6
generali (artt. 2555-2562), ditta e insegna (artt. 2563-2568) e
marchio (artt. 2569-2574).
All’azienda si fa riferimento anche in altre norme del codice: ad
esempio in tema di rapporti di lavoro (art. 2112), concorrenza sleale
(art. 2598, n. 3), consorzi (art. 2610); nonché nella Costituzione, a
proposito di cogestione di aziende (art. 46), e in diverse leggi
speciali come quelle sul diritto d’autore (art. 132, L. 22 aprile 1941,
n. 633) e sui brevetti per invenzioni industriali (art. 24, R. D. 29
giugno 1939, n. 1127).
Non di rado però il legislatore è incorso in errori terminologici e
letterari, scambiando inopportunamente i vocaboli “impresa” e
“azienda”.3
L’art. 2555 cod. civ., definendo l’azienda come “il complesso
dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa”,4 stabilisce la relazione intercorrente tra i concetti
distinti di imprenditore, di impresa e di azienda.5 L’impresa invero,
3
Per una attenta disamina di alcuni casi v. SILVAGNA, op. cit., p. 18.
4
La definizione di azienda mancava nel progetto preliminare di codice di
commercio del 1940 (Progetto Asquini), comparendo, in termini simili a quelli
attuali, solo nell’art. 51 delle “seconde bozze provvisorie” del libro Dell’impresa
e del lavoro del codice civile: così COLOMBO, op. cit., p. 2, nota 3.
5
Cfr. ROTONDI, Diritto industriale, 1965, p. 36. La giurisprudenza accoglie la
definizione codicistica, sovente riportandola letteralmente: v., ad es., Cass., 20
marzo 1972, n. 862, in Mass. Foro it., 1972, 250; Cass., 9 novembre 1971, n.
3167, ivi, 1971, 928 e Cass., 25 ottobre 1965, n. 2239, in Dir. fall., II, 669.
7
come si evince dall’art. 2082 cod. civ. che dà la nozione di
imprenditore, è l’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi; l’imprenditore
invece è il soggetto operante e l’azienda lo strumento e l’oggetto
dell’attività.6
Di conseguenza è inammissibile in campo giuridico l’uso
promiscuo che spesso si fa nel linguaggio corrente, o comunque
atecnico, dei termini “azienda” e “impresa”. Non a caso, infatti, la
dottrina prevalente respinge le teorie (cc.dd. oggettive dell’impresa)
che considerano l’azienda e l’impresa come due aspetti dello stesso
fenomeno (Ferrarini) o due successive fasi dell’evoluzione
giuridica (Rotondi) o come sinonimi (Mossa) o come appartenenti
rispettivamente alla fase statica e dinamica del diritto (Carnelutti) o
l’una (l’impresa) species dell’altra (Santoro-Passarelli).7
È possibile che l’imprenditore, vale a dire il titolare dell’impresa,
sia persona diversa dal titolare dell’azienda. Per semplicità, nel
6
Così CASANOVA, Impresa e azienda, in Tratt. Vassalli, X, 1, 1°, 1986, p. 63.
Aggiunge FERRI, Manuale di diritto commerciale, 1993, p. 225, che la nozione
giuridica di azienda, presupponendo quella di impresa, costituisce una nozione
derivata.
7
Sul problema cfr. CASANOVA, op. cit., p. 63 ss.; LEVI, L’azienda, 1983, p. 12,
nota 17 e VANZETTI, Trent’anni di studi sull’azienda (parte I), in Riv. dir.
comm., 1958, I, p. 37 ss.. Per una critica puntuale v. IANNELLI, L’impresa, in
Giur. sist. dir. civ. comm. Bigiavi, 1987, p. 13 ss. e PANUCCIO, Impresa (diritto
privato), in Enc. dir., XX, 1970, p. 582 ss..
8
prosieguo della trattazione supporremo che quest’eventualità si
realizzi soltanto nei casi di cessione in godimento dell’azienda
(usufrutto, affitto et similia). Adopereremo cioè il vocabolo
“imprenditore” tout court, trascurando le ipotesi di interposizione
gestoria, vale a dire dell’imprenditore gestore di un’azienda altrui o
che, pur essendo titolare dell’azienda, eserciti l’attività
professionale sotto il nome di altra persona cui sia eventualmente
intestata la licenza di esercizio.8 Di tali ipotesi ci occuperemo a
tempo debito (cfr. prgg. VI. 8. s.).
