2
Con la caduta del muro di Berlino, dieci anni fa, si avviava la
riunificazione tra le due Germanie; il processo ha incontrato vari
problemi, visto che si perseguiva (e per certi versi si persegue tuttora)
l’integrazione tra due paesi che si erano venuti sviluppando in modi
così differenti, da costituire quasi due mondi a sé, uno occidentale
l’altro orientale, ognuno con un proprio modello di Stato, di società, di
morale, di letteratura. Di questi due quello occidentale ha prevalso
sull’altro, tanto che frequentemente si parla non tanto di unificazione
ma di annessione: la DDR sembra esser stata inglobata dalla BRD,
affermatasi e riconosciuta in ambito internazionale, in seguito al
grande “miracolo economico”, avvenuto dopo la guerra.
Bernd Fischer afferma che l’autunno del 1989 ha costituito, non
solo per la politica ma anche per la letteratura della DDR, eine
historische Zäsur, che non capitava da quarant’anni: “Mit der Staat
auch die Literatur der DDR zur Geschichte geworden ist”. Con la
scomparsa della DDR svaniva anche la peculiare letteratura che si era
sviluppata e affermata nei quaranta anni di vita della Repubblica,
legata a quel vivere e a quell’ideologia. Ancora oggi è oggetto di
dibattito critico se si possa parlare di una produzione particolare con
3
caratteristiche proprie da costituire una categoria a sé. Significativo a
questo proposito è la risposta data da Christoph Hein alla domanda di
una giornalista1, se esistesse realmente una DDR-Literatur. L’artista
risponde affermativamente; a suo avviso, tale letteratura si è imposta
lentamente, in particolare con la sua generazione, cioè quella dei nati
nella Repubblica alla fine della seconda guerra mondiale, i quali sono
cresciuti lì, senza conoscere altro. Attraverso una serie di passaggi
logici, precisa:[..] Das Schreiben ist von den Erfahrungen abhängig,
und die Erfahrungen haben mit der Unwelt zu tun, in der ich meine
Zeit verbringe. Und in diese Unwelt hinein gehören natürlich auch die
staatlichen und gesellschaftlichen Zustände [..] 2.
Appare chiaro come si debba riconoscere il giusto statuto a
questa peculiare letteratura come qualsiasi altra prodotta in un altro
ambiente.
Hein, saggista, narratore, drammaturgo è uno dei rappresentanti
maggiori di questa letteratura. E’ apprezzato e riconosciuto in tutto il
mondo, le sue opere vengono tradotte in molte lingue. Egli riesce a far
1
Cfr. C. HEIN, “Ich bin der Leser, für ich schreibe”, Ein Gespräch mit Frauke
Meyer-Gosau, in Text und Kritik. Zeitschrift für Literatur. Heft 111: Christoph
Hein, H.L.ARNOLD (hrsg), München, Text+Kritik, 1991, pp. 81-91.
2
ibidem, p. 86.
4
percepire le problematiche e la vita della ex-DDR, a far appassionare
con romanzi e opere teatrali sia alla vita quotidiana della gente sia
all’azione degli intellettuali, sempre volti oggi come nelle epoche
passate, a combattere per la libertà dell’uomo e per il valore
inestimabile della letteratura. Ma proprio Hein specifica che le sue
storie non vanno lette solo come testimonianze della vita della
Repubblica Democratica, poiché sviluppano temi universali, come
quello della storia e del ricordo, tragicamente emblematici dell’uomo
contemporaneo.
Questo lavoro analizza, quindi, la produzione di Christoph Hein
come esempio di una letteratura e documento di un periodo storico,
peculiari della vicenda tedesca dell’ultimo secolo, e
contemporaneamente opera letteraria originale e appassionante.
Nell’indagine si tiene presente tutto l’apparato dei numerosi
saggi, interviste e interventi in svariate occasioni (culturali, politiche,
ecc.) dell’autore, che lo rendono personaggio vivo e attivo nella
Germania odierna, anche vista la sua posizione attuale di presidente
del PEN della Germania riunificata, ma autore quasi sconosciuto
ancora al grosso pubblico in Italia.
