Introduzione 5
realizzazione del film Barfly di Barbet Schroeder per il quale Bukowski si
cimenta nel ruolo di sceneggiatore).
«... Se si prendono Factotum, Post Office e Donne, a metterli
insieme si ha una buona autobiografia».
3
Per ovviare a questa lacuna ho pensato che sia finalmente arrivato il
momento di rendere giustizia ad un autore molto letto nel nostro paese ma di
cui si conosce soltanto l’aspetto più torbido. Il mio intento, oltre che a
ricostruire la biografia di Bukowski (che noi italiani non conosciamo) è quello
di dimostrare agli occhi di coloro che continuano a bollarlo esclusivamente
come uno scrittore ubriacone, maledetto, misantropo e porco, che Bukowski ha
nascosto nel suo profondo una sensibilità e una dolcezza insospettabili che
rappresentano il lato più insolito del suo carattere e che sono visibilmente palesi
nelle sue opere.
Il mio non vuol’essere, certo, il “processo di beatificazione” di un uomo la
cui sregolatezza (almeno fino ai quarant’anni) è fin troppo evidente, ma è un
tentativo di puntare su Bukowski dei fari per illuminare interamente la sua
figura e cercare di rischiarare il suo “dark side”.
L’immagine violenta che ritroviamo nella pagina bukowskiana molto
spesso pregna di sesso, alcool, omicidi, sangue, violenza carnale ai danni di
bambine innocenti, hanno spinto in tutti questi anni molti critici letterari (a mio
avviso poco attenti) a considerare Bukowski soltanto come scrittore che si
crogiola nel piacere dell’eccesso, del sesso esibito con una violenza paradossale
in un mondo in cui tutte le donne sono puttane e tutti gli uomini sono dei pazzi,
portando alla luce in modo limitato ciò che nell’inchiostro dello scrittore era già
3
Charles Bukowski, Quello che mi Importa è Grattarmi Sotto le Ascelle, Fernanda Pivano
intervista Bukowski, Milano, Sugarco, 1991, p. 114.
Introduzione 6
abbondantemente visibile. Se il tessuto narrativo di Bukowski sembra fragile e
volgare esso non è che un riflesso della fragilità, della precarietà della volgarità
di una megalopoli che si nasconde dietro una facciata di cartapesta finemente
decorata come i fondali cinematografici di Hollywood.
Finora ha avuto il sopravvento soltanto la critica sensazionalistica e ben
pochi sono riusciti a scandagliare fin nel profondo l’animo dell’autore che viene
fuori, costantemente e prepotentemente, nella sua scrittura in prima persona. È
vero che i suoi racconti sono pieni di emarginati, derelitti, violenti, barboni e
fiumi di birra, ma ben pochi critici hanno saputo leggere nelle sue parole il
bisogno ossessivo di tranquillità e di affetto, quell’affetto che Bukowski, come
egli stesso ci dice, gli è stato negato sin dalla prima infanzia dai suoi genitori:
«... “Perché hai bisogno di tante donne?”.
“È colpa della mia infanzia, capisci? Niente amore, niente
affetto. E ne ho avuto poco anche a vent’anni, anche a trenta.
Adesso devo rifarmi”...».
4
Dietro la sua maschera di duro indossata per spaventare il mondo che lo
ha martirizzato a cominciare dai primi anni della sua fanciullezza, si cela la
malinconia, la tristezza e la timidezza di un bambino diventato uomo troppo in
fretta.
«... Avevo gli occhi tristi e nessuno mi voleva bene, tranne me
stesso ...».
5
Tutti questi sentimenti finora sconosciuti del suo carattere cercherò di
palesarli man mano che questa trattazione andrà avanti, con la speranza che
4
Charles Bukowski, Donne, Milano, Sugarco, 1991, p. 253.
5
Charles Bukowski, Pulp, Una Storia del XX Secolo, Milano, Feltrinelli, 1995, p.105.
Introduzione 7
vengano aggiunti nuovi tasselli al mosaico Charles Bukowski per una
comprensione completa e senza preconcetti di colui che continua ad essere
considerato come uno scrittore “leggi-e-getta”.
