8
1.1 LA TRASFORMAZIONE IN SENSO MULTICULTURALE DELLA
SOCIETÀ
La trasformazione in senso multiculturale della società europea è iniziata
dapprima nei Paesi del nord Europa
3
, circa quarant’anni fa, per poi estendersi
verso quelli del sud Europa negli anni successivi interessando in particolare
l’Italia e la Spagna. L’elemento più rilevante di questa metamorfosi è la presenza
di immigrati che provengono da ogni parte del mondo che ha interrotto
l’equilibrio sociale ponendo in essere delle problematiche rilevanti che hanno
suscitato l’attenzione degli studiosi.
Un problema importante riguarda l’ansia e l’angoscia causata dal fenomeno
dell’immigrazione nelle persone autoctone
4
, infatti si tende a far coincidere il
problema della micro-criminalità con quello dell’immigrazione clandestina
5
, ed
un altro problema di grande rilevanza è derivato dalla presenza di ragazzi stranieri
nelle scuole. Gli insegnanti infatti devono cercare di far convivere giorno dopo
giorno nella stessa classe ragazzi di culture molto diverse. La crescita del numero
di ragazzi stranieri nelle classi del nostro paese ha permesso lo sviluppo di diversi
studi sull’intercultura. Negli anni ’70 infatti si è diffusa la “pedagogia per
stranieri”
6
.
È stata così denominata in quanto gli studi di questa disciplina si sono concentrati
sull’integrazione dell’immigrato e sulle trasformazioni che riguardavano
l’inserimento in una società nuova. A metà degli anni novanta si arriva ad una
ridefinizione di questa disciplina, non si parla più di pedagogia per gli stranieri ma
di pedagogia interculturale poiché gli studi non riguardano solo il processo di
integrazione dell’immigrato ma anche e soprattutto i processi di trasformazione
3
In particolare la Germania e la Svizzera che erano i Paesi più industrializzati; Cfr. W.
WALLNOFER, Pedagogia interculturale, Bruno Mondadori, 2000 p.24
4
G. DI CRISTOFARO LONGO, Cultura, salute, immigrazione: una analisi interculturale,
Armando Editore, 1995 p. 56
5
M. BARBAGLI, Immigrazione e criminalità in Italia, Armando Editore, 1998 pp. 89-100
6
M.L. IAVARONE-V. SARRACINO- M. STRIANO, Questioni di pedagogia sociale, Franco
Angeli, Milano 2000, p.119; Cfr. W. WALLNOFER, Op. Cit. pp. 24, 29
9
che hanno colpito gli autoctoni
7
. È proprio in questo periodo che si afferma una
vera e propria definizione di intercultura come “intersezione di culture”
8
.
Bisognerà quindi estendere oltre che il concetto di intercultura anche la
legislazione che l'accompagna e regolamenta. Infatti il bisogno di una prospettiva
educativa interculturale non nasce solo dal problema dell’integrazione scolastica e
dall’effettiva presenza in classe di studenti immigrati ma dall’insieme di diversi
fattori che determinano lo sviluppo di processi multiculturali:
1. la globalizzazione
9
dei mercati: l’internazionalizzazione dei processi
economici, sociali e culturali che portano allo spostamento di enormi
quantità di merci e persone da un continente all’altro.
2. gli stili di vita che prevalgono nelle società ricche e che spesso sono
imitati anche in altri contesti: ad esempio si pensi ai cambiamenti che
avvengono nel mondo relativamente al matrimonio e alla famiglia.
3. la crescita del turismo e delle comunicazioni di massa ci fa diventare
spettatori di tutto ciò che succede nel mondo.
4. l’andamento demografico: è previsto un calo delle nascite nei paesi ricchi
e un contemporaneo aumento in quelli poveri; la concentrazione della
popolazione in determinate zone del globo.
5. la distribuzione della ricchezza nel mondo
6. l’avanzata dei processi di integrazione economica e politica fra i diversi
stati: si pensi all’Europa Unita che obbliga al confronto tra i diversi stati su
diversi piani.
