INTRODUZIONE
II
scarse. Al fine di migliorare l’efficienza di un settore di fondamentale importanza
come questo, emerge l’esigenza di una standardizzazione delle metologie e delle
tecniche da utilizzarsi nell’ambito della cooperazione internazionale nonchè il
bisogno di un atteggiamento più preciso e scientifico, che implichi un rigore e
un’efficienza che, allo stato attuale, non è sempre presente nei soggetti attivi in
questo campo. La presente trattazione, vuole sperimentare l’apporto di un
approccio gestionale all’interno dei progetti di cooperazione.
L’elaborato si divide in due parti principali: la prima di carattere bibliografico e la
seconda di tipo sperimentale.
Nella prima parte è stata svolta un’analisi della letteratura, al fine di fornire un
quadro di insieme sullo stato dell’arte nel mondo della cooperazione. In
quest’ottica nel primo capitolo verrà analizzata la sua storia a partire dagli anni ‘50,
evidenziando i passaggi più importanti che ne hanno caratterizzato l’evoluzione e
le modificazioni che si sono susseguite nelle teorie dominanti del settore.
All’interno del secondo capitolo verranno descritte le varie tipologie di
cooperazione a seconda dei soggetti coinvolti, spiegando le differenza tra i vari tipi
di approcci e metodi di azione a livello internazionale. Gli attori protagonisti di
questa realtà verranno presentati all’interno del terzo capitolo, sottolineandone la
natura e le caratteristiche principali e distintive, con particolare attenzione alle due
realtà a noi più vicine, ovvero l’Unione Europea ed il Ministero degli Affari Esteri
italiano. Saranno qui introdotte le Organizzazioni Non Governative, su cui si
concentrerà il nostro interesse per quanto concerne la parte successiva del lavoro.
Verranno quindi introdotti all’interno del quarto capitolo i progetti di cooperazione
allo sviluppo, illustrandone i tratti principali, i principi fondanti e gli strumenti
solitamente utilizzati per il loro svolgimento e la loro stesura, con particolare
attenzione alla metodologia del ciclo di progetto.
La seconda parte dell’elaborato si prefigge di sperimentare l’approccio
ingegneristico gestionale all’interno di progetti di cooperazione, attraverso l’utilizzo
di strumenti solitamente estranei a questo campo e creandone, in alcuni casi, di
nuovi. In tale parte verrà analizzato un caso di studio riguardante un progetto in
Tanzania di ACRA ONG, in modo da poter illustrare a livello empirico come questi
INTRODUZIONE
III
strumenti vengono implementati. Nel quinto capitolo verrà creato uno strumento
per la catalogazione degli interventi applicabile a tutti i progetti di cooperazione, al
fine di rendere possibile l’individuazione di cluster con caratteristiche simili. Questi
potranno quindi essere confrontati fornendo uno strumento in più per una
valutazione completa dell’azione o in alternativa per fornire spunti di
miglioramento. L’individuazione delle variabili utilizzate nel modello qui creato è
avvenuta a seguito della lettura dei documenti relativi a diversi progetti e dopo
aver consultato alcuni esponenti di questo mondo, implicati sia a livello
professionale che didattico nel settore della cooperazione. Nel sesto capitolo verrà
introdotto il caso di studio e si analizzerà come un progetto sia ideato a partire dal
contesto sul quale si vuole agire. Per fare ciò verranno presentate le tecniche più
comunemente utilizzate in ambito cooperativo e sarà sperimentata l’introduzione
di strumenti solitamente utilizzati in quello del profit. Entrambe saranno poi
applicate a titolo di esempio al caso di studio. Nel settimo capitolo l’analisi verterà
sul passaggio dalle problematiche emerse nel contesto, alla scrittura del progetto
vero e proprio, illustrando anche la costruzione del quadro logico e di tutti gli
strumenti ausiliari utilizzati per la sua scrittura. Ancora una volta all’analisi teorica
seguirà l’applicazione pratica, ricostruendo il progetto del caso di studio, tramite
l’individuazione degli obiettivi emersi nel capitolo precedente, analizzando le scelte
progettuali e le metodologie da utilizzare. Nell’ultimo capitolo verranno illustrate le
conclusioni alle quali si è giunti al termine del lavoro, le evidenze emerse ed i
possibili sviluppi futuri.