8
CAPITOLO 1
VITA DI HENRY-CHARLES-HANK BUKOWSKI SCRITTA DA
SE MEDESIMO
RITRATTO DI UN ARTISTA DA CUCCIOLO
enry Bukowski, di origine tedesca, artigliere delle truppe
americane durante la Prima Guerra Mondiale, conosce
Katherine Fett in Germania nello spaccio per i soldati tenuto
da Heinrich, il padre di lei.
«... “Sai”, disse lo zio “tuo padre era sergente e parlava un
tedesco perfetto. -il bel sergente Bukowski-, usava dire tua
madre. -scommetto che fa lo scemo con tutte le ragazze-. La
guerra era appena finita e c’era pochissimo cibo per i tedeschi
e le truppe americane si sedevano da basso, davanti al fuoco, e
mangiavano carne e buttavano il grasso e altri pezzi nelle
fiamme. Tua madre diventava matta:- Potremmo mangiare
quello che bruciano! Devono essere dei bastardi per gettare la
carne in quella maniera!-. Comunque, tua madre fu presentata
al sergente Bukowski, gli sputò sulle scarpe e se ne scappò
sopra. Un paio di sere dopo il sergente Bukowski salì le scale e
bussò. Aveva la carne, la buona carne, ben cotta, e altra roba...
pane, verdura. Mangiammo. E da allora ogni sera, sul tardi,
saliva con la carne e mangiavamo. Ecco come si incontrarono
e si sposarono ...».
1
1
Charles Bukowski, Shakespeare non l’avrebbe mai fatto, Milano, Sugarco, 1983, p. 73.
Questo è il racconto che lo zio materno Heinrich Fett farà a Charles sessant’anni dopo
durante la sua visita in Germania.
H
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 9
L’alto e possente soldato americano e la minuta ragazza tedesca si
sposano e dai due, il 16 agosto 1920, nasce ad Andernach (un paesino nei pressi
di Colonia), Henry Charles Bukowski jr.
Ritenendo il suo nome troppo altisonante, in seguito lo accorcerà: sarà
conosciuto dal fisco come Henry Bukowski, dagli editori e dai lettori come
Charles, dagli amici come Hank:
«... il mio nome completo è Henry Charles Bukowski Jr. Ma mi
sono molto stancato di Henry, sai, Henry...Perché i miei
genitori non erano simpatici e quando mi chiamavano per
nome non volevo sentirlo. Perché mi chiamavano soltanto o
per andare a mangiare o per andare a fare qualche
commissione o perché avevo fatto qualcosa di male o perché
dovevano picchiarmi. In altre parole ha cominciato a non
piacermi il nome, Henry. Così quando ho cominciato a scrivere
ho pensato: Henry Bukowski? C’è anche un’altra ragione. Ho
detto, si prende Henry e si mette con Bukowski, che cosa si
ottiene? Hen-r-y Bu-kowski: capisci, salta troppo. Ha dei
riccioletti, Henry e Bukowski, ha dei riccioletti, capisci cosa
voglio dire? ...»
2
Due anni dopo Henry e Katherine, insieme al loro bambino, si
trasferiscono a Los Angeles, così come aveva fatto Leonard, il nonno paterno,
nel 1880:
«... era stato ufficiale dell’esercito, in Germania, ed era venuto
in America quando aveva sentito dire che le strade erano
lastricate d’oro. Non era vero, e così il nonno era diventato il
capo di un’impresa edile. ...»
3
2
Charles Bukowski, Quello che mi Importa è Grattarmi Sotto le Ascelle, Fernanda Pivano
intervista Bukowski, Milano, Sugarco, 1991, p. 118.
3
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 9.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 10
La condizione economica poco felice dei Bukowski, li costringe a vivere
in un quartiere povero, circondati da famiglie indigenti e da sporcizia. Siamo
nel pieno della Depressione e la gente, affamata, comincia ad andare nei prati a
raccogliere erbacce per ricavarne sostentamento. Henry senior per distinguersi
dal gran numero di disoccupati che lo attorniano e che passano le loro giornate
stravaccati sulle verande ad arrotolarsi sigarette con Bull Durham e a bere birra
con le canottiere alzate sulle enormi pance, quando perde il suo lavoro continua
ad uscire di casa alla stessa ora e a ritornare la sera simulando una regolare vita
lavorativa. Charles ricorda quel periodo difficile con rabbia, quando il padre,
frustrato da quella assurda situazione, era solito picchiare la madre e continuare
con il figlio se questi tentava di fermarlo.
