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CAPITOLO I
TRASFERIMENTO D’AZIENDA O DI RAMO
SOMMARIO: 1. Il trasferimento di azienda o ramo: le fonti. 2. Cessione dei contratti
di appalto. 2.1. Successione nell’appalto secondo la giurisprudenza comunitaria. 2.2.
Successione negli appalti e giurisprudenza nazionale. 3. Il problema della delimitazione
dell’oggetto del trasferimento. 4. L’oggetto del trasferimento secondo la giurisprudenza e
la disciplina comunitarie. 4.1. La Direttiva 77/187/CE. 4.2. La successiva Direttiva
98/50/CE. 5. L’oggetto del trasferimento nel diritto interno. 5.1. Alcune pronunce
significative della Cassazione: in particolare, il caso Alcatel e il caso Ansaldo. 5.2. Le
posizioni della dottrina. 6. Il ramo d’azienda alla luce del d.lgs 276/2003:
l’articolazione funzionalmente autonoma. 6.1. L’eliminazione del requisito della
preesistenza.
1. Il trasferimento di azienda o ramo: le fonti
Il concetto di trasferimento d’azienda è stato di recente modificato
nell’ordinamento comunitario come in quello interno. In attuazione della direttiva
comunitaria 98/50/CE, il d. lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, ha riscritto l’art. 2112 c.c.,
dotando finalmente il trasferimento d’azienda di un’espressa definizione. La
nozione fissata nel 2001 è stata poi oggetto di parziale revisione ad opera del
d.lgs. n. 276/2003, che ha ritoccato il contenuto del 5° comma dell’art. 2112 c.c.
A seguito di tutte queste modifiche, può intendersi trasferimento d’azienda
“qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti
il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza
scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la
propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla
base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di
azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento
di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di
un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del suo trasferimento”
2
.
2
Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Fattispecie e interessi tutelati nel trasferimento d’azienda
e di ramo d’azienda, in Riv .it .dir .lav., 2003, I, pag. 189 ss.; S. MAINARDI, “Azienda e “ramo
5
Leggiamo dunque che le fonti del trasferimento d’azienda (o ramo)
espressamente indicate sono:
1) fusione;
2) cessione contrattuale.
Per quanto riguarda la fusione, il riferimento è alla species
dell’incorporazione, prevista dall’art. 2501, comma 1, c.c., accanto all’ipotesi
della costituzione di una nuova società. La norma dispone infatti che “la fusione
di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una società nuova, o
mediante l’ incorporazione in una società di una o più altre”.
Ebbene, l’art. 2112 c.c. qualifica ora questa seconda fattispecie come
trasferimento d’azienda, in linea con la maggior parte di precedenti pronunce della
Corte di Cassazione
3
. In realtà, l’opinione dottrinale prevalente
4
anteriore alla
riforma era nel senso dell’inapplicabilità della disciplina sul trasferimento
all’ipotesi della fusione, sulla base, per alcuni, della carenza di una vicenda
traslativa del complesso aziendale, per altri, del requisito della contrattualità della
fonte traslativa (oggi peraltro non più richiesto dall’art. 2112 c.c.).
Peraltro, merita di essere ricordato che gli effetti derivanti dall’applicazione
dell’art. 2112 c.c.- almeno quelli relativi alla conservazione dei diritti dei
lavoratori - sembrano desumibili dalla stessa disciplina della fusione grazie all’art.
2504 bis, comma 1, c.c., secondo il quale “la società che risulta dalla fusione o
quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi della società estinte”. In tal
senso appare rientrare anche la gamma di obblighi derivanti dai rapporti di lavoro
alle dipendenze delle imprese fuse
5
. Ma è evidente che tale previsione non
d’azienda”: il trasferimento nel d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, in Dir. Lav .mer., 2003, p. 682
ss.
3
Si vedano, tra le altre, tra le altre, Cass. 5 giugno 1998, n. 5581, in RIDL, 1999 II, pag. 231;
Cass. 11 gennaio 1997, n. 208, Not. Giur. Lav., 1997, pag. 394; Cass. 8 luglio 1992, n. 8315, in
Not. Giur. Lav, 1986, pag. 511.
4
Cfr. GRANDI M., Le modificazioni del rapporto di lavoro, Milano, 1972, pag. 293 ss.;
MAGRINI S., La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, Milano, 1980; ROMEI R., Il
rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda. Art. 2112 c.c., in Il Codice Civile, Commentario
diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè, Milano, 1993; SANTORO PASSARELLI G., Il
trasferimento d’azienda rivisitato, in Mass. Giur. Lav., 1991, pag. 462 ss.; SANTAGATA C., La
fusione tra società, Morano, Napoli, 1964, pag. 60.
