Dati recenti confermano che il tasso di incidenza di carcinoma
mammario per le donne italiane è elevato, pari a circa 58- 66 donne
ogni centomila, con una notevole variabilità geografica. Infatti
l’incidenza è maggiore a nord, intermedia nelle regioni dell’Italia
centrale e minore a sud, anche se queste differenze si stanno
progressivamente riducendo. Sapendo che il rischio cumulativo di
ammalarsi di carcinoma alla mammella entro i settanta anni di età è
pari al 5- 6%, si può calcolare che oggi vivono in Italia circa 250-
300.000 donne con pregressa diagnosi di cancro mammario. Il
numero di nuovi casi all’anno è pari a trentamila, di cui 7- 8000 in
donne con meno di 50 anni ( 24- 27%), 8- 10000 in donne con più
di 70 anni( 27- 33%), e 13- 14000 in donne di età compresa tra i
cinquanta e i settanta anni.
In Europa l’incidenza sembra aumentare procedendo da est a ovest
e da sud a nord
La probabilità cumulativa che una donna europea entro
l’ottantesimo anno di età sviluppi un cancro del seno è circa del 10
%. Se i Paesi del sud e dell’est dell’Europa raggiungeranno nei
prossimi decenni un livello socio- economico più elevato, ciò
probabilmente comporterà un aumento del tasso di incidenza del
carcinoma mammario in Europa.
Dati raccolti tra il 1988 e il 1990 indicavano che, per le donne
americane, il rischio di ammalarsi di tumore mammario entro gli 80
anni di età era pari al 12,2 % ( una donna su otto) , mentre la
mortalità complessiva ammontava al 3,6% ( una donna su 28 ).
Recentemente, altri studi hanno evidenziato una nuova tendenza tra
le donne americane di razza bianca. Il tasso di mortalità corretto per
età per ha subito dal 1989 al 1993 una deflessione pari al 6,8% , con
un trend di diminuzione approssimativa per anno pari al 2% , in
ogni decade di età dai 40 ai 79 anni. In queste stesse fasce di età
anche il tasso di incidenza appare in diminuzione secondo un
andamento che rispecchia quello del tasso di mortalità. L’incidenza
di malattia localizzata alla diagnosi , che era aumentata
progressivamente dal 1982 al 1987, sembra aver raggiunto un
plateau o comunque aumentare molto più lentamente dal 1987 in
poi. L’incidenza di malattia con interessamento regionale alla
diagnosi è diminuita dal
1987 in poi, mentre il numero di nuovi casi con di malattia
metastatica alla diagnosi non è più aumentato negli ultimi 20 anni.
Questi dati indicano che i progressi nell’approccio chemioterapico e
sistemico al carcinoma mammario e la diffusione della
mammografia come test di screening sono coinvolti nel recente
rapido declino della mortalità per carcinoma mammario negli Stati
Uniti.
INSERIRE FIGURA 2 Effect of chemotherapy on mortality
Analizzando i tassi di incidenza per fasce di età, si osserva un
aumento esponenziale con l’aumentare dell’età fino alla
menopausa, momento in cui si osserva un arresto nella crescita del
tasso di incidenza o addirittura un lieve decremento. Dopo la
menopausa il tasso di incidenza aumenta nuovamente, seppure con
una velocità minore. La cessazione della funzionalità ovarica alla
menopausa causa una repentina caduta dei valori di estrogeni e
progesterone, con conseguente diminuzione della suscettibilità alla
trasformazione dell’epitelio ghiandolare mammario ed arresto degli
stimoli di crescita per eventuali neoplasie già presenti a livello
cellulare ma non evidenti clinicamente. La successiva ripresa
dell’incremento del tasso di incidenza nei quinquenni successivi
alla menopausa, confrontata con la tendenza espressa nelle donne
giovani, sembra avvalorare l’ipotesi che il carcinoma mammario
nelle donne giovani e quello nelle donne in postmenopausa siano in
realtà due entità nosologiche qualitativamente distinte.
