Certo, come sostiene Davide Ricca, nell’invito de “Il paradiso in terra” alla
scoperta delle virtù tradizionali, il senso del dovere e del limite, il sacrificio
e la fatica come ringraziamento a Dio, in contrapposizione all’ottimismo
del progresso, pesa, come è ben noto, il riferimento alla tradizione puritana
e calvinista, che è parte stessa delle fondamenta degli Stati Uniti. Ma, non
c’è dubbio che, oggi, molte di queste domande non trovano più una
risposta. “La gente si dedica affannosamente, invece, alla ricerca di
strategie di sopravvivenza, di modi per prolungare la propria esistenza
personale o di sistemi per garantire il benessere del corpo e la pace dello
spirito. […] Vivere per il presente è l’ossessione dominante – vivere per sé
stessi, non per i predecessori o per i posteri. Stiamo perdendo rapidamente
il senso della continuità storica, il senso di appartenenza a una successione
di generazioni che affonda le sue radici nel passato e si proietta nel futuro”.
Dunque, ciò che sembra caratterizzare, con maggior precisione, la
condizione dell’uomo contemporaneo è una certa preoccupazione per la
propria identità - che si esprime nella ricerca di panacee spirituali e di
pratiche che promettono un immediato sollievo e la tranquillità psichica – e
la mancanza di fiducia nel futuro, la difficoltà e il disinteresse a stabilire
delle mete significative in funzione delle quali predisporre le energie
emotive, psichiche ed esistenziali.
Molti fenomeni, come l’emergere di nuove patologie della personalità,
l’aumento dei casi di depressione, i continui fallimenti delle relazioni
coniugali, la mancanza di rispetto per l’infanzia, la difficoltà a stabilire
relazioni personali stabili e soddisfacenti, nonché la difficoltà a stabilire
una continuità fra le generazioni, sembrano causati proprio dalla
frantumazione dei legami forti e da un certo disinvestimento emotivo. Essi,
fanno pensare alla crescente difficoltà dell’individuo a vivere con passione
e slancio la propria esistenza e a sperimentare, di conseguenza, sentimenti
di soddisfazione e appagamento nella propria esperienza e nelle proprie
relazioni personali. Per rispondere alle domande che ci siamo posti
all’inizio, infatti, occorre che gli uomini abbiano un minimo di fiducia nel
futuro e che siano disponibili ad investire energie psichiche ed emotive
nella progettazione della vita e nelle relazioni umane.
Oggi, invece, in un’economia che si è affrancata dalla sussistenza, dove
sembrerebbe che gli individui hanno la possibilità di scegliere fra diverse
alternative possibili e in cui sono sommersi “da una serie di comfort
materiali sconosciuti alla generazioni precedenti”, l’individuo ha smarrito
questa fiducia e adotta una mentalità da sopravvissuto.
L’individuo rinuncia strategicamente all’investimento emotivo nelle
relazioni sociali, si lega agli altri senza nutrire troppe aspettative e
calcolando attentamente i costi-benefici che ne riceve. Fa progetti a breve
termine, limitatissimi, si allena a superare i piccoli ostacoli della vita
quotidiana, e in un’escalation di coscienza di sé si allena controllare la
propria emotività. “Un individuo - come sottolinea B. Casalini – che sia
MacIntyre sia Lasch identificano col performing self goffmaniano, affetto
da una ‘burocratizzazione dello spirito’, la cui identità, dissolta nei ruoli
sociali, non appare più collegabile alla ‘continuità della personalità’, né può
più essere intesa nel vecchio senso ‘di una vita come storia di vita o come
narrazione’ ”.
Attualmente, secondo Lasch, le relazioni personali, soprattutto quelle più
intime, sono diventate difficili e tremendamente costose. Gli individui
fanno fatica a stabilire amicizie e relazioni sentimentali impegnative,
inoltre non sperimentano nessuna lealtà verso un luogo, un valore o una
causa. Anche la famiglia, contrariamente a quanto pensano in tanti, non
costituisce più un rifugio di sicuro apporto affettivo, poiché i rapporti al suo
interno somigliano sempre di più alle relazioni esterne: aride, competitive e
manipolatorie.
L’invasione della famiglia da parte di altre istituzioni, infatti, ha
raffreddato i legami affettivi, pregiudicato la natura delle relazioni fra
genitori e figli, delegittimato la figura dei genitori e compromesso i
meccanismi di introiezione dell’autorità, contribuendo alla formazione
della personalità narcisista: una personalità apatica e sradicata, ma
dominata nel profondo da impulsi avidi e aggressivi, che accetta il peso
dell’autorità più per acquiescenza che per rispetto.
