapporto economico delle prestazioni).15
Rispetto alla categoria di clausole “non particolarmente onerose” si ritiene la
inapplicabilità sia della disciplina dell’art.1341 I comma che della disciplina del comma
II: trattasi infatti di clausole che sebbene presentino un grado di onerosità più basso
rispetto a quelle previste dal codice ciò nondimeno sono pur sempre vessatorie e
rispetto alle quali quindi non dovrebbe essere possibile una inclusione automatica nel
contesto del contratto, semplicemente in presenza del requisito della loro conoscibiltà.
Sulla base di tale orientamento la disciplina generale sulle c.g.c del I comma
dell’art.1341, sarebbe applicabile solo in presenza di clausole “che non abbiano alcuna
funzione vessatoria, cioè che non siano in alcun modo volte a determinare un squilibrio
nel contenuto contrattuale a favore del predisponente e a danno dell’aderente”.
5. LE CONSEGUENZE DEL MANCATO RISPETTO DELLA REGOLA
CONTENUTA ALL’ART.1341 II COMMA.
L’art.1341 II comma stabilisce che “non hanno comunque effetto se non
specificamente approvate per iscritto” le clausole riconducibili all’elenco indicato dalla
disposizione in esame.
La espressione usata dal legislatore è stata oggetto di un vivace dibattito in dottrina: si è
infatti sottolineata la ambiguità del concetto di “inefficacia” dal momento che questo è
spesso usato dal legislatore indifferentemente con riferimento cioè sia ad ipotesi di vera
e propria nullità che alla ipotesi di inefficacia in senso stretto16.
Si sono quindi delineati due orientamenti fondamentali ai quali corrispondono diverse
analisi della natura stessa del requisito della specifica sottoscrizione richiesto dal
legislatore: parte della dottrina propende dunque per la tesi della nullità (sia essa
assoluta o relativa) considerando la specifica sottoscrizione quale requisito di forma “ad
15
la interpretazione proposta presenterebbe dunque il vantaggio di risolvere proprio la
tassatività dell’elenco in un vantaggio per l’aderente al contratto.
16vedi VITO RIZZO, op.cit., p510.
substantiam actus”;17 altri invece, riportando l’ elemento della specifica sottoscrizione
nell’ambito della logica consensualistica ritiene ricorra una ipotesi di inefficacia in
senso stretto in quanto la carenza del consenso sulle singole clausole impedirebbe il
loro stesso ingresso nel contratto.18
Le implicazioni dell’accoglimento dell’una o dell’altra prospettiva sono dunque evidenti:
la teoria della nullità, determinerebbe infatti la applicabilità della regola contenuta
all’art.1419 sulla nullità parziale del contratto con la conseguente possibilità di una
estensione della stessa all’intero contratto “ove risulti che i contraenti non lo avrebbero
concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità”, conseguendo a
questo una situazione di evidente svantaggio nei confronti dell’aderente che potrebbe
invece avere interesse alla conservazione del contratto, ovviamente eventualmente
privato della clausola vessatoria.19 Fra coloro che sostengono la teoria della nullità
alcuni propendono per la tesi della nullità assoluta, ritenendo quindi che questa possa
essere sia rilevata d’ufficio dal giudice che fatta valere in giudizio dal predisponente;
altri invece ritiene trattarsi di una ipotesi di nullità relativa operante dunque solo a
favore della parte aderente. Al di là comunque dall’orientamento che si ritiene di
condividere riguardo alla nullità o alla inefficacia in senso stretto è opinione diffusa
quella della preferibilità della conservazione del contratto con la eventuale sostituzione
delle clausole vessatorie con le clausole previste dalla legge per i singoli tipi di
contratto. Anche in questo caso è importante notare come siano diversi i meccanismi di
operatività della sostituzione delle clausole: mentre nel caso in cui si intenda accogliere
la teoria della inefficacia si avrebbe la semplice applicazione del diritto dispositivo in
quanto le clausole vessatorie non rientrerebbero affatto nel contenuto del contratto, ove
si propenda invece per la tesi della nullità al fine di escludere la operatività dell’art.1419
I comma si dovrebbe ritenere che il legislatore stabilisca la applicazione in sostituzione
delle clausole nulle non solo di precetti legali inderogabili ma anche di precetti legali in
sè derogabili “potendovi essere sostituzione della clausola nulla anche se il legislatore
non l’ha espressamente prevista”.20
6. LA DISCIPLINA DELLE CLAUSOLE VESSATORIE NEGLI ALTRI
ORDINAMENTI: CENNI AL SISTEMA TEDESCO, FRANCESE,
INGLESE.
