5
Tuttavia, quando mi sono recata alla biblioteca dell’American University
di Beirut la segretaria, una donna molto disponibile, dopo aver ascoltato le mie
richieste ha affermato serafica: “Interessante… Non sapevo esistesse un cinema
libanese!”. Così mentre la bibliotecaria mi scrutava incuriosita io, demoralizzata,
cercavo di farle capire quale fosse lo scopo della mia ricerca. Niente da fare, la
donna non si voleva rassegnare: non esiste un cinema libanese, continuava a
ripetermi. Mentre cercavo di spiegarle che si sbagliava, che una sorta di cinema
libanese “doveva” esistere, che ne avevo le prove poiché avevo appena incontrato
pares BaÑÑīl e Akram Za‘Óārī, la donna annuì da dietro la scrivania e con uno
sguardo complice mi indicò sullo schermo del computer i testi trovati. “Strano,
non sapevo nemmeno esistessero” mi disse sorridendo.
La stessa scena si è ripetuta diverse volte nelle settimane seguenti:
bibliotecari – delle biblioteche di American Lebanese University, ALBA e Saint
Joseph Universitè – sbigottiti dalle mie assurde richieste, intrepide segretarie di
archivi giornalistici –An-nahār e As-safīr – perse tra articoli e volumi, studenti di
dipartimenti di audiovisivi divertiti dalla mia particolare ricerca, tutti con la
medesima domanda: “Perché il cinema libanese? Non è meglio quello italiano con
Visconti, Fellini e Pasolini?”. “Sicuramente – rispondevo – ma io non sono un
critico cinematografico, cerco altro.”
Cosa cercassi precisamente non lo sapevo nemmeno io. Solo dopo aver
letto numerosi articoli e soprattutto dopo aver parlato con registi più o meno
famosi, giornalisti, critici, docenti e giovani artisti (tutti libanesi si intende) – tra
cui Muammad Suwayd, Ghassān Salhab, Jān Sham‘ūn, Lamya Joreije, Nadīm
Jarjūra, Nigol Bejian, Ibrāhīm al-‘Arīs, Jalāl Tawfīq, Hādī Zakkāk ed Imīl Shāhīn
– ho iniziato a capire cosa volessi fare della mia ricerca, in quale direzione mi
volessi muovere. Di grande aiuto, da questo punto di vista, sono stati gli incontri
con Muammad Suwayd e Nigol Bejian che, con grande sincerità e passione, mi
6
hanno offerto due visioni diverse sul cinema libanese. Nel mio personalissimo
i‘Ñār
1
di incontri, interviste, pellegrinaggi in biblioteche ed archivi, sono riuscita
anche a “scomodare” Ghassān Abū Shaqra, segretario del Wizārat ath-thaqāfa wa
at-ta‘līm al-‘ālī – Ministero della Cultura e dell’Istruzione – rimediando un
opuscolo sul cinema intitolato As-sīnimā al-lubnāniyya. 1929 – 1995 (Il cinema
libanese. 1929-1995), una videocassetta con un documentario sulla storia del
cinema – As-sīnima al-lubnāniyya (Il cinema libanese), per l’appunto – e una
chiacchierata sulla difficoltà di finanziare il cinema libanese contemporaneo.
Dopo tutto questo, decisi che la mia tesi non sarebbe stata una sorta di
“storia del cinema libanese”, una cronologia di lungometraggi realizzati dalla
nascita del cinema ad oggi. La mia tesi doveva vertere piuttosto sul rapporto tra
società e cinema.
Infatti, ciò che mi ha sempre affascinato del Libano sono le sue estreme
“diversità”, le sue contraddizioni più o meno evidenti che rendono il Paese unico
ed affascinante. Crogiolo di etnie e di religioni, il Libano ha sempre accolto sulle
sue montagne minoranze di qualsiasi provenienza, dando vita ad una società ricca
di tradizioni, di storie diverse e di paradossi.
L’eterna questione sull’identità libanese, l’eterna domanda
sull’appartenenza del Paese dei cedri, sono sempre state presenti nelle fasi salienti
della storia di questo Paese, senza tuttavia trovare una risposta… forse…
Infatti qualcosa è cambiato in Libano, qualcosa è successo perché si
arrivasse alla guerra civile e perché si trovassero delle risposte nella medesima
guerra.
