VI
• l’Audit committee, quando presente, verifica l’operato degli
Internal Auditors, e ne garantisce l’indipendenza.
La relazione alla base del presente lavoro è ben riassunta dalle
parole di Grossi, per cui <<l’Internal Auditing è uno degli elementi
che compongono il Sistema di Controllo Interno di un’azienda; un
efficace Sistema di Controllo Interno, a sua volta, è la risposta
razionale al problema di come amministratori e direttori possono
far fronte alle loro pesanti responsabilità in materia di
trasparenza informativa, correttezza gestionale, efficacia ed
efficienza>>1.
Nella prima parte, il cap. I propone una breve disanima degli
argomenti attualmente al centro dei dibattiti in tema di Corporate
Governance, riassumendo altresì le principali caratteristiche dei
sistemi capitalistici moderni (sistemi market-oriented e
relationship-oriented).
Tale capitolo, soffermandosi sui problemi di agenzia e sulle
relazioni tra stakeholders, costituisce la base per inquadrare
correttamente le funzioni di un moderno Sistema di Controllo
Interno, presentate nel capitolo II.
Dalla Corporate Governance in senso lato, dunque, l’attenzione si
sposta su un meccanismo particolare, il SCI: il riferimento è al
paradigma fornito dal CoSO report, che viene commentato dando
conto anche delle critiche mosse allo stesso in sede teorica.
1 Dunque, <<Queste, in estrema sintesi, le relazioni che collegano la problematica
dell’Internal Auditing a quella del Sistema del Controllo Interno e delle
responsabilità di governo e di direzione di un’azienda e che suggeriscono di
accostare il tema [dell’Internal Auditing] movendo dalla considerazione delle
responsabilità degli amministratori e direttori.>>, V. Coda, Responsabilità degli
amministratori e direttori, Sistema di Controllo Interno e Internal Auditing, in Molteni
M. (a cura di), Verso una nuova concezione di Internal Auditing, Milano, EGEA,
1998.
VII
L’esame del SCI riveste un’importanza primaria, in quanto la
funzione di Internal Auditing svolge il compito fondamentale di
controllare e verificare il SCI, assicurandone l’operatività nel
tempo.
La seconda parte, che costituisce il corpo centrale della tesi, è
dedicata all’Internal Auditing: la suddivisione dei capitoli è
parzialmente sovrapponibile a quella degli Standards di Internal
Auditing stabiliti dall’IIA.
Si è ritenuto, in questo modo, di ridurre al minimo duplicazioni e
ripetizioni, offrendo nel contempo una visione <<a tutto tondo>>
dell’argomento.
Una particolare attenzione è riferita, nel terzo capitolo,
all’evoluzione dei compiti della revisione interna, con riferimento
alle nuove prospettive di Management Auditing.
Il quarto capitolo indaga le soluzioni organizzative al problema
storico dell’indipendenza di giudizio degli Auditors, presentando i
modelli tipici delle strutture organizzative a tre livelli: funzione,
impresa, gruppo d’imprese.
Nel quinto capitolo viene trattato il complesso di conoscenze,
competenze e caratteristiche personali richieste ad un moderno
revisore interno; si discute, inoltre, la compatibilità delle pratiche
di outsourcing con i tratti peculiari della funzione in esame.
Nel sesto e nel settimo capitolo si considerano gli aspetti <<di
processo>> dell’attività di Internal Auditing, con riferimento agli
Standards professionali e al nuovo concetto di Risk-based
Auditing: a tale proposito, si discutono le istanze di evoluzione da
Control-based Auditing a Risk-based Auditing, riservando un
ultimo, breve commento al paradigma del CoSO Report.
VIII
L’argomento finale della seconda parte (cap. VII) concerne le
procedure di controllo dell’attività di Auditing, introducendo così
l’ultimo livello di verifica, o l’ultimo anello della <<catena del
controllo>> di cui sopra.
Si passa, in questo modo, al capitolo VIII, che <<chiude il
cerchio>> della tesi, tornando all’ambito della Corporate
Governance, nel campo più ristretto del funzionamento di un solo
organo societario: il comitato di controllo interno.