La pedagogia interculturale deve agire quindi su diversi fronti: deve garantire
l’accoglienza e l’inserimento degli stranieri nella società intervenendo anche nei
confronti degli autoctoni che riscontrano diverse problematiche nell’incontro con
culture diverse; deve essere in grado di fare un’analisi critica dei modelli
educativi, dei progetti, degli obiettivi e dei problemi connessi all’incontro/scontro
7
W. WALLNOFER, Op. Cit. p.17
8
C. BRUSA, Immigrazione e multicultura nell’Italia di oggi, Franco Angeli, Milano 1999, p. 152
9
Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e
degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa
convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo.
10
tra culture diverse; deve avere una teoria pedagogica capace di interpretare il
problema dell’intercultura ma anche una metodologia che impedisca la chiusura o
un’apertura acritica dell’altro nei confronti di culture ed abitudini diverse causate
dall’esistenza radicata di stereotipi e pregiudizi che indirizzano fortemente le
azioni ed i pensieri delle popolazioni autoctone
10
. I traguardi di questa disciplina
si concretizzano nell’accoglienza e dell’inserimento dell’immigrato volto al
successo formativo, all’insegnamento dell’italiano come seconda lingua,
all’apertura delle discipline in un’ottica interculturale e soprattutto
all’eliminazione e prevenzione di eventuali pregiudizi e stereotipi.
1.2 STEREOTIPI E PREGIUDIZI
È difficile dare una precisa definizione del pregiudizio ma può essere utile l’opera
di Allport “La natura del pregiudizio” nella quale il pregiudizio è considerato una
“forma del pensiero, presente in tutti gli individui, che non si fonda su dati
obiettivi o sull’esperienza diretta ma solo sulla base di valutazioni di natura
emotiva”
11
.
Esistono anche dei pregiudizi positivi che sono connessi con alcune infatuazioni
legate a particolari paesi e culture, come ad esempio l’americanismo. Sono però i
pregiudizi negativi quelli più studiati perché creano tensioni, danni sociali,
violenze e scontri
12
.
Un altro studioso che si occupato dello studio del fenomeno del pregiudizio è
M.Mazzara
13
, egli ha affermato che il pregiudizio è parte della vita quotidiana e si
esprime su più piani e situazioni. Ognuno di noi, secondo M. Mazzara, pensa e
agisce in funzione di precisi orientamenti culturali, valutativi o ideologici da cui
non è possibile liberarsi completamente e che quindi condizionano pesantemente
le scelte di ogni persona
14
. Allport
15
invece definisce il pregiudizio come un
giudizio negativo sull’altro, costruito a priori, che si basa su indizi inesistenti e
10
W. WALLNOFER, Pedagogia interculturale, Bruno Mondadori, 2000 p. 63
11
G. W. ALLPORT, La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1973 p. 85
12
W. WALLNOFER, Op. Cit. p. 19
13
B.M. MAZZARA, Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale delle relazioni interetniche,
Roma, Carocci, 1998 p. 207
14
B.M. MAZZARA, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, 1997 p. 204
15
G. W. ALLPORT, La natura del pregiudizio, La Nuova Italia, 1976 p. 175
11
quindi senza un motivo reale ed attribuisce l’origine dei pregiudizi a diversi fattori
come: l’eterogeneità della struttura sociale, religioni e stili di vita e le rapide
trasformazioni sociali.
Taguieff
16
, che è autore dell’opera “La forza del pregiudizio. Saggi sul razzismo”
e studioso molto importante del pregiudizio, del razzismo e dell’antirazzismo; dà
una definizione molto precisa di pregiudizio:
1. opinione preconcetta condivisa da membri di un gruppo e che può essere
favorevole (pregiudizio positivo) o sfavorevole (pregiudizio negativo) alla
categoria presi di mira.
2. attitudine negativa, sfavorevole o ostile nei confronti di individui
etichettati sotto una determinata categoria.
3. credenza rigida che si fonda su una generalizzazione impropria che
consiste nell’attribuire tratti stereotipati a diversi gruppi umani (razze,
etnie, nazioni)
Il pregiudizio, secondo l’approccio cognitivo si forma secondo un processo
complesso: per comprendere il mondo esterno l’uomo cerca di semplificare la
realtà selezionando e riorganizzando le informazioni che provengono
dall’esterno
17
; uno degli strumenti di riorganizzazione è costituito dai processi di
inferenza ed il pregiudizio si avvale molto spesso di questo strumento. Quindi la
semplificazione e l’inferenza permettono ai soggetti di costruirsi scenari più
comprensibili
18
.