5
Così BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura di), Lavoro e diritti
dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 167; e ROMEI R., Il
campo di applicazione della disciplina sul trasferimento d’azienda, in DE LUCA TAMAJO R.,
6
garantisce una tutela estesa come quella contemplata dall’art. 2112 c.c. e,
soprattutto, dall’art. 47 legge n. 428/1990.
La dottrina commercialistica
6
inquadra la fusione nel fenomeno economico
dell’integrazione o concentrazione tra imprese, la quale può essere motivata da
esigenze di razionalizzazione di processi produttivi ovvero dalla necessità di
costituire organismi patrimonialmente più solidi ovvero ancora dalla volontà di
limitare la concorrenza. Di norma, la fusione consegue ad una pregressa
collaborazione o alla preesistenza di accordi economici fra le società fondende
ovvero ancora a situazioni di collegamento o di controllo fra imprese.
Tutto ciò, a ben vedere e superando un apparente contraddizione, si ritrova alla
base dell’operazione economica inversa alla fusione: si tratta della scissione,
disciplinata dall’art. 2504 septies c.c.. La norma prevede che “La scissione di una
società si esegue mediante trasferimento dell'intero suo patrimonio a più società,
preesistenti o di nuova costituzione e assegnazione delle loro azioni o quote ai
soci della prima; la scissione di una società può eseguirsi altresì mediante
trasferimento di parte del suo patrimonio a una o più società, preesistenti o di
nuova costituzione, e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della prima”.
La norma parla dunque di trasferimenti di patrimoni societari, non diversamente
da quanto accade nell’ipotesi dell’incorporazione. Dunque, ed è quello che
interessa, effettiva sostituzione, nella gestione, di un imprenditore ad un altro, in
misura ancora più evidente che nella fusione, dal momento che il risultato della
scissione è sempre una divisione e una moltiplicazione di soggetti. Non si
comprende, allora, per quale ragione l’art. 2112 c.c. non faccia menzione anche
della scissione
7
. Discorso analogo può essere fatto per altre ipotesi di
moltiplicazione di soggetti imprenditoriali (si pensi, ad esempio, al conferimento
in società dell’impresa individuale) come suggerito da parte della dottrina
8
.
RUSCIANO M., ZOPPOLI L. (a cura di), Mercato del lavoro, riforma e vincoli di sistema,
Editoriale Scientifica, 2004, pag. 584.
6
BUONOCORE V., Le modificazioni dell’impresa societaria, in BUONOCORE V. (a cura
di), Manuale di Diritto Commerciale, Giappichelli, Torino, 2001, pag. 486 ss.. Inoltre,
CAMPOBASSO G.F, Manuale di Diritto commerciale, vol. II, Diritto delle Società, Utet, Torino,
2000, pag. 589 ss.
7
Così BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura di), Lavoro e diritti
dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 168
8
Cfr., tra gli altri, GRANDI M., Le modificazioni del rapporto di lavoro, Milano, 1972, pag.
293 ss.; ZILIO GRANDI G., Trasferimento d’azienda, outsourcing e successione di appalti, in
7
La seconda fonte di trasferimento d’azienda indicata dall’art. 2112 c.c. è la
cessione contrattuale, nella quale ”ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei
rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive, se queste non sono
state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta.”(art. 1406 c.c.). Dunque si
tratta di un negozio nel quale un cedente trasferisce da un soggetto (contraente
ceduto) all’altro (cessionario) la posizione giuridica attiva e passiva derivante da
uno o più contratti. Il soggetto cessionario acquisisce tutti i diritti e gli obblighi
derivanti dal/i contratto/i acquisito/i.
A ben vedere, gli effetti prodotti da una fusione/incorporazione sono
esattamente gli stessi di una qualsiasi cessione contrattuale: infatti, stando a
quanto disposto dall’art. 2504 bis c.c. “la società che risulta dalla fusione o
quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società estinte”.
Dunque assunzione della titolarità di situazioni giuridiche attive e passive
derivanti da una posizione contrattuale, seppure con una differenza riguardo al
consenso necessario per l’efficacia dell’operazione, che nel caso della
fusione/incorporazione spetta ai creditori (art. 2503 c.c.), mentre nel caso della
cessione spetta al contraente ceduto (art. 1406 c.c.).
