Introduzione
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sempre più intelligenti, come qualcosa che dovrà quasi necessariamente
compiersi, peccando probabilmente di parzialità e di ingenuità, ma credendo
sia l’unico modo per capire perché questi argomenti suscitino, dal semplice
uomo della strada alle più alte sfere della “intellighenzia” mondiale, così tanto
clamore (Capitolo 2).
La prepotente rappresentazione della tecnologia sul grande schermo cambia
anche i quesiti sulle vicende e sulle problematiche dell’uomo, perché,
nell’epoca del dominio delle macchine, il soggetto pensante e agente non ha
più davanti a sé un mondo manipolabile e semplice da gestire. Oltre ad un
cinema che s’interroga sulla tecnica e su un futuro che è già un “adesso”, ce
n’è anche uno che, parallelamente, continua ad interrogarsi su cosa siano gli
uomini, su cosa siano diventati da quando le macchine hanno iniziato ad
imitarli e a sfidarli.
Si tende, proprio per questo, a riscoprire la figura del cyborg, dell’ibrido tra
noi e la macchina, non come un’ipotesi terrificante e utopistica, ma come una
possibile realtà. Forse, il vero problema è che non possediamo ancora una
parola intermedia tra “meccanico” e “umano” che non abbia una
connotazione fantascientifica (come “cyborg”, “umanoide” o “replicante”),
spesso negativa o vista come minacciosa per la sopravvivenza dell’uomo
(Capitolo 3). Probabilmente a causa delle questioni morali ed etiche legate al
tentativo dell’uomo di coronare a tutti i costi il sogno dei padri del Golem,
dell’homunculus, di Frankenstein e dell’intelligenza artificiale: creare,
partendo dalla materia inanimata o da un chip elettronico, un “oggetto”
senziente ed intelligente con funzioni e capacità simili a quelle dell’uomo.
E’ cambiato solo il nome degli esseri mitologici inventati dal nulla. Oggi si
chiamano organismi cibernetici, meglio noti con l’abbreviazione di “cyborg”,
in pratica automi non fatti di materia “informe” come nelle leggende, ma con
le più sofisticate tecnologie (Capitolo 4).
Si cercherà di capire, inoltre, perché così tanti registi abbiano cercato di
rappresentare il rapporto tra l’uomo e le sue creature con connotazioni così
differenti, spaziando da una visione “manichea”, in cui l’uomo ricopre il ruolo
della vittima mentre la macchina si trasforma in antagonista, o peggio in
carnefice (Capitolo 5), ad una visione più rassicurante, in cui l’uomo riesce
Introduzione
6
più o meno facilmente a controllare le sue creature in quanto viene
considerato, anche dalle macchine stesse (come il comandante Data in “Star
Trek” o il robot Numero Cinque in “Corto circuito”), un meccanismo
praticamente perfetto e quindi irraggiungibile.
Nell’epoca del trionfo e dell’autonomia crescente dell’immaginario
tecnologico, la distanza tra l’uomo e la macchina si avverte sempre di meno,
dal punto di vista concettuale, fisico e, addirittura, mentale. Se, inizialmente,
“Macchina” e “Uomo” erano due mondi totalmente distinti e la tecnologia era
essenzialmente vista come minaccia o come sfida (ad esempio nel cinema
degli Anni Cinquanta), ora la macchina, fattasi corpo, può addirittura arrivare
a capirci (Capitolo 6).
Oggi l’uomo, superato il confronto con la “macchina infernale”, inizia a sfidare
se stesso, cercando un’estensione dei propri sensi attraverso varie protesi
che lo stanno trasformando sempre più in un cyborg, ma soprattutto grazie
alle suggestioni della realtà virtuale (Capitolo 7), che fa tramontare l’idea del
“corpo tradizionale” e fa aumentare, al tempo stesso, una sorta di disappunto
per il fatto di non essere cartoni animati o icone di un videogame.
L’esperienza viene trasferita in un supporto magnetico e l’uomo si trasforma,
in un “corpo virtuale”, un nuovo soggetto inglobato e fagocitato dal mondo
digitale (Capitolo 8).
