5
citando le parole di don Quijote, “no hay otro yo en el mundo”. Sono nati e
nasceranno “nipoti” particolarmente vicini alla sensibilità dello scrittore, ma non
avremo mai un altro Cervantes. La frase del Cavaliere dei Leoni vale anche per
il suo autore: ogni “io” è nel mondo unico e irripetibile. Questo non deve
dissuadere lo studioso dal tentativo di individuare il pensiero del geniale
manchego o le sue teorie letterarie, perchè studiare e contestualizzare un’opera
è l’unico modo per sfuggire a letture strampalate o ideologiche del suo
contenuto. Sarebbe dunque scorretto accostarsi al testo senza un minimo di
scientificità, poichè un romanzo è figlio di un autore e del suo vissuto, nonchè il
prodotto di un’epoca.
Procedere con scientificità nello studio di un’epoca, e soprattutto
immedesimarsi nella persona dell’autore, significa intentar ver, ossia cercare di
collocarsi nel suo punto di vista: è un tentativo. Il Don Quijote, infatti, rimane
innanzitutto il frutto della mente e del cuore di Cervantes, aspetti insondabili
dallo studioso. Quest’ultimo, nell’avvicinarsi all’intimo «io» dell’artista, ha
innanzitutto il dovere di ricomporre i frammenti del suo pensiero racchiusi
nell’opera, e poi di studiarne la vita e il contesto storico, attraverso i dati
biografici e le notizie storiche di cui dispone. Questi elementi creano una base
piuttosto solida su cui poter poi elaborare un confronto con la critica già
esistente, o su cui poter fondare le proprie osservazioni. La difficoltà di
formulare un giudizio definitivo sull’opera e sulle idee dello scrittore,
riscontrabile in molte altre opere letterarie, è accentuata nel Don Quijote,
perchè il suo autore ci ha rivelato ben poco riguardo alle proprie intenzioni. Il
problema interpretativo risulta evidente nel momento in cui ci si imbatte in
visioni diverse del romanzo, o giudizi diametralmente opposti sul pensiero
dell’autore. C’è chi vede in Cervantes un cattolico devoto e vicino alla Chiesa
4
,
e chi, come Castro
5
, lo considera un beffardo e pungente critico – un umanista
che, dietro un apparente spirito di Controriforma, non risparmia frecciatine a
figure e credenze religiose del suo tempo.
4
Aubrey F.G.Bell, Cervantes, citato in: Vladimir Nabokov, Lezioni sul Don Chisciotte, Milano,
Garzanti, 1989, Lezione preliminare.
5
A. Castro, op. cit., pp.240-320.
6
Lo stesso vale per il rapporto autore-protagonisti: Palacios
6
vede Cervantes
come il punto della discrezione, il giusto
mezzo tra l’eccesso idealista di don Quijote e l’opportunismo di Sancho;
Unamuno
7
arriva a definire Cervantes un evangelista, che non ha avuto altro
merito se non quello di narrare le gesta di don Quijote; durante il Romanticismo
si arriva a pensare al capolavoro cervantino come a «un’autobiografia
spirituale» dell’autore. L’interpretazione del personaggio di don Quijote ha dato
vita a discrepanze ancora maggiori: un matto strampalato e divertente, come
dovettero accoglierlo – forse un po’ ingenuamente – i contemporanei di
Cervantes; il cavaliere dell’ideale, mosso dalla sproporzione tra desiderio e
realtà, che diventerà il paladino dei romantici; per Riley
8
don Quijote rimane
innanzitutto un uomo che non sa distinguere tra arte e vita; per Unamuno sarà il
Cavaliere della Fede che nobilita tutto e tutti grazie ai propri ideali, a quella
locura redentora che lo contraddistingue. Di fronte a tutto questo, dunque,
l’invettiva contro i libri di cavalleria – l’unico proposito dell’opera apertamente
dichiarato da Cervantes – non è sufficiente. Il Quijote è un romanzo in cui si
tratta di tutto, si giudica tutto. Come ricorda Riley
9
, Cervantes è un critico che
parla di qualsiasi cosa attraverso i suoi personaggi: del teatro, della letteratura,
di una società, di un’epoca, di questioni morali, di religione; non trascura temi
come la paura, il distacco, l’amore, la misericordia; tratta della letteratura, del
matrimonio, perfino del cibo... insomma una vita intera. Nella sua biografia dal
titolo Cervantes: genio y libertad scrive Alfredo Alvar Ezquerra
10
:
El Quijote, no es sólo una obra irónica, sarcástica. Es un mundo de vivencias,
de aspiraciones y de anhelos, de personificaciones de todo cuanto es la vida,
sencillamente plasmado en esos dos complejísimos personajes […]
6
Leopoldo Eulogio Palacios, Don Quijote y la vida es sueño, Madrid, Rialp, 1960.