Ma tutte le operazioni di cessione sono inquadrabili nel trasferimento
d’azienda? Dottrina
9
e giurisprudenza
10
maggioritarie concordano nell’escludere
dalla fattispecie trasferimento d’azienda la cessione di un pacchetto azionario,
PERULLI A. (a cura di), Impiego flessibile e Mercato del lavoro, Giappichelli Editore, Torino,
2004, pag. 45 ss.; BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura di), Lavoro e
diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 168.
9
Si veda CIUCCIOVINO S., La disciplina del trasferimento d’azienda dopo il d.lgs. 18/2001,
in DE LUCA TAMAJO R. (a cura di) I processi di esternalizzazione, Opportunità e vincoli
giuridici, Esi, Napoli, pag. 104; e BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura
di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 169 ss.;
LAMBERTUCCI P., Le tutele del lavoratore nella circolazione dell’azienda, Giappichelli,
Torino, 1999, pag. 179 ss.; GRANDI M., Trasferimento d’azienda (dir. lav.), in Enc. giur.
Treccani, aggiornamento, vol. IV, Roma, 1995; SANTORO PASSARELLI G., Ancora sul
trasferimento d’azienda, in Dir. lav., 1994, I, pag. 145 ss.; FOGLIA R., Trasferiment di aziende,
procedure concorsuali “conservative” e diritto comunitario, in Dir. Lav., 1991, II, pag. 329 ss.;
ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda. Art. 2112 c.c., in Il Codice Civile,
Commentario diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè, Milano, 1993; COSIO R., Discipline del
trasferimento d’azienda, Differenziazione e unità dell’ordinamento giuridico, Angeli, Milano,
1995, pag. 63.
10
Cass. 26 novembre 1994, n. 10068 in LG, 1995, pag. 418; Cass. 23 novembre 1987, n. 8659,
Foro it. Rep., 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 2162; Cass. 15 ottobre 1991, n. 10829; Foro it.,
1991, I, c. 3031; T. Milano 6 febbraio 1991, Infor. Prev., 1991, pag. 572; Cass. 3 luglio 1992, n.
8145, Not. Giur. Lav., 1992, pag. 868; Cass. 2 aprile 1993, n. 4021, in Not. Giur. Lav, 1993, pag.
427.
8
sulla base dell’argomentazione che tale operazione non determina il cambiamento
della persona giuridica ma soltanto della composizione interna della medesima. E
ciò anche nell’ipotesi in cui la cessione di un pacchetto azionario di maggioranza
(assoluta o relativa) dovesse produrre un chiaro ed evidente mutamento
sostanziale nella titolarità di un’attività economica organizzata, dato che
rimarrebbe comunque invariata la persona giuridica. Analoghe ragioni sono alla
base dell’esclusione della fattispecie in esame in caso di mera modifica del “tipo”
sociale, sul presupposto, appunto, dell’assenza di una modifica della titolarità.
Tuttavia da parte di alcuni autori è stata avanzata la tesi dell’applicabilità
della disciplina sul trasferimento alle ipotesi di trasferimento del pacchetto
azionario, quantomeno delle disposizioni dell’art. 47 legge n. 428/1990 relative
all’informazione e consultazione sindacale
11
. Ma la tesi non appare convincente
sotto il profilo della opportunità di distinguere, nell’ambito delle norme
disciplinanti il trasferimento d’azienda, tra quelle relative al profilo individuale e
quelle mirate a garantire l’assolvimento di procedure collettive. La disciplina del
trasferimento d’azienda deve trovare o non trovare applicazione in toto ad una
determinata fattispecie: non si può pensare di limitarne l’efficacia solo ad alcuni
aspetti relativamente alle ipotesi incerte, come quella della cessione del pacchetto
azionario.
Dopo aver fatto specifico riferimento alla fusione e alla cessione
contrattuale, l’art. 2112 c.c. indica come possibili fonti del trasferimento
“qualsiasi operazione (…) a prescindere dalla tipologia negoziale o dal
provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compresi l’
usufrutto o l’ affitto d’ azienda.”
Il riferimento a qualsiasi operazione non lascia dubbi sul fatto che il
legislatore abbia voluto indicare una fattispecie aperta, suscettibile dunque di
ricomprendere le più svariate ipotesi di mutamento della titolarità dell’azienda.
Accanto al trasferimento di origine negoziale, inoltre, la norma include
espressamente nel proprio ambito i trasferimenti cd. “coattivi”
12
in quanto
11
MAGNANI M., Note introduttive, Disposizioni in tema di trasferimento d’azienda,
Commento all’art. 47 della legge n. 428/1990, in Nuove leggi civ, comm., 1992, pag. 627 ss.