Tale istituzione è esaminata alla luce della recente normativa
statunitense, che rappresenta lo stato dell’arte in materia; segue
un riepilogo delle mansioni del comitato di Audit in termini di
rapporti con i manager e i revisori interni ed esterni.
L’ultimo paragrafo è dedicato, infine, alla situazione italiana e alle
ipotesi attuali de iure condendo circa l’introduzione del comitato
di controllo interno nel nostro sistema, con alcuni commenti sulle
opportunità di coesistenza col collegio sindacale.
1
CAPITOLO I
CENNI DI CORPORATE GOVERNANCE
I.1 Definizioni
Gli ultimi anni testimoniano, in ambito economico, un interesse
di primo piano per l’argomento corporate governance: in un
ristretto lasso di tempo, infatti, molti interventi, cogenti e non,
hanno preso forma in USA, Regno Unito, Francia, Italia allo scopo
di codificare lo stato dell’arte in termini di governo d’impresa.
L’ampiezza del significato dell’espressione corporate governance
(d’ora in poi: CG) varia a seconda dei contesti; in particolare,
secondo la definizione ampiamente accolta del Cadbury Report, si
tratta del sistema col quale le aziende sono dirette e controllate1.
Come si vedrà, il nucleo del concetto attiene al sistema formale
attraverso cui il senior management risponde agli azionisti2: vale a
dire i sistemi di gestione delle imprese con riferimento alla forma
più tradizionale dei problemi di agenzia, derivanti dalla
separazione tra proprietà e controllo nelle società di capitali.
Spesso, però, chi tratta di CG si riferisce ad un contesto più
ampio: <<l’intera rete di relazioni formali e informali che insistono
sul settore dell’azienda, e le loro conseguenze per la società in
generale3>>. In questo senso, l’interesse si focalizza non solo su
1 <<The system by which companies are directed and controlled>>, Cadbury Report,
par. 2.5.
2 Cfr. Melis A., Corporate Governance. Un’analisi empirica della realtà italiana in
un’ottica europea, Torino, Giappichelli, 1999.
3 K. Keasey, S. Thompson, M. Wright citati in ibid., p. 2, n. 3.
2
tutti gli organi e i soggetti dell’impresa, ma anche sulla sua
interazione con gli stakeholder, quali banche, clienti e fornitori4.
Infine, al massimo grado di estensione si considera il “sistema
paese”, inteso come <<il combinato disposto delle strutture
politiche, amministrative e di sostegno […] delle risorse
economiche e della aziende del Paese5>>.
Solitamente, gli Autori si riferiscono indistintamente, col termine
CG, alle tre accezioni suesposte, precisando di volta in volta
quella interessata; tuttavia, a fini espositivi, Airoldi propone la
seguente distinzione6: la CG in senso proprio si limita alla
“configurazione ed alle modalità di funzionamento degli organi di
governo e controllo delle imprese (assemblea dei soci, Cda,
collegio sindacale ecc.)”.
Si può, invece, parlare di “assetti istituzionali” con riferimento ai
seguenti elementi:
• le persone e gruppi di persone che partecipano alla vita
dell’impresa;
• i contributi che questi apportano alla stessa, in termini di
capitale, competenze, lavoro7;
• le ricompense ottenute per tali contributi, come dividendi,
salari, potere, emolumenti8;
4 Gli stakeholder sono <<definibili come soggetti esterni alla società, portatori di
forti interessi alle vicende di questa>>, Coopers & Lybrand, Lineamenti di Corporate
Governance, documento non pubblicato, 1997; tale definizione, ampiamente
accolta, comprende però anche i dipendenti.
5 Cucino P.A., Strategie di Marketing internazionale: dall’esportazione indiretta
all’investimento diretto, Kappa, Roma, 1999., p. 21.
6 G. Airoldi, Gli assetti istituzionali d’impresa: inerzia, funzioni e leve, Airoldi G.,
Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive del caso
italiano, Milano, Etas Libri, 1998.