La analisi comparativa della disciplina della clausole vessatorie negli altri ordinamenti
europei, evidenzia la arretratezza della disciplina del codice civile del 1942 e costituisce
peraltro punto di riferimento delle riflessioni della dottrina italiana che già intorno agli
anni settanta sottolineava la opportunità di un intervento di riforma della materia
17
si inserisce in tale orientamento in particolare, GENOVESE, op.cit. pp230, 319 (citato da VITO
RIZZO, op.ult.cit., p.511, nota 44).
18
cfr. SALVATORE TONDO, op.cit.ivi alla p.5
19
cfr. al riguardo FRANCARIO, Clausole vessatorie, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma
1988, p.8 ove si sottolinea la opportunità di escludere la applicazione dell’art.1419 I comma in
quanto questa possibilità favorirebbe “nel migliore dei casi il disegno che l’imprenditore
persegue che è quello di far cadere l’intero contratto”.
20
così DE NOVA, Nullità relativa, nullità parziale e clausole vessatorie, in
Riv.dir.civ.,1976,II,p.485 (citato da VITO RIZZO op.ult.cit., p.515, nota 51).
rilevando la insufficienza della tutela strettamente formale prevista negli artt.1341 e
1342.
a) la disciplina delle clausole vessatorie nell’ordinamento tedesco: l’A.G.B.
Gesetz del 1976.
La disciplina tedesca delle clausole vessatorie ha costituito oggetto di grande attenzione
da parte della dottrina italiana. La A.G.B.-Gesetz ovvero Legge per la
regolamentazione delle condizioni generali di contratto, del 9-12-1976, entrata in vigore
nel 1977, prevede un controllo di tipo giudiziale delle clausole vessatorie: l’ambito di
applicazione della disciplina in considerazione è limitato alle condizioni generali di
contratto, rimanendo escluse le clausole che siano state oggetto di negoziato
individuale 21. A tutela dell’aderente al contratto si dispone innanzitutto al §3 la
esclusione dal contratto delle cd “clausole sorpresa” stabilendo che “non diventano
parte del contratto le clausole delle condizioni generali di contratto, che secondo le
circostanze, in particolare secondo la apparenza esterna del contratto, sono così
inconsuete che la parte dell’utilizzatore non deve tenerne conto” 22. Segue al §4 il
principio della prevalenza degli accordi individuali sulle condizioni generali di contratto
ed al§5 la previsione della regola per cui “i dubbi nella interpretazione delle condizioni
generali di contratto sono a carico dell’utilizzatore”. Il nucleo centrale dell’A.G.B.G. è
tuttavia costituito dal §9 che contiene la enunciazione della Generalklausel del giudizio
di vessatorietà: “le clausole delle condizioni generali di contratto sono inefficaci se
svantaggiano sproporzionatamente la controparte dell’utilizzatore in contrasto con i
dettami della buona fede”; nel dubbio si considera esistente uno svantaggio
sproporzionato contrario a buona fede se una clausola non è conciliabile con gli
elementi di fondo del contratto la cui disciplina legale -tipica si intende derogare ovvero
se limita diritti ed obblighi essenziali del contratto tali da pregiudicare il raggiungimento
del suo stesso scopo (§9 II comma). I criteri di riferimento nell’accertamento della
vessatorietà sono quindi costituiti, nel contesto della disciplina tedesca delle clausole
vessatorie, dal criterio della buona fede e dal criterio dello svantaggio sproporzionato
dell’aderente al contratto. Sulla base del criterio della buona fede si erano peraltro
avute, già prima della entrata in vigore dell’A.G.B. Gesetz, diverse pronunce
giurisprudenziali che avevano dichiarato la inefficacia di clausole contenute in
condizioni generali di contratto in quanto in contrasto con il principio sancito dal §242
del B.G.B.; e proprio a questo orientamento giurisprudenziale evolutivo il legislatore
tedesco ha inteso ispirarsi.
