2
Kurosawa è un regista pittore vero e proprio, è il suo approccio
formale tecnico e complesso a determinare uno stile barocco e
pittorico in Ran. Kurosawa dipinge la tragedia con un uso
fortemente espressionista del colore, con tonalità accese e
irrealistiche.
Olmi ne Il mestiere delle armi attua una vera intonazione
cromatica e espressiva sull’impianto dei temi del Cinquecento
per far immergere in quel momento storico. L’uso di
un’atmosfera cupa e di colori freddi serve al regista ad una
progressiva discesa verso l’agonia di Giovanni.
Rohmer illustra con la pittura la Storia nel La nobildonna e il
duca, usa il digitale per far riemergere una Parigi
prerivoluzionaria distrutta, andata perduta e sepolta,
reinventando quel periodo storico, il Settecento. Così, gli
sfondi ricreati digitalmente, dipinti con colori tipo pastello,
sembrano quasi malinconiche cartoline d’epoca.
Per quanto riguarda la ricerca teorica sui rapporti tra la settima
arte e la pittura è interessante notare come sia piuttosto scarsa
in Italia una pubblicazione di lavori significativi (a parte
3
naturalmente quello di Costa
2
, cui questo lavoro è debitore)
Completamente diversa, invece, la situazione in Francia dove la
critica è sempre stata più sensibile a questo tema: la maggior
parte degli scritti da cui è stato preso spunto per questo lavoro
sono di origine transalpina. Il lavoro è strutturato in due
differenti sezioni. Nella prima parte, passeremo in rassegna i
maggiori contributi teorici del rapporto tra cinema e pittura e le
interrelazioni più rilevanti dedicate a quest’ambito di ricerca.
Nella seconda parte, ci dedicheremo allo studio della messa in
scena, operato dai tre registi e cercheremo di individuare gli
spunti più interessanti dati dai film analizzati. Per quanto
riguarda la metodologia del lavoro era possibile seguire due vie
differenti.
Una di tipo più teorico, che forse alla fine si sarebbe rilevata
più una storia dei rapporti tra cinema e pittura (il cui testo di
riferimento iniziale sarebbe stato Ragghianti con il suo
fondamentale e pionieristico Cinema arte figurativa
3
.
2
A. Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002
3
C. L. Ragghianti, Cinema arte figurativa, Einaudi, Torino, 1952.
4
Essendo, comunque, una tesi sul cinema è ovvio che certi
aspetti sulla pittura non sarebbero stati approfonditi di più,
altrimenti il campo della ricerca sarebbe stato troppo vasto.
L’altra, invece, mi permetteva di esplorare più da vicino e forse
anche più fecondamente i rapporti tra le due arti, grazie al
confronto dei tre film analizzati. Ho scelto quest’ultima, perché
mi consentiva di affrontare il lavoro in maniera più
appassionata rispetto, ad esempio, alle aride e noiose analisi
semiotiche: il mio sincero amore per quest’arte fucina di
immagini sempre diverse e meravigliose, come una macchina
dei sogni, non poteva essere affrontato diversamente.
In conclusione, questa tesi si pone di individuare e rilevare
come certe scelte artistiche operate dai singoli autori siano
determinati per ridefinire e rinnovare il rapporto tra cinema
e pittura.
5
Capitolo 1
Per una teoria sul rapporto tra cinema e pittura: alcuni
contributi essenziali.
In questo capitolo, ci soffermeremo sulle riflessioni del filosofo
francese Deleuze, del critico e studioso Bonitzer, di Aumont, di
Costa e di altri studiosi che hanno attivamente partecipato al
dibattito sulle relazioni tra cinema e pittura; dibattito a cui ha
contributo con la propria teoria e il proprio cinema anche il
regista Eric Rohmer, autore de La nobildonna e il duca, film
che analizzeremo nel capitolo 3.
6
1.1 Deleuze e l’immagine-movimento.
Il filosofo Gilles Deleuze individua nel cinema due tratti
caratteristici e distintivi sostenendo che esso è l’arte del
movimento e del tempo, mentre le altri arti plastiche,
compresa la fotografia, sono costrette all’immobilità. Ma non
solo, è anche l’arte più moderna perché meccanica, con suoi
dispositivi (la cinepresa e il proiettore) e industriale (per la sua
natura di industria di massa).
