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INTRODUZIONE
Le donne nella storia italiana, salvo poche eccezioni, sono state destinate ad un
ruolo domestico: presenti e agenti, tuttavia invisibili, almeno fino all’inizio del
Novecento, ma sostanzialmente fino all’ultima guerra mondiale. Negli anni
Settanta, nuove possibilità vengono prospettate dalle teorie espresse dalle autrici
neofemministe, teorie tendenti a rivoluzionare la percezione di sØ delle donne ed il
senso della propria vita, al fine di acquisire autostima, autorevolezza ed
autonomia. Sono anni di grande fermento nei quali si costruisce una variegata rete
di aggregazioni femminili ed una produzione culturale che afferma i contenuti
dell’emancipazione e della liberazione, lasciando prefigurare orizzonti di piena e
qualificata partecipazione professionale e politica. Libri e riviste diventano fonti
di conoscenza e di discussione, da discutere con le donne con cui già si condivide
l’orientamento politico ed i desideri di libertà e consapevolezza, per uscire da una
situazione socialmente ed economicamente debole; libri che, una volta letti,
passano di mano in mano, e quasi mai vengono restituiti. Ci sono anche donne che
hanno scelto di lottare per vedere riconosciuti i piø elementari diritti umani, altre
che diventano protagoniste del cambiamento in campo sociale, professionale e
politico. Tali donne rifiutano di conformarsi a ripetere i ruoli tradizionali proposti
dalle generazioni precedenti bensì assumono il ruolo di madri simboliche alle
quali rivolgersi per attingere l’energia necessaria al fine di orientarsi in quella non
facile, ma stimolante, fase di trasformazione identitaria che ha coinvolto le donne
nel corso degli Anni Settanta.
Il movimento femminista di quel periodo, con le sue idee ed il suo operare, ha
favorito l’emergere di un bisogno radicale di rinnovamento ed è proprio in quel
decennio che finalmente viene superata la legislazione di tutela e protezione delle
donne a favore di un pieno riconoscimento dei diritti civili e della necessità di
introdurre politiche pubbliche volte a garantire pari opportunità. Se nella prima
metà del Novecento si ottengono i primi importanti risultati per l’emancipazione
femminile, quali il diritto di voto, il diritto all’istruzione, al lavoro e alla parità
3
salariale (che sfoceranno nell’accoglimento del principio di uguaglianza dei
cittadini e nel divieto di discriminazione sessuale sanciti dall’art. 3 della
Costituzione), negli anni Settanta l’attività legislativa favorisce il pieno
riconoscimento dei diritti civili, politici e la parità di trattamento tra uomini e
donne in sede sia privata
1
sia pubblica
2
. Conseguiti ulteriori obiettivi, quali la
legge sulla legalizzazione dell’aborto, alla fine degli anni Settanta si apre per il
movimento femminista una fase di riflessione dovuta alla difficoltà di relazionarsi
con le istituzioni politiche. Un nodo ancora oggi irrisolto, quello del rapporto
donne e politica, se, nonostante quella nuova consapevolezza acquisita con la
politica del femminismo e l’assoluta parità dei diritti, persiste tuttora l’idea di una
non completa cittadinanza delle donne.
Il primo capitolo di questo lavoro analizza la rappresentanza politica femminile
italiana dall’acquisizione formale della cittadinanza politica (1946) fino alla fine
degli anni Settanta ed individua i principali fattori di ordine politico, sociale e
culturale intervenuti a condizionare l’accesso delle donne nei luoghi istituzionali
della politica. Il secondo ed il terzo capitolo ripercorrono la storia di quelle donne
che negli anni Settanta partecipano attivamente alla vita sociale e politica del
Paese, inseguono una loro rivoluzione (pacifica per le femministe, violenta per le
terroriste) ma scelgono deliberatamente di non cercare una cittadinanza visibile
nelle istituzioni politiche, ricercando però un ruolo pubblico e politico sia legale
che illegale. Ho cercato di comprenderne le motivazioni sforzandomi di calarmi
nel clima dell’epoca, nei valori e nelle norme proprie di quegli anni e nella
percezione che i contemporanei avevano degli eventi che stavano accadendo.
Anche nell’utilizzo delle fonti ho privilegiato le informazioni reperite nei testi
dell’epoca per restituire una fedele ricostruzione dei fatti accaduti, ricorrendo
1
La legge 151 del 1975 riforma il diritto di famiglia riconoscendo la parità giuridica tra i coniugi,
abolendo la figura del capofamiglia e precisando con l’art. 143 che con il matrimonio si
acquisiscono gli stessi diritti e si assumono gli stessi doveri.
2
La legge 903 del 1977 sancisce la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, il
diritto delle lavoratrici a percepire la stessa retribuzione dei lavoratori quando le prestazioni sono
uguali o di pari valore, vietando qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro,
l’attribuzione di qualifiche, le mansioni e la progressione nella carriera.