1
“Vortice” . Da Al-i‘Ñār, film di Samīr pabshī, realizzato nel 1992. Storia di un giovane studente
libanese che, dopo aver compiuto gli studi in Russia, decide di tornare in Libano. Una volta in
Patria, rimane vittima del vortice di violenza e di assurdità che attanaglia la sua nazione.
7
Da qui parte la mia osservazione sul cinema libanese, sul “cinema di
guerra” nonostante la definizione non sia la migliore. Ripeto: il mio intento non è
quello di scrivere una cinematografia completa sui film realizzati durante la
guerra civile (numerosi, nonostante le premesse), ma piuttosto vedere come la
guerra abbia influito sulle scelte dei registi, come la guerra abbia modificato gli
orientamenti cinematografici, come il modo di fare film sia cambiato dopo i 15
anni di massacri.
In particolar modo lo scopo della mia tesi è scoprire se, nella tragedia, il
cinema sia riuscito a trovare una sua identità specifica, se addirittura la guerra sia
alla base dell’identità del cinema libanese o, al contrario, sia solo il medesimo
soggetto di svariati lungometraggi privi tuttavia di un qualsiasi progetto comune.
Come i registi guardano alla guerra? E come la guerra è riuscita a
modificare il cinema?
Per rispondere a queste due domande ho ritenuto necessario iniziare la mia
ricerca con una breve parentesi storica, non nell’intento di dare una cronologia del
cinema dal 1929 ai giorni nostri, quanto per dare un’idea di cose fosse il Libano
prima del 1975, di come fosse strutturata la sua società, di quali fossero i problemi
legati ad una precisa identità culturale e i turbamenti derivati dalla mancanza di
tale identità, e di come tutti questi problemi storico-sociali si riflettessero nel
cinema.
Inoltre ho ritenuto ugualmente necessario aprire un’ulteriore parentesi
storica sui 15 anni di guerra civile che hanno seminato nel Paese morte e
distruzione. Ho cercato di raccontare la guerra del Libano riassumendo gli
avvenimenti salienti, descrivendo i personaggi più importanti, parlando delle
diverse ideologie politiche, anche qui non tanto nell’intento di esporre una
semplice cronologia dei fatti, bensì di dare un’idea generale di cosa sia stata per i
libanesi questa guerra che ha messo in ginocchio il loro Paese.
8
Dall’analisi di questi 15 anni prende forma la mia ricerca: come gli
intellettuali, gli artisti e i registi (nel mio caso) hanno reagito a tale guerra? Cosa
ci mostrano nei loro film, nei loro video, nei loro “documentari artistici”? Quali
sono le loro risposte a questa guerra?
La cosa che più mi ha affascinato, parlando con questi registi ed artisti, è
stato scoprire come ognuno di loro avesse un modo diverso di rapportarsi alla
guerra, e come la sensibilità di ognuno avesse elaborato gli avvenimenti in modo
estremamente personale. Tuttavia credo che ci sia qualcosa in comune.
Così, attraverso l’analisi dei “grandi temi” dei film di guerra, quali la
distruzione della città, la violenza, la morte dell’uomo e delle ideologie, la follia,
il confessionalismo e il razzismo, ho cercato di trovare delle basi comuni a questo
“cinema libanese”, basi che potessero creare una sorta di identità comune. Identità
che il cinema ha preso “in prestito” dalla società.
9
Capitolo I
Libano: un Paese di contraddizioni. Dalla società al cinema.
L’eterna questione dell’identità libanese.
“Tutti noi, per la patria, per la bandiera, per la gloria.
Tutti noi per la patria.
I nostri vecchi e i giovani aspettano la chiamata della patria,
sono leoni nei giorni di crisi.
Il cuore del nostro Est sarà sempre il Libano”
1
La storia del Libano è tristemente costellata da conflitti, guerre e
occupazioni straniere. Ogni volta che termina un conflitto si ripropone l’eterna
questione dell’identità libanese e forse, proprio a causa di tale questione, il Libano
non è mai riuscito a raggiungere una stabilità politica e sociale per un lungo
periodo.
