CAPITOLO 1
IL CINEMA PER L'EDUCAZIONE IN ITALIA:
UNA PROSPETTIVA STORICA
1.1 Dal cinema educativo alla didattica del cinema
Il cinema e il medium che maggiormente ha inciso sull'immaginario individuale e
collettivo della cultura occidentale, innescando effetti dirompenti sulla società e sul
vissuto degli uomini dell'età contemporanea (Casetti 2007).
Come il resto delle tecnologie di comunicazione, anche il cinema mutua le sue
caratteristiche peculiari dalle tecnologie preesistenti: fotografia (e ancor prima pittura) e
teatro (modellizzazione della letteratura). Da questa duplice origine si può in qualche
modo ricondurre la dicotomia che ha animato la discussione teorica sul cinema delle
origini, individuando una doppia paternità per l'invenzione cinematografica: da un lato i
fratelli Lumiere, padri del documentario nonché inventori
1
, dall'altro Mélies, padre del
cinema di finzione. Mentre i Lumiere trasferiscono sullo schermo la vita quotidiana,
comune, familiare, presentando al pubblico lo "spettacolo della realtà", per Mélies
l'attività cinematografica si pone come continuazione di quella teatrale, intendendo i
suoi film come veri e propri spettacoli, dove la messinscena si avvale di trucchi di ogni
tipo, antesignani degli odierni effetti speciali (Angrisani, Marone, Tuozzi 2001).
Questa distinzione tra l'istanza referenziale-documentaristica dei primi e l'istanza
poetico-spettacolare del secondo, diede la percezione di una duplice potenzialità del
medium, capace da un lato di fungere da mero supporto obiettivo, apparentemente
neutrale rispetto al suo referente, e dall'altro di essere soggetto produttore di finzioni,
storie e nuovi mondi. Così nei primi anni del secolo scorso, proprio per la sua valenza
artistica ed espressiva, il cinematografo si svincola dall'essere considerato solo tecnica
1. La prima proiezione avvenne il 28 dicembre 1895 a Parigi, in una sala del Boulevard des Capucines,
dove fu mostrato il primo “film” dei Lumiere: L'uscita dalle officine Lumière a Lyon-Montplaisir.
7
annoverandosi come settima arte
2
, una forma d'arte peculiare, in grado di racchiudere in
sé tutte le arti, dando vita ad un sistema artistico complesso, polilinguistico e quindi
polilogico (Angrisani, Marone, Tuozzi 2001, p. 58).
Le scuole, grazie a dispositivi come la lanterna magica, già a partire dal XVII secolo
potevano usare le immagini in movimento non solo per il divertimento ma anche come
sussidio didattico. Nonostante questo, l'avvento del cinema generò molta
preoccupazione tra gli insegnanti e i pedagogisti dell'epoca. Essi lo ritenevano uno
strumento negativo che rischiava di turbare le classi e introdurre agitazione nei discenti.
La concezione moralistica e puritana del rigore scolastico e della prassi didattica dei
primi del Novecento, fece sì che il dibattito sulle funzioni pedagogiche del cinema e sul
suo possibile utilizzo didattico si sviluppasse esclusivamente sul piano della legittimità
morale e degli effetti indotti sui giovani spettatori, a prescindere dall'effettiva
conoscenza dell'oggetto film e dei suoi codici di rappresentazione. Tale preoccupazione
sulle conseguenze indotte dalla visione, non riguardava solamente la fazione dei
"censori", ovvero di coloro che vedevano il cinema come un pericoloso mezzo di
corruzione e strumentalizzazione degli spettatori, ma anche la corrente degli "entusiasti"
secondo i quali la nuova arte rappresentava il linguaggio del futuro e doveva
immediatamente varcare le soglie delle aule scolastiche (Marangi 2004).
Proprio questi ultimi consideravano il cinema come linguaggio di immagini per
eccellenza, un nuovo strumento in grado di soddisfare quel principio comeniano di
collegare il sapere alla realtà, le parole alle cose, avvalendosi delle immagini
3
.