La riflessione teorica di Deleuze sul rapporto tra cinema e
pittura parte da un’intuizione nella quale sostiene che
«l’inquadratura è limitazione»
4
e che essa è l’arte di scegliere
le parti differenziate che entrano in un insieme, quindi in un
campo visivo.
Questo insieme è artificiosamente chiuso, ed è un rapporto che
comunica agli spettatori in modo informativo, saturo o
rarefatto.
4
G. Deleuze, Immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1989, p. 26.
7
L’immagine del cinema risulta avere due matrici per Deleuze,
una geometrica, data dalla delimitazione del quadro, ed una
ottica, data dalla disposizione della macchina da presa e della
messa in scena in generale.
Il quadro contiene insieme di momenti e movimenti interni
grazie alla profondità di campo che satura tutto il campo
visivo mentre il rapporto delle parti interne e lontane fa
l’unità. La stessa evoluzione appare nella storia della pittura
tra il XVI e il XVII secolo: ad una sovrapposizione dei piani
ognuno dei quali riempito da scena determinata in cui i
personaggi s’incontrano affiancati, si è sostituita un’altra
visione delle profondità, in cui i personaggi s’incontrano
obliquamente. In essi, gli elementi di un piano agiscono e
reagiscono sugli elementi di un altro piano, nessuna forma,
nessun colore, si rinchiudono su un solo piano e le dimensioni
del primo piano entrano in rapporto con lo sfondo per
riduzione delle grandezze. Il pianosequenza non comporta più,
così, nessuna profondità né sovrapposizione né rientranza.
8
L’unità del pianosequenza è data da un “antepiano” su cui
passano tutti gli altri piani e differenti quadri; nel
pianosequenza i personaggi non si incontrano in genere sullo
stesso piano e così si rapportano e si interpellano tra loro da
parti differenti di inquadratura e piani.
La prospettiva del piano in pittura nel cinema diventa una
prospettiva temporale sia per la durata che per il movimento
della macchina da presa all’interno di ogni singola
inquadratura. Per Deleuze, quindi, la limitazione posta
dall’inquadratura diviene l’arte di scegliere le parti
differenziate che entrano in un insieme, il quadro.
In Immagine-movimento, sono presenti anche delle
osservazioni di Deleuze sugli scritti di Jean Epstein: il regista
e teorico cinematografico considerava il movimento della
cinepresa simile alla pittura cubista, poiché il movimento può
cambiare così come le diverse inclinazioni o inquadrature, le
distanze dei corpi inquadrati i colori la luce, il piano ha la
proprietà di farsi e disparsi senza sosta oppure grazie al tempo
9
cambiare di durata: l’immagine movimento trova quindi
analogia nella simultaneità della pittura cubista. Per Epstein:
Tutte le superfici si dividono, si troncano, si scompongono, si
spezzano come s’immagina che facciano nell’occhio delle mille
faccette dell’insetto. Geometria descrittiva la cui tela è il piano
limite. Invece di subire la prospettiva, questo pittore la spacca entra
in essa (…). Alla prospettiva del di fuori egli sostituisce così la
prospettiva del di dentro, una prospettiva multipla, cangiante,
ondeggiante , variabile e contrattile come un capello igrometro. Non
è la stessa a destra e a sinistra, né in alto o in basso. Ciò vuol dire
che le frazioni della realtà presentate dal pittore non si trovano negli
stessi denominatori di distanza, né di rilievo, né di luce
5
.
5
J.Epstein, Ecrits, I Seghers p. 115 in G. Deleuze, Immagine-movimento, Ubulibri,
Milano, 1989.
10
1.2 La disinquadratura di Bonitzer.
Pascal Bonitzer ha costruito il concetto molto interessante
di decadrages
6
(disinquadratura), per designare tali punti di
vista anomali che non si confondono con una prospettiva
obliqua o un angolo paradossale e rinviano ad un’altra
dimensione dell’immagine.
Per Bonitzer, il fuoricampo non è solo una non coincidenza tra
i due quadri-campi di cui uno visivo e l’altro sonoro, ma rinvia
anche a quanto non si vede né si sente, ma è presente e quindi
a due nuove concezioni dell’inquadratura.
Già Bazin, sosteneva che il quadro opera a volte come un
mascherino mobile secondo il quale comunica o isola una
parte pittorica dell’inquadratura; questa dualità esprime e
agisce come una tappezzeria isolata o aperta dall’inquadratura.