Il Libano è fenicio? O forse arabo? È musulmano o cristiano? È un Paese
neutrale o vincolato, indipendente o soggiogato?
Il Libano è tutto questo : un Paese di contraddizioni evidenti, di
contraddizioni che lo rendono unico, straordinario ma anche molto instabile. “È
un Paese di estremo pluralismo e profonde divisioni, composto da una società
frammentata che si sviluppa attraverso uno stato controverso, le cui istituzioni
sono in bilico tra la voglia di cambiamento e il desiderio di mantenere le
1
Inno nazionale libanese, (1927) simbolo dell’identità del Paese.
10
tradizioni. Ha tutti i fattori negativi di questi due opposti desideri, ma non quelli
positivi.”
2
Data la sua particolare posizione nel Vicino Oriente, con le montagne
impervie a ridosso del mare, il Libano storicamente è sempre stato un rifugio
sicuro per le minoranze etniche e religiose. Le basi mercantili della sua prospera
economia, il carattere confessionale della sua società così come le specifiche
strutture politiche che ha sviluppato, hanno permesso al Libano di mantenere
contatti sia con l’occidente sia con l’oriente e di creare un’atmosfera di relativa
libertà ideologica e di dinamismo culturale. Gli elementi di culture diverse si sono
fusi nella realtà e negli aspetti della vita quotidiana, dando vita ad una società
vivace ma anche intrisa di contraddizioni. Non è semplice né definire l’identità di
questo Paese, crogiolo di religioni e di etnie, né stabilire su cosa si basi la sua
unione.
Il Libano è un Paese che si fonda principalmente su un fragile
compromesso: dal 1943, anno della Prima Repubblica
3
, i musulmani, accettando
di rinunciare al progetto di unione con Siria, Giordania e Palestina per la
creazione della “Grande Siria”, avevano di conseguenza accettato di accantonare
2
Corm G., The lost Development: Studies in the Arab Cultural and Developmental Crises, At-
Tali‘a Press, Beirut, 1981, pag. 9.
3
Dopo l’accordo segreto per la spartizione del Medioriente di Sykes – Picot, siglato nel 1916 da
Mark Sykes per conto della Gran Bretagna e da Francois Georges-Picot per conto della Francia,
l’amministrazione delle vilayet (provincia ottomana) di Beirut e Damasco fu affidata ai francesi. In
questa situazione l’influenza occidentale divenne man mano più forte portando al trionfo dei
gruppi cristiani e alla costituzione, dopo la prima guerra mondiale, il 1° novembre 1920, dello
Stato del Grande Libano sotto mandato francese. Questo nuovo Stato comprendeva anche una
parte della costa con Tripoli, Sidone e Tiro, e aveva come capitale Beirut. Così, da un giorno
all’altro, la superficie del Libano passò da 4.500 a 10.400 chilometri quadrati. L’aggiunta dei
nuovi territori era destinata a sorreggere l’economia libanese, ma in tal modo la maggioranza
cristiana del Piccolo Libano era fortemente ridimensionata. Così, nonostante la presenza francese
stimolasse lo sviluppo economico e quello culturale, dure lotte politiche iniziarono a dividere drusi
e maroniti. Inoltre, il nuovo assetto territoriale fece comparire una comunità fino ad allora quasi
inesistente in Libano: gli shiiti. Si trattava di un gruppo di contadini poveri cacciati dalle montagne
dai drusi, che si erano riversati nella valle della Bekaa, ma il loro peso demografico ormai li
imponeva come terza comunità del Paese, e presto avrebbero fatto sentire la loro presenza. Nel
1936 un accordo franco-libanese dichiarava scaduto il mandato della Francia sul Libano e
successivamente, nel 1943, venne sancita la completa indipendenza del Paese con la creazione
della Repubblica Libanese.