I Bukowski, che avrebbero voluto essere ricchi, fanno finta di esserlo: il
padre (che si finge ingegnere agli occhi dei vicini ma che è disoccupato per un
lungo periodo, distributore di latte a domicilio poi ed in seguito custode del
Museo della Contea) costringerà Charles a frequentare la Los Angeles High
School sull’Olympic Boulevard, lontana diverse miglia dal proprio quartiere,
perché frequentata da figli di persone benestanti, con la speranza che il “loro
bambino” acquisti l’atteggiamento del dirigente solo guardando gli altri.
L’unica cosa che però Charles impara è che «i poveri restano poveri mentre i
ricchi annusano il loro puzzo deridendoli ...».
L’indole orgogliosa del padre, il quale si sente, comunque, superiore
rispetto ai vicini di casa, trascina i Bukowski verso uno sterile e diffidente
isolamento, mentre Charles viene schernito dai bambini del quartiere che gli
urlano contro «Ehi, Heinie, perché non te ne torni in Germania? Ehi Heinie,
torna tra i tuoi crauti!». Di certo l’accento teutonico che si ritrova non lo aiuta
a farsi accettare dal gruppo, anzi lo fa sentire un diverso:
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 11
«... mio padre faceva sempre scappar via i bambini del
quartiere da casa nostra. Mi aveva detto di non giocare con
loro, ma io andavo in fondo alla strada a guardarli ...».
4
La fanciullezza del piccolo Charles è oppressa dalla presenza tirannica del
genitore dal quale non fa altro che ricevere percosse brutali, violente e continue,
con la coramella usata per affilare il rasoio da barba, molto spesso senza una
ragione evidente. Sono memorabili quelle che arrivano, inesorabili, ogni sabato
pomeriggio, dopo che Henry sottopone il figlio a massacranti tours de force per
falciare il prato intorno casa, mentre echeggiano per il quartiere le grida gioiose
dei ragazzini che giocano a baseball. Charles non solo è sottratto alle amicizie,
ma è tenuto sotto uno stress psicologico costante per tutto il tempo della
falciatura in quanto è consapevole che, una volta terminato il lavoro, suo padre
si accorgerà che un filo d’erba sarà più lungo degli altri e questa sarà una
“buona ragione” per punire il figlio.
«... Io detesto i prati perché dovevo falciare il prato quando
ero ragazzo. Mio padre mi faceva tagliare un maledetto prato.
E spianarlo. Dovevo tagliare ogni filo di erba in modo che
fossero tutti uguali. Se un filo d’erba sporgeva, mi
picchiava...».
5
Hank non perdonerà mai la madre per non essere intervenuta in sua difesa
in queste occasioni, anche se è consapevole che la donna è lei stessa vittima del
marito.
L’odio verso il padre è viscerale e tutta l’opera di Bukowski ne è
impregnata. L’avversione si acuisce quando Charles viene a sapere che Henry
4
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 65.
5
Charles Bukowski, Quello che mi Importa è Grattarmi Sotto le Ascelle, Fernanda Pivano
intervista Bukowski, Milano, Sugarco, 1991, p. 76.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 12
Senior ama un’altra donna. La reazione del piccolo è drammatica: giura al padre
che un giorno l’ucciderà-
«... “tuo padre dice di essere innamorato di questa donna” mi
disse mia madre. Capii che mio padre stava rendendo molto
infelice mia madre. “Ti ammazzerò”, dissi a mio padre.
Pensai di ucciderlo. Pensai che doveva esserci il modo di
ucciderlo. Bastava aspettare un paio d’anni, poi avrei potuto
picchiarlo a morte. Ma volevo ucciderlo subito. Era uno
stronzo. Non poteva essere mio padre. Doveva avermi
adottato...».