7 Proprio dalla mancata coincidenza tra i latori dei vari contributi si sviluppa il
contratto di agenzia: l’azionista, apportatore di capitale, delega al manager la
gestione dell’impresa, in virtù delle capacità direttive di quest’ultimo.
3
Contesto Istituzionale
• le strutture e i meccanismi che collegano i tre elementi
precedenti: assemblee, patti di sindacato, gruppi.
Un’ulteriore distinzione viene proposta circa gli “assetti
proprietari”, che definiscono la configurazione dei soggetti
conferenti capitale di rischio.
A un terzo livello, infine, si situa il “contesto istituzionale”, che
comprende la normativa societaria e fiscale, il mercato
finanziario, le autorità garanti9.
I.2 Origini del dibattito attuale
Negli USA e nel Regno Unito, le istanze di rinnovamento degli
istituti di CG, concretizzatesi rispettivamente nel CoSO Report10 e
nel Cadbury Report, presero le mosse, prevalentemente,
dall’inadeguatezza regolamentare in termini di controlli interni e
di funzionamento degli organi societari: verso la fine degli anni
’80, infatti, in entrambi i contesti si verificarono rilevanti
8 Per quanto riguarda la remunerazione dei manager, un argomento attualmente di
grande interesse concerne l’opportunità di ricorrere alle stock options, per avvicinare
gli obiettivi dei delegati a quelli dei deleganti.
9 A tale proposito, Melis parla di country governance, che comprende un effetto
economico-istituzionale e un effetto nazione; il primo concerne, ad es., il grado di
sviluppo del sistema economico di riferimento, del sistema normativo in termini di
protezione degli stakeholder, del mercato dei capitali; il secondo, invece, si riferisce
alla storia e alla cultura economiche della nazione.
10 Si veda il cap. II.
Rapporti
manager-
azionisti
Assetto istituzionale
Fig. 1.1: ampiezza dei
concetti specifici a cui
si può riferire la CG in
generale.
4
fallimenti, sia in termini operativi con riferimento a singole
procedure, sia in termini legali11.
In particolare, nel Regno Unito si riconobbe la frammentarietà
della disciplina societaria, così come risultava dal Company Act
del 1989; si nota, perciò, come la genesi del Cadbury Report sia
riconducibile al concetto ristretto di CG nominato in precedenza.
Per quanto concerne la Francia, invece, l’esteso processo di
privatizzazioni verificatosi negli ultimi anni ha determinato nuove
caratteristiche di scenario: l’accresciuta contendibilità delle
imprese, infatti, ha modificato radicalmente la variabile “assetti
proprietari”, richiedendo regole di condotta chiare e trasparenti12.
Il rapporto Viénot è stato stilato, dunque, come risposta non
tanto a crisi interne alle singole imprese, e segnatamente a
malfunzionamenti degli organi societari, quanto a mutamenti di
più ampia portata, riguardanti gli assetti e i contesti istituzionali.
In merito alla situazione italiana, si nota da più parti la profonda
ripercussione sulla nazione di avvenimenti e tendenze quali:
l’evoluzione delle comunicazioni e delle dinamiche di
globalizzazione, la moneta unica europea, tangentopoli, lo
stravolgimento dei partiti tradizionali, il debito pubblico e le
privatizzazioni, la deregolamentazione, le autonomie
amministrative locali, l’evoluzione degli intermediari finanziari13 e
il crescente peso degli investitori istituzionali.
11 Per il caso americano, cfr. Simmons M.R., COSO-based Auditing, “Internal
Auditor”, December 1997; per quello inglese, cfr. Trequattrini R., La Corporate
Governance e l’etica degli affari: l’esperienza inglese del Code of Best Practice,
“Auditing” n. 29, 1997.
12 Trequattrini R., la Corporate Governance in Francia: il rapporto Vienot, “Auditing”
n. 31, 1998.
13 G. Airoldi, Gli assetti istituzionali d’impresa: inerzia, funzioni e leve, in Airoldi G.,
Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive del caso
italiano, Milano, Etas Libri, 1998.