12
Si esprime in questi termini ZILIO GRANDI G., Trasferimento d’azienda, outsourcing e
successione di appalti, in PERULLI A. (a cura di), Impiego flessibile e Mercato del lavoro,
Giappichelli Editore, Torino, 2004, pag. 59.
9
derivanti da un provvedimento dell’autorità amministrativa o dalla legge: ne sono
esempi il sequestro giudiziario d’azienda, la requisizione per provvedimento della
pubblica autorità, il subingresso di un altro gestore in un servizio pubblico oggetto
di concessione amministrativa ecc. Essi, prima della riforma, erano stati spesso
esclusi, ad opera della giurisprudenza, dal campo di applicazione dell’articolo in
commento
13
. Parte della dottrina
14
, al contrario, aveva sottolineato l’incongruenza
di una tale esclusione, sulla base, tra l’altro, dei settoriali, ma significativi
provvedimenti legislativi (si pensi ai recenti casi di privatizzazione e/o
trasformazione di servizi pubblici
15
tesi a regolare i trasferimenti coattivi di
aziende garantendo la continuità dei rapporti di lavoro sottesi). Ciò che contava ai
fini dell’applicabilità della norma di tutela, in altre parole, era il dato del
mutamento della titolarità dell’azienda
16
. Sotto questo profilo la nozione di
trasferimento accolta dal nostro legislatore è più ampia di quella comunitaria la
quale concerne unicamente i trasferimenti realizzati “in seguito a cessione
contrattuale o a fusione”. Infatti, nell’approvazione definitiva della Direttiva n.
50/98, è stato eliminato il riferimento ai trasferimenti attuati “in base a
disposizione o provvedimento di legge o per decisione giudiziaria o tramite
provvedimento amministrativo” contenuto nella originaria proposta di modifica
della direttiva n. 187/77
17
.
Pacifica resta l’esclusione dalle fonti del trasferimento d’azienda ex art.
2112 c.c. della successione mortis causa. Infatti la circolazione dell’azienda
mortis causa non consegue né ad un atto negoziale né ad un provvedimento, come
prescrive il nuovo testo dell’art. 2112 c.c. Ciò non significa che l’azienda non
13
Cfr. ad esempio Cass. 16 ottobre 1996, n. 10688, in RIDL, 1997, II, 572, con nota di
LAMBERTUCCI; 25 ottobre 1978, n. 4823, in MGL, 1996, 1979, 370; Cass. 8 gennaio 1983, n.
147, in GC, 1983, I, 2009.
14
LAMBERTUCCI, Le tutele del lavoratore nella circolazione dell’azienda, Giappichelli,
Torino, 1999, p.20 ss.; SCARPELLI F., Esternalizzazioni e diritto del lavoro: il lavoratore non è
una merce, in Dir. Rel. Ind.., 1999, 3, 351.
15
Come giustamente osserva ROMEI R., Il campo di applicazione della disciplina sul
trasferimento d’azienda, in DE LUCA TAMAJO R., RUSCIANO M., ZOPPOLI L. (a cura di),
Mercato del lavoro, riforma e vincoli di sistema, Editoriale Scientifica, 2004, pag. 585.
16
Dubbioso su queste conclusioni appare invece CESTER C., Le novità in materia di
trasferimento d’azienda, in CARINCI F. (a cura di), Il diritto del lavoro dal Libro Bianco al
disegno di legge delega 2002, Lav. Giur., p. 26 ss., che esclude l’applicazione della norma, ad
esempio, nel caso in cui ad una revoca di concessione amministrativa consegua il subentro di altro
imprenditore dotato di una propria organizzazione.
17
V. art. 1 primo comma, della Proposta di modifica presentata dalla Commissione al
Consiglio l’8 settembre 1994.
10
possa trasferirsi per causa di morte, cosa che è espressamente ammessa dalla legge
(cfr. artt. 1330, 1722 quarto comma, 2565 terzo comma, 2610 c.c.) e determina
una modificazione soggettiva dei rapporti di lavoro dal lato del datore di lavoro.