7
M. de Unamuno, op.cit.
8
E. C. Riley, Teoria del romanzo in Cervantes, Bologna, il Mulino, 1988.
9
Ibidem, pp. 74-85.
10
Alfredo Alvar Ezquerra, Cervantes: genio y libertad, Aula de cultura virtual, Bilbao octubre
2004, www.canales.elcorreodigital.com/auladecultura/alfredo_alvar1.html
7
Qualsiasi tipo di sudio uno conduca sul Don Quijote, può però partire da una
certezza, un sentiero percorribile da chiunque si accosti all’opera. “No hay otro
yo en el mundo” (II, cap.LXX) – dice don Quijote ad Altisidora. L’unicità della
persona del lettore garantisce l’originalità di ogni lettura, ed è potenzialmente un
contributo al romanzo; il don Quijote non sarebbe così affascinante senza quei
commentatori e studiosi che l’hanno interpretato alla luce della propria,
inimitabile vita. Nella sua prefazione a Il fantastico hidalgo don Chisciotte della
Mancia, Davide Rondoni afferma che il grosso problema interpretativo che il
romanzo ha generato non può essere esaurito da una teoria o un discorso su
don Quijote. Il valore di un capolavoro è infinitamente più grande di qualunque
lettura critica esso susciti: un’interpretazione, anche geniale, non è sufficiente a
rispondere alle domande destate dal testo. Proprio all’inizio della prefazione ci
avverte Rondoni: “Ogni volta che si apre la storia di don Quijote si entra a far
parte di una scena vasta e di un brusio infinito di letture e di dialoghi. Ci si deve
entrare con la propria voce, e con la unicissima vita che a ognuno è data”
11
. Il
punto di partenza per il lettore è scandito proprio dall’ultima frase. La
convinzione della propria unicità deve accompagnare chiunque si appresti a
dire qualcosa sull’opera o sulla vita dello scrittore. Quando il lettore si imbatte in
un’opera, inevitabilmente si produce un personalissimo incontro – mediato dal
testo – tra la persona dell’ autore e quella del lettore, dalla cui lettura scaturisce
parte dell’originalità dell’opera.
Ogni lettore può potenzialmente valorizzare l’opera con la propria
interpretazione: questo richiede passione e un po’ di umiltà, come insegna
Cervantes. Con questa convinzione ho deciso di analizzare quegli aspetti del
capolavoro di Cervantes che più mi hanno entusiasmato. Ho provato, con l’aiuto
di alcune delle più illustri “voci” che hanno interpretato e commentato il don
Quijote, a entrarvi con la mia, senz’altra pretesa che quella di offrire un punto di
vista personale su un’opera considerata da molti come il primo romanzo
moderno.
11
Miguel de Cervantes Saavedra, Il fantastico hidalgo don Chisciotte della Mancia, a cura di
Carmen Giussani, Milano, RCS Libri, 2005.
8
Il mio lavoro parte dalla celebre frase che don Quijote rivolge al suo scudiero
12
:
« La libertad, Sancho, es uno de los más preciosos dones que a
los hombres dieron los cielos; con ella no pueden igualarse los
tesoros que encierra la tierra ni el mar encubre » (II, cap.LVIII).