8
Vedi, a riguardo, Cass., 6 febbraio 1951, n. 281, in Giur. it., 1951, I, 1, 578.
9
I. 2. Gli elementi costitutivi dell’azienda
La nozione ex art. 2555 cod. civ. lascia intendere che due sono
gli elementi costitutivi dell’azienda: il complesso dei beni e
l’organizzazione.9
In dottrina si fronteggiano sostanzialmente due tesi sul
significato da attribuire al termine “bene”: una restrittiva, che,
riallacciandosi alla lettera dell’art. 810 cod. civ. (“sono beni le cose
che possono formare oggetto di diritti”), comprende “fra i beni
aziendali le cose corporali e le entità immateriali, escludendo ogni
altro oggetto di rapporti giuridici, come i servizi” dei collaboratori10
ed una estensiva, prevalente, che include nei beni aziendali ogni
oggetto di “rapporti reali ed obbligatori sorti nel e per l’esercizio
dell’impresa”.11
I beni componenti l’azienda possono essere classificati in mobili
e immobili (art. 812 cod. civ.), fungibili e infungibili, fruttiferi e
9
FERRARI, Azienda (diritto privato), in Enc. dir., IV, 1959, p. 685, li denomina
rispettivamente “elemento materiale oggettivo” ed “elemento formale
finalistico”.
10
VISALLI, Locazione di immobile ed affitto di azienda, 1967, p. 8 s..
11
FERRARI, op. cit., p. 686. Cfr., per ampie citazioni, SILVAGNA, op. cit., p. 22,
nota 42. La tesi estensiva è diffusissima in giurisprudenza: COLOMBO, op. cit.,
p. 22, nota 79, critica le aberranti e frequenti affermazioni della Cassazione,
secondo cui l’azienda si comporrebbe di beni, crediti e debiti. Per queste v., ad
es., Cass., 9 giugno 1981, n. 3723, in Giust. civ., 1981, I, 2, 2942; Cass., 22
gennaio 1972, n. 171, in Giur. it., 1973, I, 1, 262 e Cass., 29 ottobre 1966, n.
10
infruttiferi, consumabili e inconsumabili, divisibili e indivisibili,
materiali e immateriali, presenti e futuri. Si può inoltre distinguere
fra beni destinati in maniera stabile all’organizzazione produttiva,
costituenti il capitale fisso (impianti, macchinari, arredi, locali,
ecc.) e beni destinati alla trasformazione e all’alienazione,
costituenti il capitale circolante (merci, materie prime, semilavorati
e prodotti finiti).12
Un complesso di beni eterogenei può costituire un’azienda
soltanto quando essi siano organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa. In altri termini l’organizzazione costituisce
“l’elemento coagulante del complesso dei beni” aziendali, “la loro
utilizzazione unitaria e coordinata al fine dell’esercizio dell’attività
economica imprenditoriale”.13
2714, in Foro it., 1967, I, 283. Esiste pure una tesi intermedia, come rileva
VISALLI, op. cit., p. 9.
12
In tal senso CASANOVA, Azienda, in Dig. comm., II, 1987, p. 78 s.; DE
MARTINI, Corso di diritto commerciale, I, 1983, p. 195 ss. e FERRARI, op.
cit., p. 685 ss.. La distinzione tra capitale fisso e capitale circolante ha però un
fondamento economico più che giuridico, così come quella tra beni principali e
beni accessori, o tra beni attuali e beni prospettivi: v. infatti FERRI, op. cit., p.
229.
13
TEDESCHI, Le disposizioni generali sull’azienda, in Tratt. Rescigno, XVIII, 4,
1983, p. 10. In egual senso COTTINO, Diritto commerciale, I, 1986, p. 220.
11
L’organizzazione consta di due attività: una di ideazione (a sua
volta costituita da un’attività di previsione e da una di decisione) ed
una di attuazione.14
14
Espressamente MINERVINI, L’imprenditore, 1966, p. 122. GRECO, Azienda, in
Comm. de Martino, V, 1, 1974, p. 12, invece considera l’organizzazione un
elemento psicologico essenziale alla nozione di azienda, mentre DE MARTINI,
op. cit., p. 196 ss., la qualifica come un particolare bene immateriale tutelato
dalle norme repressive della concorrenza sleale e indirettamente anche dalle
disposizioni sulla concorrenza in generale e sui consorzi.
