2
della legge n. 428/1990, che ha parzialmente rimodellato l’art.
2112 c.c. introducendo un sistema di controllo sindacale
preventivo sulle cessioni; è continuata con il d. lgs. 18/2001
che ha ridisegnato la fattispecie del trasferimento e sembra
concludersi con il d. lgs. 276/2003 che si propone di dare
completa attuazione alla direttiva n. 2001/23. Ciò avviene con
l’introduzione di rilevanti modifiche nel testo dell’art. 2112 c.c.
sia con riguardo alla fattispecie più generale del trasferimento
dell’intera azienda sia soprattutto con riguardo a quella del
trasferimento di una sua parte.
L’ultima fase più che costituire una tappa obbligata verso
l’adeguamento alla normativa europea del 2001, che non ha
contenuti innovativi, rappresenta il prodotto di una più generale
svolta di politica legislativa collegata al cambio di Governo del
2001 ed ispirata alla linea della flessibilità nella gestione dei
rapporti di lavoro.
Il d. lgs. 276/2003, senza fuoriuscire dai binari nei quali il
dibattito si era da ultimo incanalato e che avevano riguardato la
disciplina del trasferimento del ramo di azienda attraverso cui si
realizzano i fenomeni di scomposizione, non può non riaprire la
3
problematica del trasferimento d’azienda e della fattispecie
assoggettata alla norma dell’art. 2112 c.c..
Si analizzeranno inoltre le origini delle operazioni di
esternalizzazione (ivi comprese le ragioni socio-economiche),
nonché i loro riflessi sulla realtà produttiva attuale e sul mondo
giuridico, con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla
tutela dei lavoratori coinvolti.
4
Capitolo I
NOZIONE DI TRASFERIMENTO DI AZIENDA O DI
RAMO
1 - IL TRASFERIMENTO D'AZIENDA E DI RAMO: LE
FONTI.
Il concetto di trasferimento d’azienda è stato di recente
modificato nell’ordinamento comunitario come in quello interno.
In attuazione della direttiva comunitaria 98/50/CE, il d. lgs. 2
febbraio 2001, n. 18, ha riscritto l’art. 2112 c.c., dotando
finalmente il trasferimento d’azienda di un’espressa definizione.
La nozione fissata nel 2001 è stata poi oggetto di parziale
revisione ad opera del d.lgs. n. 276/2003, che ha ritoccato il
contenuto del 5° comma dell’art. 2112 c.c.
A seguito di tutte queste modifiche, può intendersi trasferimento
d’azienda “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione
contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di
5
un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro,
preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la
propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal
provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi
compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del
presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte
dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma
di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal
cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
L'ipotesi tipica di applicazione delle tutele disposte dall'art.
2112 c.c. è manifestamente quella del trasferimento volontario
del complesso aziendale, conseguibile attraverso un negozio
traslativo tipico, come la compravendita o l'affitto di azienda
ovvero la costituzione di usufrutto sulla stessa. Il prevalente
orientamento giurisprudenziale consolidatosi anteriormente
all'ultima modifica della norma lavoristica, dava rilevanza, ai
fini dell'applicabilità della disciplina in esame, all'origine
contrattuale del trasferimento di azienda.
Erano, tuttavia, rinvenibili anche pronunce di segno opposto.
L'applicabilità della disciplina dettata dall'art. 2112 c.c., così
6
come modificato dalla legge 29 dicembre 1990, n. 428, circa
l'incidenza del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro
prescinde dall'esistenza di un legame contrattuale tra
l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione
dell'azienda, assumendo rilievo, invece, la circostanza che vi sia
continuità nell'esercizio dell'attivita imprenditoriale, restando
immutati il complesso organizzato dei beni dell'impresa e
1'oggetto di quest' ultima; ne consegue l'applicabilità di tale
disciplina nel caso in cui un'impresa, subentrando ad un'altra nei
contratti di franchising e di locazione commerciale
dell'immobile sede dell' attività, continui la medesima attività
impiegando il medesimo personale e utilizzando i medesimi
materiali
1
.
Tale soluzione è stata accolta dal d. lgs. n. 18/2001.
La nuova formulazione del comma 5 dell'art. 2112 c.c. non fa
più esclusivo riferimento ad atti negoziali dai quali si origina il
trasferimento, ma a qualsiasi operazione che comporti il
mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata,
a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento
1
Cass. 27.2.1998, n. 2200, MGL, 1998, 636
7
sulla base dei quali il trasferimento è attuato.
Scopo del legislatore interno è proprio 1'estensione della
nozione di trasferimento di azienda, tale da risultare il più
possibile vicina a quella formulata in sede comunitaria.
La nozione comunitaria di trasferimento di azienda non
presuppone necessariamente ne un negozio di compravendita ,
nè un rapporto contrattuale diretto fra cedente e cessionario,
potendo la relativa disciplina applicarsi anche alle vicende
circolatorie cd. triangolari: come ad esempio all'ipotesi in cui
una certa attività sia svolta in regime di concessione
amministrativa, dopo il venir meno del soggetto che in
precedenza esercitava la medesima attività.
Coerente con 1'ampliamento del campo di applicazione delle
tutele lavoristiche è il mutamento nella terminologia utilizzata
per individuare i due soggetti protagonisti dell'evento traslativo:
non più alienante ed acquirente - termini che richiamavano
esplicitamente il negozio di compravendila, e, con esso, ogni
altra ipotesi di trasferimento volontario - bensì rispettivamente
cedente e cessionario. Vale la pena, infine, ricordare, che tra le
fonti del trasferimento di origine negoziale, l’art. 2112 c.c.