6
La causa prima della sua infelicità ha un volto, vive e, per una disgrazia
anagrafica, ha un ruolo: quello di padre. Per Charles, però, questo non è un
motivo sufficiente per mettere da parte il suo astio e accettare il genitore per
quello che è. La cosa più spontanea che gli gira per la testa sono le parole di
Ivan ne I Fratelli Karamazov: «Chi non desidera uccidere il proprio padre?».
E, sempre da Panino al Prosciutto:
«... guardai mio padre, le sue mani, la sua faccia, le sue
sopracciglia, e capii che quell’uomo non aveva niente a che
vedere con me. Era un estraneo. Mia madre non esisteva. Ero
maledetto. Guardai mio padre, e non vidi altro che
un’indecente stupidità. ...»
7
La descrizione del padre e il suo insano desiderio di ucciderlo ricordano le
parole di Alëša nell’opera sopracitata di Dostoevskij, autore molto amato da
Bukowski:
«... e allora lo ucciderò... il vecchio. Forse non lo ucciderei... o
forse sì. Ho paura che la sua faccia, proprio in quel momento,
6
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, pp. 55 e 138.
7
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 224.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 13
me lo renda improvvisamente odioso. Io odio il suo gozzo, il
suo naso, i suoi occhi, il suo impudente sogghigno. Il suo viso
mi fa venire la nausea. ...»
8
La difficile situazione familiare è senz’altro amplificata dalla mente
estremamente sensibile di Charles al quale, però, non è permessa una vita
spensierata consona alla sua età. Questi non trova in casa la serenità per parlare
dei suoi problemi di fanciullo con un padre che non fa altro che dissertare sul
suo lavoro e una madre sempre indaffarata a rassettare la casa. Per non parlare,
poi, delle tanto odiate “gite fuori porta” della domenica sulla spiaggia di
Venice, quando Charles, sempre vestito in modo troppo serio per un bambino
della sua età, non può allontanarsi mai dai genitori, ed è costretto a subire la
devastante frustrazione di vedere i suoi coetanei giocare a palla o a raccogliere
conchiglie, sporcandosi liberamente senza essere rimproverati di continuo.
Quello che Henry e Katherine vogliono è un adulto in miniatura, ben educato,
serio e rispettoso, ma ciò che ottengono è un bambino che non ha mai giocato
con un guanto da baseball o con un’automobilina, visto che i soli regali che
riceve sono calzini, canottiere e altri capi di abbigliamento. L’unico dono un
po’ più originale che riceve dal padre è un vestito da indiano, ma che amara
sorpresa constatare che tutti gli altri bambini della Virginia Road giocano tra
loro travestiti da cow-boys!
«... Non mi era permesso giocare con gli altri bambini. “Sono
bambini cattivi”, diceva mio padre, “figli di gente povera”...».
9
Gli viene, così, vietato giocare o stringere amicizie con i suoi coetanei per
non urtare contro le convinzioni “autarchiche” del padre. Questi riesce così
8
Fëdor Michàjlovic Dostoevskij, I Fratelli Karamazov, Cles, San Paolo, 1995, p. 199.
9
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 27.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 14
bene ad inculcare le sue idee nel figlio, che già da fanciullo presenta tutte le
caratteristiche di un individuo impaurito, isolato, schivo e infelice: aspetti del
suo carattere che si amplificheranno violentemente nella maturità e che non
muteranno nemmeno con il successo economico e la stima degli ultimi anni:
«... non avevo amici a scuola non ne volevo. Stavo meglio da
solo. Mi sedevo su una panchina, guardavo gli altri bambini
giocare e mi sembravano stupidi ...».
10
La sua difficoltà d’inserimento nel gruppo lo porta ad essere escluso
persino dalle partite di baseball, dove tutti gli altri bambini mettono in mostra la
loro bravura e prestanza fisica. A Charles, intanto, non resta che sognare di
diventare un campione in questo gioco.
L’immagine del bambino solitario cresciuto troppo in fretta e bistrattato
dai suoi coetanei ci porta alla mente Charlie Brown, il personaggio di Schulz
11
che si distacca volutamente dal gruppo perché non riesce ad avere un dialogo
alla pari con i suoi amici, eccetto che con Snoopy.
10
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 29.
