5
INTRODUZIONE
Il diritto è un fenomeno storicamente condizionato; mutando la
gerarchia dei valori, esso è destinato inevitabilmente ad adattarsi al
cambiamento. In un periodo in cui, specialmente in ambito europeo,
l’intero asse gravitazionale si è spostato dalla tutela delle imprese al
consumo, è stata inevitabile la creazione di una normativa settoriale, rivolta
proprio a quei soggetti, persone fisiche, che agiscono nel tessuto
economico non perseguendo finalità d’impresa, o legate alla professione
ovvero il consumatore. La direttiva 93/13/CEE in materia di clausole
abusive, oltre a tutelare i consumatori dai pericoli delle asimmetrie
informative, ha come obiettivo quello di creare una «tutela minima» nello
spazio europeo per favorire l’instaurazione progressiva del Mercato unico.
Tuttavia, nel contesto europeo gli Stati membri hanno recepito con diverse
sfumature la disciplina contenuta nella direttiva citata, determinando così
una eterogeneità di tutela dei consumatori a seconda dell’ordinamento
considerato. Per quanto concerne l’esperienza italiana in materia di
consumo, è doveroso rispondere ad un quesito fondamentale. Come si
può tutelare il consumatore a livello nazionale nell’ottica e nel rispetto della
suddetta direttiva? Gli articoli 3, 4 e 5 rappresentano vere e proprie norme
chiave, fondamentali nel contrasto delle clausole abusive. È proprio ad
esse che i legislatori nazionali debbono attenersi maggiormente nella
predisposizione di norme che tutelino i consumatori. I principi cardine
contenuti dalla direttiva 93/13/CEE, ovvero trasparenza, chiarezza e
comprensibilità costituiscono la base del «nuovo» paradigma contrattuale
che vede come protagonisti consumatori e professionisti: il Consumer
contract. Ed è su questi principi, segnatamente su quello di trasparenza, che
è incentrato il presente lavoro. Il primo capitolo verterà
6
sull’inquadramento delle fonti, sia nazionali che sovranazionali, che
disciplinano la chiarezza e la comprensibilità in diversi settori, come ad
esempio quello bancario, finanziario, assicurativo, avendo così una visione
«sistematica» dell’oggetto di studio. Trasparenza, chiarezza e
comprensibilità, insieme ad altri principi, hanno un ruolo centrane nel
primo capitolo dove verranno affrontati quesiti importanti come: il
significato di chiarezza e comprensibilità, la sorte della clausola priva di
chiarezza e comprensibilità e soprattutto, il ruolo effettivo della chiarezza
e della comprensibilità nell’attuale tessuto ordinamentale. Sempre nelle
prime pagine della trattazione verrà prospettata l’irragionevolezza
dell’esclusione del contraente debole tout court dalla normativa
consumeristica, sottolineando come anche il professionista possa trovarsi,
per svariate ragioni, ad esempio economiche, informative, in situazioni di
sostanziale debolezza nei confronti della controparte. In tali casi è
ragionevole considerare la parte, a prescindere dallo status rivestito, alla
stregua di un «contraente debole», ciò che è irragionevole invece è la sua
esclusione dalla tutela sostanziale contenuta nel codice del consumo in
modo aprioristico. Il punto nodale della questione è comprendere se il
consumatore merita una tutela rafforzata in virtù del suo status o perché è
un contraente debole. Un aspetto valutato, per quanto concerne la
possibilità di ipotizzare un’applicazione generale dei canoni di chiarezza e
comprensibilità, è la buona fede e il dovere di «clare loqui». Ovvero la
possibilità di garantire maggiore trasparenza contrattuale mediante l’art.