Sebbene non mancassero pareri favorevoli
4
all'introduzione del cinematografo nella
scuola, per oltre mezzo secolo, almeno fino alla Seconda guerra mondiale, la scuola ha
tendenzialmente mantenuto un atteggiamento di diffidenza e conseguente rifiuto di esso,
relegandolo a semplice attività ricreativa da vivere fuori dai programmi e dall'orario
2. Secondo la definizione coniata dal critico Ricciotto Canudo nel 1921, quando pubblicò il manifesto
La nascita della settima arte. Riportata in SADOUL Georges (1949), Histoire d'un art le cinéma. Des
origines à nos jours, Ernest Flammarion, Parigi, trad. it. Storia del cinema mondiale. Dalle origini ai
nostri giorni, Feltrinelli, Milano, 1964.
3. GAY Rita, Comenio pedagogista, «Jan Amos Komenský (1592-1670), teologo e pedagogista»,
Relazione tenuta il 13 ottobre 2001, p. 8. Nelle prime pagine dell'Orbis sensualium pictus, Comenio
presenta un alfabetiere che costituisce un perfetto esempio di ciò che oggi chiameremmo multimedialità.
4. Sono esemplari le parole favorevoli del grande inventore Thomas Alva Edison, che nel 1913 evocò
uno scenario che probabilmente all'epoca molti avranno bollato come visionario o delirante: «Io vorrei
che nella scuola si facesse a meno dei libri. Quando avranno il cinematografo nella scuola, il fanciullo vi
si divertirà tanto che sarà al suo posto prima che suoni la campana perché l'occhio e il veicolo naturale
delle cognizioni». Affermazione riportata da «La vita cinematografica», IV (1913).
8
scolastico.
Nel 1938, con il DL n. 1780, il ministro dell'Educazione nazionale Giuseppe Bottai
fonda la Cineteca autonoma per la cinematografia scolastica, affidata all’Istituto LUCE,
con lo scopo di dotare le scuole del regno di proiettori e di film appositamente prodotti o
acquistati a scopi didattici
5
.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, il cinema, a fronte dell'utilizzo che ne
fecero i fascisti a fine propagandistico, nonché il controllo esercitato dalle forze di
occupazione anglo-americane, rivelò tutta la sua portata pedagogica.
Di fronte alla sua espansione e crescita come fonte di cultura alternativa e
concorrenziale i pedagogisti scoprirono quanto la psicotecnologia del cinema fosse
causa di condizionamento sociale, politico e culturale (Rizzo 2014, p. 13). Iniziarono
così le prime indagini fisiologiche, neuropsichiatriche (di ispirazione positivista) e
psicologiche (di taglio comportamentistico) per cercare di comprendere in che modo la
visione cinematografica potesse influire sull'apprendimento, sui comportamenti e sulla
crescita dei fanciulli
6
. Si cercava di indagare l'impatto dei film in relazione agli effetti
che essi provocavano sia a livello fisiologico (variazione del ritmo respiratorio,
coinvolgimento del riflesso fotomotore e del regime cinetico dell'occhio), sia a livello
psicologico (condizione ipnoide od onirica, riduzione dei meccanismi di controllo,
attivazione dei processi di proiezione e identificazione).
Ma nonostante il tentativo di alcuni pedagogisti, come Raffaele Laporta, di
ridimensionare le preoccupazioni della comunità, rispetto all'influenza che il film
potesse avere sulle coscienze dei giovani spettatori, poiché i contenuti del film «non si
stabilizzano da soli nella coscienza, e quindi nelle condotte dei soggetti immaturi»
(Laporta 1957, p. 110), in un'Italia da poco uscita dal tremendo conflitto mondiale «il
cinema sembrò allora il capro espiatorio ideale e fu appunto il cinema a essere messo
5. PIETRAFESA Maria, Guida agli archivi della Cineteca Lucana, «Archivi della Cineteca Lucana»,
Ottobre 2012, p. 15.