11
il sogno di una “grande Nazione Araba Unita”. Allo stesso modo i cristiani
avevano accettato di allentare le proprie relazioni con l’occidente, in particolar
modo con la Francia, mettendo da parte in questo modo la speranza di un’apertura
del Paese verso l’ovest. Il problema non era rappresentato solo dal fatto che
nessuna delle due parti era disposta a rinunciare completamente ai propri progetti:
il problema risiedeva nel fatto che questo compromesso era basato sulla negazione
di due volontà e di due ideologie ben distinte. E la negazione delle proprie idee e
delle proprie aspirazioni certamente non portava alla creazione di un’identità
nazionale. “Creare un Paese era una cosa, creare una nazionalità un’altra”
4
. Non
c’era dubbio per i maroniti
5
e gli altri cristiani che i libanesi fossero libanesi e
basta, così come i siriani erano siriani o i giordani erano giordani e così via. Ma se
i siriani, i giordani o altri si sentivano “arabi”, questo non doveva accadere per i
libanesi. I libanesi rimanevano libanesi, nonostante avessero in comune la lingua
con le altre popolazioni arabe. Si dichiararono discendenti dei fenici, e sentivano
che il loro patrimonio culturale era fortemente “mediterraneo”, intriso di cultura
greca e romana. Ma ovviamente non tutta la popolazione la pensava come i
maroniti. Dopotutto non si poteva negare che il Libano, come entità politica, fosse
uguale agli altri nuovi Paesi arabi, sotto mandato inglese o francese.
4
Salibi K., A house of many mansions. The history of Lebanon reconsidered, University of
California Press, Los Angeles, 1988, pag. 19.
5
Seguaci un tempo dell’eresia monotelita, i maroniti fecero la loro comparsa nel V° sec. quando si
schierarono contro l’ortodossia bizantina. Furono integrati dalla Chiesa Cattolica attorno al XII°
sec.
12
A causa della fragilità di questo compromesso gli avvenimenti
precipitarono nel 1958: il 9 maggio di quell’anno scoppiò una rivolta ispirata dai
drusi di Kamāl JumbulāÓ
6
e dai loro alleati sunniti. Con l’aiuto di alcune potenze
arabe, queste “sinistre”
7
ispirate dell’unificazione di Egitto e Siria premettero
affinché il Libano diventasse parte di una “nuova” Repubblica Araba Unita.
L’allora Presidente Sham‘ūn
8
, cristiano e filo occidentale, richiese formalmente
l’intervento degli Stati Uniti i quali, accorgendosi che il generale dell’esercito
libanese aveva disobbedito all’ordine di Sham‘ūn di mandare i suoi uomini contro
i ribelli e temendo di conseguenza una possibile affermazione vittoriosa delle
sinistre, inviarono un corpo di spedizione di marines
9
a difesa dell’autorità
libanese.
Questa rivolta, che aveva messo di fronte i partigiani e gli oppositori della
Repubblica Araba Unita, era il primo sintomo evidente del malcontento che
aleggiava tra le diverse comunità, stanche di un compromesso che negava le loro
identità.
“Il Libano era tutto, fuorché un Paese”
10
. Paradossalmente né cristiani, né
musulmani avevano mai mostrato una profonda conoscenza circa un’identità
comune. Non l’avevano fatto nel 1920, quando il Paese aveva preso forma sotto
mandato francese, ed era stato accolto in modo entusiasta dai cristiani mentre era
6
Membro di un’importante famiglia della feudalità drusa, filosofo e letterato, fu il fondatore del
Partito Socialista Progressista. A questo titolo prese la testa dell’opposizione contro Sham‘ūn,
allora Presidente del Libano, nel 1958 e si impegnò nella guerra civile del 1975. Dopo il suo
assassinio il figlio Walīd gli succederà nella più pura tradizione feudale.
7
Nell’ambito della politica libanese, la “sinistra” ha sempre sostenuto l’ideale di una sola nazione
araba unita e ha sempre combattuto per la causa palestinese, mentre la “destra” rappresenta la
volontà di un’apertura verso l’occidente. Per questo motivo la “sinistra” viene solitamente
accomunata ai musulmani mentre la “destra” ai cristiani.
8
Eletto Presidente nel 1952, dopo il colpo di stato militare che aveva coinvolto il primo Presidente
della Repubblica Libanese B. al Khūrī e i capi dell’opposizione, promosse varie riforme
amministrative e un riordinamento costituzionale, tentando di spezzare con la nuova legge il
predominio politico dei grossi proprietari feudali che sostenevano il vecchi regime. In questo
modo, in sostanza, scelse il legame con l’occidente anziché il panarabismo.