1337 c.c. In quest’ottica, basata sulla sostanziale inadeguatezza della
normativa nazionale a garantire una tutela effettiva al contraente debole,
verrà analizzato l’impatto europeo concernente la regolamentazione dei
rapporti intersoggettivi tra privati, ovvero come ha influito la legislazione
7
europea nell’ordinamento interno. Una prova palese della sua influenza è
costituita dalla legge 54/1996 che, in attuazione della direttiva
93/13/CEE, introduce nell’impianto codicistico il Capo XIV-Bis dedicato
proprio ai «Contratti del consumatore» composto dagli articoli 1469 bis
fino a 1469 sexies, successivamente confluiti nel codice di settore dedicato
ai consumatori, ovvero il d.lgs. 6 Settembre 2005, n. 206 codice del
consumo. Nella parte centrale del primo capitolo inoltre verrà
sottolineato, dapprima, il differente approccio che intercorre tra le due
discipline e i diversi punti di contatto con gli artt. 1341, 1342, 1370 c.c. in
modo da comprendere l’evoluzione che subito la normativa in materia di
consumo nel nostro ordinamento giuridico. Nella parte conclusiva invece
verrà evidenziato un possibile mutamento del paradigma contrattuale «tour
court» partendo dal presupposto empirico secondo il quale, la matrice
genetica del contratto è l’incontro di due o più volontà in «idem placitum».
In tale prospettiva emerge un quesito: come possono concretamente
incontrarsi due (o più) volontà se le clausole del regolamento non sono
chiare e comprensibili a causa dell’asimmetria informativa? O a causa del
«trobar clus» del predisponente? Di fronte a tali problematiche il legislatore
non può nascondersi dietro ad uno status ovvero quello di «consumatore».
Sarebbe auspicabile invece che l’interprete allargasse i suoi orizzonti
andando oltre la legge, trovando così la risposta nei principi racchiusi nella
carta costituzionale, con specifico riferimento al personalismo e al
solidarismo (Art. 2 cost.). Un’interpretazione sistematica ed assiologica
della normativa di settore permette di individuare un principio generale di
trasparenza che trascende dagli specifici ambiti legislativi ed ingloba
qualsivoglia rapporto contrattuale prescindendo dallo status rivestito dalle
parti. Il secondo capitolo si aprirà con la disamina di un altro aspetto
8
fondamentale della disciplina consumeristica ovvero la problematica della
«vessatorietà in re ipsa». È corretto parlare di una duplice accezione delle
clausole abusive, una inerente allo squilibrio economico e una inerente allo
squilibrio normativo? Più precisamente, per le clausole contrattuali che
definiscono l’oggetto del contratto o il quantum dello scambio, è sufficiente
la mera opacità della clausola per dichiararla «vessatoria» o corre un quid
pluris? Insomma il significativo squilibrio censurabile dal giudice inerisce
alla prospettiva «normativa» o «economica»? Un’altra tematica
interessante, che sarà affrontata sempre nel capitolo 2 è la possibile
esistenza nel nostro ordinamento giuridico di un principio generale di
«proporzionalità» delle prestazioni contrattuali con un conseguente potere
conformativo del giudice, esercitabile quando l’equilibrio viene alterato dai
chi ha maggior potere contrattuale. Nei paragrafi successivi invece sarà
affrontata la tematica dell’interpretazione e dell’integrazione contrattuale,
con specifico riferimento agli ormai labili confini che le delimitano, e
verranno affrontati alcuni punti controversi connessi a tale tematica.
Ovvero ci si domanda se sia possibile distinguere l’interpretazione
dall’integrazione del contratto; se esista una differenza tra i canoni
ermeneutici contenuti nel codice civile e nel codice del consumo, e
soprattutto, quando il giudice possa integrare il contenuto del regolamento
contrattuale squilibrato, e con quali limiti. Successivamente, l’attenzione
verrà rivolta alla patologia delle clausole qualificate con l’aggettivo
«vessatorie» e si cercherà di comprendere qual è il loro destino, e con esse,
qual è il destino del contratto in cui sono ricomprese. L’ultimo paragrafo
del secondo capitolo quindi sarà incentrato sulla fase patologica delle
clausole abusive e alla natura giuridica del suo rimedio. Sarà oggetto di
ampia disamina l’evoluzione del rimedio previsto in materia di clausole
9
vessatorie, con specifico riferimento al passaggio dalla inefficacia alla
nullità delle clausole vessatorie. In fine il terzo ed ultimo capitolo il
presente lavoro sarà dedicato alla negoziazione algoritmica e alla disciplina
degli smart contracts, e in particolare sarà affrontato il tema del contraente
debole nell’era digitale.
