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Introduzione
Questo lavoro di tesi nasce con l’intento di ripercorrere all’incirca un secolo di storia
della mia terra di origine, la Basilicata, analizzandola attraverso i tre concetti enunciati
già nel titolo: cibo, identità e territorio.
Il cibo, le pratiche alimentari e gli usi sociali a esso connessi sono specchi nei quali si
riflette l’aspetto identitario della popolazione e del circoscritto contesto territoriale in
questione. In quanto delimitato geograficamente bisogna necessariamente fare
riferimento a un territorio che ha proprie caratteristiche e confini ma che al tempo
stesso è spazio dinamico e mutevole.
Nella prima parte della trattazione, consapevole che i cambiamenti che si verificano
all’interno di una società sono il prodotto di mediazioni e aggiustamenti di tipo
politico, economico e culturale, non potevo esimermi dall’analisi della cornice storica
della regione. La storia che prendo in considerazione è quella che va dai primi anni del
1900 al tempo contemporaneo, isolando quei momenti che hanno provocato
mutamenti decisivi della regione in tutti i suoi aspetti. A coadiuvare la narrazione
storica ci sono le opere di personalità che hanno dato una lettura sociologica e
antropologica della Lucania (non usare la denominazione Basilicata non cela alcun
sentimento politico, ma credo che se il popolo è lucano – mai è entrato in uso
l’appellativo basilicatesi e quello di basilischi è riservato ai mafiosi del potentino –
allora il luogo in cui dimora deve essere la Lucania). Più che ad altri faccio riferimento
a Carlo Levi, Rocco Scotellaro e Ernesto De Martino. Il motivo di questa scelta risiede
nella loro diversità di intenti e nella contemporanea vicinanza di sentimenti. Levi è
uno scrittore che vive l’esilio a Gagliano, prima mondo infernale e poi mondo mitico,
un mondo contadino diviso tra mito e realtà così pervasivo che lo stesso Levi si scopre
un torinese del sud. Scotellaro è un poeta lucano e racconta di un tempo contadino
dinamico, che risponde alla storia che l’esclude e si spinge con forza verso la
modernità. Sono gli anni della Riforma Agraria che scuote la terra e la vita di chi la
lavora, che promette nuove possibilità di vita legate all’agricoltura ma che di fatto apre
le strade dell’emigrazione di massa oltreoceano e oltre i confini regionali. L’intento
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sociologico degli scritti di Scotellaro è ambivalente in questo senso: l’emigrazione è
una risposta, uno strumento di lotta al dramma della vita lucana ma è anche disillusione
del riscatto contadino. Un altro strumento indispensabile nella vita quotidiana della
regione è quello su cui Ernesto De Martino scrive pagine memorabili: la magia. Le
spedizioni dell’etnologo in Lucania scandagliano ogni forma e ogni narrazione sulla
magia e il suo valore sociale e simbolico arrivando così a considerarla come un
dispositivo metastorico che preserva e protegge da quella famosa crisi della presenza
che si scatena in occasione di eventi traumatici come la morte o il parente che emigra.
Il costante richiamo all’importanza dell’evento migratorio come slittamento e/o
rafforzamento dell’identità lucana mi porta a dedicargli uno spazio lungo la trattazione.
Nel paragrafo in questione parlo dell’emigrazione facendo un parallelismo con il
fenomeno del brigantaggio perché, pur nella palese differenza, c’è un aspetto comune
che è quello della fuga. I briganti fuggono nei boschi per lo stesso motivo per il quale
il migrante fugge in America: la ricerca di possibilità e di terra.
I motivi per i quali fenomeni come brigantaggio ed emigrazione hanno avuto una
simile portata per i lucani risiedono in parte nei tecnicismi, nei cavilli legislativi che
hanno dato un nuovo assetto (sociale) e un nuovo aspetto (morfologico) alla regione.
Così il capitolo prosegue con una rapida disamina delle leggi che hanno tentato di
affrontare la questione meridionale ma che non hanno avuto gli esiti sperati. Faccio
riferimento soprattutto alla legge speciale per la Basilicata voluta da Zanardelli e alla
Riforma Agraria.
Ma la Lucania non è solo questione meridionale, né solo miseria, arretratezza e
ambienti ostili. Nel sottosuolo della regione c’è l’oro nero, quel petrolio che da sempre
giace sotto i nostri piedi a un certo punto ha suscitato l’interesse dell’ENI. Il mostro a
sei zampe ha dato una nuova veste alla regione: da bisognosa di leggi dedicate per
risollevarne le tragiche sorti a produttrice del 10% del fabbisogno energetico
nazionale. Fonte inesauribile e indispensabile di informazioni sulla questione del
petrolio in Basilicata è stato l’antropologo Enzo Vinicio Alliegro e il suo volume Totem
nero dal quale ho ripreso lo schema espositivo e parte delle testimonianze delle persone
che vivono con i pozzi d’estrazione a poche centinaia di metri da casa.