L’individuo narcisista si muove nella società senza la guida e la saggezza
morale delle tradizionali autorità culturali, genitori e maestri, inoltre
preferisce acquietare le sue brame, di approvazione altrui e appagamento
immediato, agganciandosi a ciò che la cultura di massa gli mette a
disposizione: celebrità e consumismo. In questo modo, il narcisista è privo
di quelle risorse disciplinari e affettive che lo metterebbero in condizione di
dispiegare le sue energie nel futuro e nelle relazioni con gli altri,
alimentando la percezione di sé come sopravvissuto.
Questa sensazione nasce non solo dall’inconsistenza psichica del narcisista,
contraddistinta da un super-io dominato da impulsi arcaici e aggressivi, che
produce una continua oscillazione fra grandiose immagini di sé e un senso
di profondo vuoto interiore, e lo induce inoltre, a stabilire relazioni
superficiali, manipolatorie e segretamente competitive. Nasce anche
dall’impianto generale di tutta la vita sociale, che sembra disegnato apposta
per fare emergere questo tipo di personalità. All’interno delle grandi
organizzazioni politiche e commerciali, ad esempio, il risultato e l’impegno
contano meno che l’apparenza, lo slancio e il conseguimento del primato.
La prestazione diventa un fine in sé. Non basta più neanche il successo
economico, bisogna dimostrare la propria superiorità. In queste condizioni,
in cui le prospettive si calcolano day by day, ciò che conta è gestire
l’esistente nella speranza di superare indenni il giorno successivo.
Questa situazione, secondo Lasch, riflette non solo una profonda crisi della
cultura contemporanea, che è essenzialmente una cultura narcisista o di
massa, ma è anche la diretta conseguenza delle condizioni di vita imposte
agli uomini con l’avvento della società industriale, alla quale naturalmente
la cultura contemporanea è collegata.
Secondo Lasch, il capitalismo industriale crea condizioni di vita
patologiche, poiché priva gli individui sia di un “mondo pubblico” sia di un
“mondo oggettivo”. Infatti, esasperando la distinzione fra la fase puramente
esecutiva e quella progettuale e direttiva del lavoro, esso ha creato un
esercito d’individui senza alcuna competenza. Essi sono privi della
padronanza del mestiere e delle arti, che un tempo costituivano un bagaglio
personale importante, sia come risorsa formativa del carattere sia in
funzione della trasmissione culturale. Inoltre, organizzando un mercato di
massa, il capitalismo ha promosso un atteggiamento consumistico che
scoraggia definitivamente l’iniziativa personale, il pensiero indipendente, e
incoraggia invece un atteggiamento passivo e di continua dipendenza da
entità esterne.
C’è poi un altro effetto. Il mondo delle merci destinate al consumo, si
costituisce di beni che esauriscono in tempi brevissimi la loro funzione.
Lungi dalla stabilità che conferivano al mondo esterno gli oggetti destinati
al valore d’uso, poiché si sostituivano solo al loro esaurimento, essi
cancellano un mondo oggettivo stabile, contribuendo ad abbattere i confini
fra Io e non-Io, fra il mondo interiore e la realtà esterna.
Il passo successivo è stato una sistematica invasione della vita domestica,
allo scopo di assoggettare l’individuo direttamente al potere dello stato e
dell’industria. Questo processo, noto come socializzazione della
riproduzione, ebbe il suo esito più deleterio con l’espropriazione delle
funzioni educative da parte dello stato, della scuola e delle professioni
assistenziali a scapito della famiglia. Lasch assegna all’azione combinata di
tutte queste agenzie sociali e culturali, l’etichetta di “stato terapeutico”.
Sotto il profilo squisitamente culturale, lo stato terapeutico, che si ispirava
alle teorie sociologiche più in auge sulla famiglia, accusando la famiglia
tradizionale di promuovere atteggiamenti autoritari e provinciali, ha
abbattuto l’autorità parentale, promosso un’educazione permissiva e
liberato il sesso dai vincoli tradizionali, contribuendo al decadimento
dell’assistenza all’infanzia e allo sviluppo della personalità narcisistica.
Anche in questo caso, questo processo non ha solo stemperato il clima
emotivo famigliare, ma ha determinato un deficit di competenza: la prole
non sviluppa più le qualità psichiche per padroneggiare l’autorità, i genitori
non riescono più a imporre la loro disciplina. In più, ha privato l’individuo
dell’apporto affettivo e della guida autorevole delle relazioni parentali.