Il confine tra il vivo e il metallico, tra l’organico e l’inorganico, tra l’elettronico
e il mentale si fa sempre più incerto fino a combinarsi e a compenetrarsi in
una dimensione inedita che mescola realtà e virtualità: la vita diventa, a poco
a poco, indistinguibile dalla finzione, si dissolve in fantasmi e ombre, produce
una serie di scenari autoreferenziali: il “virtuale” diventa, paradossalmente,
creazione di una realtà parallela, talmente plausibile da impedirci di
distinguere la vita dal sogno, ciò che è vero da ciò che è fittizio (Capitolo 9).
Nascono inevitabilmente molte domande e altrettante preoccupazioni per
quanto concerne il presente che stiamo vivendo e, soprattutto, per il futuro
che ci aspetta dietro l’angolo.
Cos’è diventato l’uomo? E’ rimasto l’attore “protagonista” della sua vita, o si è
trasformato in un organismo debole, impotente e sempre più dipendente
Introduzione
7
dalle sue “creazioni in metallo”? Continueremo ad incontrare il mondo con il
nostro “corpo anatomico” o vivremo sempre più immersi in ambienti virtuali?
A questi quesiti, e ad altri ancora che si presenteranno in seguito,
cercheremo di dare una risposta, naturalmente senza ricorrere ad alcuna
“intelligenza artificiale” (sperando che questo sia “ancora” sufficiente…).
Prima, però, sembra opportuno riflettere un momento sull’importanza del
rapporto che lega il cinema alla tecnologia. Il cinema è nato, infatti, sul finire
del secolo della Rivoluzione Industriale proprio grazie all’intervento della
tecnologia prima per fissare le immagini sulla pellicola, poi per proiettarle
nelle sale.
Inizialmente, essendo solo una semplice successione di immagini, era privo
dell’accompagnamento sonoro, ma per vincere il silenzio, per coprire il
fastidioso rumore della macchina di proiezione e, soprattutto, per dare alla
finzione scenica una dimensione più fedele della realtà fenomenica ha
dovuto nuovamente affidarsi alla tecnica per aggiungere il sonoro. In un
primo momento ci si affidò all’intervento di pianisti o orchestre che
suonavano nelle sale di proiezione scandendo i ritmi della narrazione; in un
secondo momento, quando i problemi di natura puramente tecnica iniziavano
ad essere risolti, si iniziò ad utilizzare un commento sonoro registrato
direttamente sulla pellicola, ma ancora privo di dialoghi;
2
in un terzo
momento, visto il successo dell’esperimento precedente, si inserì il parlato
3
ed, infine, negli Anni Venti, una vera e propria colonna sonora,
4
non formata
solo da brani musicali, ma da tutte e tre le materie di espressione su cui si
articola il suono: parole, rumori e musiche.
L’esempio dell’avvento e dello sviluppo del sonoro non è casuale, ma vuole
dimostrare quanto il cinema sia dipendente dall’evoluzione e dal progressivo
affermarsi della tecnica tanto che, dalla sua nascita, le sue possibilità di
espressione sono sempre state associate alle risorse di cui il mondo della
tecnica disponeva.
Oggi, però, la tecnologia non è più ristretta né al ruolo di strumento, ossia ciò
che serve per dire o fare qualcosa, ma è diventata un vero momento di
riflessione, una questione centrale su cui discutere e un protagonista quasi
“vivo” e in carne ed ossa delle trame dei film. Probabilmente l’analisi che il
Introduzione
8
cinema ha avviato su di essa è il naturale punto di sbocco per un’arte
espressiva che della tecnologia ha assolutamente bisogno per nascere,
diffondersi e sopravvivere. Bisogna sempre ricordare, infatti, che la
cosiddetta "civiltà delle macchine", tanto vituperata, non ha prodotto “solo”
guasti ambientali o nevrosi individuali e collettive ma, modificando il modo di
pensare e di sperimentare lo spazio e il tempo, ha dato anche vita a inedite
forme artistiche. Secondo lo storico Stephen Kern, molte espressioni
letterarie prodotte nel periodo che va dal 1880 all’inizio della Prima Guerra
Mondiale, si spiegano proprio con la diffusione delle nuove tecnologie:
"James Joyce era affascinato dal cinema e nell’Ulisse tentò di ricreare nelle
parole le tecniche di montaggio usate dai primi autori cinematografici.