Il Don Quijote descrive il cammino di due uomini che hanno calpestato le terre
di Spagna, due uomini piccoli e stupiti di fronte alla grandezza del mare, due
uomini che nei loro sforzi eroici – spesso vanificati dalla realtà – agiscono sotto
lo sguardo del cielo limpido della Mancia: queste sono le dimensioni esistenziali
– anche quando immerse nel mondo della letteratura – che accomunano la vita
dell’autore e quella del suo eroe. Per Cervantes e per il suo Cavaliere dalla
Triste Figura, questi tre elementi hanno avuto innanzitutto una rilevanza
concreta che ci è nota grazie alle biografie (per quanto riguarda l’autore) e al
Don Quijote (per quanto concerne il personaggio). In tali dimensioni ho ricercato
anche una valenza simbolica, che è emersa dalla mia lettura personale
dell’opera e della vita dell’autore. Terra, mare e cielo, in questa seconda
accezione, rappresentano passaggi-chiave della vita, del pensiero e della
maturazione di Cervantes e del suo eroe. Dopo una breve presentazione della
realtà spagnola del Siglo de Oro alla luce di queste tre dimensioni, cercherò di
sottolineare la loro importanza nella vita dell’autore e dell’eroe. In seguito
sposterò l’attenzione sul valore simbolico di terra, mare e cielo per arrivare
infine a trarre delle conclusioni – confrontando la mia analisi con altri studi –
sulla concezione e il valore della libertà come dono del Cielo.
12
Tutte le citazioni in lingua spagnola dell’opera, da qui in avanti, si rifanno (salvo diversa
indicazione) alla seguente edizione: Miguel de Cervantes, El ingenioso hidalgo don Quijote de
la Mancha, Cervantesvirtual, 1
a
ed. de Sevilla Arroyo Florencio ed. lit. , publicación Alicante:
Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2001
www.cervantesvirtual.com/bib_autor/cervantes/o_completas.shtml
9
I. Terra, mare e cielo nella Spagna del Siglo de Oro:
scenari di vita e strade dell’uomo
«Iglesia, mar, o casa real» recita un detto dell’epoca, come a dire: aspira a
essere ecclesiastico, cerca ricchezza per mare con il commercio, oppure servi il
re. Il proverbio mostra con chiarezza le tre prospettive di vita che si parano
innanzi al giovane rinascimentale, le tre principali forme di inserimento nella
società del tempo. Procedendo con ordine inverso rispetto al detto, e cioè
servizio del re, mare e Chiesa, ho identificato questi tre aspetti nelle rispettive
dimensioni di terra, mare e cielo, immagini (in questa prima parte) degli scenari
di vita e delle strade che si offrono ai giovani spagnoli dell’epoca
13
.
I.1. Terra
I.1.1. Breve quadro geografico della Spagna
A nord-ovest della Penisola Iberica si trovano le terre di Galizia e della
cordigliera cantabrica, con le loro città di pietre grigie, la loro vegetazione di pini
e felci sotto un cielo quasi sempre coperto di nuvole. Procedendo lungo la
fascia settentrionale in direzione della Francia, incontriamo le coste delle
Asturie, della Cantabria e dei Paesi Baschi, dove il mare si infrange furioso, da
Finisterre a Cabo de Peñas, e da Santander fino al confine con il territorio
francese. Percorrendo la cornice della penisola verso est, lungo i Pirenei, e poi
verso sud, incontriamo prima le terre orientali di Navarra e Aragona e poi la
fascia meridionale, bagnata dal mar Mediterraneo, che influenza il clima, la
vegetazione e le colture di quei luoghi.
13
Ho scelto di associare il servizio del re alla dimensione della terra perché, anche quando la
monarchia viene considerata un mandato divino, il sovrano esercita il potere sulle cose terrene.
Ho scelto di esaminare il contributo che al re e alla patria offriva l’esercizio delle armi, tanto
importante nella vita di Miguel de Cervantes e nella creazione del suo don Quijote. Nello
specifico mi sono soffermato sulle novità che la cultura rinascimentale introduce in ambito
militare.
10
Dopo esserci lasciati alle spalle le due comunità di Catalogna e Valencia,
procediamo ancora verso sud, fino a raggiungere l’estremità meridionale della
penisola, con Málaga e Gibilterra, per poi risalire percorrendo le coste sud-
occidentali, lambite dalle acque del Golfo di Cadice. Il Portogallo esclude quasi
tutto il versante occidentale della Spagna dall’accesso al mare e,
ricongiungendosi con la Galizia a nord, chiude la cornice del nostro quadro per
introdurne finalmente il soggetto: la Spagna interna delle due Mesetas e delle
due Castiglie, caratterizzata da un clima continentale
14
. Queste terre, dal suolo
generalmente arido, attendono il nutrimento di una volta celeste spesso
sgombra di nuvole e poco generosa nelle piogge. La Spagna degli altipiani
secchi e soleggiati, percorsi dai grandi poeti e scrittori del Siglo de Oro; nelle
sue strade polverose si misero in cammino alcuni dei maggiori autori e
personaggi della letteratura dell’epoca. Queste sono le terre di Spagna, da cui –
nei secoli XVI e XVII – la maggioranza della popolazione traeva sostentamento
e taluni, davvero pochi, ricchezza e benessere.