6. Fin dall'immediato dopoguerra centinaia di pubblicazioni e di studi vengono dedicati all'analisi
sperimentale dell'influenza della proiezione cinematografica sulla psiche dei giovani, a cominciare
dall'esperimento nel laboratorio di Piaget a Ginevra condotto sul film Nanuk l'eschimese (1922) di Robert
J. Flaherty, dalle due psicologhe Ada Albertelli e Pia Caruso nel 1949, fino agli esperimenti della scuola
di Cesare Musatti e del R. P. Agostino Gemelli pubblicati sulle pagine di IKON (nuovo nome della Revue
Intemationale de Filmologie), passando poi dalle ricerche, sempre nel campo della psicologia
sperimentale, di Evelina Tarroni e di Enrico Fulchignoni, per finire con le pubblicazioni dell'UNESCO
che riportavano le ambasce di tutta Europa riguardo la pericolosità del cinema spettacolare (Rizzo 2014,
pp. 16-17).
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sul banco degli imputati come il maggior colpevole della delinquenza minorile»
(Tarroni 1970, p. 6). Soprattutto quel cinema, come diremmo oggi, di fiction, nella
“versione Mélies”, appariva come una forma di manipolazione ipnoide che lasciava il
soggetto in completa balìa delle immagini, divenendo possibile causa di disturbi mentali
e di devianza
7
. Inoltre la maggior parte delle scuole italiane, ancora ispirate dal
conservatorismo gentiliano, della superiorità dell'atto educativo, della centralità della
vocazione pedagogica dell'insegnante e della valorizzazione degli strumenti didattici
classici, mettevano in secondo piano qualsiasi innovazione tecnica e qualsiasi
distanziamento tecnologico tra insegnante e discente.
Ma se il cinema spettacolare, quello dei divi e del conformismo commercializzato era
bandito dalla scuola e dalla sfera del sapere, venendo bollato come pericoloso o
quantomeno considerato un futile svago, riuscì invece a fare il suo ingresso nelle scuole
il cinema nella “versione Lumiere”, quel cinema concepito come spiegazione della
realtà e che poteva dare agli studenti la possibilità di fare esperienza di luoghi e
situazioni altrimenti difficilmente raggiungibili: si trattava di documentari e filmati
illustrativi utilizzati in classe solamente come veicolo di nozioni scientifiche e
ideologiche.
Per tutti gli anni Cinquanta il cinema assume un ruolo di sussidio didattico a
disposizione dell'insegnante nell'attività scolastica. La sussidiarietà del cinema come
mezzo strumentale per facilitare la didattica di diverse discipline appare quindi come il
carattere fondante di un uso scolastico del nuovo medium che presto verrà formalizzato
specificamente come cinema scolastico o educativo
8
.
Sulla base della distinzione fiction/documentario, la pedagogia escogita il modo per
addomesticare il cinema attraverso la produzione di film educativi e didattici: strumenti
7. Erano tanti all'epoca a ritenere il cinema una distrazione onirica, ipnoide e “irrazionale”. Luigi
Volpicelli arriverà a dire che «il cinematografo e sopraggiunto a sommuovere e sbrigliare l'irrazionale, la
passione, il fondamento patico ed emotivo della nostra natura animale [...] e per questo e sommamente
pericoloso» (Volpicelli Luigi, Pregiudiziali sul cinema e l'educazione, «Bianco e Nero», IX (1949), pp.
208-210). La stessa “irrazionalità” che solo un anno più tardi assumerà connotazioni positive: «il cinema
ha abolito la necessità della mediazione, permettendo alle forze profonde dell'istinto e del sentimento di
giungere alla superficie e di comunicare con l'esterno nella loro intatta purezza» (Di Giammatteo
Fernaldo, Significato e conseguenze del linguaggio cinematografico, «Bianco e Nero», III (1950)). Infine,
Baldelli, nel 1953, rimprovererà sia a Volpicelli che a Di Giammatteo di avere confuso il medium Cinema
con l'espressione presunta “irrazionale” (Rizzo 2014).