Secondo Mazzara
19
l’approccio cognitivo può portare alla sottovalutazione della
dimensione sociale: infatti i processi di semplificazione e inferenza che
l’individuo mette in atto sono influenzati anche dalla realtà sociale come la
famiglia, il gruppo dei pari e le altre agenzie formative.
16
P. A. TAGUIEFF, La force du préjugé. Essai sur le racisme et ses doubles, La Découverte,
Paris 1987 p. 64
17
S. J. GOULD, Intelligenza e pregiudizio: contro i fondamenti scientifici del
razzismo,Saggiatore, Milano 2008 p.87
18
M. DI GIANNANTONIO, Oltre il pregiudizio, modelli, idee e strumenti nella prevenzione dalle
dipendenze, Franco Angeli, 1999 p.114
19
B.M. MAZZARA, Le dimensioni sociali dei processi psicologici: individui, contesti,
appartenenze, Laterza, 2000, p. 203
12
Taguieff
20
, concentra i suoi studi sui pregiudizi sociali di origine razziale ed
afferma che il pregiudizio sociale nasce spesso dalla paura che i propri interessi e i
propri spazi possano essere minacciati; in questo caso il pregiudizio sociale
diventa lo strumento per difendere anche i propri privilegi, è uno scudo verso
l’esterno.
Memmi
21
sostiene che il razzismo è la valorizzazione, generalizzata e definita, di
differenze a vantaggio dell’accusatore e ai danni della vittima per giustificare
un’aggressione o un privilegio.
Ci sono altri fattori che influenzano il diffondersi e il persistere dei pregiudizi
primo tra questi la cultura dei mass media, quella religiosa o quella politica.
Lo stereotipo è considerato il nucleo cognitivo del pregiudizio stesso, la base
ideologica su cui si fonda il pregiudizio. Questo termine è stato inserito nelle
scienze sociali da W. Lippmann
22
che lo definisce come la percezione
semplificata di parti della realtà sociale: lo stereotipo rappresenta le immagini che
costruiamo per semplificare la complessità della realtà; può essere considerato un
falso concetto classificatorio. Allport definisce lo stereotipo come immagini e idee
relative a categorie che vengono utilizzate per giustificare un pregiudizio, i
contenuti di queste immagini variano nel tempo in base a quel particolare contesto
o momento storico
23
.
Taguieff definisce lo stereotipo come un’immagine rigida che interviene nella
nostra rappresentazione del sociale
24
, è:
1. un’idea fissa associata ad una categoria
2. un metodo di categorizzazione rigido e persistente ai cambiamenti
3. il processo di categorizzazione implica l’accentuazione delle differenze tra
il gruppo di appartenenza e gli altri gruppi e, dall’altra parte, anche
un’accentuazione delle somiglianze.
20
P.A. TAGUIEFF, Cosmopolitismo e nuovi razzismi. Populismo, identità e neocomunitarismi,
Mimesis, 2003 p. 96
21
A. MEMMI, Il razzismo, Bompiani, Milano, 1984 p. 201
22
W. LIPPMANN, L’opinione pubblica, Donzelli editore, 2004 (1963) p. 122
23
G. W. ALLPORT, Op. Cit. p.181
24
P. A. TAGUIEFF, Op. Cit. p. 95
13
Mazzara
25
infine definisce lo stereotipo come “l’insieme coerente e abbastanza
rigido di credenze negative che un certo gruppo condivide rispetto ad un altro
gruppo o categoria sociale”.
Gli stereotipi e i pregiudizi si fondano su tre fattori e si manifestano almeno a tre
livelli:
1. piano cognitivo: basato sulla necessità che tutti abbiamo di semplificare la
realtà, di costruirsi semplici inferenze che ci permettono di comprendere e
sistemare meglio le conoscenze.
2. piano psicosociale: tutto quello che ci aiuta a riconoscerci negli altri o a
discostarci da culture diverse
3. piano storico-sociale: è la dimensione che spiega la realtà degli eventi, ad
esempio l’antisemitismo è un sentimento negativo espresso contro gli
ebrei che ha trovato varie manifestazioni nella storia europea.