Stadiazione
La stadiazione del cancro mammario è inizialmente clinica,
formulata sulla base dell’esame obiettivo ( ispezione e palpazione )
e degli esami radiologici (mammografia), e solo in un secondo
momento istopatologica. Diversi sistemi di stadiazione sono stati
proposti nel corso degli anni, ma quello più seguito è sicuramente il
sistema TNM, adottato sia dall’UICC ( Union International Contre
le Cancer ) che dall’AJCC ( American Joint Commettee on Cancer
). Esso si basa sulla valutazione dei tre elementi principali della
malattia: tumore primitivo ( T ), linfonodi regionali (N ), metastasi
a distanza ( M ). Per quanto riguarda il tumore primitivo, devono
essere considerate le sue dimensioni oltre che la sede di insorgenza
nella mammella, i suoi rapporti con la cute e la parete toracica. Nel
caso di lesioni multifocali, la lesione stadiata è quella di maggiori
dimensioni , mentre nel caso di una neoplasia bilaterale è necessario
stadiare entrambe le lesioni . Il carcinoma infiammatorio,per
definizione non dimensionabile, configura uno stadio molto
avanzato, il T4d.
Con “linfonodi regionali” si intendono i linfonodi ascellari
omolaterali, anche se il drenaggio linfatico della mammella
comprende i linfonodi della catena mammaria interna e i linfonodi
lungo i dotti che attraversano i muscoli pettorali.
I linfonodi dell’ascella sono stati suddivisi in livelli: linfonodi di
primo livello sono quelli localizzati in alto, all’apice dell’ascella e
lungo il muscolo piccolo pettorale, i linfonodi di secondo livello
sono situati tra i due margini del muscolo e i linfonodi
interpettorali, mentre i linfonodi di terzo livello sono quelli
infraclavicolari.
La presenza di cellule neoplastiche nei linfonodi sopraclaveari o il
coinvolgimento di qualsiasi altro gruppo linfonodale, compreso
quello della catena mammaria interna, deve essere considerato
come una metastasi a distanza. La classificazione TNM può essere
integrata nei casi operati, con i dati forniti dall’anatomo- patologo,
trasformando così il TNM in pT, pN, pM. In questo caso, però, il
pT non indica le dimensioni della componente maggiore, bensì
della componente innvasiva.
Aggiungendo “y ”anteposto invece, si indica che il patologo osserva
il reperto di una paziente già precedentemente trattata con chemio o
radioterapia, mentre il suffisso “c” indica che le informazioni
provengono da un campione istologico della lesione ottenuto
mediante biopsia “ tru-cut ”.
Fattori prognostici e predittivi .
Fattore prognostico è un marcatore biologico o clinico che, in
assenza di terapia , si associa con la sopravvivenza libera da
malattia o totale. E’ particolarmente adatto ad indicare quali
pazienti abbiano una prognosi buona , che non richiede un
trattamento sistemico , rispetto a quelle che necessitano di un
trattamento più aggressivo.
Tra i fattori prognostici comunemente adottati figura il sistema
TNM.
Esso assembla le variabili dimensione ed estensione del tumore(
T), interessamento dei linfonodi regionali (N), e diffusione
metastatica (M), permettendo di raggruppare le neoplasie
mammarie in stadi diversi, a ciascuno dei quali è possibile attribuire
un valore prognostico. Pur essendo un sistema molto utile, tuttavia
sono stati proposti modelli di integrazione per renderlo più
accurato. Con ciò si intende che i fattori prognostici andrebbero
integrati con le variabili TNM in un nuovo sistema prognostico per
poter predire con accuratezza il decorso della malattia.
La XXVI Conferenza CAP “Rilevanza Clinica di Marcatori
Prognostici nei Tumori Solidi “ organizzata dal Collegio degli
Anatomo Patologi Americani e tenutasi a Snowbird, Utah, nel 1994
esaminò un gran numero di fattori prognostici nel cancro
mammario, indicando due sottogruppi di fattori prognostici come
idonei alla pratica clinica.