I futuristi adoravano la tecnica moderna e la celebrarono nelle arti e nei
manifesti. Parecchi poeti scrissero poesia "simultanea", come risposta alla
simultaneità dell’esperienza resa possibile dalla comunicazione elettronica.
Altre tecniche fornirono metafore e analogie per le strutture in mutamento
della vita e del pensiero".
5
Infine, e questa vuole essere una cautela metodologica, occorre ricordare
che l’interpretazione e l’analisi di un film non è mai univoca, ma dipende dalla
prospettiva con cui lo si osserva. Occorrono, naturalmente, da un lato,
metodo, rigore e aderenza al testo, ma, dall’altro lato, anche fantasia e
creatività: non credo sia possibile un’interpretazione che esaurisca tutti i
significati e i significanti del testo esaminato.
Così come il celebre “Urlo” di Münch è analizzabile, oltre che per il suo valore
artistico, anche come espressione della sofferenza interiore dell’artista in
particolare e dell’essere umano in generale, allo stesso modo un film può
essere considerabile come il prodotto delle convinzioni, degli stereotipi e
delle emozioni del regista nonché dell’umanità stessa.
Naturalmente i quadri, i racconti e le sceneggiature non rispecchiano
necessariamente l’opinione pubblica e le istanze intellettuali dominanti:
anche se si potesse riscontrare una forte compattezza di punti di vista e di
consensi, in periodi di diffusa convinzione a favore o contro le tecnologie,
sarebbe azzardato sottostimare la diversità delle opinioni all’interno della
Introduzione
9
popolazione, soprattutto se si analizzano diverse classi sociali, aree
geografiche e generazioni.
Il “metteur en scene” che si pone di fronte alla macchina da presa, infatti, è
innanzitutto una persona e, come tale, non può fare a meno della propria
soggettività, delle conoscenze, convinzioni e rappresentazioni mentali
maturate nel corso della propria vita. Il film non può mai essere, quindi, un
processo di registrazione asettico della realtà, ma “solo” una storia fissata
sulla pellicola secondo un punto di vista particolare. Allo stesso modo, il
sottoscritto pur confidando nell’approvazione del lettore, non può né
pretendere alcun requisito di scientificità per le sue interpretazioni, né
sperare di rappresentare in toto le opinioni e le idee di ciascuno.
Come disse Manzoni, spetterà “ai posteri l’ardua sentenza”: che si tratti di
uomini o di macchine non ha molta importanza.
NOTE
1 Citato in Antonio Cavicchia Scalamonti e Gianfranco Pecchinenda, La memoria consumata,
Ipermedium Libri, Napoli, 1996, p.164.
2 Il primo film con un commento sonoro registrato direttamente sulla pellicola, seppure privo di
dialoghi, fu “Don Giovanni e Lucrezia Borgia” (Don Juan) diretto nel 1926 da Alan Crosland e
prodotto dalla Warner Bros.
3 Nel 1927 la Warner Bros, dopo il successo del film “Don Juan” dell’anno prima, produce “Il cantante
di jazz (The Jazz Singer)” con musiche e dialoghi.
4 Su un piano strettamente tecnico la colonna sonora è “quella zona della pellicola cinematografica
che reca la registrazione foto-acustica, quella cioè in cui sono incise delle vibrazioni luminose che,
nel passare davanti a un apparato apposito del proiettore, si trasformano in vibrazioni elettriche. Tali
vibrazioni diventano sonore in quanto ascoltabili attraverso un altoparlante posto dietro lo schermo”
(Ermanno Comuzio, “Colonna sonora. Dialoghi, musiche, rumori dietro lo schermo”, Il Formichiere,
Milano, 1980, p.13)
5 Citato in Stephen Kern, Il tempo e lo spazio, Il Mulino, Bologna, 1988, pp.12-13.
In particolare l’autore si riferisce a Wells, definendo la sua macchina del tempo "un simbolo della
speranza di tutta la tecnologia di accelerare i processi di cambiamento". Per un quadro completo dei
riferimenti alla fantascienza presenti nel saggio di Kern, si veda la recensione di Massimo Del Pizzo
su "Future Shock" n.3 (nuova serie), maggio 1989, pp.12-13.