12
I. 3. L’avviamento
“L’avviamento è il plusvalore che deriva all’azienda dal fatto
che i beni che la compongono sono organizzati e coordinati per
conseguire lo stesso fine”.15 Ciò significa che gli elementi
costitutivi dell’azienda presentano, nel loro complesso, un valore
maggiore di quello dei singoli beni isolatamente considerati: tale
plusvalore è dovuto al rapporto di strumentalità e complementarietà
sussistente fra i beni aziendali.16
Il codice civile non conosce una definizione di avviamento, ma
ne presuppone il concetto in alcune norme che, se pur dirette a
salvaguardare altri interessi, tutelano indirettamente e di riflesso
l’avviamento: basti pensare alle disposizioni sui segni distintivi
(artt. 2563 ss.), a quelle sulla concorrenza sleale (artt. 2598 ss.)17 e
soprattutto all’art. 2557 che sancisce per un periodo di cinque anni
(riducibile pattiziamente) il divieto di concorrenza a carico del
15
FIALE, Diritto commerciale, 1991, p. 74.
16
Così CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, 1991, p.
141. Nella scienza economica si definiscono strumentali (o indiretti) i beni che
servono a preparare i beni di consumo (o diretti); complementari quelli usati
congiuntamente ad altri per produrre un certo effetto utile.
17
In proposito cfr. FERRI, op. cit., p. 227 e FIALE, op. cit., p. 75.
13
cedente l’azienda in “proprietà”18 o in godimento e a vantaggio del
cessionario.
Una tutela diretta dell’avviamento commerciale è invece
riconosciuta dall’art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge
sull’equo canone) all’imprenditore conduttore uscente, in seguito
alla cessazione del rapporto di locazione, nei confronti del locatore
dell’immobile utilizzato per l’esercizio dell’impresa. L’articolo
suddetto ha sostituito l’art. 4 della L. 27 gennaio 1963, n. 19,
prevedendo un compenso, calcolato in un multiplo dei canoni di
locazione, per l’aumento di valore apportato all’immobile in
conseguenza dell’attività imprenditoriale, un compenso cioè per la
perdita dell’avviamento.19
È ormai tradizionale la distinzione tra avviamento oggettivo (o
reale) e avviamento soggettivo (o personale): il primo deriva
dall’organizzazione dei beni, il secondo dalle capacità e qualità
personali dell’imprenditore.20 Non manca però chi preferisce
piuttosto parlare di fondamento soggettivo o oggettivo
18
Sul concetto di “proprietà” dell’azienda vedi infra prg. II. 2..
19
In argomento v. FIALE, op. cit., p. 74.
20
Per la distinzione, in giurisprudenza, cfr. Cass., 24 novembre 1970, n. 2498, in
Mass. Foro it., 1970, 758.
14
dell’avviamento21 e chi invece non accetta proprio la distinzione,
ritenendo che a rigore l’avviamento sia sempre e unicamente
oggettivo e che il cosiddetto avviamento soggettivo sia “l’impulso
dato dal titolare dell’azienda all’avviamento [c.d.] oggettivo”
(Tedeschi) e quindi costituisca “una qualità dell’imprenditore
piuttosto che [...] dell’azienda” (Galgano), qualità economicamente
valutabile solo come prezzo per l’astensione dalla concorrenza, ai
sensi dell’art. 2557 cod. civ..22
Comunque vada risolta teoricamente la questione, è evidente che
l’avviamento oggettivo si trasferisce insieme all’azienda, a
differenza dell’altro, per sua stessa natura intrasferibile.
Altre classificazioni dell’avviamento (ricompensabile e non,
imputabile all’azienda o all’imprenditore) vengono suggerite da
qualcuno con l’avvertenza di non incorrere nell’errore di credere
che si tratti di diverse specie di avviamento, rappresentando
piuttosto le diverse prospettive in cui è possibile porsi nel
considerare il problema delle conseguenze del trasferimento di
azienda sull’avviamento.23
21
In tal senso FERRI, loc. ult. cit. e FIALE, loc. ult. cit..
22
Così ASCARELLI, Corso di diritto commerciale, 1962, p. 341; GALGANO,
Diritto civile e commerciale, III, 1, 1990, p. 98 e TEDESCHI, op. cit., p. 20.
