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sembrano rappresentare tappe particolarmente evidenti nel processo evolutivo di un
determinato campo dell’attività umana.
E’ importante dunque rendersi conto che qualunque monumento d’arte è
contemporaneamente un monumento storico e monumento d’arte: monumento storico
perchè rappresenta un certo stadio dello sviluppo dell’arte figurativa; monumento d’arte,
perchè anche un monumento della scrittura, come per esempio un pezzo di carta
strappata con brevi appunti trascurabili, contiene, oltre ad un valore storico per lo
sviluppo della produzione della carta, della scrittura, dei materiali occorrenti per scrivere
ecc., tutta una serie di elementi artistici: l’aspetto del foglio, la forma delle lettere e il
modo della loro composizione. Se però il foglio nominato fosse l’unica testimonianza
consevata della attività artistica, nonostante la sua povertà, dovremmo considerarlo
come monumento d’arte del tutto indispensabile. Ma l’arte che qui riscontriamo, ci
interessa innanzitutto dal punto di vista storico. Il “monumento artistico” in questo
senso, è quindi propriamente un “monumento storico artistico”.
Ma oltre al valore storico artistico che per noi possiedono tutte le opere antiche d’arte,
cioè i monumenti, c’è anche un puro valore artistico il quale permane indipendente dalla
posizione dell’opera d’arte nella catena dello sviluppo.
Dagli anni del Rinascimento fino all’inizio del Novecento è valsa la concezione che
esista un inviolabile canone artistico, un ideale artistico oggettivo cui tenderebbero tutti
gli artisti e che però quasi nessuno possa completamente raggiungere.
Dapprima si riteneva che il mondo antico rappresentasse in alcune sue creazioni
l’ideale stesso. Finalmente l’Ottocento ha eliminato questa pretesa dell’antico, e nello
stesso tempo, ha emancipato quasi tutti gli altri periodi artistici conosciuti nel loro
significato autonomo. Solo dall’inizio del Novecento ci si è decisi a trarre dall’idea dello
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sviluppo storico la necessaria conseguenza e a spiegare tutte le creazioni
irreparabilmente trascorse e perciò in nessun modo rilevanti come canone.
Se ci si dichiara per la concezione del carattere del valore artistico come risultato finale
dell’attività di ricerca storico-artistica, compiuta nell’Ottocento, d’ora in poi non si dovrà
più parlare di “monumenti artistici o storici”, ma soltanto di “monumenti storici”.
I monumenti storici allora sono monumenti “involontari” in contrasto con quelli
intenzionali: ma a priori è chiaro che tutti i monumenti intenzionali possono essere
contemporaneamente anche involontari. Con le opere che ai nostri giorni sembrano
monumenti storici i creatori di un tempo volevano soprattutto soddisfare certe esigenze
pratiche o ideali di se medesimi e, al massimo, degli eredi prossimi e non pensarono
affatto di lasciare con ciò alle generazioni sucessive testimonianze della loro vita.
Per questo il termine “monumenti”, che nonostante tutto attribuiamo abitualmente a
queste opere, può essere inteso soltanto in senso soggettivo e non oggettivo. Il senso e
il significato di monumenti non spettano alle opere in virtù della loro destinazione
originale, ma siamo piuttosto noi, i soggetti moderni, che li attribuiamo ad essi.
In tutti e due i casi, per i monumenti intenzionali e per quelli involontari, si tratta di un
valore in quanto memoria e perciò parliamo di monumenti riferendoci ad entrambi. Nel
primo caso però il valore in quanto memoria ci è imposto dagli altri - cioè da quelli che
ne furono i creatori - nel secondo è fissato da noi stessi.
Tuttavia con questo “valore storico” l’interesse che a noi moderni infondono le opere
lasciate dalle età precedenti non è affatto esaurito. Prendiamo per esempio le rovine di
un castello le cui mura diroccate dimostrano troppo poco della forma, della tecnica
ecc., per soddisfare un interesse storico artistico o storico culturale, e alle quali d’altra
parte non si collega nessuna testimonianza cronologica; è di conseguenza impossibile
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che queste rovine debbano l’interesse notorio al loro valore storico. In questi casi
l’interesse ha la sua radice in un valore in quanto memoria, cioè anche da questo punto
di vista esaminiamo l’opera come monumento, e precisamente come monumento
involontario.