La cultura del narcisismo e le idee di progresso sociale hanno fatto il resto.
Sul versante morale, la nuova disciplina sociale dello stato terapeutico,
adagiata sui due guanciali del liberalismo e della psicologia umanistica, ha
preso il posto della religione, sostituendo all’idea di responsabilità
individuale fondata sul senso di colpa, una fondata sui concetti di salute e
malattia mentale, che in realtà, secondo Lasch, abbattano l’idea di
responsabilità morale. In questo modo, ha promosso l’ideologia terapeutica
che, anche se ha liberato l’individuo dagli elementi oppressivi della morale
tradizionale, lo assoggetta a nuovi controlli sociali, più sottili e oppressivi
di prima.
Infatti, l’ideologia terapeutica priva di ogni significato il richiamo
all’autorità in base a principi religiosi, tradizionali o valoriali, preferendo
richiamarsi all’oggettività scientifica della scienza terapeutica. Ma,
stigmatizzando ogni riferimento al passato, alla religione o ai valori come
nostalgia, essa, in realtà, ha oscurato le autorità culturali, a partire dai padri,
dai maestri, dai predicatori, privando l’individuo di una guida morale e
affettiva; ed esacerbando il lato oppressivo di ogni autorità a scapito di
quello pedagogico.
Lasch chiama l’insieme di queste tendenze: “cultura del narcisismo”. Essa,
tra le altre cose, ha caricato la vita sociale di aspettative irrealistiche,
moltiplicando i richiami alla celebrità e inasprendo, attraverso la pubblicità,
i desideri insoddisfatti. Ha favorito lo scontro fra i sessi, accentuando le
richieste reciproche dei partners, ma rendendo impossibile il loro
soddisfacimento. Ha reso insopportabile la routine quotidiana,
impoverendo il lavoro mentre incoraggia a coltivare gusti sofisticati.
Rovesciato i canoni del dibattito politico, privilegiando la manipolazione
dell’opinione pubblica allo scontro sui contenuti. Premia uno stile teatrale
di autopresentazione, conferendo più importanza all’immagine che alla
virtù. Infine, inasprendo all’eccesso l’immagine della competizione,
maschera sotto i panni della cordialità, l’autoavanzamento competitivo.
In queste circostanze, l’Io contemporaneo, sostiene Lasch, appare in stato
d’assedio, rattrappito e ridotto a un nucleo di strategie difensive. Gli
individui adottano nella loro vita quotidiana comportamenti ispirati a quelli
tipici delle situazioni limite, nelle quali la meta suprema è la
sopravvivenza: apatia emotiva, soppressione della componente non
strumentale nei rapporti con gli altri, drastica riduzione della dimensione
temporale all’immediato presente. Il che rende impossibile qualsiasi forma
d’identità nella misura in cui quest’ultima implica “una storia personale,
amici, una famiglia, il senso di appartenenza a un luogo”.
Per l’acquisizione di capacità di autocontrollo e autodirezione è
fondamentale, per Lasch, il momento della distinzione fra Io e non-Io, che
si sviluppa attraverso la mediazione dell’esperienza, di effettive possibilità
di esplorazione del mondo esterno. Ma, la cultura contemporanea non
riveste più la funzione degli “oggetti transizionali” di Winnicott, ovvero
non adempie più alla funzione di mediazione tra mondo interiore e mondo
esterno. Di conseguenza, le illusioni di riunione estatica con il mondo e le
strategie di autosufficienza psichica, che ricordano le narcisistiche fantasie
infantili di riunione con la madre, si impongono nella psicologia collettiva,
sottoforma di mentalità della sopravvivenza, e diventano gli stili di vita
(sopravvivenza) più comuni. Queste strategie emergono in maniera
inequivocabile e con un certo estremismo, secondo Lasch, nelle fantasie
apocalittiche di alcuni illustri commentatori del nostro tempo, e in quelle di
riunione estatica con la natura dei movimenti femministi ed ecologisti. Ma
quest’ultimi, secondo Lasch, non si rendono conto che per ristabilire il
senso d’identità personale vanno ricostituite le condizioni della mediazione
culturale fra individuo e società, soprattutto restituendo dignità e
competenza al lavoro e alla vita famigliare.
Durante l’esposizione di queste tematiche, trattate da Lasch in più libri,
tenterò di ricostruire i vari argomenti portati dall’autore a sostegno delle
proprie tesi, esponendoli così come egli li ha sviluppati libro per libro.