5
CAPITOLO PRIMO
IL CONTESTO STORICO-POLITICO E
LETTERARIO: LA DDR
6
1.1 Aspetti storico-politici.
Il 7 ottobre 1989 cadeva il quarantesimo anniversario della
Repubblica Democratica Tedesca. A Berlino sulla Unter den Linden
migliaia di giovani in camicia azzurra sfilavano davanti a Honecker e
Gorbaciov. “C’era stata una parata militare al passo dell’oca sulla
Karl Marx Allee. Sembrava un trionfo; invece era un funerale, quello
del regime”1. La presenza del lieder sovietico contribuì in modo
decisivo alla destabilizzazione del regime: egli rappresentava l’uomo
nuovo del comunismo di fronte a quello vecchio, fedele
all’oppressione e chiuso ai cambiamenti: Honecker; per questo i
Tedeschi orientali acclamavano entusiasti Gorbaciov, non volendo
restare esclusi dal processo da lui avviato in Russia.
A metà degli anni ottanta il vasto Stato si era ritrovato sull’orlo
del collasso; il fallimento era soprattutto economico, ma vi erano state
anche numerose sconfitte politico militari a peggiorare la situazione.
Gorbaciov aveva avviato riforme economiche e intrapreso la
liberalizzazione politica, nel tentativo di governare con il consenso e
1
B. VALLI, Berlino, quella notte che cambiò la Storia, in LA REPUBBLICA del
9/11/’99.
7
non con la repressione. Queste mosse erano apparse all’Europa
Orientale come evidenti segni di indebolimento del potere centrale e
consentivano maggior possibilità di manovra a paesi come la Polonia
e l’Ungheria, che avevano anticipato l’evoluzione in corso nell’URSS,
ma erano state sempre limitate dallo stretto controllo sovietico.
La Repubblica Democratica tedesca era stata fondata nel 1949,
nel territorio tedesco orientale, proprio dall’URSS, impostosi alla fine
della seconda guerra mondiale come superpotenza, contrapposta
all’America, l’altra unica potenza, sopravvissuta alle vicende della
guerra. I due stati erano entrambi entità continentali e multietniche,
dotate di immense risorse naturali e di un massiccio apparato
industriale, con interessi di dimensione mondiale, ciascuno, infine,
portatore di una propria cultura, di un proprio messaggio globale,
radicalmente opposto a quello dell’altro, sul modo di assicurare il
benessere e il progresso dei popoli. Mentre il “messaggio americano”
mirava all’espansione della democrazia popolare, in regime di
pluralismo politico, di concorrenza economica e di ampia libertà
individuale, “il messaggio sovietico”2 era, invece, quello della
2
cfr. A. GIARDINA, G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Uomini e Storia, Vol. 3
(Dall’ottocento al Duemila), Bari, Laterza, 1988.
8
trasformazione dei vecchi assetti politico-sociali in nome del modello
collettivistico, fondato sul partito unico e sulla pianificazione
centralizzata, nonché su un’etica anti-individualista della disciplina e
del sacrificio, mossa dall’ideale della costruzione di una nuova
società.Questa contrapposizione tra USA e URSS condizionò
totalmente, alla fine della guerra, l’assetto europeo: il continente si
ritrovò attraversato da una linea divisoria tra un’area socialista e
un’area capitalista, un sistema essenzialmente bipolare, che in larga
misura perdura ancora oggi, date le influenze determinanti del
differente controllo sulla vita dei singoli stati.
Le due potenze vincitrici rivelarono la loro netta distanza nel
diverso approccio ai problemi della pace e del riassetto dell’ordine
europeo. Mentre gli Stati Uniti, forti del loro primato economico,
puntavano più alla ricostruzione e alla ricerca di un ordine stabile,
l’Unione Sovietica, che aveva subito perdite e devastazioni
spaventose, esigeva il prezzo della vittoria in termini politici,
economici e soprattutto di sicurezza. Ciò implicava il bisogno di veder
legittimato il suo ruolo di grande potenza e l’esigenza di non avere
nazioni ostili ai confini. La Germania in tutto questo processo
9
rivestiva un ruolo molto particolare, visto che si era delineata come
campo aperto dello scontro USA-URSS, con il timore quasi di
diventare teatro di un nuovo conflitto. Il suo territorio era stato
dapprima occupato dalle truppe alleate e poi diviso in due zone
distinte di influenza delle due massime potenze.
