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dei numeri con cui si aveva a che fare. Nel 1949 i cinesi erano “solo” 580
milioni, nel 1957 erano già arrivati a 650.
In quest’ottica, la Cina è stata di volta in volta vista come una sterminata
distesa di contadini affamati, di soldati minacciosi, di studenti universitari
che pagavano con il sangue le richieste di cambiamento. Ogni problema
che la Cina poneva veniva letto in un’ottica totalizzante. Una sola
pennellata bastava per definire l’insieme del quadro di riferimento:
nessuna penombra, un solo colore. L’idea del mega numero come unica
connotazione è entrata nella nostra immaginazione, nelle nostre metafore,
persino nelle nostre barzellette.
Si racconta che il presidente americano Jimmy Carter tentò una volta di
“ammaestrare” Deng Xiaoping sul tema della democrazia. Alle richieste
americane di maggior libertà individuali per il popolo cinese, il Piccolo
Timoniere rispose più o meno così: <<E’ il primo pilastro su cui poggia la
libertà di movimento. Allora da domani io darò il passaporto a tutti i miei
cittadini>>. Carter a quel punto cambiò discorso.
Anche dopo l’era di Mao, il terrore dei numeri restava lo stesso per gli
occidentali e soprattutto in relazione ad esso si poteva cercare e trovare un
argomento di conversazione di cui facesse parte anche la Cina.
Oggi la Cina è al centro dell’attenzione sia dal punto di vista pubblico
che economico, che sociale, un momento in cui tutti pretendono di saperne
qualcosa in più. Con questa tesi mi propongo di affrontare il tema da
un’altra ottica, parlando non della Cina lontana, ma di una realtà a noi più
vicina, quella della Cina in Italia, attraverso le storie dei cinesi che vivono
nel nostro Paese e l’analisi dei giornali cinesi che si stampano da noi,
soffermandomi soprattutto sull’esperienza di Roma
3
.
3
Va ricordato che il Lazio si presenta come la terza regione italiana, dopo Lombardia e Toscana, ad ospitare
il maggior numero di immigrati provenienti dalla Cina: a dicembre 2005, nel Lazio, infatti, soggiornavano
regolarmente più di 9mila cinesi, di cui il 96% (8382) situati solo a Roma. Pari al 10,64% degli
immigrati cinesi in tutta la penisola. Dati demo-Istat, 2005.
3
Basta guardarsi intorno: i cinesi immigrati sono nostri vicini di casa, sono
cresciuti di numero e di importanza e non possiamo fingere di non
accorgercene. La mia impresa parte proprio dall’analisi di questa
comunità, del modo in cui questa ha vissuto l’ingresso in un paese
straniero e del suo successivo inserimento.
Il fenomeno dell’immigrazione cinese in Europa e le modalità
d'insediamento nel territorio saranno argomento della prima parte della
tesi, che si propone anche di fornire delle informazioni generali circa le
origini, la provenienza e la storia delle diverse comunità cinesi in Italia,
descrivendo le caratteristiche della maggiori “chianatown”: Milano, Prato
e Roma. Cercherò di spiegare i perché della partenza da un Paese così
lontano e le difficoltà dell’integrazione esaminando successivamente i
mezzi che queste nuove società utilizzano per informarsi.
A questo punto sarà necessario fare un passo indietro per ricordare che
la stampa non fu inventata Francoforte, ma in Cina. Nella seconda parte
infatti sarà affrontato un breve excursus sulla stampa cinese della
madrepatria, in modo da poter operare un confronto con l’oggetto
principale di studio, il giornalismo cinese in Italia e più precisamente nella
città di Roma.
Nella terza parte, poi, si farà una rapida presentazione dei media etnici
diffusi per gli stranieri in Italia, mentre nell’ultima si presenteranno le
diverse iniziative editoriali dirette alla comunità cinese, facendo una
panoramica precisa sulla stampa cinese a Roma. Quale tipo di notizie
vengono proposte ai cittadini cinesi e come funziona il lavoro di chi fa
informazione in un paese diverso da quello d’origine. In questa sezione
saranno anche proposte diverse interviste in cui direttori di testate ed
esperti di cultura cinese parleranno della propria esperienza. Un modo per
capire chi fa i giornali e anche per dare una voce a chi si occupa di Cina
per lavoro.
4
Fino ad oggi, non risultano essere molte le indagini affrontate su questo
argomento, anche se la stampa degli immigrati in Italia costituisce un
servizio essenziale per le comunità straniere, in particolare per quella
cinese, per gli evidenti problemi di lingua. La ricerca del materiale e dei
contatti ha richiesto uno sforzo non indifferente che è stato premiato con la
scoperta di una realtà non solo interessante ma anche, sorprendentemente
per certi aspetti, interessata a farsi conoscere.