Capitolo 1
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1. TECNOFILIA vs. TECNOFOBIA
1.1 LO SPAZIO FISICO
“La televisione è come l’invenzione dell’impianto idraulico dentro le nostre case.
Non ha cambiato le nostre abitudini. Ci ha solo permesso di rimanere al chiuso!”
(Alfred Hitchcock)
Prima della nascita del telegrafo, l'idea di "comunicare" e quella di
"trasportare" erano fuse perché il solo modo di comunicare era dato dal
trasporto di un messaggio fisico, ma, da quel momento in poi, il contenuto si
è separato sempre più dal mezzo, ossia dal supporto fisico, e il testo si è
progressivamente smaterializzato. Fino a un secolo e mezzo fa, infatti, la
presenza fisica era una condizione necessaria per vivere una determinata
esperienza e i confini del "luogo" in cui ci trovavamo delimitavano le nostre
possibilità di percezione e di interazione; ora, invece, la differenza tra luogo
fisico e situazione sociale in cui possiamo essere immersi è sempre più
indefinita ed impalpabile.
I mezzi di comunicazione elettronici hanno distrutto le barriere che ci
segregavano in vere e proprie "prigioni informative", che precludevano ogni
possibilità di comunicare con gli altri. I media, prima il telegrafo e il telefono,
in un secondo momento la radio e la tv, oggi il computer e internet, hanno
permesso ai messaggi di coprire enormi distanze in tempo (quasi) reale:
paradossalmente, possiamo condividere esperienze molto più simili con un
medico dell'isola di Pasqua, conosciuto in un "discussion group", piuttosto
che con il nostro vicino di casa.
Chiaramente, un medium può influenzare le nostre possibilità di interazione e
di conoscenza, perché crea nuovi ambienti e situazioni sociali che prima non
esistevano e che non sono più limitate all'incontro fisico. Oggi "comunicare"
non implica più essere nello stesso posto e nello stesso momento; la
componente temporale si rivela indispensabile, infatti, solo in determinati
Capitolo 1
11
come nel caso delle comunità virtuali o delle chat (anche se, in quest’ultimo
caso è possibile la comunicazione asincrona).
1
Lo spazio ha perso, quindi, la sua connotazione di fisicità perché il vecchio
senso del luogo non ha più significato in un mondo sempre meno
condizionato e dipendente dallo spazio stesso.
Normalmente si immagina che ci sia un solo spazio reale, lo spazio fisico e
geografico, ma questo è falso, perché esistono altri tipi di “spazi”: lo spazio
affettivo (che non coincide necessariamente con lo spazio fisico), lo spazio
semantico (che può essere differente dallo spazio affettivo e dallo spazio
territoriale), il cyberspazio, ecc.
Ora, quando tutti erano contadini e abitavano in piccole case o cascine, lo
spazio fisico - territoriale era identico allo spazio affettivo: tutti quelli che si
potevano conoscere, amare o odiare, appartenevano ad un ambito
estremamente circoscritto. Lo stesso si può dire per lo spazio economico,
perché le relazioni erano solo con la gente del proprio villaggio.
Un tempo c'era, quindi, una sovrapposizione di spazi, mentre tutta
l'evoluzione sociale, da due o tre secoli a questa parte, va verso una loro
dissociazione.
Quello che avverrà con lo sviluppo della "cybercultura" è un prolungamento
di questo processo di dissociazione. La cybercultura realizza un
avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si muovono nella stessa
sfera di interessi e che possono contattarsi realmente. Vediamo
rappresentati tutti gli aspetti dell'umanità e soprattutto la dimensione del
linguaggio, perché c'è una grande quantità di nuovi linguaggi che si
inventano in base ai nuovi rapporti: l'ipertesto, le realtà virtuali, l’interattività,
le simulazioni sono tutte forme di linguaggio nuove.