Solo che, in questo caso, a regolare la sorte dei rapporti di lavoro interviene la
disciplina comune del diritto ereditario e l’erede succede al titolare dell’azienda a
titolo universale
18
. Ne discende che le situazioni giuridiche soggettive facenti
capo al de cuius, compresi i rapporti di lavoro, si trasmettono all’erede il quale
subentra nei rapporti contrattuali, non già in forza dell’art. 2112 o dell’art. 2558,
bensì per effetto della regola generale della successione dell’erede nella posizione
giuridica del defunto. D’altra parte, molte previsioni contenute dell’art. 2112 c.c.
mal si concilierebbero con l’ipotesi della successione a causa di morte: basti
pensare alla responsabilità solidale di alienante e acquirente per crediti dei
lavoratori e la liberazione dell’alienante o, ancora, alle disposizioni dell’art. 47,
legge n. 428/1990 riguardanti l’informazione e la consultazione sindacale cui sono
tenuti cedente e cessionario.
Vale la pena, infine, ricordare, che tra le fonti del trasferimento di origine
negoziale, l’art. 2112 c.c. annovera l’usufrutto e l’affitto d’azienda. Si tratta di due
negozi largamente utilizzati nelle operazioni di cessione di complessi aziendali, in
ragione delle loro peculiari caratteristiche. Per quanto concerne l’usufrutto
d’azienda, l’art. 2561 c. c. dispone che “l’usufruttuario dell'azienda deve
esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l'azienda senza
modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza
dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non
adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, si
applica l'art. 1015
19
(...)”. Come si vede, si tratta di uno strumento senz’altro
adeguato alle esigenze di trasferimento di un’attività, nei casi in cui si preferisce
evitare la “misura estrema” della vendita, poiché esso vincola l’usufruttuario al
rispetto di determinate regole tese a garantire la continuazione dell’attività stessa
18
Cfr. AULETTA G., voce Azienda, Diritto commerciale, in Enc. Giur. Treccani, Roma 1988,
vol IV, pag. 20 che proprio in ragione del fatto che l’erede succede a titolo universale esclude
l’applicabilità degli artt. 2558 e 2112 c.c. Tali articoli invece sono considerati applicabili quando
l’erede succede a titolo particolare per effetto della costituzione di un legato.
19
L’art. 1015 c.c. dispone che: “L’usufrutto può anche cessare per l’abuso che faccia
l’usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento
per mancanza di ordinarie riparazioni”.
11
entro i parametri fissati dal cedente, pena, nei casi più gravi, la cessazione
dell’usufrutto. Identico discorso vale per il caso di affitto d’azienda
20
, dal
momento che l’art. 2562 c.c. (rubricato “affitto d’azienda”) espressamente
richiama le disposizioni dell’art. 2561 c.c. relative all’usufrutto.
2. Cessione dei contratti di appalto
Un discorso a parte merita l’ipotesi di successione di diverse imprese
nell’esercizio di un appalto.
In dottrina si è cercato di fornire un quadro completo delle possibili ipotesi di
“subentro” di un nuovo appaltatore, riducendole a tre:
a) rinnovo del contratto di appalto estinto (perché scaduto, nullo o annullato
ecc.);
b) cessione del contratto di appalto;
c) trasferimento dell’azienda da parte dell’impresa appaltatrice ad un terzo
soggetto
21
.
Il caso sub a) è ora specificamente disciplinato dall’art 29, comma 3 d.lgs.
276/2003, (in linea con quanto già precedentemente desunto dalla dottrina
22
) che
stabilisce: “L’acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di
subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo
nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce
trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”. Dunque nel caso in cui la legge, un
c.c.n.l. o una clausola del contratto di appalto impongano il trasferimento del
personale dal vecchio al nuovo appaltatore, non troverà applicazione l’art. 2112
c.c., in quanto non si è realizzato un trasferimento d’azienda. E’ agevole osservare
20
L’affitto, a norma del nostro codice civile, è una species della locazione avente ad oggetto
una “cosa produttiva”. Dispone infatti l’art. 1615 c.c. che “quando la locazione ha per oggetto il
godimento di una cosa produttiva, mobile o immobile, l'affittuario deve curarne la gestione in
conformità della destinazione economica della cosa e dell'interesse della produzione. A lui
spettano i frutti e le altre utilità della cosa.”
21
Si veda BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura di), Lavoro e diritti
dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 171 ss
22
In tal senso VALLEBONA A., Successione nell’appalto e tutela dei posti di lavoro, in
RIDL, II,1999, pag. 218.
12
infatti che in questo caso si tratta di due contratti di appalto diversi e successivi
l’uno all’altro, che realizzano “la mera successione di due diversi soggetti
nell’esercizio della medesima attività economica…”
23
, come diversi e successivi
sono i rapporti di lavoro con il precedente ed il successivo appaltatore. C’è da
aggiungere che se l’appaltante è un ente pubblico, l’applicazione del contratto
collettivo o, comunque, l’assunzione dei precedenti addetti, è normalmente
imposta dal capitolato d’appalto o, in particolari settori, dalla legge stessa, al fine
di favorire la continuità occupazionale dei dipendenti in precedenza utilizzati.