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Non è questa la sede per un’invettiva contro le disposizioni regionali e nazionali in
materia di greggio, mi limito a ripercorrere la storia delle estrazioni e gli stravolgimenti
da queste prodotti. Il petrolio è pervasivo, ha modificato tutto: l’aria, l’acqua, il cibo,
gli individui e la terra. Per lo stretto rapporto che lega il territorio ai suoi abitanti l’uno
non può subire modifiche senza compromettere l’identità dell’altro. È in questo
binomio territorio/identità che si situa il terzo elemento riportato nel titolo: il cibo.
Sostengo chi lo ritiene un fatto sociale estremamente ricco, una forma particolarmente
plastica di rappresentazione collettiva, ed è per questo che me ne servo per cercare di
comprendere se e come l’identità lucana si manifesta nelle scelte quotidiane, a partire
dalle pratiche alimentari. Prima di inoltrarmi nella ricerca ho dedicato un capitolo, il
secondo, a una disamina degli studi più interessanti in materia di antropologia e
sociologia alimentare. Levi-Strauss, Mary Douglas, Marvin Harris e Jack Goody
danno l’imprinting iniziale per una dignità scientifica al tema del cibo. Per uno sguardo
sul contemporaneo faccio riferimento soprattutto agli studi di Claude Fischler che
analizza gli ambiti in cui l’alimentazione ha subito il cambiamento imposto dal
progresso industriale e dalla globalizzazione. I suoi studi si concentrano sull’individuo
che sceglie di cosa nutrirsi in virtù di vari principi, il più controverso dei quali è quello
dell’incorporazione. In base a questo con l’atto del mangiare introduciamo nel nostro
corpo un elemento estraneo che oltrepassa il confine tra dentro e fuori, tra io e non io
e, in questa rottura, l'alimento ci trasforma e ci contamina tanto in positivo quanto in
negativo. La dicotomia positivo/negativo getta una luce su categorie più familiari
quando si parla di cibo: buono/cattivo, gustoso/disgustoso, tipico/industriale,
genuino/contraffatto. Il territorio lucano nella sua totalità, dal metapontino - che ha
meritato l’appellativo di Basilicata felice per la ricchezza delle sue produzioni agricole
– al versante tirrenico, oggi è vittima della drammatica svalutazione economica e
simbolica delle colture rappresentative della regione perché ritenute contaminate. La
svalutazione è accompagnata dal sentimento che il prodotto locale non è più
necessariamente il prodotto più genuino, anzi, la terra che produce cibi identitari di cui
andare orgogliosi e su cui si investe un plusvalore simbolico connesso al suo consumo
oggi è una terra da cui si generano prodotti dannosi per la salute.
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Entro così nel merito della mia ricerca sul campo. Il terzo capitolo si compone di tre
parti che fanno capo a tre narrazioni e contesti testimoniali diversi. La prima narrazione
la devo ai responsabili e ai produttori dei cinque Presidi Slow Food della Basilicata.
Ho scelto di rivolgermi a queste personalità perché rappresentanti di un progetto di
riqualificazione del territorio che travalica i confini regionali e nazionali. Ha
aspirazione globale – un globale virtuoso, da non confondere con la globalizzazione –
ma alla base ci sono i presidi che, come dice la parola stessa, presidiano un territorio
ben circoscritto e lo preservano dal depauperamento agricolo. Per Slow Food questo
significa salvarsi anche dal depauperamento culturale. Tali obiettivi possono essere
riassunti in una sola parola: ecogastronomia. Il prefisso eco presuppone l’attenzione
per l’ambiente e la gastronomia, spogliata della sua valenza più borghese, è
semplicemente l’apprezzamento dei sapori e dei saperi alimentari.
La seconda narrazione porta il nome di Federico Valicenti, cuoco lucano piuttosto noto
ben al di fuori della regione, che mi invita a raggiungerlo nel suo paese nel cuore del
Parco Nazionale del Pollino per parlarmi dell’importanza di preservare la topicità del
cibo per non perdere la lucanità della popolazione. Il suo racconto, denso e
multidimensionale, apre le porte all’archeogastronomia, alla storia d’archivio e
promuove una nuova figura, quella del cibosofo che ha il delicato compito, di interesse
politico e sociale, di raccontare il territorio attraverso il cibo.
