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nuovi. Televisioni satellitari, tivù private, radio, quotidiani nazionali e settimanali
nazionali e locali e una capillare presenza in Rete. Il mondo cattolico ha dimostrato la
capacità di aderire alle diversità culturali del paese e sapersi rinnovare senza strappi.
Per tali ragioni ha infatti mantenuto intatto il suo peso in politica nonostante la
dissoluzione della Dc e del sistema politico tradizionale. E anzi di accrescerlo,
sfruttando l’instabilità attuale dei partiti e l’incertezza degli elettori. In un contesto
politico fluido e incerto la Chiesa dialoga con tutti i partiti e con tutte le forze sociali
perché può contare su una lunga storia, su figure carismatiche e su un’organizzazione
robusta.
La “questione cattolica”
Dal dopoguerra fino ai nostri giorni
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il rapporto tra i cattolici e la politica nel nostro
paese è stato riassunto dalla nota formula della “questione cattolica”anche se, come
vedremo più avanti, dalla fine della Dc in poi cambierà forma. Da un lato ha
influenzato il rapporto tra i cittadini, i partiti e il voto, costituendo per lunghi anni la
premessa all’identità politica di una larga componente di elettori. Questo in particolar
modo è avvenuto, in quella parte del paese che definiamo (ex) zona bianca, dove
essere cattolici significava nutrire un forte senso di appartenenza al sistema di valori
forniti e rappresentati dalla religione. Significava soprattutto, sentirsi parte di un
contesto culturale e territoriale, dove era forte la presenza sociale e organizzativa
della chiesa e la relazione tra società e politica. Dall’altro, allo stesso tempo, la
“questione cattolica” ha rappresentato un elemento di stabilità sul piano elettorale e
politico. Dal dopoguerra fino agli anni Novanta infatti, la fedeltà dell’elettorato
cattolico verso la Dc ha costituito un motivo di grande equilibrio politico. La
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La bibliografia su questo tema è molto ampia. Tra i vari studi svolti da diverse prospettive disciplinari segnaliamo:
Parisi (a cura di) 1979, Scoppola 1993, Bausola e De Rosa 1992, Galli 1993, Baget Bozzo 1994.
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relazione tra i cattolici e la politica ha dunque una storia lunga, è un’esperienza che
affonda le radici nel passato. Possiamo ricostruire brevemente i passaggi principali
descrivendo ogni sua fase.
La “questione cattolica” nasce nell’Italia postunitaria, quando la Chiesa non
riconosceva la legittimità del nuovo Stato italiano nato dal Risorgimento. I fedeli, di
conseguenza, sono stati orientati ad opporsi al nuovo apparato istituzionale.La
mancata legittimazione dello Stato da parte del Vaticano ha comportato una scarsa
integrazione dei cattolici nelle istituzioni e nella vita pubblica del paese. L’astensione
dalla vita politica è stata sintetizzata in maniera efficace da don Margotti nel 1861
con la famosa formula “né eletti né elettori”. Tale formula invitava i lettori a non
partecipare alle elezioni indette in quell’anno per la formazione della nuova
legislatura.
Più avanti fu Pio IX a riprendere la posizione margottiana e ad avvalorarla con il
precetto del non expedit. Così, per oltre quarant’anni, i cattolici si sono astenuti dalla
vita pubblica. Solo con l’avvento del nuovo secolo si è infatti assistito a un primo
ingresso dei cattolici in politica. Con il pontificato di Pio x le posizioni della chiesa si
sono attenuate, e i primi cattolici hanno fatto ingresso in parlamento. La stessa
politica giolittiana, intesa a ricucire i rapporti tra governo liberale e opposizione
cattolica, ha favorito questo processo. Con la nascita del Partito popolare di don Luigi
Sturzo nel 1919, si è assistito ad una svolta nel rapporto tra i cattolici e la politica.
Dopo il ventennio fascista, nel periodo repubblicano del secondo dopoguerra, la
questione cattolica ha trovato una soluzione nella unità politica dei cattolici. La
Chiesa ha riconosciuto lo stato democratico e le sue regole, e ha visto nella
Democrazia Cristiana, il partito cattolico italiano, di e dei cattolici, un soggetto che
poteva rappresentarla e tutelarla. Vedremo più avanti come i rapporti fra Chiesa e
partito politico non furono però sempre facili. Nel corso del dopoguerra, in un clima
segnato dalla guerra fredda, il partito democristiano si è configurato come un
soggetto politico centrale, non solo per il mondo cattolico. La Dc ha ricoperto infatti
per l’intero dopoguerra ruoli di governo e la questione cattolica si è sviluppata attorno
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alle sorti di tale partito. Dall’immediato dopoguerra fino agli anni Sessanta si trattava
di un rapporto di stretta identificazione tra l’elettorato cattolico e il partito
democristiano. Essere cattolici implicava votare Dc poiché veniva concepito come il
soggetto politico in grado di tutelare i loro interessi e i loro valori in politica e la loro
organizzazione sociale nel territorio. Dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta
possiamo invece distinguere la presenza di tre processi che hanno contribuito a
rendere più complesso il rapporto tra Chiesa e politica : l’esperienza conciliare, la
secolarizzazione e la progressiva autonomizzazione della Dc.
