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insediamento Fenicio-Punico di rilevante importanza negli antichi traffici metalliferi
del Mediterraneo.
Un luogo dalla cultura antica, ricco di “giacimenti archeologici”, a testimonianza
della presenza di un “genius loci”, di un’energia attrattiva che lo contraddistingue.
Quella stessa energia che sembra aver spinto alla ideazione e alla costruzione in un
solo anno (1937-1938) di una città nuova: CARBONIA.
E’ storia di pionieri quella della “capitale del carbone“, (come venne definita
in epoca autarchica), ricca di fascino e di cultura del lavoro. Un dinamismo figlio del
pensiero futurista, che permea la vita dei minatori, tra i fumi e il trambusto degli
impianti e delle macchine estrattive, ben descritto dai quadri di Sironi, ma
contrastante con l’architettura pubblica del centro cittadino che sembra realizzare al
vero le ambientazioni metafisiche di De Chirico cariche di suggestione e di uno
staticismo pensante.
Ancora una volta dinamismo e staticismo, come modernità e tradizione, si
incontrano e si scontrano in una antinomia perfetta.
Carbonia ritrova in questi concetti e nella sua stessa storia, per troppo tempo
dimenticata, gli spunti per un nuovo sviluppo, dei quali l’esperienza progettuale
intende tener conto: l’idea di “progetto” come strumento di riscoperta, di
insegnamento, di divulgazione, di appartenenza ad un luogo dalla cultura antica.
Perché “il luogo ci insegna, conserva la memoria delle stratificazioni, degli
accadimenti e delle energie che lo hanno strutturato nella storia. Il territorio è al
tempo stesso natura e artificio; al progetto spetta il compito di inventare nuovamente
il paesaggio, assumendo il territorio come strumento di costruzione dell’architettura,
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e inversamente l’architettura come strumento di costruzione del territorio”. (R..
Mascarucci)
Le considerazioni di tipo socio-economico, storico-culturale, nonché
urbanistico-architettonico costituiscono lo studio di fattibilità necessario a filtrare
l’ipotesi progettuale di un moderno centro intermodale di collegamento per una città
che si appresta a diventare provincia e quindi ad accogliere un crescente flusso di
traffico.
Oggi il fabbisogno di infrastrutturazione è diventato una necessità primaria ed
assume una particolare importanza per le prospettive di sviluppo economico di una
intera area geografica e la connessione alla rete integrata dei trasporti è lo strumento
basilare per la valorizzazione di qualunque contesto territoriale.
PAESAGGIO INDUSTRIALE DI MARIO SIRONI , 1922
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CAPITOLO 1
CONTRIBUTI CRITICI
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1.1 I presupposti del progetto
Alla luce di un intervento che si può definire di razionalizzazione e
riqualificazione urbana oltre che di connessione e valorizzazione del sito storico-
minerario di Serbariu, si intende evidenziare il carattere urbanistico dell’opera, la
quale si inserisce nel fulcro del sistema compositivo di assi dell’impianto originario.
Un intervento su scala urbanistica, che avrà influssi sulla futura espansione
della città, sulla circolazione dei flussi di traffico, sulla appropriazione e connettività
di una vasta area dismessa alle porte della città, necessita di una più generale
riflessione sul "senso del luogo" (K. Lynch, 1976) e sulle nuove tendenze nella
pianificazione dell’organismo-città.
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1.2 Le nuove tendenze urbanistiche
In linea di principio nel progetto di ogni intervento localizzato è possibile
riconoscere almeno quattro dimensioni:
• una prima dimensione è quella della struttura territoriale, nella quale il
funzionamento delle reti condiziona il progetto e può essere da esso
condizionato;
• una seconda è quella della prossimità urbana, nella quale l'intervento
progettato instaura relazioni con le altre realtà insediative;
• la forma fisico-spaziale dell'intervento è invece determinata, in relazione alle
caratteristiche storico-geografiche del sito, alla dimensione del frammento di
territorio;
• un'altra dimensione del progetto, infine, è quella dell’intorno locale, dove il
progetto si confronta con la qualità dello spazio costruito.
Il progetto deve trovare la sintesi feconda tra le ragioni della scala vasta
(geografia, mercato, economia) e le suggestioni della dimensione locale (fisicità,
valore estetico, autorappresentazione simbolica), collocandosi in uno spazio
autonomo tra la pianificazione e l'architettura.
Nel proporre un’ idea di riprogettazione di una qualsiasi città, dobbiamo in tutti
i modi cercare di costruire una rappresentazione interpretativa del contesto locale nel
rapporto che esso instaura con la dimensione globale.
Ma in un territorio in continua evoluzione il ruolo di uno specifico sito può
cambiare nel tempo: la prima operazione metaprogettuale, dunque, è quella di
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definire il rinnovato ruolo che il luogo da progettare si candida ad assumere nella
mutevole ed incerta dinamica delle relazioni territoriali.