8. Da notare che la Francia anticipa l'Italia di un ventennio, rappresentando un caso significativo in
relazione alla precocità e alla capillarità della diffusione del cinema come strumento didattico. La stessa
nozione di cinema scolastico e una traduzione di «cinématographe d'enseignement» coniata da Michel
Coissac nel suo manuale pratico del 1926 (Coissac 1926).
10
audiovisivi che illustrano, attraverso immagini e suoni, ciò che fino a poco tempo prima
l'insegnante poteva spiegare soltanto a voce (Angrisani, Marone, Tuozzi 2001).
Nonostante non mancassero, già a partire dalla fine degli anni Quaranta, discussioni
critiche riguardo l'uso del film didattico
9
, per tutti gli anni Cinquanta e inizi anni
Sessanta, verrà conservata una grande fiducia da parte delle istituzioni nelle possibilità
pedagogiche di tali film.
Solo con gli anni Sessanta alcuni pedagogisti più coraggiosi (come Volpicelli, Flores
D'Arcais, Laporta, Baldelli e Tarroni), hanno cercato, in maniera diversa, di superare
quella che potremmo chiamare la corrente sussidiaria, che appunto riduceva il cinema a
sussidio didattico; non solo cominciando a "sperimentare" l'uso del cinema
commerciale-spettacolare all'interno dei percorsi educativi, ma anche incominciandosi
ad interrogare sul cinema come linguaggio
10
e sul valore del film come oggetto di studio
in sé, con una propria dignità ed autonomia, senza doverne concepire necessariamente
un uso a fini pedagogici o moralizzatori
11
.
Un tentativo di sistematizzazione della materia avviene a Capri nel 1963, durante la
Rassegna del Film didattico nazionale. Dai lavori presentati alla rassegna emergono due
categorie di film didattici:
a) Film di contenuto strettamente tecnico che si propongono di illustrare visivamente cose e
procedimenti nel dominio delle discipline scientifiche o delle applicazioni tecniche.
b) Film di contenuto estetico, storico e scientifico, che siano particolarmente idonei alla
formazione intellettuale e culturale. Tutti film qualificati come didattici debbono essere
funzionali all'insegnamento
12
.
Questa seconda categoria non poteva che aprire il dibattito su quali fossero i criteri e
9. Ricordiamo a titolo di esempio il contributo di Evelina Tarroni Il problema del film didattico, in
«Bianco e Nero. Mensile di studi cinematografici e dello spettacolo», II (1948), p. 37.
10. Già Laporta nel 1957 sente l'esigenza di guardare al cinema come "cinelinguaggio", ovvero come
un sistema di segni afferenti a codici non riconducibili al linguaggio verbale, ma dotati ugualmente di
regole attraverso le quali vengono costruiti significati (Angrisani, Marone, Tuozzi 2001).
11. Sebbene non riguardasse direttamente l'ambito scolastico, la prima Conferenza internazionale di
Amsterdam sull'educazione cinematografica della gioventù, svoltasi nel novembre del 1957, rappresentò
un passo decisivo. Dal programma della conferenza emergono i primi obiettivi prioritari cui mira questa
educazione diretta ai più giovani: assicurare una migliore comprensione del linguaggio cinematografico;
permettere un pieno apprezzamento estetico del film; sviluppare un senso critico che permetta di situare i
valori e le attitudini proposte dal cinema. Il resoconto della conferenza e riportato in «Image et son», CIX,
(1958).
12. Il resoconto della Rassegna e riportato in «Scuola e cultura nel mondo», XXIX-XXX (1963).
11
i limiti che definiscono e separano il cinema per la scuola dal cinema in generale,
alimentando un crescente dubbio sulla presunta “oggettività” dei film documentari e
illustrativi appartenenti alla prima categoria.
L'originaria opposizione Lumiere/Mélies inizia a vacillare, aprendo la riflessione
pedagogica sulla natura linguistica del cinema, non più visto semplicemente come
mezzo tecnico, ma come un linguaggio che in quanto tale non può restituire la realtà
così com'e, ma nel ri-produrla esso la media, nel senso che la trasforma in qualcosa di
altro
13
.