Il Concilio vaticano II ha rappresentato un importante momento di riflessione, che ha
portato da un lato, una maggiore apertura della Chiesa alla modernità e alla sua
complessità, e dall’altro ad accettare il pluralismo interno al mondo cattolico espresso
,anzitutto, dalle sue componenti organizzate (associazioni, movimenti e
organizzazioni di matrice cattolica).
Le spinte secolarizzanti hanno contribuito ad allentare il rapporto tra Chiesa e
politica. Il sentimento di appartenenza cattolica ha perso la sua capacità normativa in
ambito sociale e politico lasciando spazio ad altri valori e riferimenti simbolici per
l’identità e per l’azione. A tutto questo si aggiunge il fatto che la Dc diventa sempre
più un partito “sponsorizzato dallo Stato” e sempre meno “sponsorizzato dalla
Chiesa”.
A partire da questo momento, comincia ad incrinarsi quello stretto rapporto di
identificazione tra l’elettorato cattolico e il partito democristiano
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. L’essere cattolico,
dunque, non implicava più il “diretto” consenso della Dc. I cattolici hanno
cominciato a guardare anche in altre direzioni. Una significativa componente di loro
votava per altri partiti, anche se comunque restavano all’interno dell’area moderata e
governativa. D’altra parte però la Dc raccoglieva consensi di una parte dell’elettorato
non cattolico, grazie ad una offerta politica dai contenuti non solo religiosi ma che
lasciavano spazio anche ad altri valori e messaggi. Così gli interessi materiali,
l’identità locale e localista, la tutela della tradizione e l’anticomunismo sono temi che
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Cfr. Allum 1984.
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hanno assunto una considerevole importanza. In questa fase dunque più che ai valori
si guarda agli interessi. L’essere cattolico, anche se secolarizzato, continua comunque
a essere motivo di sensibilità alle indicazioni fornite dai movimenti cattolici e dalle
gerarchie ecclesiastiche. Permaneva dunque un orientamento elettorale verso la Dc
che, pur non potendo più essere definito come il partito “dei” cattolici, restava pur
sempre un partito “di” cattolici.
Gli anni Ottanta si sono caratterizzati invece per una progressiva infedeltà che
rispecchiava e accentuava l’impatto dei processi emersi negli anni precedenti. Il
processo di secolarizzazione della società va avanti e con esso la laicizzazione della
politica. Si parla di religione civile, un’insieme di valori e di buon senso socialmente
condiviso, che non trova una sua istituzionalizzazione in un’organizzazione religiosa.
Ci avviciniamo alla fine della questione cattolica con il crollo del muro di Berlino.
Nel 1989 si pone fine alla paura del comunismo, che per lunghi anni aveva
rappresentato uno dei contenuti centrali dell’offerta politica democristiana, ma anche
il ruolo della Dc come garante del regime democratico. Era stato, inoltre, un
importante argomento per convincere la Chiesa a sostenere il partito democristiano.
La fase più recente del rapporto tra i cattolici e la politica è dunque segnata dalla fine
del bipolarismo internazionale. In Italia, infatti, questa frattura si è espressa nella
contrapposizione tra le due “chiese” quella cattolica e quella social-comunista,
entrambe forti di un grande partito di massa e di un radicamento territoriale profondo.
Oggi questo panorama è profondamente mutato. Tra le innovazioni più importanti
che si sono verificate in ambito politico va ricordato, oltre alla ristrutturazione
dell’offerta partitica, la ridefinizione dei modelli di comunicazione politica e
l’importanza assunta dai media nel sistema politico. La rilevanza delle ideologie si è
indebolita ed è venuta meno la stabilità che caratterizzava un “sistema bloccato”. Gli
stessi partiti, che sotto il profilo organizzativo hanno assunto modelli più “leggeri”
rispetto al passato, hanno perso il contatto con il territorio e la loro capacità di
mobilitazione si è ridotta. Oggi i partiti, per interpretare meglio il mercato elettorale e
intercettare la nuova domanda politica, ricorrono anche alle tecniche del marketing. I
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cleavages
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intorno ai quali si erano costituiti i grandi partiti di massa, come il Pci e la
Dc, e i partiti storici, come il Pli, il Pri, o il Psi, hanno mutato di significato e non
hanno più lo stesso impatto sociale. In particolare la “questione cattolica ha perso
quella centralità che aveva in passato. Contemporaneamente si è assistito alla crisi
della subcultura bianca, che per lungo tempo è stata forte del radicamento a livello
territoriale della cultura e dell’organizzazione cattolica. Si è assistito, inoltre, anche al
dissolversi della Dc, il partito che sul piano politico ne ha espresso l’identità e ne ha
garantito la rappresentanza.