La conferenza di Postdam, nell’estate del 1945, sancì la
riorganizzazione complessiva dell’Europa e in particolare della
Germania nella formula delle “quattro D” (demilitarizzazione,
denazificazione, decartellizzazione e democratizzazione)3; nello stesso
tempo si delineava il disegno staliniano di assoggettamento dei paesi
della propria area di influenza. In questi territori, per salvaguardare la
sua egemonia, l’URSS, impose il potere dei partiti comunisti locali,
con l’appoggio dell’esercito sovietico e con una serie di crescenti
forzature sui meccanismi democratici, in nome del diritto di sovranità
limitata, che legittimava qualsiasi intervento. I paesi dell’Europa
orientale si trasformarono così in democrazie popolari, termine che
mascherava l’imposizione di un sistema politico e sociale in tutto e
per tutto simile a quello vigente in URSS e la riduzione di quei
3Cfr. A. MISSIROLI, La questione tedesca. Le due Germanie dalla divisione
all’unità (1945-1990), Firenze, Ponte alle Grazie, 1991, p. 47.
10
territori al ruolo di satelliti della potenza egemone. Tutto questo
veniva riassunto da Churchill con la famosa affermazione che “una
pesante cortina di ferro era calata sull’Europa orientale”4.
La subordinazione dei paesi satelliti allo stato guida si rivelò in
modo particolare in campo economico: in tutti i territori gli obiettivi di
produzione furono scelti in modo da risultare complementari a quelli
dell’URSS. Fu imposto il sistema collettivistico sovietico, che in un
primo momento nelle zone più arretrate portò elementi di
modernizzazione e di relativo decollo economico. Il ceto contadino si
ridusse sensibilmente rispetto all’estensione di quello operaio, in
seguito alla priorità assegnata dal regime sovietico all’industria
pesante. Dopo la crescita produttiva dei primi anni, il modello imposto
rivelò però i suoi limiti e comportò una forte limitazione dei consumi
e del tenore di vita della popolazione. Questi elementi non giovarono
alla popolarità dei regimi comunisti, i quali dovettero affrontare
rivolte e agitazioni antisovietiche, che furono represse
tempestivamente, aumentando il clima di autoritarismo.
La prima sollevazione fu quella di Berlino Est nel 1953:
4
Cfr. A. GIARDINA, G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Uomini e storia, op.
cit..
11
deceduto Stalin, la SED, l’unico partito esistente e quindi imposto al
potere nella DDR, si era ritrovata in un grande disorientamento, tanto
più che la nuova dirigenza sovietica appariva propensa ad un
allentamento delle tensioni interne. Le critiche a Ulbricht si fecero
sempre più forti, accompagnate da richieste di maggiore flessibilità
politica. Si decise il lancio del cosiddetto “Nuovo Corso”5, ma era
troppo tardi: lo scontento popolare per la situazione economica e
politica provocò un’escalation di scioperi in tutta la DDR, che si
concretizzarono nella rivolta avviata da un gruppo di operai a Berlino
Est, poi estesasi ad altri centri con il coinvolgimento di 300.000
persone. L’intervento dei carri armati sovietici riportò la situazione
sotto controllo in poco più di ventiquattro ore, dimostrando a tutta
l’Europa i “metodi” sovietici.
Dopo la rivolta l’URSS s’impegnò ad aiutare in modo più
concreto la DDR, la SED si piegò a metodi più flessibili, ma le
strutture fondamentali del sistema stalinista rimasero intatte, anzi
furono introdotte le prime forme di controllo e di censura sulla attività
degli intellettuali. Il “Nuovo Corso” mostrava così tutta la sua
ambivalenza, alternando o compensando le pressioni dirette e le
5
A. MISSIROLI, La questione tedesca, op. cit., p. 69.
12
minacce con le concessioni: un metodo che, sostiene Missiroli, “da
allora sarebbe stato impiegato con grande puntualità e
consequenzialità”6. Ulbricht rimase in carica rinforzandosi nella sua
posizione dopo la rivolta, invece di perdere credito. Negli anni
cinquanta si compì definitivamente l’integrazione “parallela” dei due
stati tedeschi nel sistema di alleanze contrapposte della Guerra
Fredda: mentre la BRD entrava nell’UEO e poi nella NATO, la DDR
prendeva posto nel patto di Varsavia, rafforzandosi all’interno del
Comecon.