Oltre alla celebre frase «Il Medium e il messaggio», McLuhan affermava nel 1969:
«I nuovi media non sono ponti tra l'uomo e la natura; sono la natura»; e ancora: «I nuovi
media non sono un modo per metterci in relazione con il vecchio mondo “reale”; sono il
mondo reale e riformano a loro piacere ciò che rimane del vecchio mondo» (McLuhan
1998). Una provocazione che lascia intendere come il cinema non solo non abbia nulla
di didatticamente oggettivo, in quanto la realtà che mostra e profondamente alterata dal
mezzo cinematografico, ma come esso sia un potente mezzo trasformativo e generativo,
in grado di influenzare i nostri processi interpretativi della realtà, garantendo
un'esperienza attiva di formazione.
In sostanza gli spettatori, sia che vedano un documentario che un film di finzione,
vivono emotivamente ciò che avviene sullo schermo e non ne mettono in dubbio la
comune natura, perché l'emozione che provano o l'illusione che subiscono, garantiscono
della sua particolare realtà: «il risultato, per l'emozione dello spettatore, non cambia:
sono immagini irreali che sembrano vere» (Di Giammatteo 2002, p. 24).
Pio Baldelli già nel 1953 suggeriva l'uso del film spettacolare per animare il dibattito,
la scoperta, la sorpresa, l'elevazione degli alunni sulla vetta degli spettatori illuminati e
capaci di discrimine, in contrasto con la mortificazione delle menti giovanili dovuta
dalla «poca vitalità della scuola, chiusa nella sua pedanteria lezionaristica, appesantita
dalla palla di piombo dello scrupolo enciclopedistico»
14
.
Inoltre, la pedagogia non può più evitare di prendere atto che il cinema di fiction, il
13. In riferimento a questa opposizione Fernando Di Giammatteo scrive: «Si e voluta vedere una
divergenza fra un avvenimento immaginario e un avvenimento reale quando siamo sottoposti alla ripresa
cinematografica. Questo sarebbe il fosso che separa Mélies l'illusionista, dai Lumiere gli osservatori. Il
ragionevole pregiudizio ha resistito a lungo. [...] Solo negli anni Sessanta e Settanta del secolo nostro le
cose hanno cominciato a chiarirsi» (Di Giammatteo 2002, p. 24).
14. BALDELLI Pio, Teoria e pratica del cinema nella scuola, «Rivista del cinema italiano», IV-V
(1953), p. 27.
12
Cinema, e un fenomeno diffuso, un fatto sociale e dunque culturale, presente nella vita
quotidiana dei giovani e nel loro (e nostro) immaginario.
A tal proposito, sempre nel 1953, Giuseppe Flores D'Arcais
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considerava il cinema
non solo specchio dei tempi dunque, ma reale contenitore della realtà delle cose e dei
rapporti tra gli uomini, non solo espressione della civiltà ma anche esperienza stessa di
vita (Flores D'Arcais 1953).
Il film didattico, il concept-film, il cine-documentario cadrà in disuso nel giro di
pochi anni.
Incide senz'altro su questa progressiva trasformazione del rapporto tra pedagogia e
media audiovisivi, il cambiamento di paradigma negli studi massmediologici, dove
lentamente si fa strada un modello teorico che legge gli effetti dei media non più come
manipolazione del comportamento o persuasione rispetto agli atteggiamenti, ma come
influenza che si determina attraverso un processo graduale continuativo nel quale
interagiscono fattori individuali e sociali, e che implica una partecipazione attiva del
soggetto alla costruzione dei significati dei messaggi (Angrisani, Marone, Tuozzi 2001).
Ci troviamo di fronte ad un contesto sociale rinnovato, che però non riesce a tenere a
bada le ambasce tradizionali sull'influenza negativa del cinema sulla mente dei giovani;
preoccupazioni che rimarranno comunque una costante nel corso dei decenni, specie in
ambito degli organismi cinematografici di area cattolica, in cui viene auspicato lo
sviluppo di un'educazione ai linguaggi dei media più diffusi (cinema, radio e
televisione) con l'obiettivo di salvaguardare la rettitudine delle coscienze degli
spettatori
16
.