10
CAPITOLO I
DISAMINA DELLE FONTI NEL SISTEMA MULTILIVELLO:
CHIAREZZA E COMPRENSIBILITÀ CONTRATTUALE IN UNA
PROSPETTIVA NAZIONALE E SOVRANAZIONALE
1. L’intervento dell’Unione Europea nella regolamentazione dei
rapporti intersoggettivi tra privati con specifico riferimento alla
tutela del consumatore
L’analisi sulla chiarezza e comprensibilità del regolamento contrattuale
non può prescindere da una valutazione sistematica dell’intero
ordinamento giuridico inteso nella sua accezione «multilivello». Più
precisamente, sono molteplici le fonti normative che regolamentano la
chiarezza e comprensibilità contrattuale non solo a livello nazionale ma
anche e soprattutto a livello sovranazionale. Un ruolo chiave in tal senso
viene svolto anche dalla cosiddetta funzione normativa dei principi
individuati di volta in volta dal legislatore nazionale, europeo e dalla
giurisprudenza, sia nazionale che europea
1
. L’opacità contrattuale è un
1
Non sempre i principi svolgono una funzione meramente argomentativa, essi infatti
possono assumere le vesti di vere e proprie norme, fonti di obblighi e doveri,
suscettibili di essere applicate a fattispecie concrete. Su questa tematica ha scritto
ampiamente P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-
comunitario delle fonti, 2ª ed., Napoli 2006, p. 544 ss., il quale sottolinea che i principi
costituzionali, normalmente utilizzati dall’interprete come strumento ermeneutico di
una norma ordinaria, in realtà, ed è qui che va colta la funzione normativa degli stessi,
esso diventa «parte integrante della medesima norma destinata a regolare il rapporto
concreto». Lo stesso precisa che «le norme costituzionali che dettano principi di
rilevanza generale, sono di diritto sostanziale e non meramente interpretative; il ricorso
ad esse si giustifica al pari di qualsiasi altra norma giuridica, come espressione di un
valore, (…) è importante constatare che valori e principi sono norme». P. PERLINGIERI
e P. FEMIA, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile, Napoli 2004, p.15
viene sottolineato che il principio «è una norma che impone la massima realizzazione
11
fenomeno che sicuramente non è sfuggito al legislatore del 1942 che ha
introdotto nel codice civile, già nella sua formulazione originaria, taluni
strumenti applicabili al negozio «opaco» per tutelare il contraente debole.
Una prova lampante è l’art. 1370 c.c. che contiene il canone interpretativo
dell’«interpretatio contra stipulatorem»
2
. Anche la Corte di Cassazione si è
pronunciata più volte in materia di chiarezza e comprensibilità
contrattuale, definendo negli anni con maggiore precisione la loro
concreta portata, così come ha fatto di recente in una sua decisione
3
. Nella
di un valore». Della stessa opinione F. VIOLA, in ID e G. ZACCARIA, Diritto e
interpretazione, Roma-Bari, 1999 p. 375, il quale osserva che i principi «sono diritto
positivo a tutti gli effetti e svolgono indubbiamente una funzione precettiva». Secondo
chi scrive inoltre, i principi non vanno desunti solo dalle norme costituzionali, essi
infatti conoscono anche altre fonti ad esempio, l’obbligo di dover redigere le clausole
di un contratto concluso tra un professionista ed un consumatore non deriva solo
dell’art. 4 della direttiva 93/13, dall’art. 34 del cod. cons. ma anche dai principi
desumibili dalle pronunce della Corte di Giustizia, si consideri ad esempio il caso van
hove c. cnp assurances SA, Corte giust., 23 aprile 2015, Causa C-96/14 consultabile su
Federalismi. It dove la Corte precisa come debba essere intesa la chiarezza e la
comprensibilità delle clausole e l’importanza del principio di trasparenza.
«L’oscillazione tra funzione normativa e cognitiva dei principi è assolutamente
conforme al termine «principio», perennemente sospeso tra origine e comando». Così
G. AGAMBEN, Creazione e anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, Vicenza, 2018,
p. 93.