Le pratiche alimentari lucane si esplicitano materialmente nei modi d’uso quotidiani e
nelle scelte di acquisto e consumo. Per questo motivo la terza e ultima narrazione l’ho
ricavata dalla frequentazione di punti vendita alimentari della grande e della piccola
distribuzione organizzata cittadina. Il valore simbolico del cibo viene affiancato dal
valore economico dello stesso e insieme orientano scelte all’interno di questi spazi.
L’equivalenza locale=genuino è teoricamente avvertita e accettata, quantomeno nelle
parole dei miei informatori, ma poi non sembra avere fattualità pratica. Nel contesto
da me osservato cambiano gli aggettivi: il cibo tipico diventa il cibo fresco, il prodotto
locale è il prodotto pulito. Questo forse a riprova dei sospetti della popolazione verso
la località generalmente intesa in un contesto contaminato da scorie e reflui petroliferi
come è quello lucano.
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Capitolo Primo
La Basilicata dal viaggio presidenziale di Zanardelli ai viaggi
delle autocisterne petrolifere
1.1 Premessa
Si dice che sul finire del V sec. a. C. in Enotria
1
si insediarono nuove popolazioni di
stirpe osco-sannita
2
che portano alla nascita dell’ethnos dei Lucani.
3
Riguardo
l’origine filologica del nomen lucano la più accreditata è quella che fa riferimento alla
parola luc, che in sanscrito significa luce
4
. Questo richiamo alla luce trova conferma
se si prende in considerazione l’origine semita dell’appellativo lucano, dove appunto
Luachan indica lo splendido e il luminoso
5
.
A vedere questi colli, queste valli, queste spiagge squallide e morte, non par vero che
dove ora vi sono zolle ed acque ed arie letali, dove havvi il deserto e la morte,
rifulgessero un tempo le fiorenti città della Magna Grecia: Metaponto ed Eraclea, sede
di imperi, celebrate per splendore di natura e magnificenza di monumenti.
6
1
L’Enotria è un vasto settore territoriale compreso tra il Mare Ionio, con le colonie greche di
Siris, Sibari e Metaponto, e il Mare Tirreno, con la città achea di Poseidonia. Il territorio è
delimitato, a nord-est, dalle valli del Cavone e della Salandrella; a sud-ovest, dal sistema
appenninico meridionale costituito dai monti Sirino, La Spina e Alpi, alle sorgenti dei
Sinni; a sud, dal massiccio del Pollino; ad ovest, dal Vallo di Diano e, ad est, dalla fascia
costiera pianeggiante ionica. Cfr., Alfonsina Russo, L’età arcaica. L’Enotria, in
“Conoscere Basilicata, cultura/itinerari archeologici”, Consiglio Regionale di Basilicata,
2000.
2
I Lucani discendono dai Sanniti, provenienti dal Molise e dalla Campania, a loro volta
discendenti dai Sabini, unità etnica nata tra le Marche e gli Abruzzi.
3
Cfr. Emanuele Greco, Archeologia della Magna Grecia, Laterza, Bari, 1992.
4
Giacomo Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, I vol., E. Loesher &
C., Roma, 1889, p. 7.
5
Vincenzo Padula, Protogéa ossia l’Europa preistorica, Stab. Tip. P. Androsio, Napoli, 1871,
p. 83.
6
Il discorso di Zanardelli a Potenza il 29 settembre del 1902 in Eugenio Sanjust, L’inchiesta
Zanardelli sulla Basilicata, Calice editori, Rionero in Vulture, 1996, p. 25.
8
Siamo nel 1902 e il presidente del consiglio Giuseppe Zanardelli ha appena compiuto
un viaggio in Basilicata, a seguito di sollecitazioni giunte da deputati lucani
7
presenti
in quegli anni in Parlamento. Il viaggio del presidente ha inizio il diciassette settembre
del 1902 con l’arrivo a Lagonegro e termina a Potenza il ventinove dello stesso mese.
Tra queste due tappe visita anche Corleto Perticara, Stigliano, Montalbano Jonico,
Taranto, Matera, Rionero in Vulture e Moliterno. Qui, nel paese oggi conosciuto grazie
al pecorino canestrato IGP
8
, il sindaco accoglie Zanardelli con queste parole: «Signor
Presidente, ti salutano ottomila moliternesi. Tremila sono emigrati in America, mentre
gli altri cinquemila sono in procinto di partire
9
». Per la prima volta a un esponente del
governo di Roma si palesa fisicamente tutta la drammaticità di una porzione
paradigmatica del Mezzogiorno d’Italia. In un certo senso è come se la Grande storia
che racconta di Zanardelli, della sua discesa negli inferi, se mi è concesso esasperare
il reale giudizio sul viaggio lucano, si intrecciasse con la Piccola Storia. La Grande
Storia mi è utile per dare più ampio respiro alla scrittura, per avere una cornice nella
quale inquadrare la piccola storia della Basilicata e della sua ecologia alimentare
10
che
è il focus di questo testo.