Devo dire la verità che quando all’inizio con il mio relatore abbiamo
parlato dell’oggetto di questa tesi ero molto perplessa, ma, dopo i primi
contatti e i primi approfondimenti, quella che sembrava un’impresa
impossibile, si è rivelata stimolante e un’occasione per affrontare e
comprendere, almeno in parte, difficoltà politiche, culturali, civili e
religiose che esistono tra la società ospitante (in questo caso l’Italia) e la
comunità immigrata (nel mio caso quella cinese). Un approfondimento che
mi ha permesso di allargare il dibattito su temi quali l’informazione, i
diritti e doveri del migrante, i diritti all’accesso, al pluralismo, alla
visibilità e alla democrazia.
Gli immigrati vivono al nostro fianco, nella nostra società, ma la loro
integrazione presenta problemi da ambedue le parti, anche se ho avuto
l’impressione che sia più agevole per loro conoscere il nostro mondo
rispetto a quanto riusciamo a fare noi nei loro confronti. Solo andando
oltre al problema molto serio della diversità della lingua, dei costumi, della
cultura è possibile avvicinarci a loro e dare una dimensione corretta del
fenomeno. Informare e far conoscere, insomma. Gli obiettivi di ogni buon
giornalista.
Un breve notazione è d’obbligo a questo punto. Quanto conosciamo
della Cina noi italiani o quanto crediamo di conoscere? Una domanda che
mi sono posta personalmente nel corso di tutta la mia indagine e che ho
posto in maniera ricorrente ai miei interlocutori.
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Conosciamo ancora poco, o almeno non tutto. E questo è forse da
ricercarsi anche nel modo in cui si è fatta informazione sulla Cina in questi
anni. L’Italia è stata una delle prime nazioni a fare informazione sulla
Cina. Alla fine degli anni Ottanta, c’erano venti giornalisti stranieri nella
Pease di mezzo
4
: ebbene cinque di questi erano italiani, ovvero era italiano
un quarto di tutti i giornalisti stranieri in Cina.
L’Ansa era l’unica ad avere un corrispondente fisso da Pechino. Mentre,
la Rai era titolare di un ufficio di rappresentanza, soprannominato
“Deserto dei Tartari”, cui faceva da guardia un giovane mongolo incapace
di pronunciare anche una sola parola di italiano e il cui unico compito era
quello di pagare le bollette della luce e di spedire le fatture a Roma
5
. Se si
riflette un attimo sul dato, ci si rende conto che era una proporzione senza
senso, rispetto alla realtà delle relazioni economiche e sociali tra l’Italia e
la Cina in quegli anni.
Negli anni Novanta, invece, quando la Cina era pronta a concedere, in
primis all’Italia, tante opportunità, il nostro Paese non c’era più
6
. Non
c’era perché troppo concentrato su se stesso, “appannato” da ciò che gli
stava succedendo in casa. L’Italia per dieci anni cessa di occuparsi di
politica estera, concentrandosi solo sulle questioni interne. Un
appannamento che si è cercato solo recentemente di ovviare.
La Cina, comunque, presenta difficoltà essenzialmente strutturali: è una
realtà che presuppone conoscenza, know-how, capacità di muoversi, quindi
grandi possibilità di investire in capitale umano. Ci vogliono cinesi che
sappiano bene l’italiano o italiani che conoscano bene la Cina: tutte risorse
4
Cina in mandarino si dice “Zhongguo”, la traduzione letterale è “Paese di mezzo”. La Cina è infatti
considerata come il paese che si trova al centro del mondo. Al centro del continente asiatico con le Americhe
a destra, l’Europa a sinistra e l’Africa in basso.
5
Nello stesso periodo l’Austria portava a tre il numero dei propri corrispondenti in Cina, l’Ex-Jugoslavia a
cinque. Ibidem, G.Trentin.
6
F.Scisci, “L’Italia in Cina – La politica interna di Roma riflessa a Pechino”. In G.Trentin, op. cit..
6
che l’Italia ha avuto in misura ridotta o che stanno cominciando a crescere
solo negli ultimi dieci anni.
Questa assenza italiana negli anni novanta è documentata anche
dall’attenzione che i media dedicano alla Cina: il numero dei giornalisti
stranieri presenti nella Repubblica Popolare Cinese passa dai venti inviati
dalla fine degli anni Ottanta ai quattrocento della fine dei Novanta (cioè il
numero si moltiplica per venti nell’arco dei dieci anni). Tra questi solo due
sono italiani, quasi a sottolineare una non attenzione alla evoluzione
cinese. In questo clima di vuoto si susseguono comunque le visite di
rappresentanti governativi italiani
7
, ma senza produrre particolari risultati,
sia perché i governi italiani hanno una vita troppo breve, sia perché la Cina
viene percepita lontana dal reale centro di interesse dell’Italia.
