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Introduzione
Tutto ebbe inizio in un tardo pomeriggio del 1993. Non ricordo precisamente in
che periodo dell’anno eravamo, ma ricordo esattamente la mia felicità quando mio
padre dopo aver fatto acquisti per la casa acconsentì a comprarmi un videogame
per la console Super Nintendo.
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L’oggetto videoludico in questione, che avevo scorto su uno scaffale del centro
commerciale in cui mio padre aveva fatto compere, portava il nome di Super Stre-
et Fighter 2.
Già la copertina della confezione era tutto un programma. L’immagine che ripor-
tava era un muro di mattoni sfondato sul retro dal titolo del gioco. La raffigura-
zione anche se minimale, riusciva efficacemente ad evocare il tipo di esperienza
che offriva.
Tornato a casa, inserii il videogioco nella console ed iniziai a giocare. La giocabi-
lità era intuitiva,
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in quanto bisognava semplicemente scegliere un personaggio fra
i sedici disponibili e farlo combattere contro gli altri uno dopo l’altro come in un
torneo di arti marziali.
Quello che più mi stupì era l’essere un videogioco banale nello scorrimento della
storia (bastava battere un contendente dopo l’altro per finire il gioco) e contempo-
raneamente molto complesso nell’imparare con fluidità le tecniche di ciascun
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La console si collega alla televisione e si controlla il gioco scelto con il joy-
pad/telecomando in mano; M. Bittanti (a cura di), Per una cultura dei videoga-
mes. Teorie e prassi del videogiocare, Milano, Edizioni Unicopli, 2004, p. 23.
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La giocabilità indica, quanto è immediata la risposta del videogioco ai comandi
del giocatore, quanto l’esperienza è fluida e la semplicità con cui effettuare le a-
zioni; http://it.wikipedia.org/wiki/Giocabilit%C3%A0.
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combattente, come se quasi ci dovessimo allenare noi stessi in prima persona in
quella specifica disciplina marziale invece che il nostro alterego virtuale. In poche
parole, c’era una totale empatia con il lottatore scelto, amplificata anche dal forte
carisma che ognuno di quest’ultimi possedeva.
In pratica, l’argomento centrale della tesi in questione riguarda il trattamento e la
sceneggiatura di Street Fighter.
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Ideato nel lontano 1987 dalla software house nip-
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Il trattamento è la prima fase di elaborazione narrativa alla quale si sottopone il
soggetto. Si tratta della scomposizione della storia in grandi blocchi narrativi e
della loro disposizione, seguendo la scaletta, in una struttura drammaturgica coe-
rente; il soggetto riguarda ciò di cui tratterà il film, il tema della vicenda illustrato
in poche pagine; la scaletta stabilisce l’ordine in cui si succedono gli avvenimenti
nel film. Si parla di scaletta in fase di elaborazione del soggetto e del trattamento;
la sceneggiatura reca la suddivisione del film in scene e la trascrizione dei dialo-
ghi. La “sceneggiatura tecnica”, in uso sul set, contiene anche notazioni di regia,
come le indicazioni delle varie inquadrature relative ad ogni scena, dei movimenti
di macchina e così via. La “sceneggiatura desunta”, invece è la descrizione pun-
tuale, inquadratura per inquadratura, del film; M. Ambrosini, L. Cardone, L. Cuc-
cu, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci editore, 2003, pp. 158, 1-
57, 152; una scena è un insieme di inquadrature in cui un episodio narrativo com-
piuto si svolge nella stessa unità di spazio e di tempo. Si stabilisce un’omogeneità
senza ellissi temporali tra il tempo del film e l’ipotetico tempo reale dell’azione
mostrata. Una scena è anche uno spazio filmico costruito dal coordinamento tra il
profilmico e il lavoro di messa in scena; per set (scenografia) si intende l’insieme
degli elementi (architettonici, pittorici, decorativi, digitali) necessari per la realiz-
zazione e la connotazione di un ambiente. Le costruzioni scenografiche possono
essere naturali, artificiali, adattate o virtuali (cioè elaborate in digitale); P. Bertetto
(a cura di), Introduzione alla storia del cinema. Autori, film, correnti, Torino, U-
TET Libreria, 2002, pp. 339, 340; l’inquadratura è la porzione di spazio delimitato
e riprodotto dalla macchina da presa. In più è anche il brano di film compreso tra
due stacchi successivi della cinepresa o tra due tagli della pellicola; filmico: tutto
ciò che appartiene propriamente al film, entro lo spazio definito dall’operazione
della messa in quadro e, successivamente, dai movimenti della macchina da presa
e dalle operazioni di montaggio.