Si è posto quindi il problema del rapporto fra i due criteri richiamati dal §9: ci si è
chiesti in particolare se si trattasse di criteri autonomi e complementari (dovendo quindi
le clausole essere vagliate alla luce di entrambi) oppure se la sussistenza di uno
svantaggio sproporzionato fosse già di per sé indicativa di un contrasto con la buona
fede. Al riguardo la dottrina tedesca ha sottolineato la inutilità del riferimento alla
buona fede dal momento che lo svantaggio sproporzionato costituirebbe una
21§1(2) A.G.B.G. “non si tratta di condizioni generali di contratto se le condizioni di contratto
sono state negoziate dalle parti in singoli punti”.
22
il criterio della sorpresa del §3 A.G.B.G. aveva costituito peraltro uno dei criteri di riferimento
nella formulazione delle prime proposte di direttiva comunitaria e secondo alcuni ha influenzato
anche la formulazione di una parte delle clausole “che possono essere dichiarate abusive”
previste nell’elenco allegato alla direttiva del 1993.
concretizzazione contenutistica di tale principio;23 si sottolinea inoltre che pur non
essendo possibile distinguere nettamente i due criteri in considerazione, tuttavia essi si
influenzano a vicenda avendo la buona fede funzione di completamento e di
integrazione dello svantaggio sproporzionato e determinando così la necessità della
valutazione della sussistenza di uno svantaggio che, per essere considerato rilevante,
superi un certo grado di offensività.
Alla enunciazione della Generalklausel seguono poi, ai §§10 e 11, due liste di
clausole: la cc.dd. “lista grigia”, contenente un elenco di clausole rispetto alle quali
deve essere dimostrata la sussistenza degli elementi dello “svantaggio sproporzionato in
contrasto con la buona fede”, e la “lista nera” contenente invece un elenco di clausole
la cui inefficacia è presunta. Il sistema tedesco costituisce dunque un “sistema
aperto”, in quanto oltre alla previsione specifica negli elenchi ai §§10 e 11 di clausole
presunte inefficaci rispettivamente “iuris tantum” e “iuris et de iure”, esso permette
attraverso la “norma di chiusura” del §9 una tutela estesa anche a clausole non
espressamente previste dalla legge.24
b) La disciplina delle clausole vessatorie nell’ordinamento francese.
La disciplina delle clausole vessatorie nell’ordinamento francese è stata introdotta con
la Loi Scrivener del 1978 (l.23/78). Dopo aver preliminarmente precisato che rispetto
all’ordinamento francese è più corretto parlare anziché di clausole vessatorie,25 di
clausole “abusive” (in quanto questa è la espressione utilizzata dal legislatore
francese), si può osservare come il sistema della Loi Scrivener del 1978 sia
caratterizzato innanzitutto da un tipo di controllo amministrativo in quanto si demanda
la individuazione delle clausole abusive a decreti del consiglio di stato emessi in base ad
un parere di una apposita commissione istituita dall’art.36. I criteri fondamentali di
riferimento nella valutazione di abusività delle clausole (indicati dall’art.35) sono stati
individuati “nell’abus de la puissance économique” nonché “nell’avantage excessif”.
L’abuso di potere economico è stato interpretato da una parte della dottrina come una
concretizzazione della categoria dell’abuso di diritto mentre, secondo altri, si dovrebbe
con certezza escludere il riferimento alla categoria dell’abuso di diritto dal momento
che la redazione unilaterale del contratto costituirebbe esercizio non di un diritto ma
semplicemente di un potere di fatto26. Sulla base di tale impostazione si è da taluno
23
così STEIN, Gesetz zur Regelung des Rechts der Allgemeinen Geschäftsbedingungen,
Stuttgart, Berlin, Köln, Mainz, 1977, p.112 (citato da VITO RIZZO, op.ult.cit., p.116, nota 140)
sottolinea come sia tautologico che la legge preveda che le condizioni generali di contratto
debbano svantaggiare “sproporzionatamente” la controparte in quanto non è pensabile che
una clausola che svantaggia la controparte contrattuale in contrasto con la buona fede non sia
anche sproporzionata.