Nell’autunno del 1956 il malcontento della popolazione si rivelò
di nuovo, questa volta in Ungheria e Polonia, rivolta nuovamente
repressa dai Panzer sovietici che travolgevano con la popolazione il
sogno di un sistema socialista non imposto attraverso un regime
autoritario. Dopo questi eventi l’URSS incrementò nuovamente le
misure repressive. Nella DDR il codice penale fu reso più duro, per
reati come il tradimento e lo spionaggio fu addirittura introdotta la
pena di morte, inoltre la SED lanciò una drastica campagna di verifica
e reclutamento di massa: le condizioni del paese si erano aggravate,
l’effetto congiunto delle iniziative sovietiche e dell’offensiva contro il
6
ibidem, p. 72.
13
settore privato dell’economia, provocò nuove fughe verso l’Ovest,
fenomeno già verificatosi. Nei primi mesi del 1961 il ritmo dell’esodo
assunse dimensioni impressionanti concentrandosi quasi
esclusivamente su Berlino; il governo della DDR incrementò le forme
di restrizione per il passaggio tra Est e Ovest. La comunità
internazionale avvertì l’irrigidimento della posizione della DDR, la
quale faceva affermazioni sulla necessità della demarcazione del
confine con l’Ovest, tanto che si arrivò alla costruzione del muro di
Berlino, definito “l’antifaschisticher Schutzwall”7. Missiroli afferma
che l’impressione e lo sdegno furono enormi in Germania e all’estero,
ancora di più, perché il muro arrivava nel momento in cui appariva
maggiormente aperta la via alla distensione.
Il potere centrale sovietico aumentò i controlli nei diversi settori
produttivi, provocando la sua arretratezza rispetto ai paesi occidentali.
Nei rapporti con i paesi orientali non vi furono notevoli cambiamenti,
visto che la politica era sempre incentrata ad impedire ogni tentativo
di liberalizzazione, come rivelarono i fatti della primavera di Praga nel
1968, che appannarono sempre di più l’immagine dell’URSS.
Il clima di chiusura tra i due poli contrapposti, esemplificato in
7
ibidem, p. 87.
14
modo pregnante dalla situazione tedesca, fu proprio incrinato dal
dialogo Deutsch-deutsch, che aprì la strada alla distensione: i capi
delle due Germanie si dichiararono pronti a trattare su tutto, senza
precondizioni; così sì arrivò allo storico scambio di visite tra Willy
Brandt e Willy Stoph, nel 1970. La DDR veniva riconosciuta come
stato e iniziava così una nuova era, quella di Honecker, il quale definì
il sistema come quello di un socialismo reale, rafforzato da un’idea di
patriottismo socialista incrementato dai numerosi successi degli atleti
della DDR, in varie manifestazioni sportive; intanto il dialogo
intertedesco continuava, anche se lentamente, preparando il
compimento della riunificazione.
A questo punto l’avvento di Gorbaciov in Russia comportò una
riforma radicale del sistema; i caratteri sempre più netti del processo,
sintetizzati nelle parole d’ordine perestrojka e glasnost non trovarono
un’accoglienza favorevole da parte della leadership della SED, che ne
vedeva la carica destabilizzatrice, senza condividerne i principi
ispiratori, perché la DDR non presentava i problemi dell’URSS, anzi
si sentiva forte dei miglioramenti dei dati economici. Ma la resistenza
nei confronti della perestrojka si scontrava con le grandi aspettative
15
create da Gorbaciov nella popolazione dell’intera Europa orientale, e
risultava ancora più paradossale in un paese che per quasi quaranta
anni aveva indicato nell’Unione Sovietica il modello da seguire, tanto
da sancirlo nella Costituzione. L’estremo tentativo della SED nel
1987-88 di rilanciare la vecchia idea di socialismo non ebbe risultato,
perché in contrasto con l’intera storia del paese e della sua leadership.
La situazione interna della DDR precipitò durante l’estate del
1989: a partire da luglio il fenomeno dell’emigrazione di massa
s’intensificò e un imperioso numero di Tedeschi orientali si riversò ad
Occidente, anche in seguito all’abbattimento della barriera verso
l’Austria. Il governo Honecker intervenne cercando di chiudere le
frontiere con gli altri paesi comunisti, da dove i fuggitivi proseguivano
per l’Ovest; ma il flusso non si arrestava. Intanto prendevano forma
gruppi di opposizione, uniti dalla richiesta di riforme e di
cambiamento. Per la prima volta sembrava aver luogo la
collaborazione tra gli intellettuali, che da tempo combattevano per
ottenere maggiori diritti, e la popolazione. In questo clima si svolsero i
festeggiamenti per l’anniversario della repubblica.