Tutti questi fattori non sono indipendenti tra loro ma agiscono spesso in maniera
integrata e si influenzano reciprocamente.
1.3 IL CONFLITTO RAZZIALE
L’idea dell’esistenza di razze inferiori e superiori ha origini molto lontane, infatti
era diffusa già al tempo dei greci, ma non si può ancora parlare di vero e proprio
razzismo. Gli studiosi affermano che il XIX secolo è il periodo nel quale questo
fenomeno si è diffuso in maniera esponenziale, in combinazione con altri
fenomeni come il colonialismo, lo sviluppo scientifico e industriale,
l’immigrazione, il nazionalsocialismo.
Alla fine del medioevo il concetto di razza non era molto diffuso, ma era
frequente la distinzione per classi. In Francia, infatti, la popolazione era divisa in
classi nobiliari discendenti dei Franchi e classi popolari discendenti dai Galli. Alla
metà del XVI secolo si impose il concetto di razza in base al quale le qualità che
collocano gli individui nella società, venivano trasmesse attraverso il sangue, e
25
B. MAZZARA, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, 1997 p.78
14
quindi attraverso i caratteri ereditari. Nel 1854 in America fu pubblicato un
documento che cerca di legittimare l’esistenza della schiavitù: in base a questo
documento la razza negra è “naturalmente” inferiore a quella bianca affermando e
legalizzando così l’esistenza della schiavitù e della razza. In questo periodo
prende piede il processo di razzializzazione
26
, cioè l’insieme delle operazioni
mentali e teoriche attraverso le quali i rapporti tra la cultura, le popolazioni o
gruppi etnici, o tra le maggioranze e le minoranze, vengono trasformati in
relazioni tra razze.
Il pensiero razziale si diffonde in particolare nel XIX secolo, in cui si passa dal
razzismo comportamentale (giustificato sul piano mitologico e religioso), al
razzismo teorico, basato su teorie scientifiche. Uno dei più importanti studiosi del
pensiero razziale è Gobineau
27
. La teoria gobineauiana prevede che il sangue sia
la causa motrice dell’ascesa o del declino delle nazioni, infatti contesta le
spiegazioni che fanno risalire la morte degli stati, dei popoli e delle civiltà a fattori
non biologici ( lusso, debolezza,..) in quanto nessuno di questi fattori non era
carico di una vera forza distruttrice. In base alla teoria gobineauiana la decadenza
delle civiltà è dovuta essenzialmente al fenomeno della degenerazione
28
cioè al
mescolamento del sangue di diverse razze. La razza bianca, infatti, è considerata
da lui pura perché la sua superiorità deriva dal “sangue bianco”.
Sempre nel XIX secolo, con la scoperta di nuovi costumi, abitudini e caratteri
fisici, si sviluppa un dibattito sull’origine di queste differenze e si creano due
fazioni di studiosi una monogeista e l’altra poligeista
29
. I monogeisti, ispirandosi
al libro della Genesi, spiegavano le differenze etniche accettando l’idea
dell’evoluzione ambientale delle diverse razze umane. I poligenisti, invece, non
accettando la Genesi, sostenevano l’idea dell’esistenza naturale dei diversi “tipi
umani”. Gobineau, può essere inserito in parte nei primi e in parte nei secondi;
egli afferma che i redattori della Bibbia, in merito all’origine comune dei popoli,
si riferivano solo alla razza bianca, escludendo tutte le altre. Afferma altresì anche
26
L. BALBO, In che razza di società vivremo? L'Europa, i razzismi, il futuro , Bruno Mondadori,
p. 69
27
A. de GOBINEAU, Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, Edizioni di Ar, 1853 p.45
28
A. RIZZO, Scienza impura: pagine di filologia e umanità, Edizioni di storia e letteratura, 1981
p. 49
29
F. FRASSETTO, Lezioni di antropologia, Hoepli, 1918 p. 67
15
l’esistenza di diversi “tipi umani”, separati dalla razza bianca, che avrebbero
sviluppato tratti somatici, caratteriali e culturali diversi
30
. Gobineau individua tre
grandi razze:
-bianca ( o caucasica);
-la razza negra;
-la razza gialla ( mongoli ).