Gruppo I : comprende fattori prognostici ben indicati in letteratura
sia dal punto di
vista prognostico che clinico. Esso a sua volta comprende :
a) le variabili del TNM
b) il tipo istologico
c) il grado ( istologico / nucleare )
d) i recettori ormonali ( estrogeno e progesterone)
Gruppo II : comprende fattori prognostici ampiamente studiati sia
biologicamente che clinicamente, e si divide in due sottogruppi .
Il sottogruppo II a comprende fattori prognostici utilizzati in studi
clinici randomizzati, quali ad esempio i marcatori di proliferazione,
come la ploid ia del DNA, la frazione S e l’indice mitotico, il ki-67 (
MIB1 ), e l’indice di timidina triziata (LI ).
Il sottogruppo II b comprende fattori per i quali sono stati portati a
termine studi correlati biologici e clinici, ma ci sono pochi studi con
dati conclusivi , per esempio:
gli oncogeni p53 , e c-erbB-2 ( HER 2/ neu), l’EGFR , l’invasione
vascolare , linfatica o venosa, e l’angioneogenesi tumorale.
Il Gruppo III include altri fattori senza le caratteristiche dei gruppi
I e II.
Gruppo I
a)Il più utile di questi fattori prognostici è sicuramente costituito dal
numero di linfonodi risultati positivi all’esame istologico, tra quelli
presenti alla dissezione del cavo ascellare . Il numero di linfonodi
ascellari interessati dalla malattia correla infatti direttamente con il
rischio di recidiva, mentre risulta inversamente proporzionale alla
probabilità di sopravvivenza libera da malattia.
La sopravvivenza a dieci anni è superiore al 70% se N è uguale a
zero, mentre diventa inferiore al 20% se N è maggiore di venti . Il
tasso di recidiva può variare dal 20% per le donne con linfonodi
negativi , fino ad oltre l’85% per le donne che presentino dieci o più
linfonodi coinvolti.
Pertanto tutte le pazienti con interessamento dei linfonodi del cavo
ascellare sono indirizzate al trattamento sistemico.
Un’indagine dei linfonodi del cavo ascellare adeguata comprende
almeno 10 linfonodi esaminati, mentre la dissezione deve estendersi
almeno fino al secondo livello per consentire un esame accurato.
Rimane oggetto di discussione se la dissezione del cavo ascellare
sia uno strumento curativo oltre che diagnostico.
Poiché infatti nell’ascella il coinvolgimento dei linfonodi avviene
progressivamente e in modo regolare, dal primo, al secondo , fino al
terzo livello dei linfonodi, è possibile stabilire attraverso lo studio
del linfonodo che per primo riceve le cellule maligne dal carcinoma
mammario, quale sia lo stato dei rimanenti linfonodi . Questa
tecnica linfoscintigrafica recentemente messa a punto e detta del
“linfonodo sentinella “ , si è rivelata attendibile nel 97,5% dei casi .
Essa consentirà in molti casi un approccio chirurgico meno
aggressivo ma tuttavia ugualmente radicale, evitando che le pazienti
vadano incontro alle sequele di una dissezione ascellare (
linfedema, eventuale sezione del fascio di Bell , allungamento dei
tempi di recupero post- operatorio ) anche quando questa non è di
fatto necessaria.
La dimensione della neoplasia correla con il numero dei linfonodi
ascellari interessati ma ha un valore prognostico differente. Vari
studi hanno infatti dimostrato che se il T è inferiore ad un cm, una
percentuale di pazienti inferiore al 20% è N positiva, se invece T è
più grande di 6 cm, allora la percentuale di casi N positivi arriva al
70%. Inoltre le dimensioni della malattia sono in relazione lineare
logaritmica con la probabilità di eventuali metastasi a distanza. In
altre parole, il tempo necessario affinché si sviluppino metastasi a
distanza decresce via via che le dimensioni del tumore aumentano.