4
sovente a citazioni e testimonianze tratte dagli stessi.
Desidero ringraziare in modo particolare la Prof.ssa Marcella Aglietti a cui va la
mia gratitudine per il dono della sua attenzione.
5
CAPITOLO 1
METAMORFOSI E CAMBIAMENTI
L’ITALIA DEGLI ANNI SETTANTA
1.1 Poche donne in Parlamento
Il dibattito sul tema del rapporto tra donne e politica è iniziato e si è sviluppato nei
paesi democratici con l’acquisizione da parte delle donne del diritto di voto attivo
e passivo. Ancora oggi la presenza femminile all’interno dei luoghi della politica,
dai partiti alle istituzioni locali e nazionali, è così scarsa da costituire un problema
di impoverimento della qualità democratica: nel caso dell’Italia la componente
femminile dell’elettorato rappresenta il 52% del totale, percentuale che crolla al
21,3% in Parlamento (elezioni 2008)
3
. Da questo punto di vista, se consideriamo
che alla Camera dei deputati per ogni voce femminile ci sono quattro voci
maschili, è giustificabile sostenere che esiste un monopolio maschile che
contribuisce a condizionare l’accesso e quindi la partecipazione femminile nelle
sedi della rappresentanza politica. La sottorappresentanza femminile nei
parlamenti nazionali è una preoccupazione comune avvertita in molti paesi e nella
maggior parte delle democrazie occidentali. A tale proposito è significativo
introdurre alcuni dati per confrontare la posizione dell’Italia con quella dei
parlamenti di altre nazioni europee: l’Italia figura tra i paesi europei con meno
donne parlamentari (21,3% elezioni 2008) ma supera la Francia (18,5% elezioni
2007) ed il Regno Unito (19,7% elezioni 2005) mentre viene distanziata da altri
paesi europei come la Germania (31,6% elezioni 2005), la Spagna (35,1% elezioni
2008) e tutti i paesi scandinavi che, con percentuali che oscillano dal 36,9% della
Danimarca (elezioni 2005) al 47,3% della Svezia (elezioni 2006), si collocano ai
primissimi posti per quanto riguarda la rappresentanza politica femminile
4
.
3
www.provincia.grosseto.it [visitato: 18.10.2010]
4
www.ipu.org [visitato: 14 Settembre 2010]
6
Considerando ancora i dati riportati dall’Inter-Parliamentary Union relativi alla
classifica mondiale che prende in esame la Camera bassa o l’unica Camera di ogni
Parlamento nazionale, l’Italia nel 2008 si posiziona al 56esimo posto delle nazioni
con la piø alta rappresentanza parlamentare femminile, recuperando 21 posizioni
rispetto al 2005 quando occupava la 76esima posizione, con una percentuale di
donne elette nel 2001 alla Camera del deputati dell’11,5%
5
. Infine, se si prendono
in considerazione le ultime elezioni del 2006 del Parlamento europeo, la
situazione appare anche peggiore: la percentuale delle rappresentanti femminili
italiane si ferma al 19,2% degli eletti nazionali mentre la media della presenza
femminile al Parlamento europeo è del 30,3%. Tra i 27 paesi membri dell’Unione
Europea il nostro paese si posiziona al 24esimo posto e solo la Polonia, Cipro e
Malta consentono all’Italia di non detenere il record negativo di rappresentanza
femminile parlamentare
6
.
Gli ostacoli giuridici, i divieti che limitano l’accesso delle donne ai luoghi della
rappresentanza politica, sono stati eliminati, la parità giuridica non è in
discussione, ma continuano a persistere ostacoli che operano in diversi ambiti,
dalla cultura del paese alla struttura familiare e sociale e sono tanto piø efficaci
quanto meno il sistema di welfare sostiene la donna nell’esercizio dei suoi compiti
piø «tradizionali». Accanto a questi meccanismi di discriminazione che
condizionano la presenza femminile in ogni ambito, pubblico e lavorativo, ve ne
sono altri piø strettamente politici che risiedono nelle logiche e nelle modalità
della rappresentazione politica. In primo luogo «va considerato il ruolo essenziale
dei partiti nella selezione delle candidature, nel sostegno effettivo alle candidate,
nella collocazione delle donne in posizioni di lista che determinino effettive
chance di elezione o in collegi piø o meno sicuri»
7
; da ciò ne consegue che la
probabilità di partecipazione delle donne alle competizioni elettorali, e quindi la
possibilità di essere elette nelle assemblee legislative, dipende soprattutto dal
5
Idem
6
www.istat.it [visitato: 14 Settembre 2010]
7
G. BRUNELLI, Donne e politica, Bologna, Il Mulino, 2006, p.73.