Crisi e fine della Dc
Un ulteriore acceleratore della crisi del sistema politico italiano va individuato in una
serie di fatti interni e connessi all’azione della magistratura. Le indagini sulla
corruzione degli amministratori pubblici sono state un importante catalizzatore del
cambiamento. Infatti, già dal 1992, avevano coinvolto anzitutto i partiti di governo,
tra cui, e in modo rilevante la Dc. Conseguente a tali vicende è stato l’avvio di una
fase di profonda trasformazione del sistema politico, ormai conosciuta con il nome di
transizione politica italiana.
Nel corso della transizione sono stati messi in discussione vari aspetti politico-
istituzionali; si è aperto il dibattito sulle forme delle istituzioni e quindi sulla forma di
Stato e di governo sul quale costruire la seconda repubblica; sono cambiate regole
importanti del funzionamento del sistema come quelle elettorali nei diversi livelli
amministrativi; sempre in questo periodo sono mutati i riferimenti e i meccanismi
tradizionali della politica. In altre parole, dinamiche consolidate da lungo tempo, e
che stavano alla base della prima repubblica, hanno subito un processo di profonda
ridefinizione. È sufficiente ricordare a questo proposito: la crisi delle ideologie e dei
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Sull’importanza delle fratture sociopolitiche nella costruzione dei sistemi politici occidentali si veda Rokkan 1982.
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partiti di integrazione di massa a favore di nuovi modelle di partito, lo stemperarsi
delle subculture politiche, lo svilupparsi di nuovi cleavages, l’emergere di nuove
forme di partecipazione politica che privilegiano canali meno istituzionali, e, infine la
centralità assunta dei media nella politica.
Il sistema politico italiano dopo aver vissuto un lungo periodo di tornate elettorali
caratterizzate da “immobilismo”, imperniato su quello che è stato definito il
“bipartitismo imperfetto” , ha evidenziato nel corso degli anni un mercato elettorale
dalla natura non più chiusa e statica, ma aperta e competitiva. Gli elettori si sono
progressivamente svincolati dalle tradizioni ideologiche e dalle contrapposizioni
storiche; a questo a corrisposto una ridefinizione dell’offerta politica. Il sistema
politico si è orientato verso una logica bipolare e la democrazia dell’alternanza. Sono
nate nuove formazioni politiche, altre hanno cambiato nome, altre ancora si sono
rifondate. Ma ciò che appare più importante per il nostro studio è la fine del partito
democristiano. Nel 1992, per la prima volta, la Dc è scesa sotto la soglia del trenta
per cento. In Veneto, il cuore della subcultura bianca, rispetto alle precedenti elezioni
politiche che ha perso dieci punti percentuali. Il processo di meridionalizzazione
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del
partito è apparso sempre più evidente, e allo stesso tempo si è registrato in queste
province il peso crescente di quelle formazioni che hanno fatto del territorio un
elemento di base della propria offerta politica. Infatti già dal 1993 iniziava ad imporsi
la Liga veneta. Questa formazione “trae gran parte del suo significativo risultato
proprio da settori di elettorato provenienti dalla Dc”
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. Una prima risposta alla
sconfitta elettorale del 5 aprile 1992 è stata la nomina di Mino Martinazzoli alla
segreteria il 12 ottobre dello stesso anno. Gli inscritti alla fine del1992 erano scesi ad
ottocentomila, ammontavano a un milione e quattrocentomila l’anno prima il che
indica la presenza di una base sociale fortemente ridimensionata.
Ancora prima della fine della Dc, le diverse divisioni interne avevano dato vita a
spinte disgregative. Come per esempio il movimento La Rete, fondato nel 1991
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Si tratta di un processo già messo in evidenza da Caciagli e Spreafico (a cura di) 1990, pp. 12-16. In particolare sul
caso Veneto cfr Diamanti e Riccamboni 1992.
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Cfr. Diamanti 1995°, p. 46.