9
Vennero mandati circa 5000 marines a difesa dell’autorità libanese. Lo scontro fu cruento: si
contarono quasi 4000 vittime.
10
Salibi K., op. cit., pag. 2.
13
subito stato ostacolato dai musulmani; non l’avevano fatto nel 1958 quando il
Libano, formalmente, era diventato una Repubblica indipendente. Il problema era
fondamentalmente sempre il medesimo: i cristiani tendevano ad “identificarsi”
con il Libano, creando un’immagine del Paese che fosse conforme alle proprie
tradizioni, mentre i musulmani tendevano a rifiutare questa idea di “nazione”
indipendente dalle altre “nazioni” arabe, e continuavano a fomentare il mito del
panarabismo. Tuttavia a questo si aggiunse un’ulteriore problema, rappresentato
dalla resistenza palestinese e dal suo “diritto” di operare in Libano e dal Libano
“come uno stato nello stato”
11
. I musulmani vedevano in questa alleanza con i
palestinesi la loro occasione storica di uscire dallo stato di subordinazione per
imporre al Paese un indirizzo politico più aperto e progressista. Dal canto loro i
cristiani diventarono sempre più insofferenti nei confronti dei palestinesi non solo
perché la loro presenza motivava violente rappresaglie israeliane
12
, ma anche
perché essi rappresentavano un fattore di turbamento sociale, compromettendo
l’immagine di un Libano liberista e filo occidentale, aperto al commercio e
all’afflusso di capitali stranieri.
“Le contraddizioni e la particolarità della società libanese, si sono riversate
sui media rendendoli schizofrenici e disorientati. La frammentazione della società
ha contribuito a disorientare i propri media e a sua volta, il disorientamento dei
media ha contribuito alla frammentazione della società.”
13
11
Ibid.
12
Il 28 dicembre 1968 ci fu una rappresaglia israeliana che gli storici indicano come una delle più
violente. A seguito di un attentato palestinese ai danni di un aereo israeliano ad Atene, l’aviazione
israeliana effettuò una violentissima controffensiva radendo quasi al suolo l’aeroporto di Beirut.
Questo fatto provocò una profonda lacerazione all’interno del Paese sulla questione dell’appoggio
alla resistenza palestinese, ed ebbe come conseguenza la caduta del governo di Al Yāfī. La sinistra
premeva affinché ci si assumesse un forte impegno libanese in senso panarabista, mentre l’alleanza
delle destre proponeva un’ulteriore neutralizzazione del Libano rispetto all’antagonismo arabo
israeliano mediante la tutela dell’ONU.
13
Dajani N., Disoriented Media in a Fragmented Society: the Libanese Experience, American
University of Beirut, Beirut, 1992, pag. 9.
14
Dalla società al cinema.
“Le scelte inconsce compiute dal cinema libanese nella sua storia
corrispondono all’evoluzione delle ideologie sociali nel Paese”
14
Anche il cinema del Libano, specchio della società e della cultura,
sembrava direttamente coinvolto nell’eterna questione dell’identità così come da
altri sconcertanti interrogativi, quali il significato che stava alla base delle scelte
dei registi, della lingua utilizzata nei diversi film o del modo in cui la realtà
sociale potesse riflettersi nei medesimi. La questione era scoprire cosa, in pratica,
il cinema libanese, consciamente o inconsciamente, poteva rivelare circa il
contesto socioculturale del suo Paese; e di conseguenza osservare come il riflesso
di questa società così insicura e frammentata poteva dare adito ad un’identità
cinematografica.
Esisteva inoltre un ulteriore problema circa l’identità del cinema libanese,
che prescindeva dai contenuti dei film
15
. L’avventura del cinema libanese era stato
concepita e prodotta da stranieri, da individui che per i più svariati motivi
risiedevano nel Paese all’epoca. Analizzando gli inizi di quasi tutte le
cinematografie arabe, ci si accorge che esse sono nate grazie al contributo di
persone appartenenti a minoranze straniere. I motivi erano svariati: innanzitutto il
cinema era una forma artistica nuova, nata in un contesto straniero e basata
sull’immagine che, come è noto, era malvista dall’ideologia religiosa dominante
nel periodo in cui l’impero Ottomano volgeva a termine. Inoltre il cinema
richiedeva attrezzature tecniche e scientifiche alle quali potevano avere accesso
solo gli appartenenti delle minoranze straniere. Infine la recitazione, all’epoca, era
14
Al-‘Arīs I., “An attempt at reading the history of cinema in Lebanon: from cinema to society and
vice versa”, in Screens of life. Critical film from the arab world, World Heritage Press, Quebec,
1996, pag. 22.