La mancata applicazione dell’art. 2112 c.c., determina l’eliminazione delle
tutele previste da questa norma in relazione, ad esempio, alla conservazione dei
diritti maturati presso il precedente datore di lavoro, alla responsabilità solidale tra
vecchio e nuovo appaltatore per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del
trasferimento, al divieto di licenziamento per effetto del trasferimento, e così via.
L’art. 29, comma 3, d.lgs. 276/2003, contiene dunque una disposizione che può
penalizzare i dipendenti coinvolti nell’operazione, i quali, anche se si vedono
assicurato il lavoro, potrebbero avere, presso il nuovo appaltatore, standards
inferiori di tutela (a meno che essi non vengano garantiti, come spesso accade,
dalla legge, dai contratti collettivi o dai capitolati di appalto, che, oltre alle
assunzioni, impongono anche il mantenimento dei diritti già acquisiti in
precedenza). C’è da aggiungere che in genere i c.c.n.l. prevedono il diritto di
assunzione solo per i lavoratori che erano addetti all’appalto già da un certo
tempo, al fine di evitare che l’imprenditore uscente, in vista della perdita
dell’appalto, gonfi l’organico dei relativi addetti scaricando sull’imprenditore
subentrante l’obbligo di assumere i lavoratori superflui. A conferma di tale finalità
“anti-fraudolenza” è prevista una eccezione che estende il diritto di assunzione ai
prestatori che, pur non essendo stati addetti all’appalto per il previsto periodo
minimo, abbiano sostituito altri prestatori il cui rapporto si sia estinto (per
dimissioni, pensionamento, decesso) oppure siano stati aggiunti per fronteggiare
un sopravvenuto aumento di prestazioni
24
.
23
Così CARABELLI U. e VENEZIANI B., Il trasferimento d’azienda in Italia, in La
trasmisiòn de empresas en Europa, Cacucci, Bari, 1999, pag. 107.
24
Cfr. FOGLIA R., L’evoluzione normativa e giurisprudenziale comunitaria in materia di
trasferimento d’azienda, in Quad. Dir.Lav. Rel. Ind., 2004, pag. 202 ss.
13
Bisogna precisare che l’interpretazione dell’art. 29, comma 3 d.lgs. 276/2003
qui riportata, non ha trovato riscontro in una parte della dottrina, che ha proposto
una diversa chiave di lettura. Si è detto infatti che l’art. 2112 c.c. si applica
soltanto quando il mutamento nella titolarità dell’azienda sia conseguenza di un
accordo diretto tra cedente e cessionario, indipendentemente dalla tipologia
negoziale utilizzata
25
. Nel caso di successione di due diversi appaltatori, non
esiste questa relazione diretta, in quanto il titolo giuridico che legittima il
subentrante va rinvenuto nel diverso e autonomo rapporto negoziale fra
l’appaltante ed il secondo appaltatore
26
. Pertanto l’art. 2112 c.c. non avrebbe mai
potuto applicarsi alle ipotesi di successione negli appalti e quindi l’art. 29, comma
3, costituirebbe una norma superflua e suscettibile di equivoci interpretativi
27
. La
dottrina avversa ha obiettato a questa interpretazione osservando, anche alla luce
della giurisprudenza comunitaria
28
, che l’art. 2112 c.c. si applica
indipendentemente da una relazione contrattuale diretta tra cedente e cessionario.
Depone in tal senso l’attuale formulazione della norma italiana che include
“qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti
il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata (…) a
25
CESTER C., Il trasferimento di azienda e di parte d’azienda fra garanzie per i lavoratori e
nuove forme di organizzazione dell’impresa: l’attuazione delle direttive comunitarie è conclusa?,
in AA. VV.,Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da F.CARINCI, a cura di
M.T. CARINCI e C. CESTER, Somministrazione, Comando, Appalto, Trasferimento d’azienda,
II, Ipsoa, Milano, pag. 238 ss. Inoltre, GRAGNOLI E., Contratti di appalti di servizi e
trasferimento di azienda, , in AA. VV., Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro –
Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza (Quaderni di diritto del lavoro), 2, Giuffrè, Milano, pag.
195 ss.. Infine si veda SCARPELLI F. , Appalto – Commento all’art. 29 d.lgs. 276/2003, in AA.