2
Nella Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al codice civile del 4 aprile
del 1942 è possibile leggere che l’art. 1370 è un omaggio all’obbligo del clare loqui che
garantisce un’ulteriore protezione dell’aderente nel caso di contratti conclusi mediante
moduli o formulari predisposti, o comunque contenenti, rinvio a condizioni generali
di contratto. In estrema sintesi, l’art. 1370 stabilisce il principio dell’interpretazione
contro l’autore della clausola dubbia. Costui deve risentire le conseguenze del fatto
proprio se, potendo redigere la clausola con chiarezza, la compilò in modo tale da
renderla ambigua e non rispondente alla rappresentazione che poteva averne avuta. La
norma riflette il canone ermeneutico del diritto romano che va sotto il nome di
«interpretatio contra stipulatorem» già consacrato nell’art. 1137 del codice previgente. Sulla
tematica dell’interpetratio contra stipulatorem si sono espressi autorevoli studiosi Cfr.,
A. GENTILI, Senso e consenso storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, Torino,
2015, p. 601 ss., G. OPPO, Profili dell’interpretazione oggettiva nel negozio giuridico, Bologna,
1943, p. 104, G. LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori,
in Foro.it, 1996, V, p. 145 ss.
3
Corte Cass., sez. civ. III, 18 gennaio 2016, n. 668, in Foro.it, 2016, 2, 1, c. 459 ss.
12
sentenza citata infatti la Corte di legittimità ha affermato che il contratto
di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile e che,
in caso di clausole polisenso, è fatto divieto al giudice attribuire ad esse un
senso pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima
ricorrere ai criteri ermeneutici presenti nel codice civile. La chiarezza e la
comprensibilità contrattuale sono disciplinate anche da altre fonti
nazionali che regolamentano determinati settori: d. lgs. 1 settembre 1993,
n. 385 (t.u.b.) per quanto concerne il settore bancario, d. lgs. 24 febbraio
1998, n. 58 (t.u.f.) per il settore dell’intermediazione finanziaria, d. lgs. 7
settembre 2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni Private) per il settore
assicurativo e in fine dal d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (cod. cons.) per i
consumatori (o per il consumo in generale?)
4
.
Dal punto di vista sovranazionale, prima di disaminare le diverse
direttive che fanno riferimento alla chiarezza e alla comprensibilità, è
doveroso considerare che l’Italia fa parte di un’organizzazione
sovranazionale di nuovo genere
5
e questo ha delle ovvie ripercussioni
4
Il punto focale è comprendere se le norme presenti nel codice citato siano applicabili
solo a coloro che posseggono lo status di consumatore oppure se, almeno nelle ipotesi
di edeam ratio, sia possibile estenderle anche a soggetti che si trovano nella medesima
situazione di debolezza ancorché privi dello status di consumatore. Più semplicemente,
in ossequio ad una interpretazione sistematica di diversi testi normativi che nel §1.9 del
capitolo 1 verranno analizzati, pare che la trasparenza contrattuale non sia una
pregativa assoluta dei contratti conclusi dai consumatori ma anche di quei contratti
conclusi da piccoli imprenditori, artigiani, professionisti che hanno dinanzi a sè un
contraente con un maggior potere contrattuale.
5
È stata intesa cosi la Comunità Europea nella celebre sentenza della Corte gust. Van
Gend & Loos del 5 febbraio 1963, causa C26/62. consultabile su eur-lex.europa.eu Nel
merito della controversia i giudici di Lussemburgo hanno precisato che: «si deve
concludere che la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel
campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se
in settori limitati, ai loro poteri sovrani, (…) ordinamento che riconosce come soggetti
non solo gli Stati membri ma anche i loro cittadini». In sostanza, per la prima volta la
Corta di Giustizia ha dichiarato il potere della Comunità di incidere direttamente nella
13
giuridiche. La nostra Repubblica infatti è uno dei membri storici della
ormai tramontata Comunità Europea, istituita mediante Trattato
6
, che ha
rinunziato ad una parte della propria sovranità
7
per riconoscerla ad un ente
sovranazionale che oggi prende il nome di Unione Europea.