Parte 1
Analisi critica del
settore della
cooperazione allo
sviluppo
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
1
I
L’EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE ALLO
SVILUPPO
1.1 LA CRESCITA E LO SVILUPPO
Prima di affrontare la storia della cooperazione allo sviluppo bisogna avere ben
chiaro cosa si intende per “sviluppo”. Di certo non è un compito facile poiché
questo termine è spesso soggetto a diverse interpretazioni. Secondo l’accezione
più comune e generale, lo sviluppo è inteso come “accrescimento progressivo di
una caratteristica”, ossia come graduale modificazione quantitativa della stessa
che avviene nel tempo e che procede per gradi. Un accrescimento progressivo
può essere agevolmente definito e valutato prendendo in considerazione fenomeni
naturali quali la crescita di un animale o di una pianta, ma quando ci si riferisce a
fenomeni socio-economici le cose si complicano. Come è possibile, infatti,
valutare lo sviluppo di un’entità come può essere per esempio una popolazione?
Quali sono le caratteristiche che deve avere un paese per potersi definire
sviluppato?
Se si escludono le società primitive, si può sostenere, con sufficiente
certezza, che fino alla fine del XVII secolo le differenze dei livelli di sviluppo, sia in
termini economici che tecnici, tra i diversi paesi erano poco consistenti.
Indubbiamente, esistevano profonde differenze nelle strutture economiche e nel
tessuto sociale, ma è assai difficile stabilire una graduatoria del livello di
benessere di ciascun paese. Il vero mutamento rispetto a questa situazione di
sostanziale parità si ebbe con l’avvento della Rivoluzione Industriale nel 1700 in
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
2
Inghilterra. In meno di due secoli il livello di vita dei paesi protagonisti della
rivoluzione aumentò in misura esponenziale e ci si trovò nel vivo dello sviluppo
economico. Contemporaneamente, i paesi che erano rimasti esclusi dalla
rivoluzione industriale subirono gli effetti negativi di questo processo nonché
l’avvento della colonizzazione. Quest’ultima rappresenta un fenomeno inscindibile
dallo sviluppo anche se indiretto, ossia il sottosviluppo, che individua non solo la
mancanza di sviluppo ma anche un’evoluzione economica e strutturale negativa.
Un sottosviluppo che si manifesta in modo ancora più evidente considerando la
crescita accelerata registrata dai paesi industrializzati.
La crescita in termini di aumento della produzione e del reddito deve
considerarsi diversa dallo sviluppo in quanto rappresentante solo una parte del
fenomeno. Quest’ultimo, infatti, comprende mutamenti strutturali, istituzionali e
qualitativi che espandono la capacità in diversi settori e il benessere di un paese.
Troppo a lungo i due concetti sono stati identificati, giudicati come sovrapposti e
schiacciati su una sola dimensione. La sovrapposizione dei due concetti ha
determinato il fatto che sia stato posto come obiettivo primario la crescita del PIL
pro-capite, visto come solo motore trainante di ogni miglioramento. Per molto
tempo lo sviluppo è stato inoltre concepito come un processo univoco, considerato
solo nella sua dimensione “statica”, ossia come stato di arretratezza rispetto ad
uno standard predefinito. Ovviamente questo standard era rappresentato
dell’economia di mercato dei paesi occidentali. Basti pensare che il presidente
degli Stati Uniti Truman nel suo discorso di insediamento nel 1949, disse: “Lo
sviluppo è lineare; esiste un’unica strada, l’Occidente forte della sua esperienza,
assistenza e supporto tecnologico, deve indicare la rotta a tutti i Paesi in via di
sviluppo”. Solo in seguito ci si è resi conto che per valutare lo sviluppo di un paese
non ci si poteva limitare a considerare esclusivamente la dimensione economica,
poiché lo sviluppo è una combinazione di processi sociali, economici, culturali e
politici distinti. Con il primo rapporto dell’UNDP (United Nations Development
Programme) nel 1990, si è giunti a una formulazione del concetto di sviluppo che
tiene in considerazione anche parametri socio-culturali e soprattutto il
soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo.