La mediana del tempo necessario a sviluppare metastasi a distanza
per le pazienti con lesione primitiva compresa tra 1 e 2,5 cm è di 42
mesi ( 3,5 anni) dalla chirurgia, mentre scende a quattro mesi per le
donne il cui tumore primitivo misurava alla diagnosi 8,5 cm o più.
Un altro fattore importante dal punto di vista prognostico è la
topografia della lesione rispetto ai quadranti mammari. La prognosi
è peggiore per le pazienti con carcinoma mammario localizzato ai
quadranti interni. Le lesioni situate nei quadranti mediali portano
più frequentemente al coinvolgimento dei linfonodi della catena
mammaria interna, con relativo risparmio dei linfonodi ascellari.
Ciò comporta il grave rischio di stimare queste pazienti come N
zero, e quindi sottotrattarle .
b) Il carcinoma duttale infiltrante e lobulare infiltrante, misti o puri,
costituiscono l’istotipo più frequente dei carcinomi mammari
invasivi. Il carcinoma duttale infiltrante, oltre ad essere l'istotipo in
assoluto più frequente, si associa alla prognosi peggiore in quanto
molto aggressivo. Tuttavia per le pazienti con linfonodi negativi e
con carcinoma duttale o lobulare infiltrante che misuri 1 cm o meno
di diametro ovvero con un diverso carcinoma infiltrante ( mucinoso,
papillare, tubulare, midollare vero o adenoide- cistico ) che misuri
tre cm o meno di diametro, la prognosi rimane molto favorevole.
c) Il grading correla molto bene con l’evoluzione della neoplasia.
Suoi limiti sono la scarsa riproducibilità e le variazioni di
interpretazione che possono intercorrere tra anatomo- patologi
diversi . Alcune metodiche valutano solo le caratteristiche nucleari,
mentre altre comprendono anche le caratteristiche dell’architettura
tumorale . I due sistemi più utilizzati sono quello di Scarff-Bloom-
Richardson e il grado nucleare di Fisher.
Il grading istoprognostico di Scarff-Bloom e Richardson suddivide
le neoplasie in tre gruppi a seconda del livello di differenziazione
(abilità nel formare strutture tubulari, papillari o ghiandolari ),
entità dei pleomorfismi ( presenza di anisonucleosi e / o di atipie
cellulari ), e attività mitotica registrati a livello nucleare.
A ciascuna di queste caratteristiche viene assegnato un punteggio
da uno a tre:
G1: ben differenziato
G2: moderatamente differenziato
G3: poco differenziato o indifferenziato
Il metodo di Fisher correla il grado nucleare con la presenza di
strutture tubulari o ghiandolari. Benché entrambi i metodi abbiano
subito parecchie modifiche e revisioni nel corso degli ultimi anni, la
valutazione del grading rimane uno strumento prognostico prezioso
in quanto fornisce informazioni aggiuntive, qualunque sia lo stadio
della malattia.
d) L’assetto recettoriale per gli steroidi sessuali ( estrogeni e
progesterone) è il più importante indice prognostico biochimico,
oggi facilmente valutabile grazie alla possibilità di utilizzare
tecniche immunoistochimiche che non richiedono più campioni a
fresco e forniscono diagnosi attendibili anche su lesioni molto
piccole, con un basso numero di falsi negativi. Lo studio dei fattori
di crescita e dei loro recettori ha dimostrato l’esistenza di fenomeni
di secrezione autocrina e paracrina
regolanti la proliferazione delle cellule neoplastiche di carcinoma
mammario e di quelle del tessuto contiguo. Quindi se da un lato le
cellule neoplastiche hanno la capacità di secernere queste sostanze,
dall’altro, grazie all’espressione dei rispettivi recettori, possono
rispondere con la proliferazione a questi stimoli. Nel caso specifico
gli estrogeni e il progesterone , con i loro recettori sono espressi e
svolgono una funzione fisiologica nei tessuti normali, ma nelle
cellule tumorali sono spesso superespressi , generando quindi uno
stato di alterata sensibilità. Inoltre l’espressione di questi recettori è
eterogenea sia a livello cellulare che a livello tissutale ed ha la
tendenza a diminuire in relazione alla localizzazione del tumore:
primario > linfonodi ascellari > fegato > ossa. Dal punto di vista
prognostico quindi è importante che le cellule neoplastiche
mantengano l’espressione dei recettori sulla loro superficie,
innanzitutto perché sono un segno di buona differenziazione e di
ridotta malignità. Inoltre, mentre gli Er si associano con un
miglioramento della sopravvivenza libera da malattia ( con un
vantaggio del 10% a cinque anni per le pazienti Er + ), e predicono
la risposta ad una terapia ormonale a base di antiestrogenici., i PgR
correlano direttamente alla sopravvivenza complessiva anche
perché sono il miglior indicatore di risposta ad una terapia ormonale
post-recidiva.