24
a differenza del sistema italiano che, invece non prevede alcuna formula generale di
valutazione della vessatorietà, ed ha optato per un elenco tassativo di clausole vessatorie.
25proprio l’ordinamento francese ha infatti ispirato la direttiva comunitaria che parla appunto di
“clausole abusive” e non vessatorie. Rispetto alla espressione usata dal legislatore francese, in
dottrina si è sottolineato il riferimento alla categoria “dell’abus de droit”: si è rilevato infatti che
la causa di un intervento specifico del legislatore riguardo alle clausole abusive sarebbe da
individuare nel fatto che pur essendo concesso al professionista di dettare le sue condizioni al
consumatore, egli non può comunque utilizzare tale potere a scapito dello stesso.
26
così GHESTIN, Le contrat, ed. 1980, p.684 (citato da VITO RIZZO, p.397, nota 243).
ritenuto addirittura che l’elemento dell’abuso di potere economico dovrebbe ritenersi
inglobato in quello del vantaggio eccessivo del professionista in quanto la sussistenza
del vantaggio eccessivo lascerebbe presumere l’abuso di potere economico.
c) La disciplina delle clausole vessatorie nell’ordinamento inglese.
Rispetto al modello inglese di disciplina delle clausole vessatorie è stato osservato come
questo costituisca “certamente, per incisività ed efficacia, il più debole tra quanti sono
stati elaborati nelle esperienze europee”27.
La disciplina disposta dall’Unfair Contract Terms Act, limitata alle clausole di esonero
di responsabilità, stabilisce quale requisito di efficacia delle c.d. “exclusion clauses” il
test di ragionevolezza delle stesse i cui criteri di riferimento sono indicati nell’allegato 2
della legge. Stabilisce l’allegato 2 che gli elementi in base ai quali apprezzare la
ragionevolezza sono: 1) la forza contrattuale delle parti, anche avuto riguardo alle altre
offerte che il consumatore poteva accettare; 2) il fatto che il consumatore sia stato o
meno indotto all’acquisto; 3) il fatto che il consumatore fosse a conoscenza delle
clausole o potesse conoscerle, o che le clausole fossero abitualmente impiegate in
commercio; 4) il fatto che le clausole siano collegate ad altre che ne giustifichino la
esistenza; 5) il fatto che i prodotti fossero stati fabbricati per ordine speciale del
consumatore. Il reasonebleness test dell’U.C.T.A. è stato tuttavia definito vago e le
indicazioni fornite dal legislatore per la sua applicazione come insufficienti “a garantire
una uniforme applicazione della legge”28.
7. LA INSUFFICIENZA DELLA DISCIPLINA DELLE CLAUSOLE
VESSATORIE NEL CODICE CIVILE E LE PROPOSTE DI
INTERPRETAZIONE EVOLUTIVA.
La insoddisfazione per la disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile era
determinata dal mancato raggiungimento anche di quelli che erano stati gli obbiettivi
dichiarati della normativa predisposta: nella Relazione del Guardasigilli si sottolineava
infatti che scopo della nuova disciplina fosse proprio dare una soluzione normativa ai
problemi determinati dalla prassi dei contratti per adesione quali la effettività del
consenso, la consapevolezza del contenuto delle condizioni di contratto spesso scritte in
caratteri minuti, e ricche peraltro di clausole che impongono forti svantaggi
all’aderente. Il sistema delineato dal legislatore nel codice civile, incentrato sul criterio
formale della specifica sottoscrizione delle clausole vessatorie, non era grado di
realizzare una adeguata tutela dell’aderente al contratto considerata la normale
complessità dei moduli predisposti, e la impossibilità di una attenta valutazione da parte
dell’aderente del contenuto delle clausole.29
27
cfr. GUIDO ALPA, Il modello dell’Unfair Contract Terms Act, 1977, in Le condizioni
generali di contratto, a cura di Cesare Massimo Bianca, Milano 1979, p242.