Si sviluppa, con l’avvento del digitale, un nuovo universo tecnico e,
parallelamente, si inventano nuove forme di relazione economiche, affettive,
o di altro genere, tra le persone.
Capitolo 1
12
Il nuovo ambiente che si viene a creare è caratterizzato da:
ξ INTANGIBILITÁ - i supporti cambiano la loro collocazione all'interno
del sistema dei media. Il testo assume una nuova forma di visibilità, si
smaterializza quasi completamente e spezzetta i suoi contenuti in
pacchetti di informazioni organizzati ed uniti da un intreccio di
collegamenti ipertestuali. Non c'è più la fisicità del libro e neanche la
fisicità del quadro o della parete dell'affresco. Il cinema, con soltanto
uno schermo ed un proiettore, è, forse, l'unico grande erede di un
certo tipo di testo che vive sull'assenza di una corporeità precisa.
ξ VIRTUALITÁ - la scrittura tende a ridursi, passando dalla funzione
secolare di “attrice protagonista" del testo a quella di "non
protagonista", fino addirittura a scomparire per dare spazio ad altre
soluzioni capaci di sfruttare tutti i vantaggi degli altri media: icone,
immagini, animazioni, suoni, ecc. La multimedialità è la base di
partenza, ma il passo immediatamente successivo è la virtualità, ossia
la costruzione di mondi digitali in cui si possono riprodurre situazioni
del mondo reale o fantastiche. Il video-gioco per la guida di aerei è un
chiaro esempio, ma la virtualità può significare anche entrare in un
ospedale virtuale per farsi fare una diagnosi da un medico virtuale o
studiare la matematica o la chimica in modo interattivo. La televisione
diventerà sempre più un viaggio all’interno di mondi virtuali; abbiamo
visto alcuni spettacoli televisivi meravigliosi, come quello di Piero
Angela in cui egli stesso navigava “virtualmente” nel sistema solare.
ξ INTERATTIVITÁ – per capire come l’interattività sia entrata nel mondo
della comunicazione, basta riflettere sulla condizione del lettore. Hugo
pensava che il libro stampato fosse più solido e duraturo di una
cattedrale di pietra ed anche la stampa ci ha spinti a credere che il
testo scritto fosse un artefatto immodificabile e un monumento al suo
autore, mentre il lettore doveva e poteva solamente "visitare" la sua
Capitolo 1
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opera/cattedrale. Keats nella "Ode on an Grecian Urn" descrive
l'immortalità di ciò che è raffigurato: anche se l'artista muore, ciò che è
stato da lui creato non morirà mai, ma sarà preservato per sempre.
Oggi, tutto questo sembra non avere più senso se consideriamo la
scrittura elettronica in cui l’immodificabilità e la fissità del testo si
scontrano con il fluire e l’instabilità del testo elettronico. Non è più una
comunicazione unidirezionale, con una chiara e completa autorità da
parte dell’autore: ora ciascun utente diventa importante per il senso
dell'opera. Una sorta di scrittura collettiva desincronizzata che viaggia
secondo linee (quasi) parallele che, ad un certo punto,
paradossalmente, convergono nel prodotto finale collettivo in cui si
afferma la dimensione cooperativa del lavoro che procede a più mani.
Il lettore diventa, quindi, un “attore” che non accetta passivamente la
logica consequenziale del testo, ma partecipa anche alla sua fase
produttiva.