Il valore di questi fattori non è quindi solamente prognostico ma
anche predittivo.
e) Infine, indipendentemente dai linfonodi ascellari , la recidiva
appare più probabile se esiste istologicamente invasione dei linfatici
peritumorali o embolia vascolare
Gruppo II a
f) Attraverso la metodica di citometria a flusso è possibile valutare ,
sia su campioni “a fresco” sia su campioni congelati e conservati in
paraffina, quante siano le cellule diploidi, cioè normali , rispetto a
quelle aneuploidi e pertanto anomale. La presenza di cellule
aneuploidi correla con una scarsa differenziazione e quindi con una
prognosi pessima. Limite della metodica è che spesso nell’analisi è
compreso non solo il DNA della cellula tumorale ma anche quello
delle cellule stromali presenti nei campioni studiati, con formazione
di istogrammi di DNA che in realtà sono un misto di cellule normali
e tumorali. L’utilizzo di anticorpi anti-citocheratina ,marcati con
fluorescenza, permetterà di separare il DNA delle cellule tumorali
da quello di altre cellule, consentendo di risolvere questo problema.
g) Un altro parametro che può essere valutato attraverso la
citometria a flusso è la frazione di cellule in fase S, che stima la
percentuale di cellule che si stanno preparando alla mitosi,
valutandone la sintesi di DNA. E’ stata evidenziata una stretta
correlazione tra le cellule in fase S, la ploidia del DNA, l’assetto
recettoriale, il numero dei linfonodi ascellari coinvolti, le
dimensioni della neoplasia e l’età delle pazienti. Inoltre si è
dimostrato come un elevato indice di cellule in fase S correli
direttamente ad un alto rischio di recidive e mortalità, sia in pazienti
con linfonodi positivi che negativi. Tuttavia non è ancora possibile
l’utilizzo routinario di tale fattore poiché essendo la frazione delle
cellule in fase S una variabile biologica continua, risulta difficile
separare nettamente i gruppi a basso rischio da quelli ad alto
rischio. Inoltre i singoli laboratori dovrebbero interpretare i risultati
individuali nel contesto delle distribuzioni di questa variabile,
piuttosto che cercare di confrontarli con valori di normalità stabiliti
da altri centri.
h) Un altro fattore prognostico è l’indice mitotico calcolato
numerando le mitosi per ciascun campo microscopico ad alto
ingrandimento. L’associazione di indice mitotico, dimensioni del
tumore, coinvolgimento linfonodale ascellare è un fattore
prognostico migliore di ogni fattore considerato singolarmente.
i) La determinazione del Ki-67 è un fattore prognostico attualmente
molto utilizzato. Si tratta di un anticorpo monoclonale diretto contro
un antigene nucleare espresso solo dalle cellule in attiva
proliferazione. E’ in relazione diretta con le dimensioni del tumore,
il grading istopatologico, lo stato linfonodale, l’invasione vascolare,
mentre correla inversamente con lo stato dei recettori steroidei.
l) Il labelling index è un metodo semiquantitativo che valuta in
maniera indiretta il numero di cellule tumorali in attiva fase di
sintesi e quindi di futura proliferazione, utilizzando la timidina
triziata come marcatore radioattivo. Cellule a basso indice
proliferativo hanno una bassa attività clonogenica e quindi una
ridotta capacità di metastatizzare a distanza, mentre al contrario un
alto LI si associa ad un aumento della probabilità di secondarismi.