L’organizzazione internazionale in questione ha il compito di promuovere,
«mediante l’instaurazione di un mercato comune e di una moneta unica»
determinati obiettivi
8
. Per il perseguimento degli stessi, gli organi
comunitari hanno a disposizione taluni strumenti, che inevitabilmente
incidono sull’equilibrio degli Stati membri, come la decisione,
raccomandazioni, pareri, direttive e regolamenti
9
. Però, come autorevole
dottrina ricorda, qui «c’è in gioco il valore massimo del sistema
costituzionale: la sovranità»
10
. L’autolimitazione della sovranità ex art. 11
Cost. non può essere totale, anzi presuppone il mantenimento di una
generale sovranità dello Stato (o meglio, Stati membri), la quota della
sovranità rinunciata dagli Stati, prima in favore delle Comunità e dopo a
sfera giuridico patrimoniale dei cittadini, a prescindere dal ruolo di diaframma dello
Stato membro.
6
Reso esecutivo in Italia mediante la L. 14 ottobre 1957 n.1203 e successivamente
modificato dai Trattati sul funzionamento dell’Unione Europea firmati a Maastricht in
data 7 febbraio 1992 e ad Amsterdam in data 2 ottobre 1997.
7
Insieme a Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Francia.
8
Sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato
livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita
sostenibile e non inflazionistica, alto grado di competitività e di convergenza dei
risultati economici, elevato livello di protezione dell’ambiente ed il suo miglioramento,
miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la
solidarietà tra Stati Membri, art. 2 TCEE 25 marzo 1957 Roma.
9
«Questo però non comporta necessariamente una concezione pluralistica o atomistica
dell’ordinamento: questo ha una sua unitarietà allorché è fondato su valori unitari e
sulla gerarchia delle fonti che concorrono a formarlo», Così P. PERLINGIERI, op. cit., p.
309.
10
G. GUARINO, Pubblico e privato nell’economia, in Economia e diritto del Terziario, p. 54;
M. TROPER, L’Europe et les principes in Dr. Société 1992, 20/21, p. 168, ID, Per una storia
della sovranità, in Fil. pol, 1991, p. 1.
14
favore dell’Unione Europea «non può compromettere l’originaria
sovranità dello Stato membro»
11
.
Tuttavia ormai da decenni il diritto privato italiano sta subendo un
particolare processo di innovazione dovuto al ruolo centrale che il diritto
privato di derivazione Europea ha assunto nel nostro ordinamento
giuridico, e non solo. Oggigiorno la c.d. europeizzazione del diritto privato è
un dato di assoluta evidenza e costituisce forse lo sviluppo più importante
registrato dalla materia nell’ultimo decennio; comunque, ne rappresenta la
prospettiva più probabile e di gran lunga più stimolante
12
.
Parlare di generica riforma dei diversi settori che compongono il diritto
privato sarebbe riduttivo, l’Unione Europea infatti ha modificato la
gerarchia delle fonti del diritto, nella quale hanno un notevole rilievo le
fonti di matrice europea
13
.
11
Le parole sono di P. PERLINGIERI, op. cit., p. 506.
12
A. TIZZANO, Il diritto privato dell'Unione Europea, Torino, 2000, p. 221.
13
Nelle fonti europee vanno ricomprese anche le sentenze emesse dalla Corte di
Giustizia, anch’esse idonee ad incidere negli Stati membri. Sul tema si è espresso anche
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 298-290, il quale sottolinea che sia la Corte di Giustizia, sia
la Corte Costituzionale, giocano un ruolo rilevante nella «gerarchia delle fonti», per
quanto concerne la Consulta nazionale, l’autorevole giurista precisa che le decisioni
della Corte di Cassazione rielaborano i significati attribuibili alla Costituzione, ne
ricostruiscono i principi e compongono i conflitti tra le fonti stesse, sulla tematica;
T. ASCARELLI, Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, Milano, 1957, p. 149;
G. ZAGREBELSKY, Processo costituzionale, estratto da Enciclopedia del diritto, Milano,1989,
p. 626; E. CHELI, Il giudice delle leggi. La corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Bologna,
1997, p. 56 ss.; P. PERLINGIERI, nelle pagine citate, continua affermando che non meno
importante è ricordare, nella logica del sistema italo-comunitario delle fonti, le sentenze
emesse dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee (ex art. 234 Tratt. CE).