23
Cfr., in merito, AULETTA, Avviamento, in Enc. dir., IV, 1959, p. 636.
15
Molteplici sono i fattori dell’avviamento, primo fra tutti la
clientela, ossia “l’abitualità di un flusso di acquirenti di servizi o
beni prodotti grazie all’azienda”,24 di cui parleremo diffusamente
nel prossimo paragrafo.
Altre cause da cui discende o può discendere l’avviamento sono
“la efficiente coordinazione funzionale dei vari beni materiali, i
servizi di abili collaboratori, la felice scelta e la notorietà del
marchio, il prestigio del suo titolare, la indovinata localizzazione, la
notorietà derivante dallo stesso suo esercizio da molti anni, [...] la
modernità delle macchine, la felice disposizione dei locali dello
stabile, [...] la stessa anzianità di esercizio, l’incremento
demografico della città”.25 Volendo continuare ad esemplificare
possiamo ricordare ancora i rapporti con fornitori, collaboratori e
sovventori dell’impresa, la qualità e funzionalità di impianti e
macchinari, la speciale tecnica produttiva, il particolare stile
commerciale, l’efficiente approvvigionamento delle materie
prime.26
24
ASCARELLI, op. cit., p. 342.
25
ASCARELLI, op. cit., p. 340.
26
Così CASANOVA, op. ult. cit., p. 79; SIRI, Profili di studio sulla teoria
giuridica dell’azienda, 1975, p. 3; TEDESCHI, op. cit., p. 19 e VINCI e
GAGLIARDI, L’affitto d’azienda, 1992, p. 20.
16
I suddetti coefficienti di avviamento si possono distinguere in
oggettivi e soggettivi, a seconda che siano legati ai beni aziendali o
all’abilità dell’imprenditore.27
Al fine di chiarire meglio il concetto di avviamento è necessario
dare qualche cenno delle teorie sulla sua natura giuridica elaborate
dalla dottrina.
In linea di massima si possono individuare tre posizioni
differenti: quelle di Vivante, di Carnelutti e di Ascarelli.28 Il primo
identifica l’avviamento con la clientela, ritenendolo un elemento
essenziale dell’azienda.29 Carnelutti invece lo considera un’opera
dell’ingegno e quindi un bene immateriale.30 Per Ascarelli, infine,
l’avviamento costituisce una qualità dell’azienda, ossia l’attitudine
della stessa a produrre utili.31
27
SIRI, loc. ult. cit. distingue invece tra fattori materiali ed immateriali.
28
Sulla questione v. FIALE, loc. ult. cit.. Isolata è l’opinione di BRACCO, op. cit.,
p. 511, il quale considera l’avviamento un potenziale di energia.
29
Cfr., a riguardo, AULETTA, Avviamento commerciale, in Enc. giur. Treccani,
IV, 1988, p. 5.
30
Sulla sua teoria v. VANZETTI, op. cit., p. 57. Occupa un posto a sé DE
MARTINI, op. cit., p. 199 s., che qualifica l’avviamento, per lui consistente
nell’organizzazione, allo stesso tempo come bene immateriale ed elemento
essenziale dell’azienda.
31
Vedi infatti ASCARELLI, op. cit., p. 339. Precisa MINERVINI, op. cit., p. 142,
che si tratta di una qualità non essenziale ed eventuale, non bastando organizzare
dei beni per produrre un plusvalore: così pure Cass., 28 aprile 1982, n. 2645, in
Giust. civ., 1982, I, 2961; Cass., 26 luglio 1978, n. 3754, in Mass. Giust. civ.,
1978, 1551 e Cass., 17 ottobre 1969, n. 3404, in Giust. civ., 1970, I, 220.
17
La tesi di Ascarelli è seguita dalla prevalente dottrina e dalla
quasi totalità della giurisprudenza,32 anche se non mancano
sentenze che giudicano l’avviamento un bene immateriale.33
Non potendo in questa sede ripercorrere le argomentazioni pro e
contro quest’ultima tesi, ci limitiamo ad aderire anche noi ad essa.