Tuttavia il LI è oggi poco utilizzato nella pratica clinica, a causa
della grande eterogeneità tumorale a livello di ciclo cellulare che lo
rende un parametro molto variabile.
Gruppo II b
m) Attraverso una metodica immunoistochimica è possibile
studiare l’espressione del protoncogene p53, mediante anticorpi
diretti contro la proteina prodotta dal gene stesso. Mentre era noto
che il gene avesse attività di oncosoppressore e fosse espresso in
fase G1 tardiva, si è recentemente ipotizzato che l’aumento della
proteina p53 si associ alla presenza di metastasi e a una
diminuzione della sopravvivenza globale. Le ultime ricerche
sembrano indicare che esistano due differenti genotipi per il gene
p53, che consentono di distinguere un gene p53 “classico” ed un
gene “mutato”. Mentre il gene p53 “mutato” è associato ad una
migliore risposta al trattamento neoadiuvante con Paclitaxel, quello
“classico” sembra avere un effetto paradosso : se da un lato si
correla ad una maggior risposta ad un trattamento neoadiuvante
contenente antracicline ( es: FEC ) , dall’altro la sua espressione
permette di predire il completo fallimento di una terapia
neoadiuvante con Paclitaxel. La conoscenza dello stato del p53
potrà quindi evitare a molte pazienti di ricevere una chemioterapia
per lo ro inefficace.
n) L’oncogene nm-23 correla direttamente con il grado istologico e
lo stadio. Poiché la funzione del gene è quella di “ soppressore di
metastasi”, l’aumento della sua espressione si associa invece con
una buona prognosi.
o) Il protoncogene HER 2/neu ( C-erb-B-2) codifica per una
proteina espressa a bassi livelli nelle cellule epiteliali e mioepiteliali
mammarie, ma ad alti livelli in alcuni tipi di tumore. Nonostante la
sua validità come fattore prognostico non sia stata ancora ben
definita, sembra essere un buon fattore prognostico predittivo per le
pazienti già pretrattate, in quanto legato alla resistenza verso alcuni
farmaci chemioterapici . Si è dimostrato come la terapia adiuvante
con CMF
( Ciclofosfamide, Metotrexate e 5- Fluorouracile) sia meno efficace
nelle pazienti dove sia presente amplificazione dell’espressione di
questo gene, e lo stesso sembra accadere con il Tamoxifene.
p) Le proteine “ heat shock” sono prodotte in risposta a stress
ambientali e fisiologici. Diverse proteine sono presenti nelle cellule
normalmente ,espresse o regolate da ormoni, durante il ciclo
cellulare, a differenti livelli di sviluppo e di differenziazione. Si
identificano in genere dal valore del loro peso molecolare.
Inizialmente ritenute un fattore prognostico molto promettente
soprattutto per una loro presunta relazione con il rischio di recidiva
nelle pazienti con linfonodi negativi, non si sono tuttavia rivelate
efficaci in questo senso. Tuttavia, alcune di loro rivestono oggi una
discreta importanza, come la proteina hsp 27 che sembra coinvolta
nel meccanismo di resistenza all’Adriamicina. Manipolazioni
farmacologiche o geniche sulla hsp27 sono però in grado di vincere
la resistenza verso tale chemioterapico, aprendo la strada a nuove
possibilità terapeutiche.
q) L’elevata espressione dell’Er è inversamente proporzionale a
quella dell’EGFR (il 60% dei tumori Er – è EGFR + ), cioè del
recettore per il fattore di crescita epiteliale, presente in genere a
bassi livelli nel nostro organismo ma superespresso dal 35- 60% dei
tumori mammari. La sua attendibilità come fattore prognostico è