Il valore in quanto memoria, però, non aderisce all’opera nel suo stato di formazione
originario, ma aderisce all’idea del tempo trascorso da quando fu iniziata, che si rivela
sensibilmente nelle tracce di antico.
Da qui risulta che il culto moderno dei monumenti non si ferma alla cura dei “monumenti
storici”, ma pretende invece attenzione anche per i “monumenti antichi”.
Quindi, come i monumenti intenzionali sono compresi nei monumenti storici involontari,
nello stesso modo si troveranno i monumenti storici inclusi tra quelli antichi.
Nella classe dei monumenti intenzionali sono valide soltanto quelle opere che, con
volontà del loro cratore, devono fare ricordare un preciso momento del passato. Nella
classe dei monumenti storici il cerchio si estende a quelli che si riferiscono ancora ad un
preciso momento, la cui scelta dipende dalla nostra volontà soggettiva. Nella classe dei
monumenti antichi, infine, viene considerata ciascuna opera della mano dell’uomo,
senza riguardo al suo significato e alla sua destinazione, in quanto dimostra di essere
esistita già molto prima del tempo presente.
In un tempo in un cui non esisteva ancora un apprezzamento per i monumenti
involontari, i monumenti intenzionali diventavano senza rimedio preda di degrado e
distruzione, non appena venivano a mancare coloro ai quali era destinati e che avevano
mantenuto un interesse per la loro conservazione.
Un’ opera come la colonna Traiana nel Medio Evo poteva essere esposta a tutti gli
oltraggi, in quanto era andato in rovina l’antico Impero, del quale avrebbe dovuto
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eternare il potere invincibile presso le generazioni a venire. Il fatto che, dopo tutto, fu
conservata, essa lo deve specialmente a un residuo perdurante di quell’antico
patriottismo romano, che non è mai andato perduto completamente nei romani del
Medio Evo. Comunque fino al Trecento perdurò il pericolo che quella colonna fosse
sacrificata per qualche esigenza pratica.
Questo cambiamento fu provocato per il fatto che, sin dal Quattrocento in Italia si era
formato un nuovo valore in quanto memoria. Si cominciò allora a stimare i monumenti
dell’Antichità non solo per l’amore della reminiscenza patriottica, bensì in virtù del loro
intrinseco “valore artistico e storico”. Il fatto che adesso non meritassero attenzione solo
i monumenti come la colonna Traiana, ma anche frammenti di cornicioni e di capitelli,
conferma che è stata l’arte antica in quanto tale ad essere stata riscoperta: questo
mostra il risveglio dell’interesse storico.
Questo nuovo interesse artistico-storico si limitò alle opere delle civiltà antiche nelle
quali gli italiani del Rinascimento preferirono scorgere i loro antenati. Per la prima volta
vediamo uomini che in opere e fatti antichi, lontani dal proprio tempo un millennio e
anche più, scoprirono la propria attività artistica, culturale e politica.
In questo modo, il passato acquistò un valore contemporaneo per la vita e l’attività
moderna.
Perciò si può dire, con il sorgere di una consapevole considerazione dei monumenti
antichi e con la formazione di disposizioni legislative per la loro protezione, nel
Rinascimento italiano ha inizio una tutela dei monumenti nel senso moderno.
Nel Rinascimento cominciò quella separazione tra il valore artistico e il valore storico
che avrebbe dovuto valere fino all’Ottocento.
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Il processo di sviluppo del culto moderno dei monumenti nei secoli seguenti, incluso il
Settecento, fu caratterizzato da una crescente restrizione a causa dell’aumento della
considerazione di altre tradizioni artistiche.
Non è poi così errato che l’Ottocento venga definito il secolo storico, perchè questo
secolo trovò il suo piacere nel rintracciare ed esaminare accuratamente i fatti particolari
cioè i singoli atti umani nella loro formazione originaria. L’aspirazione preferita
dell’Ottocento era di venire a conoscere esattamente un’effettiva situazione storica.
Quindi il postulato della “importanza” per la storia umana, etnica, nazionale e per la
storia della chiesa, che in passato aveva agito sul valore storico, venne quasi
lentamente abbandonato, per dar spazio, alla storia della cultura, per la quale anche il
più piccolo fatto può avere determinante importanza. Questa importanza consiste nella
convinzione storica dell’insostituibilità anche del più piccolo fatto nel processo di
sviluppo.