15
Azār H., Milaf as-sīnimā al-lubnāniyya, Al-lawā’, Beirut, 1978, cap. I.
15
ancora vista con “sospetto”, ed era considerata estranea ad un “comportamento
sociale accettabile”. Tuttavia era consentita agli stranieri.
16
I primi due film prodotti in Libano
17
, ovvero Mughāmarāt Ilyās Mabrūk
(Le avventure di Ilyās Mabrūk) nel 1929 e Mughāmarāt Abū al-‘Abd (Le
avventure di Abū al ‘Abd) nel 1931, erano opera di un regista dilettante di origine
italiana, Giordano Pedotti.
Nonostante l’origine straniera del regista di questi due film, la storia
cinematografica attribuisce loro il titolo di “pellicole libanesi”, in quanto furono le
prime due pellicole che diedero vita alla “nascita formale”
18
del cinema in Libano,
dal momento che la seconda apparteneva alla produzione libanese. Alcuni critici
19
sostengono che l’equivalente di questa “nascita formale” del cinema in Libano fu
la “nascita reale” completata ad opera del regista libanese ‘Alī al ‘Arīs e
rappresentata dal suo primo film Bā’i‘at al-ward (La fioraia), che egli realizzò nel
1943.
20
Una parte della critica, tuttavia, tentò di privare Giordano Pedotti della
paternità del cinema libanese, nonostante la maggior parte degli studiosi gli
riconoscesse la medesima. I motivi erano svariati: il più semplice, e logico,
riguardava l’origine italiana del regista. Inoltre, come sostiene Muammad
Suwayd
21
, la maggior parte degli storici del cinema non aveva mai riconosciuto a
Pedotti lo status d’artista in quanto lavorava come autista presso una famiglia
aristocratica
22
di Beirut. Sull’attività cinematografica di Pedotti pesavano anche
16
Ad esempio, per un lungo periodo in Egitto a calcare le scene erano solo gli shwams (siriani e
libanesi), gli “ebrei” e “altri stranieri residenti”. Anche il cinema seguì la medesima prassi.
17
Il critico Jān al Kasān nel suo libro As-sīnimā fī al waÓan al-arabiyya indica Qubla fī aÑ-Ñahrā’
(Bacio nel deserto) dell’ egiziano Ibrāhīm Lāmā come primo film prodotto nel mondo arabo.
18
Indicata dai critici come al-wilādat ar-rasmiyya (nascita formale) completata da al-wilādat al-
aqīqiyya (nascita reale).
19
Tra cui Nadīm Jarjūra nel fascicolo Tārīkh as-sīnimā al-lubnāniyya.
20
Al-‘Arīs I., “Masīrat al-fīlm al-lubnānī”, in Abwāb, vol. X, 1976.
21
Suwayd M., As-sīnima al-mu’ajjala , Mu’assasat al-abāth al-‘arabiyya, Beirut, 1986.
22
Nadīm Jarjūra indica la famiglia Sursuq.
16
pregiudizi etnico confessionali, gli stessi pregiudizi che avevano impregnato
l’ambiente cinematografico fin dalle origini e che rispecchiavano le lacerazioni
insite nel Paese
23
.
Per ribadire la legittimità del lavoro di Pedotti, Muammad Suwayd
affermò inoltre che “la storia del cinema in Libano iniziò addirittura prima del
1929, attraverso degli esperimenti che Pedotti condusse agli inizi della Prima
Guerra Mondiale (1914-1918); […] questa affermazione non potrà sollevare né
oggi né domani problemi di datazione inerenti a come iniziò il cinema e per
mezzo di chi; è chiaro che la storia ricorrerà sempre a Giordano Pedotti, sia
nell’anno 1929 sia nel 1931”.