Il futuro delle città moderne si gioca perciò sul tema delle infrastrutture, dei
collegamenti, dell’integrazione, del “flusso”: ogni polo urbano cerca di accentuare le
proprie potenzialità e specificità nel mondo della globalizzazione, promuovendosi
nel mercato economico allargato con gli strumenti del marketing, della pubblicità e
dell’informazione per cui la comunicazione nelle sue diverse forme (fisica,
percettiva, virtuale) diventa fondamento per lo sviluppo. Infatti la nuova logica della
competizione internazionale tra le regioni geografiche impone che ogni ambiente
locale (a qualsiasi scala) sia decisamente caratterizzato e riconoscibile (per poter
essere “vendibile”): un progetto di luoghi, piuttosto che un progetto di spazi, è un
progetto che deve essere “politico”, nel senso più alto del termine, cioè un progetto
che ponga all'attenzione della società civile il nuovo ruolo che il luogo può svolgere
nel territorio.
I nuovi approcci alla progettazione urbanistica hanno in comune l’attenzione
per la reintegrazione (funzionale, sociale, disciplinare e professionale), per le
membrane porose e i confini permeabili, e per un progetto che tenga conto del
movimento, sia nello spazio (circolazione) sia nel tempo (dinamismo, flessibilità).
Un’urbanistica che “non sia basata sull’ ordine e l’onnipotenza; sarà la messa
in scena dell’incertezza; non si preoccuperà più di organizzare oggetti più o meno
permanenti, ma di irrigare di potenzialità i territori; non mirerà più a configurazioni
stabili ma alla creazione di campi di possibilità che accolgano processi che rifiutino
di cristallizzarsi in forme definitive; non sarà più centrata sulla definizione
meticolosa, sull’imposizione di limiti, ma sull’espansione di nozioni, sulla negazione
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dei confini; non sulla separazione e la definizione di entità, ma sulla scoperta di
ibridi a cui sia impossibile dare un nome; non sarà più incentrata sulla città ma
sulla manipolazione delle infrastrutture per infinite intensificazioni e
diversificazioni.” (Rem Koolhaas)
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1.3 L’approccio storiografico
“La sedimentazione delle testimonianze storiche sul territorio costituisce una
ricchezza sulla quale si deve fondare la nostra immaginazione del futuro, sia in
termini culturali che fisici: ogni fatto urbano si confronta necessariamente con la
stratificazione della città”. (R. Mascarucci)
“Non è però sufficiente riconoscere validità alle testimonianze del passato,
difenderne le tracce, recuperarne il contributo storiografico; è, invece, necessario
recuperare il loro insegnamento più complessivo, valorizzare l'apporto che possono
dare al progetto contemporaneo, reinterpretare il loro contributo alla costruzione di
un rinnovato senso di identità del luogo” (A. Clementi).
Su queste basi si fonda la scelta di uno studio contestuale indirizzato alla
riscoperta del “senso del luogo”, riconosciuto come punto di partenza, ed allo stesso
tempo un obiettivo da raggiungere.
Il progetto si propone di “comunicare” oltre che “connettere”, di costituire
cioè un mezzo di informazione ed insegnamento sul contesto locale e le sue
peculiarità storiche, culturali, sociali; vuole essere “pedagogico”.
Ciò attraverso spazi dedicati alla “cultura del luogo” (come la sala per fiere
temporanee e la galleria espositiva, il museo dei fossili e dei minerali, gli uffici
turistici), ed anche una nuova linea urbana che circoli attraverso i luoghi più
rappresentativi della città, sia dal punto di vista della valenza urbanistica che
architettonica (museo all’aperto), mostrando al suo interno fotografie e
rappresentazioni delle origini; ed infine l’uso del materiale locale : la trachite.
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1.4 La città dinamica
La storica “città industriale” lascia spazio a una realtà contemporanea più
complessa, dove la gestione del territorio deve essere capace di promuovere le
specificità locali nella rete territoriale: dalla città che produce oggetti (statica, basata
su logiche funzionali e sulla costruzione di “spazi gerarchizzati”), alla città che
produce idee.
La città, da sistema chiuso che consuma risorse e produce scorie, diviene un
sistema aperto, complesso, in grado di mutare, adattarsi, trasformarsi non più
secondo i tempi della macchina, della produzione in serie, ma secondo i ritmi dei
cicli biologici, della terra e dell'individuo.
Le nuove geografie sono definite dai sistemi di relazione, dai rapporti tra le
parti, tra soggetti e risorse, tra luoghi dove la connessione diventa determinante.
Con lo sviluppo delle telecomunicazioni lo spazio fisico perde la sua centralità, lo
spazio delle relazioni diventa un protagonista importante nella vita della città: una
piccola città può competere con grandi centri. La capacità di inventare relazioni è il
paradigma per progettare lo sviluppo in questo nuovo spazio.
In questo terreno non è più possibile parlare di “localizzazione” (acquisizione o
conferimento di un'esatta situazione spaziale), ma di “dislocazione”, quindi di
spostamenti nello spazio materiali ed immateriali in funzione dei tempi, delle
convenienze, delle relazioni (stoccaggio di informazioni, di merci, circolazione di
idee, persone, energia...).