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
3
Possiamo qui indicare alcuni aspetti caratterizzanti il fenomeno del
sottosviluppo senza la pretesa si ordinarli gerarchicamente [R. Pasca di Magliano,
2000]:
· Una bassa qualità della vita dovuta al basso reddito pro-capite e alla
sperequazione nella distribuzione del reddito;
· Un’elevata pressione demografica, ossia tassi eccessivi di crescita della
popolazione rispetto alle risorse disponibili;
· Una bassa produttività del lavoro che genera elevati tassi di disoccupazione
e sottoccupazione;
· Un’elevata dipendenza economica dall’esterno e dipendenza economica
del settore agricolo;
· Una carenza di capitali e, conseguentemente, un’insufficiente formazione
del risparmio;
· Una debolezza istituzionale che si riflette in inefficienza e inadeguatezza
delle istituzioni pubbliche.
La compresenza di queste condizioni identifica non solo un ampio e variegato
gruppo di paesi definiti “Paesi in via di sviluppo” (PVS), ma anche un’area
depressa localizzata in un paese avanzato. In origine questi paesi vennero definiti
dall'economista francese Sauvy «Terzo Mondo», per definire quei paesi che non
sono dotati di una struttura produttiva industriale di tipo capitalista, né di stampo
socialista. Ma dalla fine degli anni Ottanta in coincidenza con la caduta del muro di
Berlino e la conseguente fine della guerra fredda, sembrò più appropriato definirli
come «Paesi in via di sviluppo».
1.2 LE FASI DELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Lo studio del ruolo della cooperazione può essere sviluppato partendo da
un'analisi dei fatti economici quindi esaminare l'evoluzione delle teorie e poi delle
politiche, mantenendo separate queste sfere di analisi. Questo è un approccio
consolidato, che ha il pregio di fornire una presentazione lineare del rapporto fra
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
4
teorie, fatti, politiche e strumenti per la cooperazione. Qui si è scelto invece di
mantenere stretto il legame tra questi aspetti proprio per evidenziare la stretta
correlazione esistente fra loro. La cooperazione allo sviluppo nasce con l'obiettivo
di ridurre il divario, in termini di PIL pro capite, tra i paesi avanzati (PA) e i PVS.
Solo in un secondo momento, la riduzione del divario non viene legata
esclusivamente al PIL pro capite, ma anche a criteri di giustizia sociale, equità e
rispetto dell'ambiente. Con la locuzione “Cooperazione allo sviluppo” si intende
ogni forma di intervento, in genere organizzata in comune tra diversi attori,
finalizzata al conseguimento di specifici obiettivi relativi allo sviluppo di una
determinata area. Il raggiungimento di questi obiettivi richiede un impegno
continuo e mirato nei confronti dell’area geografica o del paese in oggetto, non
solo sul versante economico, ma anche sociale, istituzionale e politico.
L'ONU definisce la «cooperazione internazionale» come il «dovere
internazionale di solidarietà». Ma occorre subito sottolineare che è un dovere
non sempre condiviso, considerando la costante riduzione di risorse destinate
all'aiuto pubblico allo sviluppo. Va evidenziato che quest'ultimo costituisce solo
una parte di tutti gli strumenti utilizzati dalla cooperazione internazionale, poiché
spesso agisce solo come tampone a situazioni di emergenza. Diverso è il caso
della cooperazione allo sviluppo che deve porsi l'obiettivo di agire direttamente
sulle cause del sottosviluppo e fornire ai PVS gli strumenti adatti per uno sviluppo
endogeno. Sul piano storico, la cooperazione allo sviluppo nasce nei primi anni
cinquanta dalla devastazione lasciata dalla seconda guerra mondiale e si inserisce
in un contesto di contrapposizione di sistemi politici ed economici. La
cooperazione è stata imprigionata dalla logica della contrapposizione fra
l'economia di mercato e l'economia pianificata, fra USA e URSS. Infatti, si è
indirizzata, quella statunitense, verso l'arginamento ed il contenimento del
comunismo, quella sovietica, a sostegno proprio dei paesi socialisti. Una logica
non dissimile si è registrata anche per gli interventi di altri paesi, come, per
esempio, la Francia in favore dei paesi dell'Africa sub-sahariana, il Giappone
nell'area asiatica, la Germania invece secondo una distribuzione a pioggia, sia in
senso geografico che settoriale. Tutti, però, seppure in misura diversa, hanno
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
5
utilizzato la forma dell'aiuto «legato», cioè il trasferimento di sostegni economici in
denaro ai PVS, vincolandoli all'acquisto di beni e servizi degli stessi paesi
donatori. Sembra ragionevole affermare che, in questo caso, si persegue una
politica di promozione delle esportazioni, senza una reale attenzione al
raggiungimento di uno sviluppo endogeno.