32
In tal senso AULETTA, Avviamento, cit., p. 634; CASANOVA, loc. ult. cit.;
COLOMBO, op. cit., p. 29; FERRARI, op. cit., p. 695; FERRI, loc. ult. cit.;
GALGANO, op. cit., p. 97; LEVI, op. cit., p. 56; ROTONDI, op. cit., p. 131 e
TEDESCHI, loc. ult. cit.. Per la giurisprudenza cfr. Cass., 6 giugno 1972, n.
1752, in Mass. Giust. civ., 1972, 980; Cass., 26 gennaio 1971, n. 174, in Foro it.,
1971, I, 346 e Cass., 23 luglio 1969, n. 2774, in Mass. Foro it., 1969, 820.
33
Tra le più recenti v. Cass., 7 ottobre 1975, n. 3178, in Giur. it., 1976 I, 1, 1148;
Cass., 29 agosto 1963, n. 2391, in Foro it., 1963, I, 1610 e Cass., 26 luglio 1963,
n. 2065, in Giust. civ., 1964, I, 668.
18
I. 4. La clientela
Per lungo tempo la dottrina commercialistica ha identificato
l’avviamento di un’azienda con la sua clientela, secondo il modo di
vedere dei pratici, per cui un’azienda è bene avviata quando il suo
titolare può contare su di una solida clientela.34 Tale concezione,
formulata negli anni ’30 da Vivante e sviluppata poi da Greco, ebbe
grande fortuna fino a oltre gli anni ’50. Oggi è abbandonata,
essendosi gli studiosi resi conto che la clientela è soltanto una delle
possibili cause dell’avviamento, la più importante e appariscente
forse, ma non l’unica.35
D’altra parte la clientela, oltre che causa, è soprattutto un effetto
dell’avviamento, il risultato cioè di tutti gli altri suoi fattori.36 Ciò
non comporta necessariamente un rapporto di proporzionalità
diretta fra avviamento e clientela, anche se il collegamento tra i due
fenomeni costituisce la norma. Al limite infatti la clientela potrebbe
34
In argomento v. CASANOVA, Impresa e azienda, cit., p. 327.
35
Sulla distinzione fra clientela e avviamento v., per tutti, ASCARELLI, op. cit., p.
342; BRACCO, op. cit., p. 513 e FERRARA, La teoria giuridica dell’azienda,
1982, p. 103. Per la giurisprudenza cfr. Cass., 5 luglio 1968, n. 2258, in Riv. dir.
ind., 1970, II, 39; Cass., 21 luglio 1967, n. 1889, in Giur. it., 1968, I, 1, 563 e
Cass., 17 gennaio 1966, n. 237, ivi, 1966, I, 1, 1234.
36
In proposito cfr. ASCARELLI, op. cit., p. 343; FERRARI, loc. ult. cit. e
ROTONDI, op. cit., p. 80. CASANOVA, op. ult. cit., p. 329, definisce la
clientela come una delle possibili manifestazioni dell’avviamento. SIRI, op. cit.,
p. 4, sottolinea che il disposto dell’art. 2557 cod. civ. potrebbe indurre nell’errore
19
non essere espressione dell’avviamento, ossia di una migliore
organizzazione dell’azienda: basti pensare a un imprenditore
sprovveduto che, senza accorgersene, venda sottocosto le proprie
merci.37
Nel paragrafo precedente abbiamo già dato la definizione di
clientela: possiamo ora precisare che la clientela, secondo una
nozione più semplice e, diremmo, spontanea, è l’insieme dei clienti,
vale a dire delle persone che di frequente fruiscono dei servizi o
acquistano i beni prodotti dall’azienda. Più in generale il termine
“clientela” indica il numero dei clienti che durante un certo periodo
di tempo si rivolgono all’azienda.38 Si è anche definita la clientela
come un rapporto di fatto tra acquirenti ed impresa, dal quale
dipende il profitto dell’imprenditore.39
Salvo casi eccezionali, la clientela è mutevole per sua stessa
natura, ma di regola si nota una costanza nel flusso dei clienti o un
suo continuo rinnovarsi.40
di credere che il legislatore abbia voluto identificare l’avviamento con la
clientela.
37
Sul punto v. COTTINO, op. cit., p. 221 e FERRARI, loc. ult. cit..
38
Così CASANOVA, op. ult. cit., p. 328.
39
In tal senso FIALE, op. cit., p. 75 e GRECO, op. cit., p. 26.
40
Conforme CASANOVA, loc. ult. cit..