«Queste pronunce hanno la medesima forza normativa della fonte comunitaria
interpretata». Sul tema F. SALMONI, La Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia delle
Comunità Europee, in Dir. pubbl. 2002, p. 491, il quale sottolinea che la Corte
Costituzionale ha ormai riconosciuto alle decisioni della Corte di Giustizia la portata
di «vere e proprie fonti dell’ordinamento comunitario». Idem P. F. LOTITO, Diretta
applicabilità delle norme comunitarie ed efficacia delle sentenze della Corte di Giustizia nella
giurisprudenza costituzionale, in Quad. cost., 1990, p. 161. In tal senso depongono anche le
seguenti sentenze: Corte Cost. 23 aprile 1985, n. 113 in Giur. cost., 1985 I., p. 708 ss.;
15
La normativa UE
14
tende ad interferire con quella nazionale,
specialmente con quella ordinaria
15
. Il t.u.e.
16
in modo molto esplicito
sancisce che gli Stati membri non solo devono osservare le norme
contenute nel Trattato citato ma anche i regolamenti emanati dal Consiglio
e dalla Commissione. Ciò, se da un lato implica una palese limitazione della
sovranità dei singoli stati, dall’altro non determina uno stravolgimento
della gerarchia delle fonti nazionale. Secondo autorevole dottrina, il
sistema del diritto dell’UE, e il diritto nazionale sono due sistemi autonomi
e diversi ma coordinati secondo una puntuale ripartizione di competenze
contenute nel t.u.e
17
. Questo significa che non è possibile traslare le norme
europee nell’alveo della gerarchia delle fonti nazionale perché siamo in
presenza di due ordinamenti giuridici diversi. Tutto ciò determina
inevitabilmente una palese limitazione della sovranità statuale ex artt. 11 e
117 Cost. ovvero, in determinate materie il legislatore è tenuto ad abdicare
alla funzione legislativa in funzione dell’ordinamento sovranazionale
18
.
Autorevole dottrina non sposa questa presa di posizione teorica ed anzi
ribadisce che l’impostazione dualistica degli ordinamenti giuridici attiene
alla diversità delle fonti e non già all’ordinamento giuridico in sé
19
. Il
pensiero sopra citato infatti «comporterebbe una ulteriore suddivisione del
diritto positivo in due insiemi normativi, l’uno autonomo, costituito dalle
Corte Cost. 11 luglio 1989, n. 389, Giur. cost., 1989, p. 1765; Corte Cost. ordinanza 1
giugno 2004, n. 165, Giur. Cost., 2004, p. 1727.
14
Anche se, come si vedrà nella pagina che segue, non è possibile parlare di
«ordinamento giuridico europeo» vero e proprio.
15
Cosi F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2019, p. 27.
16
Trattato sull’unione europea entrato in vigore il 1 novembre 1993, successivamente
modificato dal Trattato di Lisbona entrato in vigore 1 dicembre 2009
17
Così F. GAZZONI, op. cit., p. 26.
18
F. GAZZONI, op. cit., p. 27.
19
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 198.
16
norme di fonte interna; l’altro, eteronomo, «avente una fondazione
assiologica diversa da quella sulla quale si erige il diritto di provenienza
interna»
20
prodotto dagli insiemi normativi di fonte esterna retti da principi
generali propri e diversificati»
21
. La distinzione in questione «descrive
dogmaticamente un fenomeno attinente alle fonti e al loro pluralismo;
significa altresì segnalare la funzione di un ordinamento a complessità
aperta, non necessariamente una complessità configurata da una pluralità
di ordinamenti»
22
. Gli insiemi normativi di matrice sovranazionale sono
definiti come «complementari all’ordinamento»
23
e, seppur dotati di un
autonomo equilibrio assiologico, sono parte integrante del diritto positivo,
«complesso sì, ma unificato dai principi costituzionali di vertice che
costituiscono l’identità dell’ordinamento»
24
. La normativa europea, sia
primaria che secondaria, direttamente applicabile non crea un
ordinamento diverso da quello interno, sono invece parti integrante di
quest’ultimo. L’ordinamento giuridico è unico, «sia pure variamente
complesso, unificato da principi e valori irrinunziabili, che rappresentano
l’identità della forma non modificabile della Repubblica»
25
.