28ALPA, op.cit., p242.
29
e ciò a causa di due fattori fondamentali: la necessità dei beni e servizi e la complessità delle
clausole stesse formulate normalmente in un linguaggio tecnico difficilmente comprensibile per
un profano.
La attenzione alle innovazioni introdotte negli altri paesi evidenziò dunque già a partire
dagli anni settanta la insufficienza della disciplina del codice civile che, si osserva,
predispone ai sensi dell’art.1341 II comma un rimedio (di inefficacia o di nullità a
seconda della tesi che si ritenga di condividere) alle clausole vessatorie che “non
discende direttamente dal loro contenuto [...], da una valutazione delle clausole di per
sé considerate, bensì dal mancato rispetto del criterio previsto della specifica
sottoscrizione [...]”30 diversamente dalla normativa predisposta negli altri ordinamenti
europei che avevano disciplinato (come abbiamo visto rispetto all’ordinamento tedesco,
francese, inglese) la materia prevedendo forme di controllo del contenuto delle
clausole. Alla luce di queste considerazioni si cercò di individuare nuove potenzialità
operative ora nelle particolari forme di controllo amministrativo delle condizioni generali
di contratto predisposte dalla impresa, proprie di alcuni settori di mercato31; ora
proponendo l’uso del controllo formale “allo scopo di colpire clausole che non essendo
qualificabili come vessatorie sfuggirebbero al sindacato del giudice secondo lo schema
originario del codice”32 e ciò attraverso il ricorso a principi generali del diritto ed a
criteri di merito per realizzare un apprezzamento di natura sostanziale della posizione
dei contraenti. Nel riferimento costante ai principi generali del diritto si è delineato un
orientamento33 che ha individuato tali criteri nei principi costituzionali e quindi
nell’art.41 Cost. e nel principio della libertà di iniziativa economica “purché non si
svolga in contrasto con l’utilità sociale ”, proponendo un impiego della “utilità sociale”
con funzione invalidante in modo da superare la necessità del ricorso allo schema
formale della specifica sottoscrizione.
Ampio è stato poi in dottrina il riferimento alle clausole generali: è stato così proposta
la utilizzazione del principio dell’ordine pubblico, della clausola generale di equità, del
principio di buona fede. Alla buona fede ed alla equità si riferiva appunto la proposta di
riforma del codice civile presentata al convegno di Fiuggi nel 1981 da Massimo Bianca
nella quale si prevedeva la modifica dell’art.1341 II comma e la aggiunta di alcuni
commi all’art.1341 ed all’art.1342. Nella proposta in considerazione si definiva la
abusività come una alterazione dell’equilibrio del contratto in pregiudizio dell’aderente
senza una giustificazione obbiettiva nella economia contrattuale ed in generale, nella
non conformità alla correttezza, anche professionale, ed all’equità.
La attesa riforma della disciplina si è tuttavia avuta solo di recente con la attuazione,
(peraltro tardiva) della direttiva comunitaria 93/13: si rende quindi opportuna la analisi
delle caratteristiche essenziali della disciplina comunitaria.
30VITO RIZZO, op. cit., p.517.
31M.BESSONE, Le condizioni generali dei contratti di impresa e i consumer interest.
Dall’intervento del giudice al controllo amministrativo, in Giust.civ., 1987, II, p.408 (citato da
VITO RIZZO, op.ult.cit., p.520, nota 56).
32vedi G.ALPA e C.RAPISARDA, Il controllo dei contratti per adesione, in Riv.dir. comm.
1989, I, p.534 e ss. (citato da VITO RIZZO, op.ult.cit., p.521, nota 59).
33
cfr. in particolare, A.LISERRE, Tutele costituzionali della autonomia contrattuale. Profili
preliminari, Milano, 1971, pp.91 e ss. (citato da VITO RIZZO, op.ult.cit., p.523, nota 64).