11
Charles M. Schulz (1923-1995): disegnatore statunitense autore di Peanuts: “strisce” di
acuta satira della vita quotidiana di cui sono protagonisti i bambini Charlie Brown, Linus,
Lucy e il cane Snoopy.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 15
Charlie è l’eterno sconfitto, capace solo di inutili slanci; rappresenta un
mondo pieno di insicurezze e sembra avere sulle spalle tutto il peso della
società americana, una società che appiattisce i sentimenti e la poesia della vita
e che non risparmia nemmeno i bambini, vere vittime della inesorabile
“macchina a stelle e strisce”.
La vivida immaginazione di Hank compensa il suo non-vivere una vita
sociale attiva e lo confina in un mondo tutto suo. In questa attività onirica ad
occhi aperti si crea degli amici immaginari e affida ad un quaderno giallo
costatogli sei cents, le sue avventure con loro. Il suo compagno più fedele, in
quel periodo, è il Barone Manfred Von Himmlen, un pilota della Prima Guerra
Mondiale con una mano di ferro, il quale, con le sue imprese eroiche, riesce a
dare un senso alla realtà piatta, scialba e insulsa che Hank è costretto a vivere:
«... il barone continuò nelle sue magiche imprese. Metà del
quaderno era ormai pieno del barone Von Himmlen. Mi
piaceva scrivere del barone. Avevo bisogno di compagnia. Ero
sempre solo, e così mi ero creato un compagno, il compagno
che volevo, un vero uomo. Non era una bugia, o una finzione.
La vita senza un uomo come lui, si che era una finzione ...».
12
Nelle sue parole si avverte una profonda sofferenza e, comunque, il
bisogno di amicizia che gli è negata dagli ottusi divieti paterni e dal suo
carattere timido e riservato. Il suo dover evitare gli altri è comunque sentito
come un’amputazione ed i suoi unici tentativi d’approccio sono esclusivamente
meditati e mai messi in atto. L’unica cosa che riesce a fare è osservare a
distanza coloro con i quali vorrebbe allacciare un qualsiasi rapporto. Questo
comportamento, a lungo andare, lo porterà ad una sorta di compiaciuto
voyeurismo che lo accompagnerà per tutta la vita. Entrare nelle altrui vite in
12
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 169.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 16
modo passivo per assaporare, almeno psicologicamente, quello di cui è stato
privato è un’altra costante del suo carattere. Bukowski, infatti, grazie alla sua
completa trasparenza e sincerità nei confronti del lettore, confessa le mille volte
in cui si è “trastullato” sbirciando da tapparelle semichiuse strip-tease
improvvisati o si è soffermato ostinatamente a guardare sotto le gonne delle
donne che accavallano le gambe o che scendono dall’auto:
«... parlavamo di donne, sbirciavamo le loro gambe quando
smontavano da un’auto e, di notte, guardavamo dentro le
finestre sperando di vedere qualcuno che scopava, ma non
vedemmo mai niente ...».
13
Anche nel Giovane Holden di Salinger il protagonista risulta affascinato
da ciò che accade di fronte alla propria finestra ma, contrariamente a Bukowski,
Salinger non si abbandona alla descrizione di particolari scabrosi che
caratterizzano la prosa del nostro autore, ma ce li fa soltanto immaginare:
«... me ne stetti per un po’ a guardare dalla finestra. Quello
che stava succedendo dall’altra parte dell’albergo vi avrebbe
meravigliato. Non si prendevano nemmeno il disturbo di
abbassare le tende. C’era un tale, un tipo distintissimo coi
capelli grigi, in mutandine e basta, che se vi dicessi che cosa
faceva non ci credereste. Il guaio e che certe porcate si resta lì
incantati a guardarle in un certo senso, anche se uno non
vuole. Voglio dire che il mio grande guaio è proprio questo.
Con la fantasia, probabilmente, sono il più grande maniaco
sessuale che abbiate mai visto. Certe volte sono capace di
immaginarmi delle vere sconcezze che non mi dispiacerebbe di
fare, se appena se ne presentasse l’occasione ...».
14
13
Charles Bukowski, Storie di una Vita Sepolta, Varese. Sugarco, 1992, p. 7.