Profilmico: l’insieme degli elementi, naturali o artificiali, presenti nello spazio
della scena e davanti alla macchina da presa, prima ancora che questa inizi l’ope-
razione della ripresa (attori, oggetti, scenografia, illuminazione); Id., Introduzione
al linguaggio del film…, cit., pp. 154, 153, 156; «Digitale o digitalizzazione signi-
fica che ogni oggetto può essere trasferito in byte separati che consistono di strin-
ghe di uno e di zero ( chiamati bit)»; J.V. Dijk, Sociologia dei nuovi media, Bolo-
gna, il Mulino, 2002, p. 218; l’immagine digitale dipende anche dai pixel, deno-
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ponica CAPCOM, esso è il primo titolo videoludico che ha dato inizio ad una se-
rie poi diventata di successo.
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Quindi, ho tentato con tale adattamento di raccontare le origini dei protagonisti di
questi giochi, attraverso i quali molti della mia generazione si sono dati battaglia,
a casa, per mezzo delle console, o nelle sale giochi. Luogo quest’ultimo che mi ri-
porta nostalgicamente ai pomeriggi passati con mio cugino, quando eravamo sola-
mente dei marmocchi, nei bar dei bagni lungo mare a giocare sui cabinati che ri-
portavano i videogame di questa famosissima serie.
A questa parte creativa, ho accorpato una di stampo teorico, che ci condurrà nei
meandri del mondo videoludico e entro la descrizione del suo legame con la sfera
cinematografica.
Per cui, il mio fine ultimo, è di trattare una materia che riesca a coniugare gli studi
che ho intrapreso in questi anni con una delle passioni della mia infanzia, cioè i
videogame e specialmente i picchiaduro di Street Fighter, che anche se ora pratico
con poca assiduità sono un piacevole ricordo della mia fanciullezza ancora vivido
nella mia mente.
tanti ciascuno una unità di colore dell’immagine. Ad ogni pixel corrisponde un
certo numero di bit; S. Bertolacci e F. Grossi, ECDL Guida facile Syllabus 5.0
Windows 7 – Office 2007, Monza, Infostudio srl, 2011, p. 4; la pellicola è una stri-
scia flessibile costituita da: un supporto (triacetato di cellulosa, resistente e non in-
fiammabile), e un’emulsione che si distende sul supporto. L’emulsione è costituita
da una soluzione di gelatina e bromuro di argento sensibile alla luce. Il formato
della pellicola si esprime in millimetri ed è definito dalla larghezza. Può essere va-
riabile: 8 e 16 mm (formati ridotti), 35 mm (formato standard), 70 mm (formato
panoramico). Su uno o su entrambi i lati la pellicola presenta una perforazione che
le consente di essere trascinata in fase di ripresa e di proiezione; il montaggio è
l’operazione di giunzione delle diverse inquadrature; Id., Introduzione alla storia
del cinema…, cit., pp. 337, 336; il montaggio viene anche detto editing; Id., In-
troduzione al linguaggio del film…, cit., p. 153.
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http://it.wikipedia..., cit., Street_Fighter.
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Capitolo 1. L’ intermedialità
Fino alla fine degli anni Novanta l’intermedialità suscitava più curiosità che inte-
resse reale; oggi è un concetto imprescindibile.
Il termine intermedialità si è sviluppato soprattutto nei dipartimenti di letteratura e
di cinema da quello di intertestualità e d’interdiscorsività (rapporti, dice Cesare
Segre,
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che un testo instaura con enunciati culturali non appartenenti ad un testo,
ma facenti parte del tessuto sociale). Inoltre, è ormai sempre più presente nel dis-
corso di varie discipline: dai cultural e visual studies, alla storia e alla teoria cine-
matografica, alla storia e critica dell’arte, alla teoria letteraria, alle comunicazioni
di massa, alla storia della tecnica. Insomma, l’intermedialità comporta una neces-
saria interdisciplinarità.
Come detto sopra, uno degli elementi da cui deriva il concetto di intermedialità è
l’intertestualità. La definizione di intertestualità venne introdotta per la prima vol-
ta da Julia Kristeva nel 1967,
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per affermare che ogni testo è un intertesto; cioè in
ognuno di essi sono presenti altri testi sia precedenti che attuali e che quindi non è
isolato da ciò che lo ha preceduto o lo circonda. L’oggetto preso in causa, fornisce
all’intermedialità la particella inter, prefisso che sottolinea l’intenzione teorica, se-
condo Éric Méchoulan,
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«di far uscire il testo dalla sua autonomia e leggere al suo
interno la presenza di testi preesistenti e circostanti» . Detto questo, l’intertestualià
rifornisce l’intermedialità di due elementi altamente importanti: l’idea che nessuna
5
C. Segre, Teatro e romanzo, Torino, Einaudi, 1984, p. 111.
6
J. Kristeva, Bakhtine, le mot, le dialogue et le roman, «Critique», 23 (1967).
7
É. Méchoulan, Intermédialités. Le temps des illusions perdues, «Intermédiali-
tés», 1 (2003), p. 9, http://cri.histart.umontreal.ca/cri/fr/intermedialites.