VV., La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, a cura di E. GRAGNOLI e
A. PERULLI, Cedam, Padova, pag. 275 ss.
26
CESTER C., Il trasferimento di azienda e di parte d’azienda fra garanzie per i lavoratori e
nuove forme di organizzazione dell’impresa: l’attuazione delle direttive comunitarie è conclusa?,
in AA. VV.,Commentario al d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da F.CARINCI, a cura di
M.T. CARINCI, e C. CESTER, Somministrazione, Comando, Appalto, Trasferimento d’azienda,
II, Ipsoa, Milano, pag. 238 ss. Inoltre, GRAGNOLI E., Contratti di appalti di servizi e
trasferimento di azienda, , in AA. VV., Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro –
Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza (Quaderni di diritto del lavoro), 2, Giuffrè, Milano, pag.
195 ss..
27
GRAGNOLI E., Contratti di appalti di servizi e trasferimento di azienda, , in AA. VV.,
Trasferimento di ramo d’azienda e rapporto di lavoro – Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza
(Quaderni di diritto del lavoro), 2, Giuffrè, Milano, pag. 195 ss.
28
CGCE 11.3.1997, n. 13/95; 24.1.2002, n. 51/00; 20.11.2003, n. 340/01. In esse la Corte
dichiara che, ai fini dell’applicazione della direttiva 77/187/CEE sul trasferimento d’azienda, “non
è necessaria l’esistenza di rapporti contrattuali diretti tra il cedente e il cessionario, atteso che la
cessione può essere effettuata anche in due fasi per effetto dell’intermediazione di un terzo, quale
il proprietario o il locatore”.
14
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il
trasferimento è attuato (…)”. Il riferimento a qualunque tipologia negoziale
consente di affermare che vi è ricompreso anche un contratto (ad evidenza
pubblica o di altro tipo) tra l’appaltante e il successivo appaltatore, purché
quest’ultimo subentri nell’azienda utilizzata dal precedente titolare del contratto e
si avvalga dei suoi uomini e mezzi (o del solo personale).
Se questa è la situazione, è evidente che l’art. 29, comma 3, è tutt’altro che
una disposizione superflua. In base all’ampia nozione adottata dall’art. 2112 c.c. e
dal diritto comunitario, la successione di diversi soggetti in un contratto di appalto
potrebbe, in molti casi (anche se non sempre), costituire un trasferimento
d’azienda. Per tale ragione il legislatore italiano ha voluto escludere l’applicazione
della disciplina del codice civile in modo così categorico. A tal proposito non si
può fare a meno di riportare un recente orientamento giurisprudenziale della Corte
di Giustizia Europea: si tratta della sentenza TEMCO del 2002
29
. In essa si
esamina l’ambito di applicazione della Direttiva 77/187/CE (concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei
diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti e di parti di
stabilimenti), nell’ambito di una controversia sorta tra la TEMCO, impresa di
pulizie, titolare di un contratto di pulizia degli impianti industriali della
Volkswagen Bruxelles e quattro dipendenti della GMC. Tale ultima impresa,
immediatamente prima, era incaricata, in qualità di subappaltatore della BMV,
delle stesse prestazioni attualmente svolte dalla TEMCO, in forza di un contratto
precedente che era stato risolto. La TEMCO contestava il fatto che i contratti di
lavoro di questi quattro dipendenti fossero stati ad essa automaticamente trasferiti
in applicazione della direttiva n. 77/187.
Ebbene, la Corte ha dichiarato che si inquadra come trasferimento d’azienda
l’ipotesi di un nuovo contratto di appalto che non prevede alcuna cessione di beni
aziendali e che obbliga, per mezzo di un contratto collettivo, a riassumere una
parte di lavoratori dipendenti del precedente subappaltatore, “a condizione che la
riassunzione del personale riguardi una parte essenziale, in termini di numero e di
competenze, dei dipendenti che il subappaltatore destinava all’esecuzione dei
29
Corte di Giustizia, 24 gennaio 2002, C-51/01, in GL, 2002, n. 7, pag. 12 ss.