8
annovera l’usufrutto e l’affitto d’azienda. Si tratta di due negozi
largamente utilizzati nelle operazioni di cessione di complessi
aziendali, in ragione delle loro peculiari caratteristiche. Per
quanto concerne l’usufrutto d’azienda, l’art. 2561 c. c. dispone
che “l’usufruttuario dell'azienda deve esercitarla sotto la ditta
che la contraddistingue. Egli deve gestire l'azienda senza
modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza
dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di
scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente
dalla gestione dell'azienda, si applica l'art. 1015
2
(...)”. Come si
vede, si tratta di uno strumento senz’altro adeguato alle esigenze
di trasferimento di un’attività, nei casi in cui si preferisce evitare
la “misura estrema” della vendita, poiché esso vincola
l’usufruttuario al rispetto di determinate regole tese a garantire la
continuazione dell’attività stessa entro i parametri fissati dal
cedente, pena, nei casi più gravi, la cessazione dell’usufrutto.
Identico discorso vale per il caso di affitto d’azienda
3
, dal
2
L’art. 1015 c.c. dispone che: “L’usufrutto può anche cessare per l’abuso che faccia
l’ usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare
in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni”.
3
L’affitto, a norma del nostro codice civile, è una species della locazione avente ad oggetto
una “cosa produttiva”. Dispone infatti l’art. 1615 c.c. che “quando la locazione ha per
oggetto il godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l'affittuario deve curarne
la gestione in conformità della destinazione economica della cosa e dell'interesse della
9
momento che l’art. 2562 c.c. (rubricato “affitto d’azienda”)
espressamente richiama le disposizioni dell’art. 2561 c.c. relative
all’usufrutto.
2 - TRASFERIMENTI E FENOMENI SOCIETARI.
La maggior parte dei trasferimenti di azienda ha luogo, in Italia
come in ogni altro paese ad economia capitalistica avanzata,
anziché nella forma della cessione di azienda in senso stretto,
attraverso fenomeni come le partecipazioni azionarie, le fusioni
e le scissioni societarie, le trasformazioni di società, la vendita
dei pacchetti azionari di controllo.
I suddetti fenomeni societari sono potenzialmente portatori di
significative modifiche nell'assetto contrattuale del lavoro e
potrebbero quindi giustificare, almeno tendenzialmente,
l'intervento garantista previsto dall'art. 2112 c.c. e dall'art. 47
della legge del 1990.
Nonostante l'importanza, anche quantitativa, delle possibili
modifiche sul versante societario, la norma interna tace
produzione. A lui spettano i frutti e le altre utilità della cosa.”
10
sull'argomento. Nè molti più elementi interpretativi si ricavano
dalle direttive comunitarie: il testo del 1998 ha conservato
l'espresso riferimento ai casi di fusione già contenuto nella
direttiva del '77, ma non prende in considerazione nessun altro
fenomeno societario.
Da qui la necessità di un esame delle singole fattispecie per
verificare se, ed a quali di esse, siano applicabili le tutele
giuslavoristiche.
Tra le fonti del trasferimento d’azienda (o ramo) espressamente
indicate sono:
1) fusione
2) cessione contrattuale.
Per quanto riguarda la fusione, il riferimento è alla species
dell’incorporazione, prevista dall’art. 2501 c.c. , comma 1,
accanto all’ipotesi della costituzione di una nuova società. La
norma dispone infatti che “la fusione di più società può eseguirsi
mediante la costituzione di una società nuova, o mediante l’
incorporazione in una società di una o più altre”.
Ebbene, l’art. 2112 c.c. qualifica ora questa seconda fattispecie
come trasferimento d’azienda, in linea con la maggior parte di
11
precedenti pronunce della Corte di Cassazione
4
. In realtà,
l’opinione dottrinale prevalente
5
anteriore alla riforma era nel
senso dell’inapplicabilità della disciplina sul trasferimento
all’ipotesi della fusione, sulla base, per alcuni, della carenza di
una vicenda traslativa del complesso aziendale, per altri, del
requisito della contrattualità della fonte traslativa (oggi peraltro
non più richiesto dall’art. 2112 c.c.).
L'ipotesi della fusione di società, nelle due forme previste della
fusione propriamente detta e dell'incorporazione, è quella più
rappresentativa del contrasto esistente tra la normativa nazionale,
che alla fusione non presta alcun accenno, e le direttive del 1977
e del 1998 che, invece, la prendono espressamente in
considerazione tra le ipotesi di cessione di azienda.
A tanto deve aggiungersi che nemmeno il decreto legislativo n.
18 del febbraio 2001, che ha dato attuazione alle citate direttive,
fa esplicita menzione al fenomeno in esame.
4
Cass. 5 giugno 1998, n. 5581, in RIDL, 1999 II, pag. 231; Cass. 11 gennaio 1997, n. 208,
Not. Giur. Lav., 1997, pag. 394; Cass. 8 luglio 1992, n. 8315, in Not. Giur. Lav, 1986, pag.
511.
5
Cfr. GRANDI M., Le modificazioni del rapporto di lavoro, Milano, 1972, pag. 293 ss.;
ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda. Art. 2112 c.c., in Il Codice
Civile, Commentario diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè, Milano, 1993; SANTORO
PASSARELLI G., Il trasferimento d’azienda rivisitato, in Mass. Giur. Lav., 1991, pag. 462
ss.