ξ DISORIENTAMENTO - le potenzialità informative offerte dalle risorse
ipertestuali sono addirittura così elevate da presentare il rischio di
"cognitive overhead", ossia di eccesso d’informazione, con il
conseguente disorientamento del lettore/utente. Tale disorientamento
è, peraltro, accentuato dalla compresenza di una molteplicità di
materiali (testi scritti, immagini, animazioni, suoni) e,
conseguentemente, di codici. Spesso, infatti, le “meraviglie grafiche”
che arricchiscono gli ipertesti o i siti internet finiscono per disperdere
l'attenzione del lettore o del navigatore, così come il “cliccare”
continuo da un link all'altro finisce per fargli perdere il senso della
propria posizione all'interno della struttura-testo. Gli indubbi
miglioramenti nella strutturazione delle interfacce e dei browser e la
maggiore attenzione alla chiarezza e alla funzionalità dei sistemi
d'interfaccia da parte dei creatori di ipertesti (su CD-ROM e on-line)
non riescono a togliere la sensazione di dispersività intrinseca del
mezzo. Probabilmente, il disorientamento e il sovraccarico cognitivo
non sono superabili solo con migliorie di carattere tecnico, ma con il
Capitolo 1
14
progredire della competenza d'interfaccia del lettore/utente. Il
problema del sovraccarico di informazioni e del disorientamento ha
reso necessaria la presenza di indici e mappe,
2
che costituiscono il
“centro dell’ipertesto”, il punto cui fare riferimento prima di ogni
esplorazione ed il nodo cui tutti gli altri sono connessi direttamente o
indirettamente.
Siamo, quindi, in un’epoca di moltiplicazione dei mezzi di comunicazione, ma
la tecnologia sembra diretta verso una nuova convergenza del sistema dei
media che dovrebbe portare a sfruttare le potenzialità di un unico strumento
per comunicare in tempo reale, vedere film, elaborare testi ed immagini,
sentire dischi di musica o studiare: questo nuovo mezzo di comunicazione
universale sarà certamente il computer. Questo, però, non significa che tutti
gli altri mezzi di comunicazione saranno assorbiti da questa nuova
tecnologia, ma sicuramente si ridisegnerà il loro ruolo e il loro spazio. Ad
esempio la radio non è morta con l’avvento della tv, come si è creduto per
molto tempo, ma si è tagliata un suo spazio diverso dal precedente ed è
diventata il "medium del mattino" o "dell'automobile" per eccellenza.
Il computer partecipa al mondo delle comunicazioni di massa proprio perché,
se connesso in rete, ha la possibilità di raggiungere milioni di utenti sparsi in
tutto il mondo. Inoltre i suoi contenuti, come quelli della radio e della
televisione, costituiscono un flusso dinamico fruibile da tutti gli utenti nello
stesso momento e con le stesse modalità. A differenza dei media elettronici
classici, però, non presenta lo stesso processo di comunicazione
"asimmetrico" e "unidirezionale" perché è una tecnologia di tipo “pull”, che
permette la comunicazione orizzontale, mentre la televisione è tipicamente
“push” visto che si basa su un flusso monodirezionale.
Le nuove prerogative del lettore di un ipertesto richiedono competenze
specifiche, la cui acquisizione può diventare misura di discriminazione in una
società in cui l'informazione passa sempre più sui canali della Rete. Ad
esempio la televisione ha avuto un grosso successo non solo perché ha
offerto programmi culturali e di intrattenimento, ma soprattutto perché è stata
capace di rendere la comunicazione comprensibile a tutti, garantendo la
Capitolo 1
15
piena "parità di informazioni disponibili", a differenza, ad esempio, della
stampa che ha caratteristiche "elitaristiche”, perché si basa su un codice (la
scrittura), cui possono accedere solo gli alfabetizzati.
Il potere nella società dell’informazione, quindi, sarà determinato dalla
conoscenza dei linguaggi e dei codici e non dal semplice possesso di
informazioni. Non è un caso, infatti, che il facile accesso a grandi quantità di
informazioni renda sempre meno necessaria l'accumulazione mnemonica di
nozioni tanto che "la differenziazione avverrà in futuro meno sulla base della
quantità di conoscenze accumulate e più sulla base della capacità di
ricercare e utilizzare le conoscenze stesse".
3
Ovviamente, il contesto sociale
è destinato a cambiare: saper usare Internet, essere abili nel gestire e
ricercare le informazioni e nel saperle trattare costituirà il bene più prezioso,
anche e soprattutto nel mondo del lavoro.