5
L’effetto congiunto delle suddette forze ha determinato, in Italia
più che altrove, un serrato confronto tra i vari soggetti
interessati, alla ricerca dei migliori equilibri di CG: il dibattito,
dunque, interessa molteplici direttive, e le istanze provengono da
tutti e tre i livelli di cui alla fig. 1.1.
In estrema sintesi, l’importanza della CG deriva da due
fondamentali motivi14.
Da una parte, i meccanismi di gestione dell’impresa sono fattori
chiave della competitività delle aziende, in termini di efficienza e
di ottimizzazione della performance; dall’altra, il sistema di CG
definisce le responsabilità15 dei decisori e il conseguente livello di
controllo sul loro operato.
Le dinamiche della globalizzazione comportano, dal canto loro,
una crescente concorrenza a livello di sistemi-paese, per
l’attrazione di capitali in regime di completa mobilità: performance
e responsabilità sono i due indici che misurano l’appetibilità delle
imprese agli occhi degli investitori.
14 G. Forestieri, La corporate governance negli schemi interpretativi della letteratura,
in ibid.
Fig. 1.2:
Importanza
degli assetti di
corporate
governance in
un contesto di
elevata mobilità
dei capitali
Modello di
Corporate Governance
Grado di performance Grado di accountability
Attrattività dell’impresa
per gli investitori
determina
misurano
I II
6
Tale chiave di lettura, pur essendo soddisfacente nel delineare i
nessi causali dell’argomento in esame, non deve essere
interpretata con eccessivo schematismo: la stessa accountability,
infatti, è condizione di un particolare tipo di efficienza, ovvero la
riduzione dei costi di agenzia.
Senza tentare un’analisi estesa, vale la pena soffermarsi su
alcune delle spinte che, in Italia, alimentano la ricerca di evoluti
assetti di CG.
Per quanto riguarda il contesto istituzionale, si è menzionata
l’importanza delle dinamiche di globalizzazione, per cui la
concorrenza si configura innanzitutto a livello di sistemi-paese: la
libera circolazione dei capitali costituisce un’importante occasione
di sviluppo per le imprese, che però necessitano di un solido
retroterra istituzionale16.
Inoltre, l’ambiente competitivo internazionale, la cui importanza
strategica è crescente per la stessa sopravvivenza delle imprese,
richiede loro una struttura finanziaria solida17.
Nel nostro ambiente economico, invece, essa è spesso limitata agli
stadi iniziali di autofinanziamento e indebitamento: se, infatti, da
una parte tale configurazione comporta ridotti costi di agenzia,
dall’altra costituisce un freno all’internazionalizzazione18.
15 Spesso, anche nelle pubblicazioni italiane si fa riferimento al termine
anglosassone accountability: per la sua traduzione come “responsabilità” e
l’ampiezza del significato, si veda il cap. II.
16
Cfr. Cucino P.A., Strategie di Marketing internazionale: dall’esportazione indiretta
all’investimento diretto, Kappa, Roma, 1999.
17 <<Pertanto esse [le imprese] avrebbero la necessità di essere dotate di strutture
finanziarie solide in grado di favorire il reperimento delle risorse finanziarie, nei
tempi e nelle forme più adeguati, per soddisfare i bisogni derivanti dall’attività di
business.>>, G. Crosti, L’anomalia italiana, in Molteni M. (a cura di), I sistemi di
Corporate Governance nelle grandi imprese italiane, Milano, EGEA, 1996, p. 22.
18 Ibid.; S. Brigantini paventa, nella stessa sede, il rischio di <<asfissia da
insufficienza di capitali>> corso dalle imprese italiane, in ibid., p. 44.
7
Per quanto riguarda l’indebitamento, la struttura finanziaria delle
imprese italiane costituisce un caso a sé stante19, non ascrivibile
alla tradizionale distinzione tra sistemi orientati agli intermediari
(Germania, Giappone) e orientati al mercato (anglosassoni): il
livello di indebitamento delle imprese italiane, infatti, è intermedio
tra quello, maggiore, che si verifica nei primi e quello registrato
nei secondi; l’anomalia risiede, però, nell’assoluta preponderanza
dei debiti a breve sul totale dei finanziamenti.