Cercherò inoltre di isolare il comune denominatore che lega intimamente le
sue opere l’una all’altra, e quindi di rintracciare il filo conduttore che
percorre tutto il pensiero laschiano, rimanendo però sempre ancorato alla
questione per noi centrale: il problema dell’identità e la personalità
narcisistica. Due temi, questi, strettamente associati l’uno all’altro e che
sembrano poter spiegare gran parte del disagio individuale caratteristico del
nostro tempo, non più limitato all’universo giovanile. Essi, inoltre, possono
aiutarci a gettar luce su molte delle caratteristiche assunte dalla cultura
contemporanea o delle qualità spesso associate ad essa, pur a venti anni di
distanza dalla loro formulazione.
Nel capitolo Secondo descriverò quel fenomeno che Lasch definisce
socializzazione della riproduzione e le sue conseguenze sulla vita
famigliare, con particolare riferimento allo stemperamento del clima
emotivo domestico e alle difficoltà nell’introiezione dell’autorità. A suo
avviso infatti, questo processo pregiudica le possibilità di maturazione
psicologica del bambino poiché alleggerendo il bagaglio di esperienze utili
che i genitori trasmettono ai figli, restringe anche le occasioni reali di
interazione psicologica fra genitori e figli, le sole in grado di stemperare le
fantasie inconsce che il bambino si è fatto su di loro. Mi soffermerò,
inoltre, sull’azione deleteria delle teorie sociologiche riguardo al processo
di socializzazione, sottolineando i loro legami con l’emergere della nuova
disciplina sociale, incarnata dallo stato terapeutico: cioè quel complesso
d’istituzioni e reti assistenziali, compresa la scuola, che emarginano
l’influenza psicologica dei genitori sui loro bambini.
Nel capitolo Terzo descriverò invece un’altra serie di fenomeni:
l’emergere della costante preoccupazione per il proprio stato di salute
mentale e fisica, l’affermarsi del culto delle relazioni personali e il
restringimento della dimensione temporale all’immediato presente. Inoltre,
spiegherò che, contrariamente a coloro che scambiano questi atteggiamenti
come una “fuga nel privato”, essi testimoniano, secondo Lasch, le attuali
difficoltà a crearsi una vita privata soddisfacente e, contemporaneamente,
l’emergere di una nuova forma di organizzazione della personalità, il
narcisismo. Mostrerò, infatti, che il narcisista è timoroso delle situazioni
ambivalenti e dei propri impulsi aggressivi, associati a paure
d’annientamento, di conseguenza rifugge il coinvolgimento affettivo e
maschera, attraverso il culto delle relazioni personali, il suo bisogno
d’approvazione e appagamento immediati. Infine, illustrerò ampiamente
come il sistema sociale e culturale, nel suo complesso, premi le qualità
psicologiche del narcisista e, quindi, come i modelli culturali e gli stili di
vita dominanti favoriscano l’espressione dei tratti narcisistici della
personalità, comuni a tutti.
Nel capitolo Quarto analizzerò il tema centrale di questa tesi, la mentalità
della sopravvivenza. Per prima cosa, fornirò un ragguaglio sugli effetti
patologici della società industriale e della cultura di massa. Poi, mi
soffermerò su alcuni aspetti della cultura contemporanea che alimentano la
mentalità della sopravvivenza, e che sottolineano la sua influenza a livello
di psicologia collettiva. Inoltre, illustrerò le strategie di sopravvivenza
psichica più comuni, adottate dagli individui nella vita quotidiana a causa
della consuetudine sbagliata ad applicare la lezione delle situazioni limite
alla vita normale. Infine, discuterò il tentativo di Lasch d’interpretare tutta
la vita psichica come una tensione fra angoscia della separazione e fantasie
di riunione con la madre. E l’ipotesi conseguente, secondo cui per
ristabilire le capacità di autocontrollo e autodirezione dell’individuo,
occorre ricostruire le condizioni della mediazione culturale fra Io e mondo
esterno, nella forma degli oggetti transizionali di Winnicott.
Nell’ultimo capitolo, tenterò di mettere in evidenza alcuni concetti chiave
del pensiero di Lasch e di far emergere la linea argomentativa sotterranea
che alimenta la sua critica sociale. Mi soffermerò, inoltre, sugli aspetti più
recenti del disagio individuale e della mentalità della sopravvivenza, a
livello collettivo; infine mostrerò i segnali di una crescente consapevolezza
riguardo alla mancanza di autonomia e alle pretese di controllo totale
avanzate dalle società moderne nei confronti dei cittadini.