14
J. D. Salinger, Il Giovane Holden, Torino, Einaudi, 1970, pp. 72-73.
The Catcher in the Rye di J. D. Salinger (nella versione italiana è intitolato Il Giovane
Holden) tratta dell’adolescenza del protagonista, così come Ham on Rye di Bukowski, che
parla dei primi anni di vita dell’autore. La somiglianza del titolo di certo non è una semplice
casualità.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 17
Quest’atteggiamento che può senz’altro considerarsi morboso viene però
sempre sdrammatizzato da Bukowski con un’autoironia vivida e spumeggiante
che riecheggia le esilaranti trovate di Woody Allen:
«... in qualche modo mi persi, cominciai a guardarle su per le
gambe. Mi sono sempre piaciute, le gambe. E stata la prima
cosa che ho visto quando sono nato. Ma allora stavo cercando
di uscire. Da quel momento in poi ho sempre tentato di andare
nell’altra direzione, ma con fortuna piuttosto scarsa ...».
15
Charles, soprattutto durante la sua adolescenza, partecipa alla vita che lo
circonda nascondendosi e osservando i gesti e gli atteggiamenti altrui da
lontano, così come L’uomo dal Fiore in Bocca di Pirandello resta ore a
guardare, attraverso le vetrine, la maestria dei commessi che preparano i
pacchetti impreziositi meticolosamente da nastrini che poi i clienti, soddisfatti
della loro spesa, trasportano in modo fiero infilando il dito nel nodo. Bukowski
è affascinato dalla vita e si attacca ad essa, inesorabilmente, anche se questa non
corrisponde al suo ideale. Quello che scrive non è altro che la trasposizione,
“recollected in tranquillity” di ciò che lo circonda e che lui incamera come una
carta assorbente:
«... mi limito a esistere. Poi cerco di ricordare e buttare giù un
po’ di cose.
Scrivo. Ma per lo più faccio fotografie ...».
16
La timidezza, i divieti del padre, l’invadenza della famiglia sono tutti
assilli che lo attanagliano e che lo relegano, un po’ per costrizione, un po’ per
15
Charles Bukowski, Pulp, Una Storia del XX Secolo, Milano, Feltrinelli, 1995, p.11.
16
Charles Bukowski, Donne, Milano, Sugarco, 1991, pp. 201 e 223.
Cap. 1, I. Ritratto di un artista da cucciolo 18
scelta, ad un’esistenza romita. Questa condizione lo indurrà a dare valore alla
solitudine. Essendo forzato a scandagliare continuamente il suo animo per
mancanza di interlocutori e ad andare con la mente oltre gli angusti confini
della propria casa, si abitua ad analizzarsi in modo più acuto e a cercare in se
stesso le risposte di cui ha bisogno per affrontare l’esistenza.
«... li guardai uscire dall’acqua, luccicanti di gocce, con la
pelle liscia, giovani e trionfanti. Volevo essere come loro.
Volevo essere dei loro. Volevo che mi accettassero. Ma non per
pietà ...».
17
Mentre, da un lato, è viva in lui l’esigenza di restare in disparte, dall’altro
desidera inconsciamente, ed invano, una vita sociale con persone comuni. La
barricata però è già stata sollevata e l’incomunicabilità presenta radici ben
piantate:
«... sapevo già di essere un coglione. L’avevo capito sui banchi
di scuola. Durante la ricreazione gli altri bambini mi
tormentavano, mi schernivano, mi prendevano in giro, me e gli
altri due o tre coglioni. Il mio unico vantaggio sugli altri due o
tre coglioni, che le buscavano regolarmente, era che io avevo
un brutto carattere ...».
18
Le uniche persone che gli si avvicinano in cerca di un dialogo sono gli
altri emarginati come lui e questo è un tormento che lo assillerà per l’intera
esistenza a partire dagli anni di scuola:
«... intorno a me si raccoglievano i deboli invece dei forti, i
brutti invece dei belli, i perdenti invece dei vincenti. Sembrava
proprio che il mio destino fosse di viaggiare in loro compagnia
17
Charles Bukowski, Panino al Prosciutto, Milano, Sugarco, 1990, p. 194.
18
Charles Bukowski, Factotum, Milano, Sugarco, 1991, p. 99.