Il panorama negli anni Sessanta appare molto frastagliato, con diverse tendenze che
danno vita a percorsi didattici ed esiti di ricerca assolutamente eterogenei.
Bassoli e Ghirardini, nel 1963, fanno notare come gli insegnanti fossero molto spesso
poco preparati e avessero una cultura cinematografica molto al di sotto dello spettatore
medio, poiché per loro il cinema era un fatto generalmente privo di interesse e al quale
non credevano di dover prestare molta attenzione, se non addirittura visto, appunto,
come pericoloso. Tuttavia, scrivono Bassoli e Ghirardini, «non sarà inutile riconoscere
che, nell'avversione o nell'indifferenza che una parte notevolissima del corpo docente ha
15. Giuseppe Flores D'Arcais, pedagogista italiano cattolico, e stato il fondatore della cosiddetta scuola
pedagogica personalista di Padova.
16. Tratta dalla lettera enciclica di Pio XII «Miranda prorsus» del 1957.
13
per il cinema, si devono riscontrare i sintomi della diffidenza che la nostra scuola ha per
tutto quanto e nuovo» (Bassoli, Ghirardini 1963, p. 6).
Così se inizialmente l'istituzione scolastica si e sforzata di delegare il cinema alla
periferia del sistema, in cineclub parascolastici o direttamente sul territorio, a partire
dagli anni Sessanta, la difficoltà di applicare il modello della discussione in sala dopo la
visione con gli studenti, favorisce la nascita delle prime sperimentazioni di educazione
al cinema nella scuola, importando modelli didattici già in uso nelle scuole francesi. Il
dibattito lascia spazio a schede didattiche attraverso le quali il discente viene condotto a
ricostruire la struttura narrativa dei film, a individuarne le tematiche principali, a
favorirne una valutazione.
Non tardò molto la pedagogia a impadronirsi della teoria del linguaggio filmico su
basi strutturaliste e semiotiche. Dal cinema educativo e pedagogico si passa lentamente
all'educazione cinematografica. All'opposto delle metodologie deboli (colloquio non
direttivo, dibattito a tema, ecc.) si prospettava la possibilità di un'analisi grammaticale e
di lettura strutturale dell'audiovisivo che non lasciava scampo a opacità e
approssimazioni; un processo di razionalizzazione che iniziò con la nascita della nuova
disciplina dedicata allo studio del cinema, la filmologia
17
.
Proprio sul primo numero della celebre rivista francese Revue Internationale de
Filmologie, fondata nel 1947 da Gilbert Cohen-Séat, padre fondatore di questa nuova
scienza, viene dichiarato l'intento di dover costruire sul cinema una conoscenza
metodica con dei caratteri definiti, che non risultino né da convenzioni arbitrarie né da
gusti o interessi personali, ma da relazioni obiettive
18
.
L'educazione al cinema si trasforma in una didattica del cinema che scongiura
qualunque casualità, qualsiasi curiosità appassionata e qualsivoglia discorso sulla
bellezza e sull'arte nel nome di una direttrice strumentale, ossessionata dal controllo sui
processi mentali e dall'incremento delle conoscenze, irrobustendo in diversi modi il
primato dell'istruzione su quello dell'apprendere: un'educazione poco preoccupata di
sovrapporre e confondere i fini con i mezzi.
17. La filmologia ebbe un grande successo e diffusione in Italia. A Milano fu accolta nel mondo
accademico grazie al lavoro di padre A. Gemelli. A Roma la filmologia sbarca, invece, grazie soprattutto
a Enrico Fulchignoni ed Evelina Tarroni, docenti dell'Università La Sapienza (Istituto di psicologia) e
collaboratori della Cineteca Scolastica Italiana, vale a dire la cineteca del Ministero della Pubblica
Istruzione, ribattezzata, nel 1956, Centro nazionale per i sussidi audiovisivi (Rizzo 2014, p. 52).
18. «Revue lntemationale de Filmologie», I (1947), p. 93.
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