15
lavori subappaltati”. La Corte ha inoltre precisato che l’assenza di un rapporto
contrattuale tra cedente e cessionario non esclude l’ipotesi di un trasferimento ai
sensi della direttiva. Ha aggiunto che il fatto che l’impresa cedente non sia quella
che ha concluso il primo contratto con il committente, ma solo la subappaltatrice
dell’altro contraente, non ha incidenza sulla stessa nozione in quanto “è
sufficiente che tale trasferimento si inserisca nell’ambito di rapporti contrattuali
ancorché indiretti”. D’altra parte il principio del trasferimento automatico dei
rapporti di lavoro esistenti al momento del trasferimento d’impresa al cessionario
ha natura imperativa, sicché non è consentito derogarvi, né tale effetto può essere
subordinato al consenso del cedente o del cessionario, né dei rappresentanti dei
lavoratori, né degli stessi lavoratori. E allora, è stato osservato, si ha la sensazione
che il legislatore, nel redigere l’art. 29, comma 3, d.lgs. 276/2003, abbia avuto in
mente proprio questa sentenza della Corte di Giustizia per contestarne il
precetto
30
.
Nei casi sub b) - cessione del contratto di appalto - e c) - trasferimento
d’azienda dal vecchio al nuovo appaltatore – il subentro deriva rispettivamente da
una cessione contrattuale o da una cessione d’azienda, per cui non sorgono dubbi
sull’applicazione dell’art. 2112 c.c.. Perché possa parlarsi di trasferimento
d’azienda, infatti, occorre che il subentrante assuma la titolarità
dell’organizzazione che faceva capo al precedente appaltatore. Dunque se il nuovo
appaltatore non si avvale di una propria indipendente organizzazione produttiva,
ma subentra nella titolarità della medesima entità economica in precedenza gestita
dal primo appaltatore, non ci sono remore all’applicazione dell’art. 2112 c.c. E
allora, in questi casi, può bastare la successione di due soggetti nell’esercizio di
un’attività economica che mantenga la sua identità perché si rientri nel campo di
applicazione dell’art. 2112 c.c. (e della direttiva 2001/23/CE, che ha sostituito la
precedente 77/187). La nozione di entità economica va intesa come insieme di
mezzi organizzati al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o
accessoria. La Corte Europea di Giustizia ha avuto modo di indicare come
parametri di riferimento dell’esistenza di entità economica il tipo di impresa o di
stabilimento oggetto del trasferimento, la cessione o meno degli elementi
30
Si veda BAVARO V., Il trasferimento d’azienda, in CURZIO P. (a cura di), Lavoro e diritti
dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Editore, Bari, 2004, pag. 172.
16
materiali, quali gli edifici ed i beni mobili, il valore degli elementi immateriali al
momento della cessione, la riassunzione o meno della maggior parte del
personale da parte del nuovo imprenditore, assumendo rilievo il fatto che la
gestione sia stata effettivamente proseguita e ripresa dal nuovo titolare, con le
stesse, o analoghe, attività economiche. Ma la stessa Corte ha precisato che nei
settori nei quali l’attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un gruppo di
lavoratori che svolge stabilmente un’attività comune può corrispondere ad
un’entità economica, la quale può conservare la sua identità al di là del
trasferimento, qualora il nuovo imprenditore non si limiti a proseguire l’attività,
ma riassuma anche una parte essenziale, in termini di numero e competenze, del
personale specificamente predestinato dal predecessore a tale compito. Di
conseguenza, in tali settori l’offerta di riassunzione o l’effettivo passaggio di un
soggetto dal vecchio al nuovo titolare potrebbe configurare l’esistenza di un
trasferimento rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva. Nei settori
caratterizzati dalla prevalenza di elementi materiali, invece, la riassunzione dei
lavoratori non assume un rilievo decisivo
31
. Tali indicazioni sono state recepite
dal legislatore italiano il quale, con il d. lgs. 18/2001, ha modificato l’art. 2112
c.c. nel senso di includere nella fattispecie trasferimento d’azienda “qualunque
operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica
organizzata”. La norma ci permette di asserire che nei settori nei quali l’elemento
determinante sia la manodopera, la successione in un’attività economica comporti
la successione nell’azienda, intesa in senso giuslavoristico.
Quanto appena detto vale anche nel caso di dismissione da parte dell’impresa
di una funziono o attività e suo affidamento in appalto: potrà parlarsi di
trasferimento d’azienda solo nell’ipotesi in cui l’appaltatore acquisisca dal
committente lavoratori e mezzi tali da configurare un’attività economica
organizzata di cui si avvale per espletare l’appalto
32
.
31
Così MARINELLI M., Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Giappichelli
Editore, Torino, 2002, pag. 233 ss.
32
Tale osservazione si ritrova in CIUCCIOVINO S., La disciplina del trasferimento d’azienda
dopo il d.lgs. 18/2001, in DE LUCA TAMAJO R. (a cura di) I processi di esternalizzazione,
Opportunità e vincoli giuridici, Esi, Napoli, 2002, pag. 104.