La rivoluzione tecnologica ha quindi incentivato un modello di assetto urbano
fondamentalmente diverso da quello del passato: la città diffusa.
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Questo cambiamento si può notare nel tessuto urbano delle città contemporanee,
mettendo a confronto l’ortogonalità e la compattezza che caratterizzano il
tradizionale isolato del centro storico con i moderni isolati che seguono invece
schemi più liberi o sembrano addirittura polverizzarsi.
A un primo approccio sensibile, ciò che risulta evidente è una crescita
spontanea, un disordine insediativo che è l’esito del ripetersi casuale di un’attività
edilizia priva di regole di relazione. In queste specifiche condizioni spaziali, la
distanza fra gli oggetti edificati non è casuale ma segue criteri di localizzazione delle
attività, di preferenze di accesso, di pubblicità vantaggiose, di nascondiglio, di
sfruttamento individuale di topografie, di viste preminenti.
Alla società industriale inoltre si è sostituita la società dell'informazione:
l'emergere del grande fenomeno della dislocazione delle aree industriali ha prodotto
importanti vuoti urbani - aree dismesse - localizzati spesso ai margini di tessuti poco
consolidati, nelle periferie delle città.
Se prima il centro propulsore era la grande industria e la macchina, oggi lo
sono i luoghi del terziario e dell’infrastruttura. In questo processo che investe tutto il
mondo occidentale le aree si liberano dalle fabbriche e grandi risorse sono rimesse in
gioco.
In queste zone si può iniettare ora verde, natura, attrezzature per il tempo
libero: non si tratta di circoscrivere e recintare aree verdi, da contrapporre a quelle
residenziali, terziarie, direzionali, come era nella logica “dell'organizzare dividendo”
della città industriale. Si tratta al contrario di creare nuove centralità integrate dove
accanto a una forte presenza di natura siano presenti quell'insieme interagente di
attività della società dell'informazione.
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Progettare oggi in queste aree implica una profonda riconsiderazione della città
e del suo funzionamento e apre nuove strade di ricerca estetica ed espressiva.
Se lo zoning era stato il modo per pianificare la città industriale, attraverso la
divisione in zone tra loro omogenee e distinte che simulava il concetto tayloristico di
produzione industriale, la plurifunzionalità e l'integrazione è diventata la necessità
della città dell'informazione e delle sue nuove aree anti-zoning dove le funzioni si
combinano e si sovrappongano per formare brani di città che tendono a vivere 24 ore
su 24.
Questi nuovi brani di città si caratterizzeranno per un misto di attività produttive
della società delle informazioni che sono insieme culturali, ludiche, commerciali,
terziarie e della comunicazione.
Questa potenzialità di situazioni sovrapposte provoca una “sensazione urbana”
generando le nuove centralità della città diffusa.
Il ritrovo delle persone e la concentrazione delle attività che si sviluppano nei
luoghi di transito e di interscambio producono quindi nuovi centri di urbanità.
Lo sviluppo della città va ripensato alla luce di un nuovo vincolo indotto dalla
rivoluzione telematica e dalle reti: le polarità urbane si costituiscono ora in
dipendenza della dinamica dei flussi di informazioni, beni e persone. Si può anzi
affermare che lo spazio dei flussi sta progressivamente sostituendo lo spazio dei
luoghi.
Questo senso di frenetica dinamicità del nostro tempo è sintetizzato
brillantemente da Paul Virilio: “L'architettura, è diventata l'arte dello spazio-tempo
organizzato alla velocità della luce".
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1.5 Spazio nomade
Il progetto oggi è più che mai un progetto di spazi relazionali, dinamici,
anziché di scene statiche. In questo si avvicina molto al mondo naturale e a quello
informatico, emergono modi di guardare la città rivolti alla complessità,
all'interscambio, all'intreccio tra spazi, architetture e ambiente: fenomeni di
stratificazione, residualità e ibridazione.
La dimensione nomade introduce nella società una forte componente di
indeterminatezza e provvisorietà che si ripercuote sia nella costruzione di scenari
socio-economici, che nella definizione dello spazio in cui si opera, in cui si progetta.
Lo spazio nomade sarà allora caratterizzato da un insieme di funzioni e di
aggregazioni che si alternano e mutano nel tempo in maniere a volte imprevedibili.
Obiettivo del progetto non è più l’individuazione, a priori, di un’immagine
finale compiuta, ma la definizione di quegli elementi minimi, i supporti, intorno ai
quali possano avvenire infinite trasformazioni tipologiche e tecnologiche, e di un
ambiente che le possa “contenere”.
Queste trasformazioni danno vita a configurazioni ambientali e funzionali
reversibili, che mutano e si trasformano nel tempo, accogliendo attività sempre
diverse, che rispondono alle oscillazioni del mercato, ai cambiamenti ed alla
molteplicità degli usi e dell’utenza.
Nello spazio nomade avviene la convivenza: si intensificano le relazioni tra le
persone, lo scambio di saperi e di informazioni in tutti i campi, da quello lavorativo a
quello legato al tempo libero.