Il valore storico che aveva aderito al singolo movimento doveva trasformarsi in un
valore di sviluppo; questo valore di sviluppo è il valore dell’antico ed è perciò il prodotto
conseguente del valore storico, che si formò quattro secoli prima. Se non fosse esistito
un valore storico quindi, non avrebbe potuto sorgere un valore dell’antico.
Se l’Ottocento fu il secolo del valore storico, così il Novecento sembra diventare il
secolo del valore dell’antico.
Il valore dell’antico si era già manifestato già molto prima dell’inizio del Novecento,
secolo nel quale si affermò definitivamente ed è diventato una decisiva potenza
culturale.
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Questo vale in particolare per il culto delle rovine che era stato scelto, nelle pagine
precedenti come esempio per il moderno valore dell’antico che si può rintracciare fino al
Seicento.
Il culto moderno delle rovine è completamente differente da quello delle epoche
precedenti: i pittori di rovine del Seicento rappresentassero quasi esclusivamente dei
ruderi antichi - tutto ciò che era stato romano, in quel tempo, divenne il simbolo della
magnificienza e del più grande potere terreno - ciò era far comprendere all’osservatore
il puro contrasto barocco tra la grandezza di una volta e la degradazione dei tempi
correnti. Ciò comunica una sensazione di dispiacere per il declino irreparabile e di
conseguenza il desiderio che ciò che è stato un tempo si conservi.
Al contrario, all’uomo moderno, le tracce dell’antico producono un effetto rassicurante,
come testimonianze del corso delle cose regolato secondo le leggi della natura, al quale
è sottoposta l’opera umana nel suo complesso.
Il censimento monumenti celebrativi è stato effettuato nei comuni del Parco Regionale
delle Groane, area urbano-territoriale situata a nord-ovest di Milano.
Dalla mia indagine sul territorio milanese ho rilevato la presenza di differenti tipologie di
realizzazione strettamente connesse a diversi avvenimenti storici, politici e religiosi che
hanno caratterizzato le diverse epoche.
Ai fini del censimento sono stati individuati, schedati e ubicati monumenti celebrativi
appartenenti a diverse categorie: funerari, onorari e storico-commemorativi che si è
ritenuto opportuno classificare in relazione alla loro funzione, Monumenti Religiosi (XVI,
XVII, XVIII, XIX e i primi del XX sec.), Monumenti ai Caduti (prima metà del XX sec.) e
Altre Tipologie di Monumenti (dalla seconda metà del XX sec. ai giorni nostri).
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I monumenti religiosi in parte, sono stati realizzati durante la dominazione spagnola a
ricordo delle pestilenze che hanno flagellato il territorio milanese: la peste denominata
di S. Carlo del 1576-77, e quella bubbonica la più letale, degli anni 1629-32 durante
l’episcopato di Federico Borromeo.
Altri monumenti invece, sono stati realizzati in secondo luogo tra il XVIII, il XIX e i primi
del XX sec., dalla popolazione dei centri urbani per via di un sentimento religioso
continuo: un segno di devozione.
Fra i monumenti religiosi si può individuare una tipologia storico-commemorativa:
cappelle e colonne, la cui presenza interessa in modo rilevante i territori considerati.
I monumenti storico-commemorativi, come ho già detto in precedenza, sono stati tutti
commissionati dai Card.li Carlo e Federico Borromeo e per loro volere eretti nelle
piazze e nelle vie dei centri urbani.
Quelli realizzati in secondo luogo e presenti sul territorio in netta minoranza, madonne
ed edicole votive si riferiscono, come già detto in precedenza, ad un sentimento
religioso continuo e disciplinato della popolazione caratterizzando la scena urbana - le
strade, le vie, le piazze - da segni di continua e persistente devozione.
Questi sono tutti monumenti di semplice realizzazione: pittorica, affreschi su parete
come il caso più emblematico, della “Via delle Madonne” a Lazzate, dove l’intero
percorso è caratterizzato dalla presenza sulle facciate delle case a corte da
innumerevoli affreschi dedicati alla B.V. Maria; scultorea, in pietra, in marmo, in
cemento o, in parte architettonici, come nelle edicole votive, disseminate qua e là sul
territorio milanese nelle molteplici realizzazioni: cito il caso di Cesate, “Edicola votiva
alla Madonna di Lourdes” realizzata negli anni’ 60, dove l’impianto architettonico è una
semplice cappelletta edificata su un’altra edicola pre-esistente: fatta costruire nel 1904 -
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in cementite grezza per dar l’idea di architettura organica, simile ad una “grotta” - dal
parroco di allora e dipinta da un’artista locale; all’interno, la statua della Madonna è
ancora oggi la stessa.