La Cina ha continuato a crescere, a cambiare, a muoversi ed è stata lei ad
interessarsi dell’Italia. I suoi cittadini hanno cominciato ad insediarsi nelle
nostre città a vari livelli, a visitare il nostro paese, tanto che nella seconda
metà degli anni Novanta, in Italia, c’è stato un boom di presenze cinesi.
Con il passare degli anni ci siamo accorti che non si trattava solo di
venditori di accendini, ma di una qualità di immigrati più alta e
significativa. Le prime domande sono cominciate quando, in alcune realtà
locali del nostro paese sono accaduti fenomeni particolari. Un esempio è
San Donnino, nel pratese, dove l’intera produzione di pellame stava
passando dalle piccole e medie imprese italiane (fiore all’occhiello della
nostra economia dopo i successi del nord-est) ad improvvisate fabbrichette
di cinesi che riuscivano a produrre più velocemente e a costi minori.
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Un tentativo di apertura è stato proposto da Romano Prodi nel suo terzo viaggio, il primo da Presidente del
Consiglio, nella Repubblica Popolare Cinese, lo scorso 13 settembre. Prodi atterra in Cina e spiega che il
governo stavolta ha le idee chiare: la collaborazione con Pechino deve diventare sempre più stretta, Roma
non si può permettere altri ritardi, bisogna creare i presupposti per una cooperazione economica, scientifica e
sociale. Il Presidente del Consiglio ha anche auspicato alla possibilità per l’Italia di “diventare la porta
dell'Europa per chi arriva dall'Oriente”. Come ha pure sottolineato nel suo discorso: “Arriviamo tardi e
dobbiamo correre. Pechino offre straordinarie possibilità alle nostre imprese. Non dobbiamo avere paura”.
Discorso del Presidente del Consiglio a Nanchino. Rassegna stampa Agi.
7
Lo stesso accadeva per l’abbigliamento nell’area della cintura vesuviana. I
sindaci si sono detti preoccupati, i giornali hanno cominciato a lanciare
l’allarme sulla presenza cinese in Italia e di nuovo la logica del numero ci
ha fatto parlare di “invasione gialla”. Abbiamo assistito non senza
preoccupazione alla nascita di quartieri cinesi nelle nostre città, abbiamo
visto nascere associazioni e piccoli organi corporativi solo cinesi, non
siamo stati in condizione di compiere un esame esauriente delle nuove
realtà. La nostra ambasciata a Pechino ha limitato i visti e il nostro
Ministero degli Interni ha usato maggiore severità sul rilascio dei permessi
di soggiorno. Però non ci si è accorti che nello stesso periodo una società
statale cinese si comprava il 50% di una storica compagnia di trasporti
marittimi genovese, diventando con questa fusione una delle realtà
dominanti di tutti i traffici del Mediterraneo. Né si è data molta importanza
agli articoli secondo cui i cinesi entravano di fatto in congestione nel porto
di Gioia Tauro o garantivano la copertura del 30% dei traffici di quello di
Napoli. Forse i “numeri” non erano abbastanza alti.
Più o meno da un anno tutto è cambiato: la Cina è stata “scoperta”
dall’Italia, in Italia e fuori. Ora tutti discutono sull’opportunità di investire
in Cina e, ad esempio, nella cultura cinematografica
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si riflettono i
profondi concetti espressi dal popolo cinese.
Abbiamo quindi fatto accenni che sembrano esulare dal cuore della tesi,
ma che servono anche per comprendere come noi viviamo questo secolo
dove la Cina, quella d’Oriente, sembra fare la parte del Dragone. Questa
tesi, d’altra parte, costituisce un timido, modesto tentativo di offrire un
punto di osservazione della complessità e delle diverse dinamiche del
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N’è un esempio il film vincitore della 63° Mostra d'arte cinematografica di Venezia. Prodotto in Cina,
dal semisconosciuto Jia Zangh-ke, “Still life”, è un racconto intriso di malinconia e solitudine. La storia di
alcune persone in cerca del proprio passato ma che finiscono, volenti o nolenti, per rompere (anche
violentemente) con esso. Come sfondo la costruzione della mastodontica diga delle tre gole, destinata ad
“inghiottire”, con le acque che permetterà di raccogliere dal Fiume Azzurro, parte del paesaggio circostante.
8
mondo sociale e culturale cinese in Italia; un’analisi che mira a conoscere
il mondo cinese da un punto di vista “interno” ad esso, attraverso l’esame
e l’attività svolti sull’integrazione delle comunità cinesi nel nostro
territorio. Confucio diceva: “Studiare senza pensare è inutile, ma pensare
senza studiare è pericoloso”
9
.
9
Ibidem. G.Trentin.