Altri fattori di debolezza sono costituiti dalla scarsa
capitalizzazione del mercato azionario italiano, dalla scarsa
liquidità dei titoli20 (legata al ridotto market for corporate control21)
e dal limitato peso degli investitori istituzionali, la cui presenza ed
importanza stanno comunque crescendo molto rapidamente22.
Il superamento di tali limiti dipenderà, in ultima analisi, dallo
sforzo da parte delle imprese per dotarsi di <<strutture societarie
più aperte ai mercati dei capitali, in grado cioè di rivolgersi loro
con successo per ottenere i mezzi finanziari necessari per
realizzare i progetti di sviluppo23>>. Dipenderà, cioè, dalla messa
in discussione degli specifici assetti proprietari basati sul
capitalismo familiare, al tempo stesso segno di distinzione e, per
alcuni, causa di debolezza del modello italiano di CG24.
19 Cfr. A. Landi, M. Onado, in Onado M. (a cura di), La banca come impresa,
Bologna, Il Mulino, 1996, p. 53.
20 Martino C., I fondi comuni irrompono nei consigli, “Il Sole-24 Ore” n. 31, 1 febbraio
1999.
21 Melis A., Corporate Governance. Un’analisi empirica della realtà italiana in
un’ottica europea, Torino, Giappichelli, 1999.
22 Martino C., cit.
23 G. Crosti, L’anomalia italiana, in Molteni M. (a cura di), I sistemi di Corporate
Governance nelle grandi imprese italiane, Milano, EGEA, 1996, p. 23.
24 Melis A., cit.; A. Fabbri, Situazioni di criticità e problemi di governance relativi alle
società quotate italiane, in Airoldi G., Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance.
Analisi e prospettive del caso italiano, Milano, Etas Libri, 1998.
8
I.3 Modelli esplicativi dei problemi di CG
3.1 I problemi di agenzia
Come visto, la base comune a tutti i modelli interpretativi della
corporate governance consiste nella separazione tra proprietà e
controllo delle imprese: essa dipende in primo luogo dalla non
coincidenza tra il patrimonio delle abilità imprenditoriali e quello
delle risorse necessarie per esercitarle25.
Una secondo motivo di tale separazione deriva dalla diversa
propensione al rischio dei soggetti conferenti il capitale rispetto
agli agenti: i primi sono propensi al rischio, mentre i secondi,
essendovi in una certa misura avversi26, non sono disposti a
diventare imprenditori (facendo così venire meno la suddetta
separazione).
Il primo e più classico problema di agenzia si configura, dunque,
tra manager e azionisti, che perseguono obiettivi tra loro
contrastanti: questi ultimi, infatti, sono interessati al rendimento
del capitale investito, e massimizzano la propria funzione di
ricchezza in termini di dividendi e guadagni in conto capitale; i
manager, invece, possono adottare un comportamento
opportunistico volto a perseguire benefici personali.
In particolare, la funzione di utilità dei manager comprende
usualmente le due seguenti variabili:
• dimensione: data la frequente correlazione positiva tra
dimensioni dell’azienda e remunerazione del management,
25 Cenni S., Corigliano R., in Onado M. (a cura di), La banca come impresa, Bologna,
Il Mulino, 1996, p. 436.
26 Melis A., cit.
9
questi tende all’aumento delle dimensioni dell’impresa27
anche oltre il livello ottimale;
• specificità: il management cerca di investire in assets che
siano manager-specific, ossia cercherà di rendere la propria
sostituzione quanto più costosa possibile per l’azionista28.
Si comprende, dunque, il loro potenziale contrasto con gli
interessi degli azionisti.
I costi di agenzia dipendono dall’impossibilità di stipulare
contratti perfetti, che permettano agli azionisti un controllo
assoluto sul comportamento dei manager; a tale proposito, le
caratteristiche e il livello ottimale delle attività di controllo
saranno trattati nel cap. II.