I.1.2. Terra, società e letteratura
Oltre a un breve quadro geografico della Spagna, anche un accenno alla
struttura e alle dinamiche della società spagnola nel Siglo de Oro può risultare
di grande aiuto per comprendere la complessa epoca in cui Cervantes dà vita al
suo Don Quijote. «Iglesia, mar, o casa real» si è detto: la quarta alternativa,
taciuta nel detto ma molto importante, è rappresentata da un’attività da cui
dipendono il lavoro di molti, gli interessi di pochi, e il sostentamento di tutti:
l’agricoltura. Essa, infatti, continua a svolgere un ruolo fondamentale in un
sistema ancora sostanzialmente agrario. Durante il Rinascimento spagnolo,
un’epoca in cui il Medioevo sta lentamente cedendo il passo all’Età moderna,
circa l’ottanta per cento delle persone vive ancora nei campi o conduce una vita
in qualche modo legata all’agricoltura. La maggioranza di esse lavora una terra
14
Manuel Fernández Álvarez, La sociedad española en el Siglo de Oro, Madrid, Editorial
Gredos, 1989, pag.1.
11
che non gli appartiene: anche quando i contadini possiedono appezzamenti di
terreno, sono tenuti a corrispondere al signore un censo, ossia un canone in
denaro o in natura, come riconoscimento della proprietà eminente di
quest’ultimo. Al canone si sommano le decime ecclesiastiche e le imposte
versate allo Stato. Quando il contadino lavora un terreno non suo – il che si
verifica con una certa frequenza – agli obblighi già citati si somma il pagamento
del proprietario secondo la forma contrattuale pattuita: affitto in denaro,
mezzadria ecc. Migliaia di labradores
15
, coloni e mezzadri, dunque, traggono
sostentamento da una minima parte del raccolto; buona parte del lavoro del
contadino è invece destinato al proprietario della terra e al signore (non
necessariamente i due coincidono) nonché al pagamento delle decime
ecclesiastiche e delle imposte statali. I latifondi sono coltivati – spesso male –
dai jornaleros, braccianti che non hanno altre risorse all’infuori delle proprie
forze ed altre prospettive che mettersi al servizio del latifondista. Tutte queste
persone dipendono dalla terra: come i prodotti che coltivano, sono
profondamente radicate nel suolo di campi che in molti casi nemmeno
possiedono. Sono figure rurali, estranee alla realtà dei centri urbani, parti
integranti di un sistema ancora profondamente feudale, la cui cellula
fondamentale è costituita dal villaggio. La terra, tuttavia, non è solo lo sfondo
della vita contadina: essa offre nutrimento alle piccole greggi dei pastori
sedentari, i quali sono spesso membri di famiglie contadine che trovano nella
pastorizia un’alternativa al lavoro dei campi. A queste si aggiungono le enormi
greggi dei pastori transumanti, che d’estate pascolano il bestiame in montagna
e in inverno si muovono verso le terre soleggiate della Mancia o
dell’Estremadura
16
. Passiamo ora a parlare dei proprietari di queste terre. In
uno Stato in cui il potere va centralizzandosi – e che sotto alcuni aspetti
comincia ad assumere caratteri moderni – perdura una frammentazione
territoriale e giurisdizionale di tipo feudale. I signori ereditano le proprietà o le
15
Eccezion fatta per i labradores ricchi che esercitavano il potere sui propri servitori. Nel XVII
secolo essi rappresentano la base del sistema di contribuzione e la fonte della ricchezza
economica e demografica del Paese. (José Antonio Maravall, Reformismo social-agrario en la
crisis del siglo XVII: tierra, trabajo y salario, según Pedro de Valencia, citato in José Antonio
Maravall, Teatro e letteratura nella Spagna barocca , Bologna, il Mulino, 1995, p.74 ).
16
Manuel Fernández Álvarez, op. cit.,tomo I, cap.II.