Questi tre gruppi rappresentano, in base alla sua teoria, gli elementi puri e
primitivi dell’umanità dai quali si sarebbero generati diversi gruppi etnici
31
.
Secondo Gobineau: dalla diversità biologica, data dall’appartenenza ad uno dei
diversi tipi, scaturiscono, di conseguenza, differenze estetiche ( bellezza, forza ),
sociali e culturali ( lingua, intelligenza).
Inizialmente lo studio sull’evoluzione storica dell’umanità si basava soprattutto su
eventi socioculturali ( politici, sociali, economici ) ricollegabili alla storia
religiosa. Nel XIX secolo, con il positivismo, si sente la necessità di tracciare una
storia universale dell’umanità seguendo il senso naturale dell’evoluzione delle
società, abbandonando la dimensione religiosa e infatti Gobineau tenta di tracciare
una storia universale dell’umanità basandosi su teorie scientifiche. Egli concentra
i suoi studi sul concetto di civiltà, identificandolo col concetto di cultura. La
civiltà si diffonde nel mondo per la dispersione geografica della razza ariana e non
per crescita evolutiva delle singole società
32
. La civiltà, per Gobineau, corrisponde
“alla forma più alta di Umanità” che le razze umane possono manifestare prima
della loro degenerazione a causa della mescolanza del sangue. Gobineau nella sua
ricerca, identifica l’individuo con il suo gruppo razziale, sia dal punto di vista
personale che da quello biologico, annullando così la sua identità
33
. Per
dimostrare la sua teoria, Gobineau si avvale di due strategie:
-individuare alcuni elementi fondanti di ogni civiltà: la presenza del sangue
bianco, la religione, l’arte militare, il bello e la scrittura;
30
L. ATTENASIO (a cura di), Fuori norma: la diversità come valore e sapere , Armando
Editore, 2000, p. 38
31
A. de GOBINEAU,Op. Cit. p.76
32
A. de GOBINEAU,Op. Cit. p.98
33
A. de GOBINEAU, Op. Cit. p.85
16
-adottare un approccio interdisciplinare: supportare, cioè la religione, la
mitologia e la scienza.
1.3.1 L’ideologia nazista
Il razzismo dopo il 1900 è diventato una vera e propria ideologia. Questo temine
secondo Hannah Arendt
34
indica un sistema basato su un’opinione unica tale da
guidare una maggioranza nelle varie esperienze. La nascita del razzismo è
correlata alla nascita di quelle ideologie politiche che sono state vere e proprie
armi politiche per arrivare al dominio e allo sfruttamento di alcuni popoli. Infatti
le ideologie politiche portano alla trasformazione dei pregiudizi razzisti in veri e
propri atteggiamenti discriminatori. Un esempio che dimostra questa ipotesi è
rappresentato dall’antisemitismo.
L’antisemitismo è quell’insieme di sentimenti di ostilità, violenza, e aggressività
che si rivolgono contro gli ebrei. Inizialmente questo fenomeno si diffonde per
ragioni religiose in quanto l’ebreo era colui che rifiutava il battesimo e non
riconosceva Gesù come figlio di Dio
35
. In Spagna, quando la religione ebraica era
stata eliminata completamente, cominciò a diffondersi l’antisemitismo fondato
sulla differenza di sangue: l’antisemitismo genetico. Hitler costruì l’ideologia
razzista sulla base delle ideologie antisemite di Lutero ed i conflitti religiosi hanno
portato alla creazione di un clima rafforzatore delle ideologie razziste. Con il
nazismo l’antisemitismo trova la sua massima espressione, si passa infatti dalla
discriminazione allo sterminio di una razza. Inizialmente, prima della
deportazione degli ebrei nei campi di concentramento, si praticava l’eutanasia:
malati mentali, soggetti con gravi malattie, malformati dovevano essere soppressi
per togliere un “peso” alla società e per evitarne la riproduzione. Gli ebrei erano
considerati criminali abituali e quindi la popolazione tedesca credeva che fosse
giusto eliminarli; l’accumularsi dei pregiudizi antisemiti nella maggioranza dei
tedeschi garanti al regime il consenso all’operazione di pulizia.
34
H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Einaudi, 2009 p. 67
35
H. ARENDT, Antisemitismo e identità ebraica. Scritti 1941-1945, Einaudi, 2002 p. 127