24
Anche la terza pellicola “libanese”, Bayn Hayākil Ba‘albak (Tra i
templi di Ba‘albak), fu realizzata da un italiano, Giulio De Luca nel 1934.
25
Questi tre film non si ponevano il problema dell’arabismo del Libano o
della sua identità
26
: erano film di intrattenimento, girati sul modello del cinema
d’avventura americano, ed avevano come scopo primario quello di lanciare
un’industria cinematografica libanese. Erano storie di immigrati o storie
d’amore, in cui il Libano era semplicemente un punto d’arrivo o di incontro,
scenario di storie completamente estranee alle dinamiche sociali del Paese.
Erano tuttavia dei tentativi isolati, frutto di progetti personali, che non
diedero vita ad un vero e proprio movimento cinematografico
27
.
23
NaÑrī ‘A., “Sā’iq Óulyānī Ñana‘a as-sīnimā al-lubnāniyya”, in Al-Afkār, n° 646, dicembre 1994.
24
Suwayd M., op. cit., pag 11.
25
Questo film era basato su un racconto dello scrittore libanese Al-Bustānī. Era la storia di un
amore impossibile tra una viaggiatrice straniera ed un principe arabo.
26
Alcuni critici hanno notato una sorta di equilibrio non intenzionale nei due film di Pedotti, come
appare evidente nei titoli: il primo riporta il nome di Ilyās, di evidente origine cristiana, mentre nel
secondo appare il nome di Abū al-‘Abd, di origine musulmana.
27
Ibrāhīm al-‘Arīs ricorda che questo atteggiamento produttivo si ritrova in quasi tutti i film girati
successivamente nel Paese: questo ha impedito fino ai giorni nostri che in Libano si formasse una
“scuola” cinematografica.
17
Come ho accennato in precedenza, la “nascita reale” del cinema
libanese si deve all’artista ‘Alī al-‘Arīs. Egli aveva vissuto per lungo tempo in
Egitto dove aveva visto fiorire l’industria cinematografica e quando tornò in
Libano, portò con sé il “sogno” di un cinema libanese, la cui eredità non poteva
che essere quella egiziana. Nel suo primo film già citato Bā’i‘at al-ward
28
, Al-
‘Arīs utilizzò il dialetto egiziano, non solo perché era l’unico dialetto usato dal
cinema arabo in quel periodo, ma anche perché era il solo che garantisse un
vasto pubblico. Tuttavia c’era un ulteriore motivo. Il critico libanese Ibrāhīm al-
‘Arīs
29
infatti sostiene che ‘Alī al-‘Arīs, musulmano originario di Beirut, come
molto suoi concittadini dell’epoca, osservasse attonito e dubbioso i confini
politici che separavano il Libano da Palestina, Egitto e Siria e si chiedesse di
conseguenza quali fossero il significato sia dell’entità libanese sia quello di una
città piena di contraddizioni come Beirut. “La capitale significava molto, ma il
Libano era soltanto un’entità temporanea a cui adattarsi fino alla creazione
dell’unità araba tanto auspicata. Era stata la politica a tracciare quelle ingiuste
barriere geografiche, e l’arte doveva evitare di cadere nella medesima trappola.
L’arte avrebbe dovuto seguire le dinamiche della regione; quindi se il cinema
arabo dominante era quello egiziano, non doveva esserci nessun problema nel
girare film libanesi dove si parlasse l’egiziano”
30
.
Le scelte di ‘Alī al-‘Arīs erano chiare, dettate dai suoi sentimenti inclini
all’arabismo, che lasciavano poco spazio alla considerazione, o all’accettazione,
di un’identità libanese. “Senza troppa premeditazione ideologica egli formò
nuove leve di registi e stabilì una pratica cinematografica che si conformava al
rifiuto implicito da parte dei musulmani libanesi, soprattutto di quelli risedenti
nelle comunità inurbate, dell’idea stessa di Libano”
31
.
28
Realizzato nel 1943.
29
Figlio di ‘Alī al-‘Arīs.
30
Al-‘Arīs I., “Masīrat al-fīlm al-lubnānī”, in Abwāb, vol. X, 1976.
31
Ibid.