Quest’ultimi monumenti religiosi sono stati commissionati dalle amministrazioni
comunali come atti di riconoscenza e, in parte, dagli abitanti del luogo come segno di
devozione e sentimento religioso che, ancora oggi, fin dai tempi di S. Carlo è ancora
presente nei comuni dell’hinterland milanese.
Per una dettagliata descrizione dei monumenti religiosi si rimanda alle schede tecniche
di approfondimento.
Per quanto rigurda invece i monumenti ai caduti, l’iniziativa di affissione di lapidi e di
erezione di piccoli e grandi monumenti ai caduti, prese avvio intorno al 1919 e proseguì
per tutti gli anni’ 20, interessando dovunque piazze, vie ed edifici pubblici.
Nell’iniziativa confluivano istanze diverse: non solo quella delle classi dirigenti
intenzionate a rinsaldare il senso dell’identità nazionale, ma anche quelle delle
comunità, dei villaggi, dei rioni cittadini desiderosi di stringersi attorno ai propri caduti.
Una parte non piccola vi ebbe pure l’aspirazione propria dei ceti medi a conquistare un
ruolo più incisivo nella vita pubblica. Il risultato di questa convergenza ed il
prolungamento di tale iniziativa per oltre un decennio fu una rete di lapidi, monumenti
statuari, bassorilievi bronzei che ancor oggi connota il paesaggio urbano italiano, nei
piccoli e nei grandi comuni.
Dalla mia indagine sul territorio dei comuni del Parco Regionale delle Groane ho
riscontrato una forte presenza di monumenti celebrativi ai caduti della grande guerra,
per i quali effettuerò uno studio approfondito sulle differenti tipologie, per poi
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riallacciarmi al discorso, che verrà in seguito introdotto, sui Viali e Parchi della
Rimembranza.
Da uno studio approfondito e da una dettagliata schedatura effettuata
precedentemente, ho riscontrato tra le differenti rappresentazioni tipologiche, la
presenza ricorrente di solo due tipologie di monumenti celebrativi ai gloriosi caduti della
guerra europea: l’obelisco in marmo o pietra e il fante in bronzo.
L’obelisco, fin dai tempi dell’Antico Egitto fu il simbolo del potere e della ricchezza,
portati sucessivamente a Roma dagli imperatori romani, gli obelischi, furono collocati al
centro dei numerosi spazi collettivi-sportivi.
Nel ‘500 e ‘600, il papato rinascimentale se ne appropriò, appropriandosi non solo
dell’eredità culturale dell’Antico Egitto, ma nanche del titolo dell’impero romano.
Più tardi, nel XX secolo, l’obelisco ha assunto nuovamente differenti connotati
architettonici: dapprima, dopo la grande guerra nella realizzazione di innumerevoli
rappresentazioni tipologiche di monumenti alla riconoscenza ai gloriosi caduti come
riscontriano nei comuni di Garbagnate Milanese, Misinto, Lazzate, Seveso e Cesano
Maderno, dove l’obelisco presenta la classica conformazione a pyramidion e sulla cui
sommità vengono rappresentati diversi motivi simbolici: stella/vittoria, croce/ricordo,
aquila/forza; e dopo, come elemento architettonico decorativo nell’architettura degli
anni’20.
Il fante in bronzo è come l’obelisco, una rappresentazione tipologica di monumento
storico-commemorativo ai caduti della guerra europea.
Tale monumento assunse differenti configurazioni iconiche: nella visione eroica della
guerra - propria della retorica ufficiale fascista e nazionalista - nelle innumerovoli
tipologie del soldato in azione: come nel caso di Arese, dove il fante con pugnale e
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bandiera simboleggia lo slancio e l’ardore del combattimento o, a Barlassina, dove il
monumento - situato all’interno di un’aiuola al centro di P.zza Cavour - è rappresentato
da un soldato ferito a morte che sta per cadere con in mano la bandiera nazionale; alle
rappresentazioni direttamente legate alla guerra e alla vita di trincea fino ad arrivare alla
mitizzazione dell’eroe mediante creazioni simboliche ed allegoriche.
Per una dettagliata descrizione dei monumenti ai caduti si rimanda alle schede tecniche
di approfondimento.