1.2.1 L’AVVIO DELLA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO NEGLI ANNI
CINQUANTA
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, i paesi coinvolti nel sanguinoso
conflitto avviarono il processo di passaggio da un'economia di guerra ad
un'economia di pace. Ciò significava uno smantellamento delle industrie belliche a
favore di una «ricostruzione» delle infrastrutture e dell'apparato industriale.
Questo processo non fu privo di difficoltà e richiese uno sforzo significativo di
risorse e strumenti. Per favorire tale ricostruzione, nel 1944, furono creati alcuni
Organismi Internazionali quali la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo
Sviluppo (più conosciuta come Banca Mondiale) e il Fondo Monetario
Internazionale (FMI) con il compito di favorire tale ricostruzione. In particolare, la
Banca Mondiale era impegnata nella ricostruzione dei paesi usciti sconfitti dalla
guerra e, in seguito, anche per lo sviluppo dei paesi che dovevano fronteggiare i
problemi dovuti alla recente indipendenza. Il Fondo Monetario Internazionale,
voluto dall'economista britannico John Maynard Keynes, fu invece costituito al fine
di evitare un ripresentarsi di una nuova depressione simile a quella degli anni
Trenta. Per com'era stato concepito, il FMI si basava sulla consapevolezza che i
mercati non funzionano sempre bene e quindi è necessario un intervento esterno
al fine di mantenere la stabilità economica, così come l'ONU era nata per
mantenere una stabilità politica. Un contributo decisivo per la ripresa fu, inoltre, il
«Piano Marshall», dal nome dell'allora Segretario di Stato americano G.C.
Marshall, che ha rappresentato il primo vero programma di cooperazione
internazionale. Il piano prevedeva un programma di sostegno economico
Capitolo I L’evoluzione della cooperazione allo sviluppo
6
finalizzato alla ricostruzione economica dell’Europa, grazie al quale il continente
riuscì ben presto a riprendersi e a dare un nuovo slancio alla propria economia.
Contemporaneamente, l'avvio del processo di decolonizzazione condusse
molti paesi all'indipendenza, che creò tuttavia non poche difficoltà; tali paesi infatti,
non erano in grado di fronteggiare il mercato economico internazionale in quanto
privi di un'adeguata struttura economica ed amministrativa. Poste simili premesse,
non è difficile immaginare le forti pressioni esercitate dai «nuovi Paesi» per un
ampliamento delle risorse destinate allo sviluppo. Tali richieste trovarono un
terreno fertile nei paesi occidentali, i quali utilizzavano l'aiuto allo sviluppo come
strumento di politica estera al fine di estendere il controllo su aree particolarmente
deboli. Emblematico è il caso degli Stati Uniti che da soli fornivano più della metà
dell'aiuto mondiale soprattutto verso i paesi dell'Asia e-stremo orientale più esposti
all'influenza dei regimi comunisti (Corea del Sud, Vietnam, Taiwan). Non bisogna
dimenticare, inoltre, che un importante novità di questo periodo è l'ingresso
dell'Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti nel settore dell'assistenza
pubblica internazionale. Pur fornendo un aiuto di modeste dimensioni, inducevano
gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali ad aumentare significativamente il volume
dell'assistenza pubblica, in una sorta di meccanismo competitivo. L'aiuto allo
sviluppo, quindi, risultava essere essenzialmente di natura pubblica e di tipo
bilaterale, ossia proveniente dai singoli Stati. Le organizzazioni internazionali
erano ancora poche, molto giovani e soprattutto impegnate nella ricostruzione
dell'Europa.
Ma, una volta superato il processo di ricostruzione, l'argomento sul quale si
concentrò la riflessione teorica e l'analisi empirica fu la crescita economica. Per
la prima volta si tentò di dare una spiegazione al fatto che alcuni paesi riuscirono a
raggiungere un elevato tasso di crescita della propria economia, mentre altri
versavano in condizioni di sottosviluppo. Nella convinzione che la crescita
economica coincidesse con lo sviluppo, molti studiosi attribuirono il mancato
sviluppo alla presenza di vincoli interni ai PVS, riconducibili ad una scarsa
accumulazione di capitale ed un inefficiente impiego delle risorse produttive. Il
sottosviluppo era il risultato di un «circolo vizioso» in cui bassi redditi conducevano