Tra l’atro, sempre secondo l’autorevole dottrina citata, non è possibile
riconoscere una vera e propria autonomia operativa all’ordinamento
sovranazionale
26
scindendolo con quello nazionale perché è lo Stato che
20
Le parole sono di A. FALZEA, La Costituzione e l’ordinamento giuridico, in Riv. dir. civ.
1997 p. 471.
21
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 198.
22
Cosi P. PERLINGIERI, op. cit., p. 199.
23
A. FALZEA, op. cit., p. 472.
24
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 199.
25
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 200.
26
P. PERLINGIERI, Diritto comunitario e legalità costituzionale. Per un sistema italo-comunitario
delle fonti, Napoli, 1992, p. 127, precisa che un «ordinamento comunitario» non esiste,
la normativa nel quale consiste è destinata a compenetrarsi nell’ordinamento giuridico
di matrice statale.
17
ha autolimitato la sua sovranità a fronte di un dovere sovranazionale ex art
11 Cost
27
. Il diritto di derivazione comunitaria, inteso come «insieme di
principi e regole tendenti a disciplinare i rapporti tra i cittadini ed i loro
comportamenti»
28
non esiste come una realtà a sé
29
: «per funzionare ed
essere applicato deve necessariamente calarsi e integrarsi nel sistema
giuridico di ciascuno Stato nel rispetto delle sue peculiarità, delle sue
articolazioni interne, delle sue fonti normative».
30
È sicuramente possibile
riconoscere che le norme comunitarie compongono un «sistema
normativo», tuttavia esso deve essere inteso alla stregua di un « complesso
di principi e regole, e non già come un ordinamento a sé stante»
31
, il quale
«fa parte stabilmente e nella sua totalità sistematica del diritto positivo
nazionale»
32
. «L’incontro tra la produzione normativa comunitaria e quella
nazionale configura il sistema italo-europeo delle fonti»
33
, tra di esse
distinte in «fonti interne» e «fonti esterne» secondo una gerarchia che è
compatibile al tempo stesso con il diritto sovranazionale, la Costituzione.
27
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 271, dello stesso pensiero anche G. SPERDUTI, Sulle
limitazioni di sovranità secondo l’art.11 della Costituzione, in ID L’ordinamento italiano e il diritto
comunitario, Padova, 1981 p. 1 ss., A. LA PERGOLA, Costituzione ed adattamento
dell’ordinamento interno al diritto internazionale, Milano, 1961, p. 296.
28
Le parole sono di P. PERLINGIERI, op. cit., p. 270.
29
Ancora P. PERLINGIERI, op, loc. cit., il quale afferma che «il processo di integrazione
tra i due ordinamenti non si può risolvere esclusivamente nel senso della
«nazionalizzazione» del diritto comunitario». Prospetta l’esistenza di un rapporto di
«compenetrazione reciproca» anche la Corte cost. 30 marzo 1995 n. 94, in, Riv. it. dir.
pubbl. com, 1995, p. 559.
30
P. PERLINGIERI, op. cit., p. 86 il quale precisa il necessario coordinamento tra la
normativa nazionale e quella comunitaria in termini di necessaria integrazione, critica
questa presa di posizione teorica A. CARRINO, Costituzione e sovranità, Torino, 1998
p. 196, il quale afferma, rovesciando letteralmente la prospettiva delineata da
P. PERLINGIERI, che «l’ordinamento italiano e l’ordinamento comunitario
risulterebbero non integrabili in quanto quello italiano è a vocazione generale».
31
In tal senso P. PERLINGIERI, op. cit., p. 201.
32
Le parole sono di A. FALZEA, op. cit., p. 510.
33
Le parole sono dell’illustre giurista P. PERLINGIERI, op. cit., p. 86.