7
Faccio riferimento a Ettore Ciccotti, Michele Torraca e Pietro Lacava. Quest’ultimo, a
proposito del viaggio di Zanardelli scrive: «Quale altro fra i politici ha pensato mai di
visitare le nostre lande deserte? Quale altro tentò mai di provvedere ai bisogni di queste
alpestri regioni?», in Giuseppe Lupo, La Carovana Zanardelli, Marsilio Editori, Venezia,
2008, p. 2.
8
«Il canestrato è sempre stato il formaggio dei migranti: il molo Beverello di Napoli, da cui i
lucani partivano per l’America, era soprannominato anche molo Moliterno. E anche oggi
che ne produciamo solo un migliaio di forme l’anno (tutto il consorzio non arriva a cinque
mila, ndr), a fronte di una richiesta dieci volte maggiore, a parte quello che si accaparrano
affinatori come Carlo Fiori o Giulio Signorelli, il 95 per cento vola verso gli Stati Uniti».
Manuela Mimosa Ravasio, Basilicata, il cibo racconta, in “Corriere della Sera”,
settimanale Sette, 5 Giugno 2015.
9
Andrea di Consoli, Il viaggio allucinante del Presidente Zanardelli, in “l’Unità”, edizione
Nazionale sezione Cultura, p. 24, 10 Gennaio 2008.
10
Mi servo dell’espressione nutrition ecology: una scienza inter-disciplinare, che prende in
esame tutte le componenti della catena alimentare e ne valuta gli effetti secondo 4 punti di
vista principali: la salute umana, l'ambiente, la società e l'economia.
www.nutritionecology.org.
9
1.2 La Lucania raccontata
La Lucania non è più la Lucania di Levi. Si è evoluta, è diventata moderna. Allora c’era
la fame, c’erano i pidocchi, la miseria si tagliava a fette. I Sassi, loro sono una fonte
inesauribile di spunti e di ragioni per scrivere, sono l’icona della civiltà contadina. Oggi
non ci sono più, perché i Sassi erano la gente che ci abitava, i suoi asini, i suoi sapori, i
suoi odori. Non sono per la difesa del mito del buon selvaggio, guai a tornare ai tempi
della mia infanzia. La Lucania di oggi ha altri problemi. C’è una società profonda, quella
vera, che non conta niente, e c’è una classe dirigente che ne decide le sorti. Vedi la
vicenda del petrolio.
11
Come ricorda G. B. Bronzini, la storia del mondo contadino meridionale inclusa, va
da sé, la piccola storia del mondo contadino lucano, si porta dietro una cultura
tradizionale, un modo specifico di concepire la vita, che non possono essere liquidati
come frutto di ignoranza e superstizioni
12
. La visione contadina del mondo risponde
ad una precisa logica interna e se è vero che accoglie e valorizza elementi magici e
rituali apparentemente irrazionali è perché la magia non è ritenuta meno logica della
ragione. Come ha reso evidente Ernesto de Martino le tecniche magiche fungono da
protezione e sono un mezzo per il riscatto sociale.
13
A parte Ernesto de Martino e il
suo approccio etnologico e storico alla cultura e alla religione del Mezzogiorno questa
civiltà contadina ha goduto nel secondo dopoguerra di una ricca e varia letteratura.
Carlo Levi e la Lucania miticizzata, Rocco Scotellaro e la sua Lucania desiderosa di
rivalsa storica, solo per citare gli autori che a me paiono più rappresentativi per una
trattazione coerente anche se non ascrivibili all’ambito strettamente antropologico. La
Lucania, da Levi in poi, ha costituito la postazione privilegiata per il meridionalismo
economico, sociologico e antropologico degli anni cinquanta-settanta. Il caso Levi non
può essere isolato se si vuole analizzare il suo apporto al meridionalismo
11
Domenico Notarangelo, fotografo e intellettuale materano in Senza politica siamo larve -
Domenico Notarangelo, reportage a cura di Gionata Giardina e Nicola Feninno,
in “Ctrl Megazine”, Bergamo, 24 ottobre 2015.
12
Gian Battista Bronzini, Cultura contadina e idea meridionalistica, Edizioni Dedalo, Bari,
1982, p. 24.
13
Cfr. Ernesto de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magico, Bollati
Boringhieri, Torino, 2007; Cfr. Ernesto de Martino, Sud e magia, Feltrinelli, Milano, 1987.