Ogni inquadratura quindi determina un fuoricampo e ogni
fuoricampo risponde ad inquadratura e pertanto un insieme
inquadratura è un insieme di piccole inquadrature. Le
disinquadrature che non si giustificano drammaticamente,
6
P. Bonitzer, Décadrages, «Cahiers du cinéma», n. 284, gennaio 1978.
11
rinviano precisamente ad altri fuoricampo che aggiungono
spazio allo spazio.
1.3 Aumont e l’osservazione sulla panoramica.
Jacques Aumont propone un’interessante analogia tra
l’occhio del passeggero di un treno e quello del cinema in un
suo interessante saggio ultimamente pubblicato
7
: il viaggiatore
trasportato dal treno seduto in modo passivo vede scorrere il
paesaggio dentro il finestrino incorniciato del vagone è
un’immagine che sembra proprio rinviare alla panoramica nel
cinema. Il treno è come un vettore della pittura nel cinema di
paesaggio e lo spettatore è così in grado di osservare una
nuova condizione: la panoramica. Il termine, infatti, significa
abbracciare con lo sguardo una vasta zona, in questo caso lo
schermo: come non pensare quindi alle grandi panoramiche
nel Grand Canyon sulle ferrovie, che poi sarebbero diventati
celebri nel genere western?
7
J. Aumont, L'occhio interminabile. Cinema e pittura, Marsilio, Venezia, 1991.
12
Ma in realtà anche stando su una vetta di qualche montagna
viaggiatore conosce diversi tipi di inquadrature, per esempio
dall’alto e nello stesso tempo effettua una panoramica girando
il proprio sguardo con la sua testa. Lo spettatore del panorama
è dunque immobile e cosi il panorama mobile del treno.
Tecnicamente il panorama rientra nella pittura: realizzato
come se fosse insito nella pittura, il panorama è già cinema.
13
1.4 Le possibili relazioni tra cinema e pittura. Tinazzi,
Costa, Burch.
Per definire la dinamica degli scambi e delle possibili
interazioni tra cinema e pittura, Tinazzi, Costa e Burch, hanno
proposto diverse classificazioni, vediamole.
Tinazzi, ad esempio, individua quattro possibili livelli ai quali
è attiva la relazione cinema-pittura
8
:
1. D’immagine.
2. Di costruzione dell’immagine.
3. Di articolazione dell’immagine.
4. Di autoriflessione dei linguaggi.
Il primo livello riguarda il puro e semplice riconoscimento
delle somiglianze tra immagini pittoriche e immagine filmica,
8
Cfr. G.Tinazzi, La caverna di Platone e la luce di Cezanne in «Cinema e cinema»,
1989 n. 54-55, pp 49-57 citato in Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino,
2002, pag. 49
14
il secondo e il terzo chiamano in causa i metodi di costruzione
e le articolazioni dell’immagine nella complessità di un testo
figurativo e narrativo. Il quarto rientra nelle più vaste
problematiche della riflessione sulle strutture del linguaggio e
della relazione dei linguaggi.
15
1.5 Effetto Lambicchi e sindrome di Frankenstein.
Antonio Costa propone, invece, la definizione dell’effetto
Lambicchi in omaggio ad un popolare eroe del fumetto
italiano creato dalla matita di Giovanni Manca: con una sua
geniale invenzione, Pier Cloruro de’ Lambicchi, appunto, è in
grado di «animare» qualsiasi immagine dipinta, di dare vita ai
personaggi immobili della pittura.
9
Partendo da questa definizione, Costa afferma che il cinema ha
sempre esaltato la propria capacità di fissare e immortalare la
vita con un realismo e una precisione, un’esattezza che la
pittura ha solo vaneggiato e nello stesso tempo ha sfruttato le
sue possibilità di animare dotare di vita e di movimento
l’immagine pittorica, di impadronirsi di immagini la cui
bellezza era il risultato d’un lavoro di interpretazione,
stilizzazione dei dati dell’esperienza percettiva. Il cinema,
quindi, poteva riprodurre la meraviglia della pittura, dare alla
pittura una visibilità e soprattutto una vita, che essa non aveva
mai posseduto.
9
A. Costa, Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino, 2002, p. 51.