I Parchi e i Viali della Rimembranza, accennati precedentemente, vengono costituiti per
iniziativa del sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Dario Lupi, nel 1922.
Si tratta di monumenti-commemorativi costruiti unicamente con materia vegetale che
acquista significato simbolico: nei comuni interessati veniva piantato un viale o un parco
composto da tanti individui arborei quanti erano i caduti della Grande Guerra che quella
comunità aveva da commemorare, in numero minimo di venti, ognuno con una targa
che ne riportava il nome.
Il ministero con una specifica circolare diede una serie di indicazioni dettagliate per la
progettazione e la costruzione dei siti, coinvolgendo le Scuole, i Provveditorati agli studi
e le Amministrazioni comunali in comitati esecutivi.
Le istruzioni entravano nel merito delle tecniche di piantagione (dimensioni delle buche,
tipo di riempimento, cataletti di scolo, terriccio e concimazione, sostegni per la piantina,
ecc.); si preoccupavano che tutti i viali presentassero “un aspetto uniforme e
caratteristico in tutte le località d’ Italia”, prescrivendo i materiali (legno), le dimensioni e
il colore (bianco, rosso e verde della bandiera) dei tre “regoli” che dovevano formare il
riparo degli alberi appena piantati e che dovevano accogliere (il regolo bianco, più alto
degli altri), le targhette con il nome dei caduti ( in ferro smaltato).
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Anche il testo delle targhette era rigidamente predeterminato: “in memoria del (grado,
nome, cognome) caduto nella Grande Guerra (data) e (nome della battaglia)”.
Le specie arboree andavano scelte all’interno di una gamma consigliata, preparata dal
ministero in relazione al clima delle zone nord, centro e sud della penisola; in particolare
per l’Italia settentrionale erano indicati: “pini, abeti, cipressi, querce, faggi, ippocastani,
ecc.”
Dopo la fine della seconda guerra mondiale nei viali delle Rimembranze furono inserite
anche le lapidi commemoranti ai caduti del 1940-45.
Infine, nella società contemporanea, continua l’iniziativa di erigere e ubicare piccoli e
grandi monumenti celebrativi nelle piazze e nelle vie dei centri urbani.
Oggi, come in passato, l’intenzionalità celebrativa nella realizzazione di differenti
rappresentazioni tipologiche è caratterizzata da due motivi distinti: da un lato, la volontà
di affermare, esaltare e divulgare il nome e il prestigio di certe personalità divine ed
umane o di istituzioni e di idee religiose o politiche; da un altro lato, la volontà di
tramandare il ricordo di uomini e di avvenimenti alle generazioni future.
Nel censimento effettuato sul territorio dei comuni dell’area del Parco Regionale delle
Groane, ho riscontrato oltre alla presenza di monumenti commemorativi - religiosi o ai
caduti - anche altre tipologie di monumenti contemporanei: I monumenti funerari-
onorari, eretti con lo scopo di ricordare le gesta di personaggi illustri riproducendone
spesso le sembianze - nella classica tipologia a mezzo busto in bronzo - come per
esempio, il “monumento a Luigi Porro” situato nel centro di Barlassina.
Questi monumenti sono stati eretti dalle amministrazioni comunali con sentimento di
riconoscenza e, per loro volere, ubicati nelle piazze e nelle vie dei centri urbani.
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Infine, sono presenti sul territorio censito numerosi monumenti celebrativi dedicati alla
nascita delle recenti associazioni socio-assistenziali o volontarie, tra le quali, le più
importanti e attive nella realizzazione di monumenti appaiono l’A.V.I.S. e l’A.I.D.O.
La realizzazione di tali monumenti ha lo scopo di sottolineare l’importanza dell’operato
di tali associazioni, e sensibilizzare la popolazione alle iniziative di volontariato.
Fra i monumenti realizzati dalle associazioni, si possono individuare due tipologie: da
un lato, la classica lapide bronzea affissa a parete o riposta su basamento raffigurante il
simbolo dell’ associazione - come è il caso del “monumento dell’A.V.I.S.”, a Garbagnate
Milanese; dall’altro, la scultura-organica in marmo o bronzo che richiama mediante
rappresentazioni simboliche o allegoriche le diverse associazioni.
La maggior parte di questi monumenti sono stati realizzati dalle associazioni a partire
dalla seconda metà del XX secolo fino ad arrivare ai giorni nostri e sono ubicati nelle
piazze dei centri urbani per una maggior fruizione da parte del cittadino.