Gli approcci teorici allo studio della CG hanno prodotto vari
modelli esplicativi; in particolare, Melis29 ne riconosce quattro
(tab. 1.1): finance model , myopic market model , abuse of executive
power model e stakeholder model.
I primi tre si collocano nell’ambito tradizionale delle relazioni tra
manager e azionisti (questi ultimi considerati gli unici portatori di
interessi); in tal caso, la massimizzazione del valore per gli
azionisti costituisce, sia pure con modalità diverse, l’obiettivo
precipuo dell’impresa. Il quarto modello, invece, afferisce al
contesto più ampio della rete di relazioni che l’azienda intreccia
con l’ambiente in cui opera.
Come si vede in tab. 1.1, comunque, <<questa articolazione non
impedisce di cogliere una netta separazione tra due schemi
interpretativi di base: quello dell’outsider system e quello
27 Melis A., cit., p. 17.
28 G. Forestieri, La corporate governance negli schemi interpretativi della letteratura,
in Airoldi G., Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive
del caso italiano, Milano, Etas Libri, 1998.
10
dell’insider system, in qualche modo riportabili, rispettivamente,
agli archetipi anglosassone e tedesco-giapponese30>>.
Modello di
riferimento �
Finance
model
Myopic market
model
Abuse of
executive
power model
Stakeholder
model
Concetto di
corporate
governance
ristretto ristretto ristretto allargato
Efficienza del
mercato dei
capitali
elevata bassa
bassa (scalate
poco
probabili)
variabile
Concetto della
azienda commodity commodity commodity community
Soluzioni ai
problemi di
agenzia
scalate
(controlli
esterni);
remunerazione
management.
coinvolgimento
azionisti (voce);
concentrazione
quote azionarie
potenziamento
funzioni dei
non-executive
directors
costruzione
di relazioni
etiche con
tutti gli
stakeholder
3.2 Il finance model
Il finance model costituisce il modello di riferimento dei sistemi
anglosassoni, tipicamente market-oriented e dominati da assetti
proprietari di public company.
Esso basa la soluzione delle divergenze di interessi tra azionisti e
agenti sull’operatività di due meccanismi, uno esterno all’impresa
e uno interno: il mercato e i sistemi di remunerazione del
management.
29 Melis A., cit.
30 G. Forestieri, La corporate governance negli schemi interpretativi della letteratura
in Airoldi G., Forestieri G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive
del caso italiano, Milano, Etas Libri, 1998. In particolare, come già affermato, i
primi tre modelli si collocano nell’ambito del sistema outsider, assumono la
prevalenza del sistema di public company e incentrano il problema sui costi di
Tab. 1.1: Tratti salienti dei modelli di studio della corporate governance.
11
L’efficiente funzionamento dei mercati dei capitali, e in particolare
il costante rischio di scalate, garantiscono un’efficace
supervisione dell’azione degli amministratori: qualora, infatti, la
performance si abbassi, il suo riflesso sul valore delle azioni
esporrà l’azienda a takeover ostili, col rischio di sostituzione degli
amministratori.
D’altra parte, lo sviluppo del mercato del lavoro manageriale
rende costoro facilmente sostituibili con altri professionisti.
Per quanto riguarda, invece, i meccanismi interni, oltre alla
sostituzione degli amministratori con altri provenienti
dall’impresa stessa, particolare menzione meritano i sistemi di
remunerazione del management: essi necessitano di essere
reimpostati non in termini quantitativi, ma di struttura, e in
particolare dovrebbero prevedere incentivi ad operare
nell’interesse dell’impresa.
agenzia. Lo stakeholder model, invece, come si vedrà risponde ad una logica di
sistema insider.
Mercato dei capitali e del
controllo aziendale
Mercato del lavoro manageriale
Sostituzione degli amministratori
Meccanismi di remunerazione
Meccanismi di
correzione
Esterni all’impresa
Interni all’impresa
Fig. 1.3: Meccanismi di correzione dei problemi di agenzia nel finance
model.